La Corte dei Conti cita in giudizio 4 dirigenti del Tesoro e Morgan Stanley

monster fedin un paese o mondo normale, sta banca insieme alle altre sarebbe CONDATTA minimo all’annullamento dei debiti, SECONDO ALLA RESTITUZIONE DI TUTTO QUANTO VERSATO.

Sfortunatamente, siamo in una nazione con un governo non eletto CHE LE BANCHE LE SALVA CON I SOLDI DEI CONTRIBUENTI


ROMA (Reuters) – La Corte dei Conti ha deciso di citare in giudizio quattro alti dirigenti del Tesoro e Morgan Stanley ai quali contesta un danno erariale complessivo di 3,9 miliardi di euro per la chiusura e ristrutturazione di derivati sul debito pubblico, riferisce una fonte vicina alla situazione.
“La fase istruttoria è terminata e la Corte dei Conti chiede i danni. La prima udienza è stata fissata per aprile 2018″, ha detto la fonte chiedendo di non essere citata.
 
Il processo dovrebbe concludersi entro il luglio del prossimo anno. L’esito del giudizio può essere impugnato davanti alla sezione di appello della Corte.
Oltre a Morgan Stanley saranno giudicati l’attuale responsabile del debito pubblico Maria Cannata, il direttore generale del Tesoro Vincenzo La Via e gli ex ministri Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli.
Alla banca americana vengono richiesti 2,7 miliardi di danni, agli altri 1,2 miliardi circa.
In caso di condanna e di mancato pagamento dei danni la Corte può procedere anche al pignoramento di beni.
 
“Esprimiamo piena fiducia nel lavoro svolto dai dirigenti e fiducia che il lavoro della magistratura possa fare chiarezza sugli episodi oggetto di accertamenti”, commenta un portavoce del Tesoro.
 
Morgan Stanley non ha commentato ma ad agosto 2016, quando il caso era emerso, aveva definito le accuse prive di fondamento.
Nessun commento neanche da Siniscalco e Grilli.
 
Tra fine 2011 e inizio 2012 il ministero dell’Economia ha versato alla banca americana circa 3 miliardi in conseguenza di una clausola di “Additional termination event” presente in alcuni contratti. La clausola, secondo la Corte dei Conti, consentiva la conclusione dei contratti a discrezione di Morgan Stanley.
I derivati hanno avuto, tra 2013 e 2016, un impatto negativo sul bilancio pubblico di 24 miliardi: 13,7 sono esborsi netti mentre 10,3 sono riclassificazioni statistiche, quel che Eurostat chiama ‘net incurrence’.
Il Tesoro ha sempre sostenuto di aver utilizzato i derivati come assicurazione contro il rischio di un aumento dei tassi, soprattutto durante gli anni peggiori della crisi finanziaria.
 
Ma, come spiegato dalla procura della Corte dei Conti a febbraio, alcuni dei contratti “evidenziavano profili speculativi che li rendevano inidonei alla finalità di ristrutturazione del debito pubblico – l’unica consentita dalla normativa per operazioni in derivati – non essendo ammissibile per lo Stato, investitore pubblico, assumersi rischi rilevantissimi”.
Mario Monti
Quando Monti bonificò 2 Miliardi e mezzo a Morgan & Stanley
…Nel silenzio assoluto, il governo Monti ha fatto un bel regalo dell’Epifania alla Morgan Stanley: 2 miliardi e 567 milioni di euro sono stati dirottati dalle casse del Tesoro a quelle della banca newyorkese. Il tutto è avvenuto il 3 gennaio scorso (2012), un mese fa, all’insaputa degli organi di informazione italiani, così attenti ai bunga bunga o ai party del premier uscente ma evidentemente poco propensi a occuparsi dell’attuale governo in carica. Sono stati gli stessi vertici della Morgan Stanley ad aver comunicato che l’esposizione verso l’Italia è scesa da 6,268 a 2,887 miliardi di dollari: una differenza di 3,381 miliardi corrispondenti a 2,567 miliardi di euro, circa un decimo della manovra “salva-Italia” varata dall’esecutivo Monti.
 
