Tav, il megacantiere climaticida e le bufale della Ue

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Tav, il megacantiere climaticida e le bufale della Ue

L’Europa da un lato promette interventi per l’ambiente, dall’altro finanzia opere inutili e dannose come il Tav. E questo nonostante la botta al progetto lanciata proprio dalla Corte dei Conti europea, secondo cui inquina molto oggi, per un (improbabile) vantaggio che si inizierà a vedere nel 2080

Le politiche ambientali richiedono coerenza. A nulla serve introdurre buone pratiche “verdi”, come l’Ecobonus per la riqualificazione energetica degli edifici, se poi si lasciano indisturbati i processi che ingoiano risorse non rinnovabili come il suolo e e producono rifiuti ed emissioni che danneggiano il clima. Le grandi opere trasportistiche come autostrade, aeroporti e ferrovie ad alta velocità sono tra questi. Infrastrutture come il Tav Torino-Lione, sono sostenute caparbiamente dai governi interessati e dalla Commissione Trasporti UE come opere ecologiche, in realtà non lo sono affatto. Non tutto il traffico ferroviario è infatti a basse emissioni, soprattutto quando si devono realizzare grandi tunnel con mega cantieri della durata di oltre un decennio, e qui parliamo di una doppia canna da 57 km. Lo abbiamo scritto anche sul Fatto più volte, l’ultima l’11 maggio scorso.

Questa preoccupazione è ora finalmente emersa in modo inequivocabile anche nella relazione speciale numero 10 sulle grandi infrastrutture di trasporto pubblicata nientemeno che dalla Corte dei Conti Europea. A pagina 33, paragrafo 38 si legge che “la costruzione di nuove grandi infrastrutture di trasporto è una fonte rilevante di emissioni di CO2 e vi è un forte rischio che gli effetti positivi siano sovrastimati. Nel 2012 il gestore dell’infrastruttura francese ha stimato che la costruzione del collegamento Lione-Torino avrebbe generato 10 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 (pari a una città italiana di un milione e mezzo di abitanti in un anno, aggiungo io). Gli esperti consultati dalla Corte hanno concluso che le emissioni di CO2 verranno compensate solo 25 anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura (quindi dopo il 2055, mia precisazione), ma se i livelli di traffico raggiungono solo la metà del previsto, occorreranno 50 anni dall’entrata in servizio prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla costruzione siano compensate (cioè nel 2080, ndr)”. Il che è del tutto incompatibile con il Green Deal europeo e l’esigenza di azzerare le emissioni al massimo entro il 2050.

Come volevasi dimostrare sarebbe una cura peggiore del male, un’opera che prima sporca di sicuro e poi promette – forse – di pulire, e che se proprio si vuole fare, contro tutte le evidenze di inutilità funzionale ed economica, bisognerebbe almeno avere il pudore di derubricare dall’elenco degli interventi a favore del clima e dell’ambiente. Per questo motivo andrebbe una buona volta fermata sul nascere, soffocata finché è ancora piccola e incompleta, in modo che non sprechi altro denaro pubblico, che non infligga altre ferite alle nostre Alpi e che non emetta i 10 milioni di tonnellate di CO2 preventivati, che come i costi potrebbero facilmente lievitare.

Ancora una volta, supportati dalle evidenze scientifiche e ora anche da un documento ufficiale afferente allo stesso apparato europeo che da un lato promette inediti sforzi per contrastare i cambiamenti climatici e dall’altro finanzia le peggiori opere che li provocano, chiedo con determinazione al ministro dell’Ambiente Costa – già a conoscenza del problema – e al suo analogo francese, Élisabeth Borne, insieme al commissario europeo per il clima Frans Timmermans di pronunciarsi sulla coerenza ecologica di questa scelta, che appare invero in piena contraddizione. E se la valutazione della Corte dei Conti è corretta, che si fermi immediatamente il megacantiere climaticida, destinando i miliardi di euro dei cittadini italiani, francesi ed europei ad altre azioni ambientalmente più efficaci che non siano solo colorate di verde a fini di marketing. I giovani di oggi vi ringrazieranno per la lungimiranza, o se costretti a vivere in un pianeta ostile vi malediranno in conseguenza delle vostre scelte, e questo articolo vuole rimanere testimonianza esplicita che non si potrà dire “non lo sapevamo”.

La risposta della lobby alla Corte dei conti, ruspe in Clarea ma i notav resistono sugli alberi

https://www.notav.info/senza-categoria/la-risposta-della-lobby-alla-corte-dei-conti-ruspe-in-clarea-ma-i-notav-resistono-sugli-alberi/

Newspost — 22 Giugno 2020 at 10:14

Notte di resistenza in Val Clarea. Il monitoraggio popolare del cantiere nei giorni scorsi aveva segnalato movimenti di mezzi da lavoro all’interno del perimetro che facevano presagire una ripresa dei lavori. Il coordinamento dei comitati notav ha quindi inaugurato sabato un presidio permanente nella zona dei mulini storici, edifici che dovrebbero essere distrutti dall’avanzare del cantiere come tutta la zona boschiva circostante. Mentre un piccolo corteo improvvisato partiva da Giaglione verso il cantiere per ribadire che nessuno si sarebbe fatto cogliere impreparato, in tutta risposta il governo ha iniziato a spostare centinaia di poliziotti e militari in Val Susa preparandosi ad attaccare il presidio. L’arrivo di decine di mezzi è stato segnalato da sentinelle notav tra Rosta e Avigliana nella serata di ieri.

Come previsto, questa notte, tali e quali ai ladri, i lobbyisti del tunnel hanno tentato di rimettere in moto la macchina del TAV. Alcune ruspe hanno iniziato a provare a sbancare le rive del torrente Clarea per posare una passerella e mettere jersey con filo spinato a difesa del cantiere della vergogna. La polizia in assetto antisommossa ha circondato il presidio ai mulini ma ha dovuto ripiegare. Tutta la notte i notav hanno resistito con fantasia e determinazione, alcuni gruppetti si sono incatenati ai cancelli e altri sono arrampicati sugli alberi sfruttando la conoscenza del territorio accumulata in questi anni di presenza attiva e ricognizioni. Nel frattempo la polizia bloccava l’accesso dal lato di Giaglione a solidali e giornalisti, provando ad isolare i notav barricati. Con un’ordinanza emanata d’urgenza il Ministero dell’interno, per bocca del prefetto, ha chiesto di chiudere tutta via dell’Avanà, tutta via Roma e le zone circostanti incluse tutte le zone boschive/di campo di Giaglione e Chiomonte.

