Italia: Sistema politico/mediatico strizza l’occhio al terrorismo venezuelano

clownLa stampa italiana, unico abbeveratoio di fugaci politici più adusi alle smorfie degli studi televisivi che alla serietà della professione scelta, si dibatte tra lo show, il ghigno e l’umorismo involontario. Sempre sulla pelle della verità -o del verosimile- e della tragedia di popoli e paesi lontani. Si tratti della Siria o più recentemente del Venezuela.
 
Maestri nell’arte dell’ambiguità e della tergiversazione, ora sono approdati all’aperto fiancheggiamento semantico del terrorismo.
 
E’ difficile capirli: se un’auto investe dei pedoni a Parigi è guidato da un terrorista; se a Caracas il pilota-pirata di un elicottero apre il fuoco, sarebbe un’altra cosa. E’ l’incomprensibilità del nuovo bizantinismo “occidentale” che sta minando la credibilità dei media e dei governi.
 
Vedere per credere. Brillante la necroscopia della logica  operata dal Corriere  (qui); oppure l’insuperabile Stampa (qui) che dice “tranquilli ragazzi, è un atto simbolico, non è morto nessuno…” Elicottero, bombe, mitragliate, erano di plastica? E i magistrati in piena sessione erano ologrammi? Del Fatto è meglio tacere.
L’ambiguo personaggio che ha lanciato granate di frammentazione e alcune sventagliate di mitragliatrice, non contro un pollaio -ma sulla Corte Suprema del Venezuela- non viene dipinto con i foschi colori qualora avesse attaccato la Corte Costituzionale  o il Consiglio superiore della Magistratura di Roma. O di Londra, Berlino, per tacere della Corte Suprema degli Stati Uniti (loro vera patria elettiva).
Si rendono conto che questo bipolare “relativismo” è un’arma a doppio filo? Indirettamente, stanno propalando che quel che è lecito a Caracas potrebbe esserlo anche a Firenze. Quel che scrivono le majors dei quotidiani della penisola è raccapricciante, trasudano un’ammirazione neppure velata per un fallimentare “eroe della cronaca” che ha ottenuto un’effimera notorietà. Gli “inviati” stanziali avranno almeno ascoltato il video del pilota dove si autodefinisce “guerrero de dios”? Dichiarazione di fede oppure una concessione ai format di moda in Medioriente?
La solerzia di codesti scrivani ricorda quella di certi avvocati d’ufficio nell’improvvisare alibi di corta durata. E’ noto che la belligeranza degli Stati Uniti terminerà solo quando si impadroneranno dei giacimenti dell’oriente venezuelano. Perchè il sistema mediatico-politico deve assecondarli anche in questa avventura criminosa? L’Europa, l’Italia, che ci guadagneranno?

LA CORTE OBBEDISCE 

14 giudici chiamati a decidere del destino di milioni di disoccupati e lavoratori. 14 persone il cui stipendio non rischia di diventare un voucher decretano la fame e miseria di milioni di persone. MA NON LA CHIAMARE OLIGARCHIA.

Bloccati i referendum sui diritti dei lavoratori. A voucher ed appalti ci penserà il governo con una leggina, ad affossare il voto sull’articolo 18 ha provveduto oggi la Corte Costituzionale
Lunga è la storia delle sentenze politiche della Corte Costituzionale in materia referendum job actreferendaria. Inutile perciò stupirsi dello scandaloso pronunciamento di oggi.
Scandaloso perché, al di là di appigli giuridici che sempre si possono trovare, la sostanza politica è chiara: sulla vergogna del jobs act lorsignori non consentono di discutere, tantomeno di votare.
 
La cosa è ancor più grave oggi, considerato quanto il tema della precarietà del lavoro sia sentito in questo momento nella società.
Ed è ancor più grave dopo la grande partecipazione del 4 dicembre, che ha mostrato quanto sia forte il desiderio popolare di riappropriarsi dello strumento referendario.
Forse è proprio per questo che si è voluto dare un chiaro segnale di chiusura.
Insomma, il sistema si blinda.
Non facciamoci adesso ingannare dal fatto che gli altri due quesiti – sui voucher e sugli appalti – siano stati ammessi dalla Consulta.
Su questi due temi siamo certi che non si voterà.
Troppo facile è la strada di una modifica di facciata, giusto per cancellare il ricorso alle urne.
Modifica che potrà avvenire nelle prossime settimane, o magari anche più avanti qualora il tutto venga superato dallo scioglimento delle camere, ma che comunque avverrà.
 
Che dire allora del commento quasi trionfalistico di un Di Maio che, anziché criticare la cancellazione del voto sull’articolo 18, ha affermato che «Questa primavera saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher»?
Di Maio, ma ci sei o ci fai?
Questa primavera non ci sarà nessun referendum, perché continuare a vendere simili panzane?
 
Come ha notato la stessa Camusso, nelle settimane scorse forti sono state le pressioni sulla Corte.
Forti e manifeste come mai accaduto nel passato.
Dai palazzi della politica, come dai potentati economici, si è fatto sapere cosa si voleva in maniera esplicita.
E si è perfino pubblicamente parlato dell’uomo che ha funzionato ad un tempo da collettore di queste richieste e da promotore di una “soluzione politica” che niente ha a che fare con il diritto. Quest’uomo è Giuliano Amato: un nome, un programma.
Mai come questa volta è stata chiara fin dal principio la divisione del lavoro tra Consulta e governo. Un modo di procedere che deve far pensare anche in vista della sentenza, prevista per il 24 gennaio, sull’Italicum.
La decisione di posticipare di brutto questa sentenza, inizialmente prevista per il 4 ottobre scorso, è sempre sembrata un robusto aiutone ai tanti che vogliono portare la legislatura fino al febbraio 2018.
Non solo.
Se tanto mi da tanto, la fedeltà sistemica dimostrata oggi dalla Corte fa pensare ad una sentenza che lasci in qualche modo spazio a nuove porcherie di tipo maggioritario comunque mascherate.
Detto in altri termini, nello scontro interno al blocco dominante tra il gruppo di potere renziano che vuole andare alle urne entro giugno, ed il vasto partito del rinvio del voto che punta alle “larghe intese”, la Corte Costituzionale si è chiaramente schierata con il secondo.
Noi, ovviamente, non abbiamo preferenze tra questi due schieramenti, entrambi nemici.
Ma resta il fatto – gravissimo – di una Corte Costituzionale asservita ai poteri oligarchici.
Non è certo una novità nella storia italiana, e probabilmente i membri di nomina più recente non hanno certo migliorato la situazione. Una ragione di più per mobilitarsi in vista del 24 gennaio.
 
In quanto ai diritti dei lavoratori, cancellati con il Jobs Act, toccherà al nuovo parlamento ripristinarli.
Che tutti, a partire dalla Cgil e dai Comitati per il NO, ne facciano da subito un tema centrale della prossima campagna elettorale, costringendo tutte le forze politiche a pronunciarsi chiaramente sul tema.
di Leonardo Mazzei 11/01/2017