Una somma utilizzata dal governo italiano per estinguere una operazione di derivati finanziari, anche se non è chiara la ragione per cui la Morgan Stanley abbia richiesto la “chiusura della posizione”, opzione prevista dopo un certo numero di anni da quasi tutti i contratti sui derivati ma raramente applicata: il motivo più verosimile potrebbe essere il declassamento deciso dall’agenzia di rating Standard & Poor’s. Certo, finché nessuna delle due parti fornirà spiegazioni, si potrà rimanere solo nell’ambito delle ipotesi.
 
La banca newyorkese si è limitata ad annunciare trionfalmente il recupero della somma, il governo italiano non ha fornito alcuna spiegazione e i media non indagano né chiedono alcunché, né sulla gestione delle operazioni in derivati da parte del Tesoro, né sul motivo per il quale tra tanti creditori si sia scelto di onorare il debito proprio con la Morgan Stanley. Il questo modo il governo non è tenuto a spiegare perché abbia optato per il silenzio e la segretezza assoluta anziché ammettere che, mentre venivano stangati i pensionati e non solo, lo Stato provvedeva a rimborsare 2 miliardi e mezzo alla investment bank. Non sarebbe stato il massimo dal punto di vista dell’immagine e della popolarità, ma in fondo è stato lo stesso “Full Monti”, ribattezzato così proprio dalla Morgan Stanley al momento della sua nomina a premier, a dichiarare di non dover soddisfare alcun elettore, in quanto non eletto. E allore perché tace? Ha paura dell’impopolarità? (……………….)
 
Lug 04, 2017 di Giselda Vagnoni  Fonte: Qelsi.it

L’Espresso vs Diego Fusaro

Lespresso-vs-Diego-Fusaro-copertinaIl settimanale L’Espresso ha recentemente dileggiato Diego Fusaro dandogli del filosofo da talk show. Abbiamo simpaticamente deciso di rispondere agli amici di De Benedetti.
Era purtroppo inevitabile. Dalle parti di La Repubblica e L’Espresso hanno una specie di preoccupante coazione a ripetere: non essendo abbastanza obiettivi da schifarsi l’un l’altro, quando si incontrano durante le riunioni di redazione, si compiacciono di spalmare il fango che li lorda sul volto altrui. Ciò non stupisce. Chi non ha niente da dire e, quando parla, non è in grado di articolare alcun tipo di pensiero compiuto, passa solitamente la vita a criticare l’operato altrui.
Un nemico è del resto necessario e utilissimo per nascondere la propria nefandezza, oltre che la miseria intellettuale. Soprattutto se si è costruita la propria fortuna demonizzando gli altri, nella logica del che s’ha da fa’ pe’ campà.
L’hanno fatto con Berlusconi – avendo gioco facile, sia ben chiaro! Poi, essendo venuto a mancare l’ex Cavaliere, che avrebbero potuto combinare? Diventare grandi e trovarsi un lavoro vero? Magari dimostrare di poter andare a costituire un’alternativa credibile? Il sentiero risultava impervio e piuttosto ripido. Si sono pertanto guardati in faccia, col sudore che gli colava lungo le tempie, dicendosi: “Signori, qui dobbiamo trovare un altro da mettere alla gogna”. Detto fatto: Diego Fusaro. Tanto sta sulle scatole a tutti… quelli che essendo troppo poco si consumano nel livore contro chi è migliore di loro. I più non possono certo permettersi di dire con Nietzsche: “Voi, quando dovete elevarvi, guardate verso l’alto, io verso il basso: sono sopraelevato”.
 