Questa brusca accelerata rappresenta l’ennesima mossa scomposta di TELT & soci. Presi dal panico per la sonora bocciatura del raddoppio della Torino-Lione da parte della Corte dei conti europeaprovano goffamente a riprendere in fretta e furia i lavori. Per spostare un po di terra in riva al fiume, per l’ennesima volta, le autorità italiane hanno mobilitato centinaia di poliziotti e carabinieri, con un costo folle, in un momento particolarissimo per tutto il paese che richiederebbe di investire risorse ingenti per ben altre priorità.

Per ora i notav sono per ancora alla zona dei mulini, ci dicono di comunicare a tutti che sono tranquilli e il morale è alto ma servirà la partecipazione di tutti nei prossimi giorni, a partire da oggi lunedi 22 giugno APPUNTAMENTO ALLE ORE 18 al CAMPO SPORTIVO DI GIAGLIONE per dare il cambio ai presidianti della Clarea. Per la lobby sitav il messaggio è forte e chiaro, questo è solo un’anticipazione di cosa vorrà dire per questi signori cantierizzare in un territorio ostile.

AI NOSTRI POSTI CI TROVERETE! FORZA NOTAV!

MENTRE LE STELLE (RUSSE E CINESI) STANNO A GUARDARE —– IL SULTANO SI RIPRENDE CIO’ CHE GLI ARABI GLI AVEVANO TOLTO —- E, GRAZIE A GIULIO REGENI E AI SUOI SPONSOR, ANCHE DI PIÙ

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/06/mentre-le-stelle-russe-e-cinesi-stanno.html

MONDOCANE

VENERDÌ 19 GIUGNO 2020

 “Viva gli sciagurati (per lo sciagurato OMS) napoletani” (Anonimo fiorentino)

Le squadre in partita

Da una parte il subimpero del sultano ottomano neo-islamista, padrino di tutto il terroristame che imperversa in Medioriente e Africa, con alle spalle l’impero tenuto in piedi dal Deep State statunitense con il corredo dei “progressisti” imperiali di Soros, di nascosto Israele e, ultimo arrivato, paradossalmente, l’Iran del “moderato” Rouhani, suo rivale in Siria e Iraq.

Dall’altra l’Egitto, maggiore potenza araba, Arabia Saudita, Emirati, il pezzo più significativo del mondo arabo, Bengasi e gran parte della Libia liberata dai jihadisti, la Russia che traccheggia, la Cina che simpatizza da molto lontano. Queste le forze che si fronteggiano oggi nella regione. Il che è individuabile al semplice osservare le mosse dei due opposti schieramenti, ma mistificato e reso ingarbugliato dai servizi mediatici offerti ai soliti attori preferiti.

 L’Egitto come lo vorrebbero i suoi nemici

Regeni, la leva con cui sollevare il Medioriente

Si pensi al “manifesto”, arrivato a sostenere lo psicopatico guerrafondaio Bolton contro Trump, e al suo internazionalista “de sinistra” Alberto Negri. Antiamericano da vetrina, ma anche, all’uopo, antisaudita; detesta i turchi in quanto sterminatori di curdi (dichiarati “vincitori dell’Isis” al posto dei siriani, ed effettivi ascari antisiriani degli USA)), ma oggi come oggi, detesta di più al Sisi, da amico dei russi capovolto in “cocco di Trump”. Il suo condirettore, Tommaso Di Francesco, autonominatosi, nelle more dei giudici di Roma e del Cairo, PM, giudice e, domani, boia del presidente egiziano, dichiara Giulio Regeni  “barbaramente fatto uccidere dai suoi servizi segreti”. Uno specialista di efficaci messaggi subliminati, questo Negri ex-Sole-24 Ore, come li definisce acutamente un mio amico. Del resto lo accredita nientemeno che Amnesty International. Chi oserebbe contraddire questa santa costola del Dipartimento di Stato?

Quell’Amnesty dei diritti umani sulla cui invenzione di una spia, Caesar, che attribuisce ad Assad qualcosa come 15mila assassinati in carcere (con foto di soldati siriani uccisi in combattimento!), Washington ha ora eretto la mannaia di ulteriori sanzioni genocide alla Siria, straziata da 9 anni, per impedire che mangino anche l’ultima pagnotta e ricevano anche solo il primo mattone per la ricostruzione. Poi, per la gioia dei nostri antifascisti con chiacchiera e distintivo, gli “Antifa” americani, nel quadro della rivolta fatta passare per antirazzista, ma coltivata dal Deep State, hanno creato a Seattle una “libera comune” intitolata a Idlib, quella degli invasori turco-terroristi, vista come avamposto dell’antifascista Erdogan.

L’iniziativa, grazie al poco pubblicizzato, ma evidente e decisivo sostegno diplomatico e jihadista del settore guerrafondaio USA (che, incidentalmente, come ovunque, coincide con quello coronavirale) è in mano al sultano della mezzaluna a stelle e strisce. Riempita la Libia di mercenari jihadisti e truppe corazzate, droni e aerei dell’esercito turco, è riuscito a mantenere in vita i presidi dei Fratelli Musulmani di Tripoli e Misurata, e a respingere l’Esercito Nazionale Libico, liberatore laico del resto della Libia.

Turchi ante portas

Presente con armi e bagagli in Yemen e Somalia, collaboratore dello sterminio di questi popoli a fianco dei regimi fantocci degli USA e a fianco, stavolta, dei sauditi nemici in Libia, ha poi invaso il nord dell’Iraq. Il pretesto, come per la Siria nordoccidentale, glielo hanno fornito i curdi. Incurante della sovranità di un paese che, grazie alle milizie popolari vincitrici dell’Isis, sta riguadagnando un minimo di autonomia e dignità, ovviamente col beneplacito degli occupanti USA, in difficoltà per i continui missili che i patrioti iracheni lanciano sulle loro basi.

Sul piano geopolitico, a queste offensive in terra e aria, ha aggiunto quelle sui mari, dove il nuovo subimpero ottomano si è assicurato, nell’attonita passività di tutti gli interessati, una striscia di mare tra Asia Minore e costa libica che vorrebbe in pratica porsi a difesa di tutto il petrolio e gas dell’immenso serbatoio mediterraneo.