Naturalmente, però, queste sono tutte argomentazioni di un pennivendolo a libro paga di Diego Fusaro. È bene, invece, soppesare la logica stringente delle argomentazioni avanzate da Guido Quaranta (secondo me, più trenta denari che quaranta!), il giornalista che si è fatto carico di sbrigare l’obbrobriosa pratica. Analizziamole dunque con ordine:
Fusaro appare spesso in televisione. In effetti, entrare in quel rettangolo di pixel, che di solito occupa il salone delle case degli italiani, non è esattamente motivo di gran vanto. Tutti ci vogliono, o vorrebbero, andarci, ma è comunque oramai assunto dal comune sentire che la cosa sia esecrabile. Solo, non si capisce perché la stessa reprimenda non venga mossa nei confronti di Mario Calabresi; del fu Ezio Mauro, dal carisma di uno sportellista delle Poste Italiane; o, prima ancora, di Massimo Giannini, con quella sua faccia impettita da primo della classe che segnala alla maestra i bambini che hanno fatto chiasso, mentre lei era in bagno.
Non parliamo poi di Sua Eminenza (Occulta?) Nostro Signore Eugenio Scalfari. Rammentate quella sua aria a metà tra il saggio stoico e il vecchio lupo di mare scampato a mille naufragi? E la sua rubiconda gioia quando la Gruber, come una figlia che accolga il vecchio padre solo la notte di Natale, lo riceve nel suo studio? Meglio non aggiungere altro.
“Fusaro è un bel giovanotto sui trent’anni, torinese, dagli occhi azzurri e dal ciuffo bruno. Non sorride mai, di solito, quando parla, sogguarda i presenti in studio con aria sufficiente e, dal tono monocorde della voce, sembra voler dare lezioni a tutti”Eh no, caro il mio burlone di un Quaranta! Uno, il giovane Diego non è un giovanotto, ma un professore universitario di filosofia. Capìta l’antifona? Non si deve vergognare come la maggior parte di voi giornalisti! Quindi, ne stia certo, lui non solo sembra voler dare lezioni, ma è pagato da un’università, e tra le più prestigiose, per farlo. E poi, scusi, cosa ci sarebbe di male nell’essere giovani e piacenti? Ci avete fatto due palle così con la storia che Renzi era giovane e cool e adesso vorreste tirarvi indietro?
Notate poi la finezza logica di Quaranta: “Fusaro non sorride”. Caspita, certo che sarebbe credibile un filosofo che va in televisione a parlare di disoccupazione, poteri occulti e neoliberismo, con il sorriso da idiota stampato in faccia. “E il tono monocorde?”, soggiungerà lei. Personalmente non l’ho notato, ma ho idea che Scalfari legga anche la bolletta della luce con tono grave, più o meno come faceva Gassman in televisione. Solo che quella di Gassman era una provocazione, mentre secondo me nonno Eugenio è serio quando lo fa. Dott. Quaranta, ma sul serio non si vergogna a essere così meschino?
Andiamo infine alla mirabile chiusa del pezzo:
 
“Ripudia l’euro e considera euroservi o euroinomani coloro che lo difendono. Avverte che l’emigrazione è una deportazione di massa che giova ai signori della mondializzazione capitalistica. Aborre l’aristocrazia bancaria e la talassocrazia del dollaro. Rampogna la tv per il suo effetto anestetizzante sulle coscienze. Deplora l’insinuarsi crescente di vocaboli inglesi nel lessico italiano. Diversi politici, durante i suoi dotti sermoni, approvano. Altri si urtano, qualcuno ridacchia. Lui, lì per lì, piccato, reagisce con battute sferzanti. Poi, imperturbabile, riprende a esecrare tutto o, quasi, tutto.”.
Ma ci volete prendere per i fondelli, o cosa? All’Europa ci crederanno sì e no cinque ingenui, il resto si sottomette perché in un modo o nell’altro ci guadagna. Ergo, sì, sono dei servi. Che l’immigrazione sia necessaria ai signori della mondializzazione capitalistica, mi rendo conto, Dott. Quaranta, a furia di stare chiuso in redazione, le deve essere sfuggito. Provi a fare un giro nei cantieri edili e in campagna. Come scusi, non sa cosa siano? Lo supponevo! E l’attacco alle televisioni che anestetizzerebbero le coscienze? Sa che lo diceva anche un certo Pasolini e ancora nessuno è riuscito seriamente a smentirlo? E la presa di posizione contro l’inglese?
Quanta malafede c’è in lei, Dottore! Ciò che Fusaro critica è un uso strumentale e manipolatorio di un’altra lingua per confondere l’opinione pubblica. Lei sa benissimo che si dice Spending Review, ma si legge ti taglio i viveri e la sanità pubblica. Lei lo sa ed è colpevole perché non lo ammette. Si vergogni e taccia, per favore. Sostiene che Fusaro passa sopra le critiche e procede oltre imperturbabile? E fa bene! Grazie al cielo ci pensa lui a svolgere attività di denuncia, pur non essendo il suo mestiere, ma quello che dovrebbe appartenere a lei Dott. Quaranta, che crede di scrivere dieci righe – forse addirittura meno – ed essersi guadagnato il pane che ha impunemente messo in tavola.
Matteo Fais -09.06.2017