Di fronte a questa davvero colossale operazione espansiva, a parte borbottii innocui di qualche cancelleria (pensate, noi abbiamo Di Maio!), non s’è mossa foglia mediatica, né sospiro dell’ONU, o della merkeliana UE. Neppure quando il turco s’è permesso di prendere a ceffoni l’Italia, cacciando con una nave da guerra dalle acque internazionali attorno a Cipro, il naviglio da ricerca dell’Eni. Neppure quando, il 18 giugno scorso, si è arrivati quasi allo scontro tra Turchia e Francia allorchè una fregata francese, in esercitazione Nato, è stata oggetto di una manovra al limite dell’aggressione da parte di una nave turca. Osservava l’operazione, con tranquilla indifferenza, una flottiglia civile turco-italiana, attiva sulle zone petrolifere.

Tutto questo configura una poderosa strategia offensiva del caposaldo Nato in Medioriente cui è ovviamente consentito dal capofila dell’Alleanza, dai suoi subordinati e dal finto opposto teocratico israeliano (da sempre cogestore del jihadismo terrorista e, anche per questo, intoccabile) di fare tutti i comodi suoi, purchè diretti contro chi anche all’Impero grande dà fastidio. In primis, l’Egitto.

Ma che, davvero l’Egitto…?

Ma che, davvero qualcuno pensava che si potesse lasciare l’Egitto, massima potenza storica, demografica, industriale, laica, della nazione araba, a costruirsi un futuro più influente, prospero e autonomo e a garantire tale condizione anche alla sorella Libia? E a fondare tale futuro prossimo sullo sfruttamento della ricchezza del più grande giacimento marino di idrocarburi del Mediterraneo, Zohr, davanti alle sue coste? Un giacimento affidato all’italiana ENI, alla faccia del branco di famelici pronti al balzo, proprio come Shell, BP, Exxon e le altre nel 1953, al tempo di Enrico Mattei e del nazionalizzatore del petrolio iraniano, Mohammed Mossadeq? Con quest’altro Mossadeq, Abdel Fattah al Sisi, portato alla presidenza da una sollevazione di popolo contro il Fratello Musulmano e amerikano Mohamed al Morsi e che poi, per stramisura, riesce ad aumentare gli introiti dello Stato raddoppiando in un anno il canale di Suez.

Cairo. Manifestazione contro Morsi

Visto questo scenario, come non chiedersi ciò che il buon Alberto Negri, campione di ambiguità geopolitica, e tutti i suoi affini non si chiedono? Se, cioè, questa realtà nel cuore del Mediterraneo, cuneo e transito tra Africa ed Europa, Asia e Atlantico non potesse destabilizzare l’egemonia, in corso di attuazione, dell’affidatario ottomano, in nome anche del suo ruolo di pilastro Nato numero uno nel mondo. Come non chiedersi la ragione di tanta passività, tanta tolleranza, di tutti gli altri interessati alla cornucopia mediterranea e come non rispondersi che, al di là dei rimbrotti politically correct, gli sta bene quello che Erdogan fa e ne sono tutti complici?

Compresi gli apostoli del povero Giulio Regeni “santo subito”. Per la centesima volta – e chi non vuole intendere, intende benissimo – io e molti altri riassumiamo la storia, ostinatamente dimenticata, dello sventurato giovane “ricercatore”. Viene addestrato negli Usa da ambienti dell’Intelligence, collaboratore della multinazionale dello spionaggio “Oxford Analytica”, diretta da John Negroponte (squadroni della morte in Nicaragua e Iraq), Colin McColl (ex-capo del MI6 britannico), e David Young (gestore del caso Watergate), mandato da una docente di Cambridge, rimasta muta dal giorno del ritrovamento del corpo, a installarsi nel covo di spie che è l’American University del Cairo.

Prova a contattare sindacati di opposizione, incappa in un agente governativo, non se ne rende conto, gli offre 10mila dollari per un “progetto” che s’illude di contrasto al “regime”, in questo modo si scopre ed è bruciato. Viene ritrovato nel fosso, torturato, nel giorno in cui la ministra dello sviluppo italiano dovrebbe firmare con Al Sisi accordi commerciali, oltre a quelli con l’ENI, per, se ben ricordo, più di 4 miliardi di euro. L’incontro e gli accordi italo-egiziani saltano. Altri subentrano.

Il più bravo nell’intelligence, il più cretino dei regimi? O il nuovo amico dei russi?

L’operazione Regeni, che, su ovvii suggerimenti di ovvii suggeritori, viene sussunta dall’intero arco costituzionale italico e diffonde i suoi virus anche tra i governi alleati, per quattro anni e per tutto il futuro prevedibile, ne ignora i dati. Però accredita un regime idiota e tafazziano, per quanto dotato della più agguerrita intelligence della regione, che avrebbe eliminato una zanzara, facendola poi ritrovare torturata, con il dito puntato al palazzo presidenziale e rimettendoci accordi di enorme vantaggio. Su questa base il moscerino cocchiero Alberto Negri, suoi affini in tutti i media, i consanguinei Amnesty e HRW, fanno un respiro profondissimo, strapieno di proliferanti virus e, come succede con le nostre mascherine, lo espirano e sparano contro Al Sisi e il suo Egitto. Che diventa il dittatore più sanguinario, quello che non deve difendere il suo paese da un’ aggressione dei cari Fratelli musulmani, sotto forma di terrorismo Isis che decima civili e istituzioni, ma che incarcera e tortura 60mila oppositori. 60mila conosciuti (da chi?), perché altri, in massa, spariscono.

Putin, Al Sisi

Naturalmente Regeni è solo il vessillo dietro al quale marciano gli ottomani e i loro complici, i gelosi dell’ENI, Israele, gli intolleranti nei confronti di qualsiasi ruolo arabo non allineato con i satrapi del Golfo (che di tortura s’intendono molto meglio: vedi gli schiavi massacrati nei lavori per i Mondiali di calcio nel Qatar), i sostenitori di una Libia in mano ai tagliagole di Misurata e ai trafficanti di migranti di Tripoli. E, soprattutto, un Egitto che si allontana dal fare il sussidiario dei suoi ex-colonizzatori e che naviga verso Mosca.

Chi è storicamente il più pratico di assassinii mirati?

Restano due domande. Come mai il Cairo non esce dalla tenaglia Regeni e denuncia il complotto? Difficile la risposta, ma neanche tanto. Uno, forse non ci sarebbero le prove e si scatenerebbe un altro uragano di accuse, calunnie, boicottaggi. Due, se è vero, come sembra, che entrano in ballo elementi destabilizzatori stranieri, denunciarli, magari con molti dannanti indizi, significa entrare in un gioco pericoloso di ritorsioni che comprometterebbe la posizione dell’Egitto nei suoi complicati equilibri per preservare agibilità geopolitica, coesione interna, indipendenza e pace. Per non farsi saltare subito addosso i veri responsabili della tragedia Regeni.