Grecia sulla lama del coltello: verso la totale catastrofe economica

proteste-greciada quando c’è il paladino del popolo, l’antifascista anti sistema Tsipras della vita dei greci non importa più a nessuno della stampa buonista e tanto solidale. GRAZIE UE ED A TUTTI I SUOI SERVI

Proteste in Grecia
Sono passati esattamente cinque anni da quando la Grecia ha aderito al meccanismo europeo di sostegno in stretta collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale (FMI). In quel periodo di tempo gli altri fondamentali e critici dati economici del Paese erano i seguenti: il PIL ammontava a 222,151 mld alla fine del 2010. Il debito pubblico era al 148,3% in rapporto al PIL. La disoccupazione si trovava al 12,5%. La percentuale di Greci che vivevano sotto la soglia della povertà (reddito inferiore al 60% del reddito nazionale intermedio disponibile) raggiungeva il 27,6%.
La politica di pura austerità applicata al Paese su ordine dei creditori internazionali durante tutti questi anni ha aggravato ulteriormente la realtà economica e sociale. Così, il PIL oggi è ridotto a 186,54 mld. Il debito pubblico è schizzato al 176% in rapporto al PIL.
La disoccupazione ha raggiunto straordinariamente il 26%, colpendo principalmente i giovani, molti dei quali costituiscono brillanti risorse scientifiche, con la conseguenza di spingerli ad emigrare all’estero. Questa grave mancanza di talenti potrebbe aiutare il Paese in questo contesto critico. La percentuale di Greci che vivono sotto la soglia di povertà è 34,6% o 3.795.100 persone.
In base all’esposizione dei suddetti elementi si rende conto chiunque che il programma di consolidamento fiscale in un paese che si trovava già in recessione prima del 2010 ha fallito completamente e non sarebbe assolutamente razionale, economicamente e socialmente, continuarne l’applicazione. Tale politica fiscale di contrazione e le misure di austerità danno forma alla spirale particolarmente letale di debito-recessione-austerità, escludendo ogni prospettiva di sviluppo.
 
In tal modo, l’insistenza che si osserva nella ferma continuazione dell’applicazione del programma di estrema austerità da parte dei prestatori avrà veramente risultati tragici per il Paese.
Condurrà alla totale catastrofe economica, la quale non potrà essere sanata per decenni, e certamente ad una crisi umanitaria di incredibili dimensioni per gli standard dell’Europa post-bellica. I cittadini senzatetto e immiseriti che già si vedono per le strade di Atene si moltiplicheranno rapidamente. I suicidi dovuti della disperazione e dello sconforto che causa l’impossibilità di sopravvivenza continueranno il loro percorso di aumento frenetico. Gli svenimenti dei bambini nelle scuole dovuti alla mancanza di nutrimento sufficiente diventeranno parte inseparabile della quotidianità.
 
La domanda, dunque, che si pone con decisione in questo periodo di tempo è che cosa deve succedere affinché la Grecia possa uscire dal tunnel scurissimo della profonda crisi economica e tornare sul viale luminoso dello sviluppo e del progresso.
 
In primis, il debito che porta sulle sue spalle l’economia ellenica è enorme e difficile da sopportare e non traspare alcuna possibilità di una sua estinzione. Quindi deve essere cancellata la parte più grande del valore nominale del debito affinché il peso del debito del Paese venga limitato sotto al 100% e diventi sostenibile con una simultanea tecnica che non rechi danno agli altri popoli d’Europa. L’estinzione del restante debito dovrà essere collegata a «clausole di sviluppo», cosicché si serva dello sviluppo e non dell’eventuale surplus di bilancio.
Secondo, è richiesta la riorganizzazione produttiva del Paese con le seguenti leve principali:
a) il bilanciamento delle transazioni correnti tramite il cambio della mescolanza dei prodotti realizzati nel Paese, rafforzando di conseguenza i margini dell’orientamento all’esportazione di molti settori dell’economia ellenica.
 
b) l’industrializzazione con la messa in atto di una compiuta politica industriale di ampio respiro e lo sviluppo della ricerca locale e della produzione di un’ampia gamma di prodotti di alto valore aggiunto. Il settore della trasformazione è particolarmente decisivo in quanto è impossibile per un paese pensare di poter avanzare nella catena del valore nella divisione del lavoro mondiale senza creare la necessaria base manifatturiera che comprende innanzitutto la realizzazione di prodotti industriali finali.
 