Russia e Cina, amici, ma a ragion veduta

“Datti da fare, compagno”

L’altra domanda: e la Russia? Sempre lì che tentenna, subisce, prova a rimediare, irresoluta. Illudendosi di portare dalla sua parte chi è ontologicamente legato all’imperialismo. Subisce in Siria tregue con Erdogan, il quale sistematicamente ne approfitta per rafforzare la presenza sua e di un’inenarrabile feccia terrorista in Idlib e sabotare ogni sforzo di liberazione dell’esercito siriano. Tace sulle ininterrotte incursioni israeliane che aggravano terribilmente il costo siriano dell’aggressione. Soffre, ma subisce anche, l’iniziativa dei turchi in Libia, sempre nel vano tentativo di mantenere i piedi in due staffe. Politica della seduzione alla quale il supposto sedotto risponde a calci da quelle parti.

Del resto, Mosca delude anche i suoi sostenitori, mai quelli andati in fissa con Putin, allineandosi all’Occidente anche nel modo demenzial-criminale di affrontare l’operazione globalista del Covid.19. C’è dentro anche la Cina, si sa. Può darsi che, alla lunga, nessuna classe dirigente rinunci alla possibilità di conquistare un potere assoluto e definitivo sul proprio popolo. Anche a rischio di distruggerlo, come il 5G cinese prospetta.

Noi, che proviamo a essere “follower” di Cartesio, nel confronto-conflitto con l’Occidente, ci schieriamo senza remora e in misura incondizionata a fianco di questi due paesi. Occidente coloniale, imperialista, neocoloniale, strutturalmente sadico guerrafondaio, che, in base a calcoli matematici, prima ancora di quelli morali, sta al “male assoluto”, di cui si vuole portatore il nazismo, come la bomba atomica sta ai V2. Ciò non ci impedisce di obiettare ai lockdown e alle altre misure disumane e totalitarie per un pericolo che è il topolino partorito dalla montagna. O per un 5G, che è la cosa più genocida mai progettata contro l’uomo, gli animali, le piante.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:19

Lyon-Turin : épinglé par le rapport de la Cour des comptes européenne, le projet doit être abandonné

https://europeecologie.eu/lyon-turin-epingle-par-le-rapport-de-la-cour-des-comptes-europeenne-le-projet-doit-etre-abandonne?fbclid=IwAR14mkqkPy9FgJ_Blue3_FDF577OwpqJCaCjrUw55Ums3u41-tUSFUj-ayg

Hier, mardi 16 juin, la Cour des comptes européenne a remis un rapport accablant sur les méga-projets ferroviaires européens. Huit projets ont été audités. Parmi eux, le controversé projet Lyon-Turin auquel s’opposent les écologistes depuis des années.

Retard, rapport coût / bénéfices désavantageux pour la société, impact désastreux sur l’environnement et le climat : les preuves s’accumulent de l’absurdité du Lyon-Turin et de son coût exorbitant qui va croissant.

Les experts de la Cour des comptes estiment que « les 10 millions de tonnes d’émissions de CO2 générées par la construction de la liaison Lyon-Turin ne seraient compensées que 25 ans après l’entrée en service de l’infrastructure » à condition que les prévisions de volumes de trafic restent valables.

« S’ils n’atteignent que la moitié du niveau prévu, il faudra 50 ans à partir de l’entrée en service de l’infrastructure avant que le CO2 émis par sa construction soit compensé », précise le rapport.

Il faudra attendre donc plus de 25 ans, au mieux, 50 ans, plus probablement, pour voir l’intérêt d’un tel projet en termes d’impact sur le climat et sur la pollution de l’air, ce qui est bien trop tard pour la santé des habitant·e·s. Les habitant·e·s de la vallée de l’Arve, en Haute-Savoie, souffrent aujourd’hui très durement du trafic routier. Or, on leur promet un report modal qui ne finit pas d’être retardé, alors même que la rénovation de ligne existante, portée par les écologistes, permettrait une mise des camions sur les rails bien plus rapidement et à moindre coût.

Loin d’être utopique, cette rénovation de la ligne existante était déjà mentionnée, il y a plus de 20 ans, en 1998, dans le rapport Brossier, ingénieur général des Ponts et Chaussées. « Au total, il semble que des améliorations substantielles soient possibles sur la ligne actuelle pour un montant d’investissements qui ne dépasserait pas 10% des sommes nécessaires à la réalisation du projet Lyon-Turin. »

L’heure des projets démesurés et inadaptés à l’urgence de la situation est révolue. Nous ne pouvons plus continuer dans la même logique qu’il y a trente ans, en ne prenant pas en compte les conséquences désastreuses d’un tel projet sur notre environnement. La rénovation de la ligne actuelle constitue une alternative viable. Les conséquences financières, environnementales et sociétales de ce projet sont telles que les citoyen·e·s européen·ne·s méritent un vrai débat démocratique qu’il est temps d’instaurer.

Les eurodéputé-e-s du groupe Verts/ALE :
François Alfonsi

Benoît Biteau
Damien Carême
David Cormand
Gwendoline Delbos-Corfield
Karima Delli
Yannick Jadot
Tilly Metz (Luxembourg)
Michèle Rivasi
Caroline Roose
Marie Toussaint

No Tav ai Mulini, sale la tensione. Polizia pronta allo sgombero

https://torino.corriere.it/cronaca/20_giugno_22/no-tav-presidio-mulini-area-interdetta-ma-abbiamo-raggiunta-a3b11a8c-b4b8-11ea-b466-221e2b27ce86_amp.html

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23 giugno 2020 – 10:51

di Floriana Rullo

Tornano le tensioni al cantiere Tav di Chiomonte. Oggi, nel tardo pomeriggio, numerosi manifestanti sono partiti in corteo da Giaglione diretti al nuovo presidio No Tav dei Mulini, in Valsusa. Ma a bloccargli la strada hanno trovato un jersey e la polizia. A decidere l’interdizione dell’area il prefetto di Torino per garantire l’ordine pubblico.

«Assediati»

«Alcuni attivisti in presidio permanente sono stati “sequestrati” dalle forze dell’ordine – scrive il movimento su Notav.info – li hanno circondati e non fanno avvicinare nessuno. Grazie ad un’ordinanza emanata in fretta e furia nella nottata dal prefetto per esigenze di ordine pubblico, la Questura prova ad impedire i rifornimenti di acqua e cibo ai No Tav assediati da quasi 24 ore».

L’allargamento del cantiere

Nell’area della Clarea è corso la prima fase dell’allargamento del cantiere per la Torino-Lione a Chiomonte. Consentirá l’avvio dei lavori connessi alla realizzazione del tunnel di base. Le attività iniziate questa notte, che rientrano nel programma condiviso da Italia e Francia con l’Unione europea. Sono il primo passo per far partire nei prossimi mesi circa 200 milioni di opere in Piemonte. Chiomonte è il principale cantiere italiano, il sito in Valsusa è stato esteso di circa un ettaro, poco meno di un campo di calcio. Telt aveva fatto ripartire i lavori proprio la scorsa notte. Per l’occasione i No Tav avevano allestito dall’ultimo fine settimana il nuovo presidio nella zona dei Mulini. «Il coordinamento dei comitati notav ha inaugurato sabato un presidio permanente nella zona dei mulini storici, edifici che dovrebbero essere distrutti dall’avanzare del cantiere come tutta la zona boschiva circostante».

Lacrimogeni

Sul posto ora ci sono le forze dell’ordine, che probabilmente procederanno per lo sgombero del nuovo presidio. I No Tav sono riusciti a raggiungere gli attivisti rimasti nel presidio passando da vie secondarie. Per bloccarli le forze dell’ordine hanno iniziato a sparare lacrimogeni.

No Tav, nuovo presidio: «Cantiere verso la ripresa, riparte la resistenza. Fermare l’opera è possibile»

https://torino.corriere.it/piemonte/20_giugno_20/no-tav-nuovo-presidio-cantiere-la-ripresa-riparte-resistenza-fermare-l-opera-possibile-cd811598-b336-11ea-8839-7948b9cad8fb_amp.html

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21 giugno 2020 – 09:56

di Floriana Rullo

Torna a mobilitarsi il movimento No Tav in Valsusa. Domenica 21 sarà inaugurato il presidio permanente dei Mulini, dove secondo gli attivisti ci sarebbe «un importante movimento di mezzi di lavoro all’interno del Cantiere. E’ possibile che si stiano preparando ad una ripresa dei lavori, pertanto da oggi, meglio monitorare il territorio ed essere pronti a Resistere».

L’appuntamento è alle 14 di domenica. Insieme, rispettando le norme anti contagio si muoveranno dal campo sportivo di Giaglione per raggiungere il presidio permanente. «Proprio perché sappiamo che fermare il Tav è possibile e oggi come ieri tocca a noi – dicono dal movimento-, abbiamo lanciato un appello per un’estate che ci vedrà mobilitati sul territorio valsusino in un’attenta opera di monitoraggio e Resistenza ad ogni tentativo da parte del sistema Tav di distruggere ed attaccare il nostro territorio.

Alberto Perino: «La Tav è un’opera climaticida e inutile»

https://www.dinamopress.it/news/alberto-perino-la-tav-unopera-climaticida-inutile/?fbclid=IwAR2vt6RJxb_TSM7bxiDqD2V-gbg779uTD35YeVJv_8PETWoJMM1pS6Td7uw

di Riccardo Carraro

Lo storico attivista No Tav commenta la sonora e impietosa bocciatura da parte della Corte dei Conti Europea al progetto di raddoppio ferroviario contestato da oramai trent’anni. «Le istituzioni tradiscono, la lotta rimane nelle strade»

La Corte dei Conti Europea ha diffuso il 16 giugno un suo report valutativo rispetto alle opere pubbliche finanziate con fondi comunitari e superiori agli otto miliardi di euro. Tra queste, ovviamente il raddoppio della linea ferroviaria Torino Lione. La bocciatura da parte della Corte è drastica e senza appello. Vengono elencati tutti i punti nevralgici da sempre ribaditi dagli oppositori all’opera: i costi eccessivi e già raddoppiati, lo scarso coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali, le previsioni clamorosamente errate di aumento del traffico merci, l’impatto ambientale che non sarà mai mitigato da una eventuale riduzione del traffico su gomma.

Abbiamo allora chiesto ad Alberto Perino, storico attivista del movimento No Tav, di commentare il parere espresso dalla Corte.

Quale è il giudizio politico e tecnico che come movimento date a questo report, prodotto da un’importante istituzione comunitaria?

La Corte dei Conti Europea dice quello che noi abbiamo sempre detto. Questa opera è sovradimensionata rispetto ai reali traffici, non c’è nessuna speranza che venga ripagato l’investimento, né che riesca a compensare le emissioni di Co2 necessarie alla sua costruzione. Ci vorranno 50 anni dalla entrata in servizio per pareggiare le emissioni di Co2 ma soltanto nel caso in cui vengano rispettati i volumi di traffici previsti, cosa che è impensabile perché hanno “sparato” cifre incredibili in tempi andati e tutte le previsioni degli anni passati di aumenti di traffico si sono rivelate sbagliate. L’Unione Europea è stata accusata da Foietta (presidente dell’Osservatorio sulla Torino-Lione, ndr) di non fornire cifre esatte, ma la realtà è che quest’ultima ha invece accusato i promotori dell’opera di aver scritto fesserie enormi.

Noi continuiamo a dire che queste grandi opere, in particolare la Torino Lione sono opere climaticide. Le grandi opere distruggono il pianeta e il clima, non c’è nessuna speranza che l’inquinamento attuale sia compensato dalla riduzione del traffico merci su strada.

L’Unione Europea ha dichiarato che non c’è alcuna possibilità di coprire questo gap tra le emissioni di Co2 prodotte e quelle che verranno ridotte in un futuro non precisato. Tale calcolo non vale solo per la Torino-Lione ma per cinque delle otto grandi opere monitorate, cioè i corridoi logistici. La politiche sui grandi corridoi di traffico ferroviario per spostare le merci si sono dimostrate insostenibili, perché il trasporto è un fattore molto più complesso e variabile di quanto questi signori ci vogliano far credere.

Negli anni il movimento ha sempre tenuto assieme pressione politica verso le istituzioni e lotta popolare. C’è qualche possibilità che questo report possa aiutare concretamente a fermare l’opera?

Non c’è alcuna possibilità in tal senso. Purtroppo la via istituzionale non fermerà l’opera. Lo abbiamo visto con il Movimento Cinque Stelle, e loro rappresentano l’ultimo dei tanti esempi che si potrebbero fare. Si erano sempre pronunciati contrari, noi avevamo spiegato loro con attenzione quali fossero i passaggi tecnici da mettere in atto per bloccare l’opera, non ci hanno mai ascoltato perché si fidavano ciecamente dei burocrati ministeriali. Il risultato lo abbiamo visto, sono arrivati alla farsa pietosa che hanno messo in scena la scorsa estate, portando ai voti per l’opera un parlamento che già sapevano essere favorevole. In seguito abbiamo scoperto, avevano già concordato come procedere per l’opera addirittura con Telt.