c) il conferimento di particolare importanza al turismo, per cui la Grecia ha a disposizione un forte vantaggio comparato, ma anche alla marina mercantile -la Grecia ha la più grande flotta mercantile al mondo- e ovviamente all’agricoltura per la copertura di beni sociali fondamentali e
 
d) lo sfruttamento efficiente delle materie prime -come la bauxite da cui si produce l’alluminio- e di probabili grandi giacimenti di petrolio, tanto nel Mar Egeo quanto nel Mar Ionio.
Terzo, è necessaria l’edificazione di uno Stato moderno, efficiente e razionale che lavori con onestà e senza interporre innumerevoli ostacoli burocratici allo sviluppo dell’attività imprenditoriale e che combatta efficacemente l’Idra di Lerna della corruzione e dell’evasione fiscale, cosicché vengano rimosse le molteplici conseguenze negative a livello economico, sociale e politico che causa e che venga resa giustizia fiscale. Le conseguenze economiche hanno a che fare da un lato con i danni delle finanze dello Stato e dall’altro con gli effetti sfavorevoli nel settore pubblico dell’economia. Quando si consolida la percezione che solo con il guadagno illecito delle persone che ricoprono posti d’importanza nodale nell’amministrazione pubblica è possibile raggiungere il risultato perseguito, si scoraggiano gli investimenti, si altera la sana concorrenza e si condannano al declino le imprese che si rifiutano di partecipare a questo tipo di transazioni illegali e immorali. Le conseguenze sociali e politiche della corruzione sono, inoltre, eccezionalmente serie. La corruzione crea nei cittadini malcontento, delusione e un intenso sentimento di crollo dei valori. Si consolida la convinzione che niente funzioni correttamente e che il cittadino rispettoso della legge subisca un torto.
 
Le istituzioni vengono sabotate e barcollano e infine si scredita lo stesso regime democratico agli occhi dei cittadini. Inoltre, l’istituzione immediata di un sistema fiscale equo che non incoraggi e non «giustifichi» l’evasione fiscale contribuirà decisamente allo sviluppo della coscienza fiscale dei contribuenti e quindi all’aumento significativo delle entrate statali.
Queste posizioni dovranno senza tardare oltre entrare in via di realizzazione cosicché la Grecia possa uscire dal coma della recessione ed essere guidata alla luce dell’ambìto sviluppo, lontano dalle applicate politiche di austerità selvagge e senza sbocco, che costituiscono la punta di diamante del capitalismo finanziario nel suo tentativo di estinzione del debito e di mantenimento del suo dominio in un’epoca di intensa e generalizzata crisi capitalistica.
I cittadini europei da parte loro dovranno mostrarsi solidali verso il dramma del popolo greco che è stato trasformato in tutti questi anni in un animale da laboratorio, visto che la parte decisamente maggiore del denaro che riceve in prestito il settore pubblico greco non finisce ai contribuenti greci, ma alle banche o per il pagamento di obblighi di prossima scadenza oppure per la ricapitalizzazione delle banche greche, il costo della quale pesa per grossa parte sui contribuenti.
Concludendo, la Grecia non sopporta di continuare con l’austerità, poiché è giunta ai suoi limiti più remoti, in quanto è crollato il tenore di vita ma anche la dignità del popolo greco e questo lo dovranno capire i creditori. Il nuovo terzo accordo con le misure di austerità estrema rafforzerà la recessione e avrà risultati disastrosi. Così, l’ora dello scontro e della rottura, non tarderà.
Isidoros Karderinis è nato ad Atene nel 1967. È romanziere, poeta ed economista con studi post-laurea in economia turistica. I suoi articoli sono stati ripubblicati in giornali, reviste e siti in tutto il mondo. Le sue poesie sono state tradotte in francese. Ha pubblicato sette libri di poesia e due romanzi. Cinque di questi sono stati pubblicati negli USA e in Gran Bretagna.
di Isidoros Karderinis  Giu 08, 2017 Fonte: Imola Oggi

Le manovre delle banche centrali che contano più del G7

yellenIl mondo, inteso come sistema finanziario-industriale, ha bisogno di instabilità affinché le Banche centrali continuino a salvarlo, spiega MAURO BOTTARELLI
Janet Yellen (Lapresse)
 