Inoltre la Corte dei Conti Europea, così come quella francese e quella italiana possono emettere solo pareri consultivi su queste scelte, non hanno alcun valore giuridico vincolante.

La Corte Italiana si trova a un “livello” diverso, dal momento che svolge anche attività giudiziaria e può incriminare, ma quella francese e europea non hanno neppure questa facoltà. La Corte dei Conti Francese dice da 20 anni che questa opera è inutile ma nessuno li ha mai ascoltati purtroppo.

Come movimento No Tav, in questo momento di ripresa delle lotte in strada, che prospettive avete e in che direzione volete muovervi?

Ieri per esempio siamo andati a San Didero a contestare l’inizio della costruzione dell’autoporto da parte di Sitaf (opera propedeutica all’inizio dei lavori del tunnel di base, ndr) ed erano presenti all’ora di pranzo più di 50 persone.
Noi c’eravamo, ci siamo e ci saremo sempre. Ci metteremo sempre di traverso contro questa opera devastante e inutile. In Valsusa però hanno messo in campo lo Stato contro i cittadini. Ci hanno comminato una marea di anni di galera, più di mille persone sono state denunciate e si sono trovate o si troveranno sotto processo. La strada che abbiamo intrapreso non è per nulla facile, la resistenza è dura.

Voglio sottolineare che abbiamo ritrovato di recente alcuni documenti importanti, reperibili con un po’ di difficoltà anche in rete, che sembrerebbero spiegare perché questa opera vada avanti nonostante tutte le opinioni istituzionali e scientifiche che dimostrano quanto sia inutile.

In particolare sembrerebbe che vi sia un interesse militare da parte della Nato a usufruire di questi corridoi logistici per il trasporto rapido di materiale bellico e truppe a livello continentale.

Sono in corso esercitazioni della Nato (mesi fa rimandate per il coronavirus) che includono lo spostamento rapido di truppe. Pertanto possiamo ipotizzare che ci siano anche motivazioni geopolitiche e militari che stanno dietro al progetto del tunnel di base.

Nei discorsi di Conte rispetto alla ripresa post pandemia, le opere per l’Alta Velocità (ma addirittura il Ponte sulla Stretto di Messina) ritornano ancora come “strumento di sviluppo”…

Le grandi opere sono il bancomat dei partiti, e per questo fanno gola a loro e a Confindustria. Grandi opere vogliono dire grandi furti, clientele, mafia. Abbiamo ponti che crollano perché sono stati fatti male perché ci hanno mangiato sopra, come ad Aulla, ma tutto viene dimenticato in fretta. I giornali mainstream sono al servizio degli imprenditori e della lobby del tondino e del cemento e continuano con questa lettura distorta della situazione nel nostro paese. Marco Ponti e altri studiosi e scienziati hanno dimostrato che per ogni euro speso in grandi opere il ritorno in posti di lavoro è il più basso in assoluto. Il ritorno in termini di know-how che sia innovativo è il più basso in assoluto perché su tondino e cemento non c’è innovazione vera. Ci sono due grandi opere da fare: sanità e scuola. Poi c’è una terza, difendere l’ambiente e difenderci dal dissesto idrogeologico. Abbiamo un governo che continua a scrivere leggi antisismiche e per la sicurezza ma i primi edifici non a norma sono quelle dello stato, come le scuole. Il governo fa delle leggi ma lui è il primo a non rispettarle sugli spazi “suoi” e che hanno bisogno di forti manutenzioni.

Ci rivedremo presto in strada allora?

La lotta in Val Susa continuerà, ma non possiamo più dire “a sarà dura” ormai mettiamola al presente “a lé dura”, non siamo più al futuro, siamo all’oggi. Ci continueremo a battere contro queste opere, e ci metteremo di traverso con tutte le nostre forze contro uno spreco incredibile di denaro pubblico. Questa pandemia ci ha dimostrato che non possiamo più permetterci uno stile di vita che includa lo spreco e il furto. Tuttavia si fa finta di niente e ci si affida agli opinionisti dei giornali mainstream che stanno al soldo di confindustria e avvallano l’opera.

Per concludere ricordo una frase tipica di inizi novecento «la politica è l’avanspettacolo del capitale».

Fermarlo è possibile, fermarlo tocca a noi. Appello per un’estate di mobilitazione No Tav

https://www.notav.info/post/fermarlo-e-possibile-fermarlo-tocca-a-noi-appello-per-unestate-di-mobilitazione-no-tav/?fbclid=IwAR3QNwr8HGbGl92CiI4WLp78CIFCgun9OeXXMU6LNRtDhZ1KDaKigX83puY

post — 20 Giugno 2020 at 18:25

Il movimento No tav, riunitosi in coordinametno dei Comitati in data 20/06 lancia il seguente appello alla mobilitazione in vista dell’estate:

Fermarlo è possibile, fermarlo tocca a noi

Appello per un’estate di mobilitazione No Tav

Questa valle ha sofferto, come il resto del paese, il periodo del lockdown.

Ha pagato un prezzo, in termini di vite e perdite degli affetti, ha atteso preoccupata amici, figli, fratelli, genitori costretti a lavorare in condizioni rischiose, perché lavoratori di servizi essenziali. Dopo la riapertura, in tanti si è rimasti senza lavoro o con prospettive preoccupanti per il futuro, tanto da non sapere come arrivare fino alla fine del mese.

Le stesse persone che con grosse lacune ci dicevano di stare a casa ed organizzavano alla bene e meglio ciò che è sopravvissuto ai tagli della sanità pubblica degli ultimi anni, oggi spingono sull’acceleratore per la ripresa della Torino Lione, auspicando una sburocratizzazione e quindi una velocizzazione di tutto l’iter di questa, come di molte grandi mala-opere.

La pandemia, la sofferenza, l’evidenza di un modello socioeconomico mortifero ed evidentemente superato non ha insegnato nulla, in primis ai politici dei palazzi che avrebbero dovuto imparare molte cose. A distanza di poche settimane infatti, a parlare per bocca degli affaristi-politicanti Si Tav è sempre e solo l’interesse parziale e il desiderio di profitto a vantaggio dei pochi, cosa che le grandi opere, nessuna esclusa, rappresentano.

Parliamo di un sistema che per rinnovarsi ha bisogno di divorare risorse, distruggere territori, inquinare e cementificare.

Sembrava, fino a poche settimane fa, che davvero qualcosa dovesse (potesse cambiare), si sperava che una profonda crisi mondiale come quella appena innescata potesse davvero spingere a delle riflessioni più profonde e di cambiamento a tutela del pianeta e della salute delle persone che vi vivono.

Il Tav, opera inutile, inquinante e non sostenibile sarebbe dovuta essere tra le prime sacrificate sull’altare della giustizia sociale e del contrasto ai cambiamenti climatici, invece siamo sempre qui, ad ascoltare e leggere i soliti mantra, a dover affrontare la stessa ipocrisia di chi nega ciò che è oramai sotto gli occhi di tutti:   il Tav è un crimine ambientale ed uno spreco enorme di denaro pubblico.

Ci è venuta in aiuto la Corte dei Conti Europea che senza troppi giri di parole ha bocciato l’opera definendola costosa, inutile ed inquinante. Nonostante questo, i suoi sostenitori continuano a testa bassa, perché non hanno vergogna e di sicuro non hanno a cuore il futuro della collettività.

Tanto loro, comunque vada, non avranno un prezzo da pagare e resteranno impuniti, a differenza di chi come noi per anni si è battuto per la difesa di questa valle e delle nostre vite.

Il governo e i suoi degni rappresentanti (con poche eccezioni No Tav) fa orecchie da mercante, mentre un’azienda privata come Telt cerca di portarsi avanti, guadagnare spazio e terreno, comprare, espropriare come un vero invasore, con le buone e con le cattive, supportata dalla forze dell’ordine e dai militari.

Abbiamo sperimentato per anni sulla nostra pelle la violenza dei “tutori dell’ordine” e della magistratura con cui viaggiano a braccetto, e mentre in tutto il mondo si alzano proteste contro la polizia e il suo essere a servizio dei poteri più razzisti, sessisti e di un sistema che produce ingiustizia sociale, continuiamo in valle a subire la loro presenza, ingiustificabile come gli interessi che difende.

Ed ora arriviamo a noi, popolo indomito che in questi anni ha resistito agli attacchi di un sistema prepotente, sordo alle ragioni trentennali di chi ha a cuore il futuro di tutte e tutti.

Noi che stiamo ancora insieme a ragionare di un futuro diverso e che non accettiamo che la nostra valle diventi il salvadanaio di farabutti fuori tempo massimo.

Proprio perché sappiamo che fermare il Tav è possibile e oggi come ieri tocca a noi, lanciamo questo appello per un’estate che ci vedrà mobilitati sul territorio valsusino in un’attenta opera di monitoraggio e Resistenza ad ogni tentativo da parte del sistema Tav di distruggere ed attaccare il nostro territorio.

Ci vediamo in Valsusa!

Avanti No Tav!

 

La Torino-Lione bocciata su tutta la linea

https://ilmanifesto.it/la-torino-lione-bocciata-su-tutta-la-linea/?fbclid=IwAR1ezKfk-uBPuvoZZGRMnfCr-tOhVIXsG0gWRr5MoBcT2R1xU76CTEG3qV4

manifesto

Alta velocità. Benefici sovrastimati, previsioni di traffico gonfiate, costi lievitati e ritardi infiniti. L’impietosa relazione della Corte dei conti europea. I 5 stelle rilanciano lo stop. I Notav: un disastro annunciato, c’è tempo per fermarlo

Lavori al cantiere della Tav di Chiomonte
 Lavori al cantiere della Tav di Chiomonte 

PER QUANTO RIGUARDA i ritardi, solo il Canal Seine Nord Europe – il canale fluviale che coinvolge Francia, Belgio e Paesi Bassi – già indietro di 18 anni, è risultato peggiore nelle valutazioni rispetto al discusso collegamento ferroviario ad alta velocità, in ritardo, secondo le stime più recenti, di 15 anni (doveva essere inaugurato nel 2015). «È probabile che il collegamento Torino-Lione – si legge nelle osservazioni del rapporto che indaga otto progetti – non sarà pronto entro il 2030, come al momento previsto, poiché il termine ultimo attuale per il completamento è il dicembre 2029».

RISPETTO ALLE STIME iniziali l’incremento per il Tav è stato dell’85%: da 5,2 miliardi di euro a 9,6. Un dato che però Telt, il promotore pubblico incaricato di costruire e gestire la tratta trasfrontaliera di 65 chilometri, contesta: «L’aumento dei costi (+ 85%) cui fa riferimento la relazione della Corte dei conti Ue si riferisce a uno studio preliminare effettuato da Alpetunnel, negli anni ’90, che riguardava una galleria di base con una sola canna, anziché le due attuali diventate obbligatorie per le normative di sicurezza. Il costo finale è stato certificato da un soggetto terzo a 8,3 miliardi di euro in valore 2012, convalidato e ratificato dagli Stati e a oggi pienamente confermato».

LA TORINO-LIONE sarebbe, secondo Mario Virano, direttore generale di Telt, «pienamente integrata nel Green Deal, come attore di riequilibrio modale e strumento essenziale di una politica più verde». Una fotografia che non combacia con quella del rapporto della Corte che considera i benefici ambientali sovrastimati: «Nel 2012 il gestore dell’infrastruttura francese ha stimato che la costruzione del collegamento transfrontaliero Torino-Lione, insieme alle relative linee di accesso, avrebbe generato 10 milioni di tonnellate di emissioni di Co2, con un beneficio netto in termini di emissioni a 25 anni dall’inizio dei lavori». Secondo gli esperti consultati dalla Corte «le emissioni di Co2 verranno compensate solo 25 anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura».

MALE ANCHE LE PREVISIONI trasportistiche. La più recente stima riferita al 2035 parla di 24 milioni di tonnellate di merci, ossia otto volte l’attuale flusso di traffico. Fallimentari, per la Corte, «le procedure di coinvolgimento dei portatori d’interesse» sfociate in 30 cause intentante da associazioni o privati cittadini che si opponevano ad essa per ragioni ambientali o di procedura.

UNA PAGELLA IMPIETOSA. Il M5s ha colto la palla al balzo: «Cos’altro serve per mettere la parola fine sul Tav? La relazione della Corte dei Conti europea estrinseca, uno dopo l’altro, tutti i limiti dell’opera che il MoVimento bolla da sempre come inutile e costosa», hanno detto i senatori piemontesi Alberto Airola, Susy Matrisciano ed Elisa Pirro. In sintonia con i colleghi alla Camera: «Per noi, da sempre, si tratta di un’opera non prioritaria».