Da ieri, la Nato fa ufficialmente parte della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti. Lo ha annunciato il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, prima dell’apertura del Vertice che vedeva presente, tra gli altri, Donald Trump. Nel più palese caso di excusatio non petita, accusatio manifesta, sempre Stoltenberg ha immediatamente sottolineato che la Nato non parteciperà ad azioni di combattimento, ma diverrà il centro di collegamento dove convoglieranno le informazioni di intelligence per la lotta contro Daesh. Prendiamone atto, l’attentato di Manchester ha davvero accelerato molti processi, fino alla scorsa settimana rallentanti, se non bloccati, da veti incrociati e pareri discordanti.
Oggi, poi, a Taormina prenderà il via il G7 con al centro della discussione, nemmeno a dirlo, la lotta al terrorismo globale. E chi mancherà al tavolo dei grandi? Il soggetto che maggiormente, tra le potenze mondiali, sta combattendo sul campo quel fenomeno eversivo e destabilizzante: la Russia. Capite da soli e senza bisogno di dotte analisi geopolitiche che quel vertice nasce già con lo stigma del fallimento, perché pensare di combattere il terrorismo senza coinvolgere Mosca è folle. A meno che, tramite strani giochi di prestigio politici e abile propaganda, non si voglia far finire nel calderone dei soggetti pericolosi proprio la scomoda Russia di Vladimir Putin. E, per proprietà transitiva neo-con, il suo alleato in Siria, cioè quell’Iran che Donald Trump ha attaccato senza soluzione di continuità nella sua due giorni tra Arabia Saudita e Israele.
Già, perché forse questo G7 ha una sua agenda precisa, ma non è quella ufficiale, bensì quella nata proprio tra Ryad e Tel Aviv e sviluppatasi tra l’orrore di Manchester. Metto in fila, senza un ordine particolare, i focolai di guerra o destabilizzazione in atto a tutt’oggi: Siria, Iraq, Libia, Yemen, Mali, Filippine, Corea del Nord, Venezuela, Afghanistan, Brasile e sicuramente ne sto scordando qualcuno. Sedici anni di “guerra preventiva” ed “esportazione della democrazia” hanno portato a questo: siamo più sicuri o insicuri? E poi, cosa unisce tutta questa messe di guerre sparse, la famosa Terza Guerra Mondiale a pezzi di cui parla Papa Francesco?
Il denaro, inteso come sistema finanziario che necessita di destabilizzazioni per stare in piedi attraverso mosse emergenziali. Come mai, di colpo, le Filippine finiscono al centro dell’attività del braccio locale di Daesh, guarda caso mentre il presidente, Rodrigo Duterte, stringe alleanze e partnership con Vladimir Putin? Perché il Brasile, di colpo, vede i manifestanti assaltare e incendiare i palazzi ministeriali, tanto da portare il presidente a firmare un atto che conferisce alle forze armate poteri di ordine pubblico? Anche in Gran Bretagna, per la prima volta dall’allarme del 2007 per un temuto attentato in Scozia, si vede l’esercito per le strade, 4800 uomini: un vulnus non da poco per la patria della common law. E la Corea del Nord, fino a quattro giorni ombelico del male? Sparita. Probabilmente la produzione in serie dell’ultimo missile sparato nel Mar del Giappone non spaventa più tanto. C’è Manchester che garantisce mano libera e fogli bianchi su cui scrivere le nuove regole.
C’è talmente tanta calma, garantita paradossalmente dal caos, che la Fed l’altra sera ha potuto permettersi di inserire toni da falco nelle minute (le quali vengono sempre riviste e ritoccate prima della pubblicazione, fidatevi) dell’ultimo Fomc, facendo trasparire la possibilità di un rialzo dei tassi imminente, quindi certificando – implicitamente – ai mercati e ai cittadini la buona salute dell’economia americana. I mercati? Nemmeno un plissé, anzi l’Asia ha festeggiato. Festeggiamenti giustificati? Fate voi, alla luce di questi grafici: il primo ci mostra come il cosiddetto “National team”, ovvero un consorzio di china stocksbanche e istituzioni finanziarie che agiscono su mandato del governo cinese, sia massicciamente intervenuto sul mercato per sostenere i corsi azionari, in perfetta contemporanea con il crollo dell’acciaio: il downgrade di Moody’s ha dato il colpo di grazia a una dinamica che sta già schiantando tutte le commodities da settimane. Ma Draghi dice, salvo poi rimangiarsi la parola, che la ripresa ormai è globale.
Il secondo, invece, ci mostra come questa dinamica, ovvero la finanziarizzazione della delinquenciesmaterie prime attraverso i futures, stia colpendo l’economia reale, nella fattispecie l’agricoltura Usa e i prestiti contratti da proprietari terrieri per portare avanti la loro attività. Dal quarto trimestre del 2014 al primo di quest’anno, il tasso di delinquencies su quei prestiti è salito del 225%, stando a dati ufficiali del Board of Governors della Fed.
Terra, cibo, economia vera: devastati da Wall Street e dai suoi giochini, ora con l’aggravante di qualche triliardo di contratti derivati che hanno come collaterale proprio futures legati alle commodities che pagano lo scotto al rallentamento della crescita cinese.
g3 central bankIl terzo, invece, ci mostra come dal dicembre 2016 questa logica di intervento delle Banche centrali per evitare l’armageddon si sia concentrata anche sul mercato obbligazionario sovrano, ovvero quello dei governi: questo, al netto di Bce e Bank of Japan che stanno comprando anche l’aria.
Vi serve altro per capire che il mondo, inteso come sistema finanziario-industriale, ha bisogno di instabilità affinché soggetti ormai onnipotenti come le Banche centrali continuino a salvarlo con soldi vostri? Stiamo tutti quanti camminando sul filo dell’equilibrista circense, ma la rete di salvataggio sotto di noi diventa ogni giorno più piccola e piena di buchi. La scorsa settimana vi ho ricordato come in un articolo dello scorso gennaio già avessi profilato l’ipotesi che l’elezione di Donald Trump fosse stata il perfetto capro espiatorio per giustificare un crash del mercato, evitando così che l’opinione pubblica additasse i veri responsabili di quello che era un epilogo già scritto, dopo anni di denaro a pioggia creato dal nulla e debito insostenibile. E dove siamo, oggi? Con i tassi che, formalmente, stanno salendo negli Usa, la meteoritica ascesa del mercato è andata in stallo.
 