COSÌ NON LA PENSA la deputata di Italia Viva, Silvia Fregolent, secondo cui i ritardi sulla Tav «rallentano la crescita di un’intera nazione». Non vogliono rinunciare al Tav la Lega («L’Italia rischia essere tagliata fuori da corridoi Ue» per Edoardo Rixi) e Forza Italia con l’europarlamentare Massimiliano Salini, che ritiene «discutibile» il rapporto di Bruxelles: «Fermare la Tav sarebbe una follia». Silenti i dem che, però, vengono chiamati in causa dal presidente della commissione cultura M5s, Luigi Gallo: «Ora il Pd spieghi in Parlamento perché vuole una inutile opera che ha 11 anni di ritardi, non pronta prima del 2030».

TRA LE OPERE VALUTATE nel rapporto c’è anche la galleria di base del Brennero, che registra un incremento dei costi del 42% e un ritardo di 12 anni. Caratteristiche che non sono solo italiane, l’Ue – evidenzia il rapporto – ha un problema nel costruire le opere rispettando costi e tempi. Intanto, in Val di Susa, i No Tav, che ieri si sono ritrovati a San Didero, preparano la mobilitazione estiva. Saranno impegnati «in un’opera di monitoraggio e denuncia».

Finalmente bocciato il Tav e il partito del Pil

https://ilmanifesto.it/finalmente-bocciato-il-tav-e-il-partito-del-pil/?fbclid=IwAR2WwqwAC972hGDTlfAAH4Kau2ca5Sg2hESabJNH8RhOr9zP3-Jmh5WCuVI

Il 16 giugno la Corte dei conti dell’Unione Europea ha bocciato il progetto del Tav Torino-Lione: sballato (cioè falso) il preventivo dei costi, quasi raddoppiati rispetto al progetto iniziale; sballati i tempi di realizzazione (doveva essere completato nel 2015; ora nel 2029; ma non era nemmeno iniziato alla prima data né potrà essere completato alla seconda); sballate le previsioni di merci e passeggeri (cosa che fa del progetto un pozzo senza fondo); sballati soprattutto i benefici ambientali vantati: se le merci da trasportare fossero quelle (false) ipotizzate, si andrebbe in pari con le emissioni climalteranti solo al 2050; ma se fossero anche solo la metà i tempi di recupero raddoppiano.

Niente di nuovo: si sapeva già tutto. Lo sta mettendo in chiaro da ormai 30 anni, mano a mano che il progetto cambia e si precisa, il movimento NoTav della Valsusa, sostenuto da incontestabili pareri tecnici di gran parte dei trasportisti italiani; ma anche dalla Corte dei conti francese e perfino dalla bislacca analisi costi-benefici del prof. Marco Ponti, che pure era basata su assunzioni molto favorevoli al progetto, benché difficilmente sostenibili. Insieme al Tav Torino Lione la Corte ha bocciato sei (compreso il traforo del Brennero) degli otto progetti analizzati, tutti relativi al programma Ten-T (i cosiddetti “corridoi europei”) varato quasi trent’anni fa, contestualmente al trattato di Maastricht, e mandati avanti nonostante che sull’intero programma pesassero sempre nuovi pareri negativi.

Ma fra tutti, per la Corte, il progetto più negativo è proprio il Tav Torino-Lione. Prova evidente che la Commissione europea non si preoccupa se i soldi che distribuisce vengono sprecati. Ma non solo la Commissione. Neanche i paesi cosiddetti “frugali” (ma frugali solo a spese altrui, e da cui si è sfilata da poco la Germania), quelli che hanno mandato a fondo la Grecia e ora minacciano di farlo con l’Italia, e che pretendendo di controllare euro per euro i conti dei paesi che vogliono sottoposti alla loro sorveglianza, hanno mai trovato niente da ridire sullo spreco gigantesco rappresentato dal progetto del Tav Torino-Lione, che va avanti solo grazie ai soldi promessi dalla Commissione. Perché?

Perché in difesa e a sostegno di quel progetto sciagurato si è consolidato in Italia tutto il cosiddetto “partito del Pil”, che va dai sindacati confederali alle destre di Salvini, Meloni e Berlusconi, passando per Confindustria e “madamine SiTav”, ma che ha il suo pilastro portante nel Pd piemontese e nazionale; e che ha propri referenti anche all’estero, nelle associazioni industriali e nelle maggioranze di governo di quasi tutti i paesi dell’Unione. Viva le Grandi opere, anche se inutili e dannose; viva i Grandi eventi, anche se lasciano dietro di sé solo macerie e contribuiscono ad accelerare la catastrofe climatica e ambientale. Perché Grandi opere e Grandi eventi “fanno Pil”, anche se a spese dell’ambiente, delle comunità locali e del welfare nazionale. Non c’è altro modo di promuovere il “loro” sviluppo.

Ora l’Unione europea ha promosso un green deal, variamente intrecciato con i fondi per far fronte alla stasi produttiva del Covid-19. Che farne? Il partito del Pil ha pronta la risposta: Grandi opere! Tunnel, stazioni sotterranee, alta velocità, là dove non ci sono nemmeno i treni per trasportare pendolari e prodotti agricoli, autostrade per incrementare il traffico (anche se l’industria automobilistica langue e languirà per anni; o per sempre), porti per cargo che non navigano più da ben prima della pandemia, nuovi aeroporti anche se il traffico aereo è fermo e farlo riprendere vuol dire far precipitare la crisi climatica; e, naturalmente, Olimpiadi (invernali), anche se quelle estive di Tokyo sono andate a rotoli, trascinando con sé metà del paese. Non manca nemmeno il Ponte sullo Stretto!

Tanto il partito del Pil è sicuro di sé che, a suo nome, durante l’incontro di villa Pamphili, il nuovo presidente di Confindustria non si è nemmeno dilungato a illustrare il “loro” programma per la fase 3. Si è limitato a battere cassa: l’intendenza, cioè i “progetti”, la Grandi opere, seguiranno…

Mancavano a quell’incontro – con l’eccezione di un rappresentante (incatenato) delle centinaia di migliaia di misconosciuti e maltrattati lavoratori migranti, su cui l’azienda Italia ha costruito le sue (scarse) fortune – le forze con cui il partito del Pil, e non solo quello italiano, dovrà fare i conti non appena si riapriranno le piazze: innanzitutto il movimento NoTav dalla Valsusa e tutti i movimenti che in esso si riconoscono; poi i rappresentanti dei milioni di giovani di Fridays for future che non intendono farsi rubare il futuro da programmi così sciagurati; poi le donne di nonunadimeno, che hanno in mente ben altro: la cura della Terra; poi la voce di Francesco, che essendo un papa non ha al suo seguito divisioni corazzate, ma miglia di associazioni di laici e credenti impegnate anch’esse nella cura della casa comune. La partita è aperta.