Negli ultimi mesi, i corsi azionari hanno introitato un misero punto percentuale di rialzo o ribasso alla settimana. Poi, stranamente, la scorsa settimana è successo qualcosa: i mercati, senza apparente motivo sono crollati di quasi 400 punti in un solo giorno. Andate a riprendervi i titoli dei principali media, italiani ed esteri e troverete la narrativa ufficiale rispetto a quel tonfo: l’instabilità generata da Trump e dai suoi guai legati al Russiagate, con il rischio addirittura di un impeachment. Insomma, è colpa del presidente Usa. Sembra il signor Malaussene dei romanzi di Daniel Pennac, professione capro espiatorio: Banche centrali e grande finanza, sentitamente ringraziano.
E attenzione, perché se avete voglia di fare una rassegna stampa più accurata ed estesa nel tempo, questa narrativa i grandi media hanno cominciato a montarla ancora prima dell’elezione di Trump, quando si era in campagna elettorale: ma se tutti i sondaggi davano Hillary Clinton come vincitrice in carrozza, quale bisogno c’era di creare quella cortina di terrorismo finanziario? Basti vedere Bloomberg, agenzia il cui mantra fu quello di dipingere Donald Trump come un uomo fortunato, perché riceveva in eredità da Barack Obama un’economia florida e in ripresa. Balle, quale economia abbia lasciato l’ex inquilino di Pennsylvania Avenue è ormai sotto gli occhi di tutti: mercato in bolla assoluta, peggio del dot.com e livello di debito ormai insostenibile, sovrano e privato. Ovviamente, con la colpevole collaborazione fattiva di chi detiene la stampatrice, ovvero la Fed. Addirittura, il settimanale Fortune scrisse che l’iniziale rally di mercato che aveva salutato l’elezione di Donald Trump altro non era se non una creazione del palcoscenico per un sorprendente crash del mercato. Diciamo che o hanno poteri divinatori o forse c’era un’agenda condivisa da far accettare all’opinione pubblica.
Non vi pare che quanto accaduto da quando il presidente Usa ha messo piede a Ryad fino a oggi, risponda a una logica simile ma a livello geopolitico? Attenzione a cosa verra deciso al G7, per quanto realisticamente inutile – stante l’assenza della Russia -: ci dirà quale piega prenderanno gli eventi. Ovvero, quando – e non se – sarà guerra.
26 maggio 2017 Mauro Bottarelli

Così JP Morgan e Goldman Sachs aggirano ogni giorno le sanzioni contro la Russia

wall-streetDa quasi tre anni gli Stati Uniti ammorbano l’opinione pubblica occidentale con il mantra delle sanzioni alla Russia in seguito alla crisi ucraina. Nel tempo Washington, attraverso precise azioni di pressioni nei confronti dei burocrati europei, è riuscita addirittura a convincere l’Unione Europa ad adottare le medesime misure, al fine di preservare “le regole del diritto internazionale e l’integrità dell’Ucraina”. Il risultato ovviamente è stato disastroso. L’interscambio commerciale con la Russia è diminuito praticamente ovunque in Europa e anche dal punto di vista finanziario hanno quasi tutti risentito delle mosse suicide di Barack Obama.
Quasi tutti perché, come sempre accade in queste situazioni, quando in molti ci perdono, c’è sempre qualcuno che guadagna. E’ il caso di Jp Morgan e Goldman Sachs. L’altro ieri Forbes ha dedicato al tema delle sanzioni alla Russia un lungo articolo firmato da Kenneth Rapoza. Ed è venuto fuori che le due banche d’affari americani nell’anno in corso sono diventate due delle tre maggiori banche d’investimento in Russia. Nei soli primi quattro mesi dell’anno hanno raccolto più commissioni di intermediazione che in tutto lo scorso anno. «Le commissioni di intermediazione sono esattamente ciò che ha guadagnato Carter Page sull’affare Rosneft – scrive Forbes – Page è l’advisor estero della campagna di Trump, additato costantemente come un esempio del “collegamento con i russi” della squadra di Trump». Ad ogni modo, sia gli uffici di Goldman che Jp Morgan conducono una politica finanziaria molto disinvolta a Mosca e dintorni. Fino al 20 aprile le offerte bancarie di investimento hanno registrato un aumento del 32% rispetto ai 12 mesi dell’anno precedente.
 
 
Ma come è possibile tutto questo, nonostante le sanzioni alla Russia siano ancora in vigore? Forbes lo spiega così: «Quello che non le rende vincolati alle sanzioni – e questo potrebbe essere più una materia politica che non di rispetto della legge – è che il denaro che ricevono rimane in Russia o qualche volta si muove verso società offshore a Hong Kong, dicono molti addetti ai lavori».
Entrambe le banche americane tallonano la VTB Capital (società russa), la prima banca di investimento nel paese.
Le sanzioni attualmente in vigore vietano alle aziende statunitensi joint venture con aziende russe nell’ambito dell’esplorazione petrolifera, così come di ricevere o prestare denaro alle banche russe sotto sanzioni. E tra queste c’è VTB Bank, che possiede VTB Capital. Tuttavia i soggetti americani proveniente da altri settori dell’economia non hanno divieto di fornire servizi di consulenza. «Anche se questo dipende molto dalle interpretazioni della corte governativa, le imprese americane sono autorizzate a stipulare accordi con le aziende russe e quelle che lo hanno fatto si sentono sicure di non aver infranto le regole». Questo argomento riguarda anche due delle maggiori banche di Wall Strett, tra le quali proprio Goldman Sachs, fermamente dalla parte dell’amministrazione Trump. «Numerose imprese di investimento – spiega ancora Forbes – stanno facendo affari con società russe sanzionate. Alcuni, come Jp Morgan, stanno tenendo i soldi in Russia».
A riprova di cosa stia succedendo, Forbes cita il caso dei bond di Gazprom, sul mercato da marzo per un valore di circa 1 miliardo di dollari, i quali hanno ricevuto una forte domanda di Stati Uniti e investitori europei. Gli acquirenti sono perlopiù Jp Morgan e Deustche Bank, oltre VTB Capital e Gazprombank. «Nello stesso mese, Gazprom ha messo sul mercato altri 750 milioni di dollari in bond» per la prima volta dal ritorno della Crimea alla Russia. «Il valore totale delle offerte iniziali e secondarie raccolte nello scambio con Mosca ha toccato gli 1,2 miliardi di dollari», chiosa Forbes, il più alto livello da sei anni a questa parte. Soldi, tanti, che dimostrano come la politica delle sanzioni abbia fatto perdere molti, a vantaggio di pochi. I soliti.
di Eugenio Cipolla

Le priorità del regime filantropico europeista Gentiloni-Renzi

Le risorse stanziate per il piano sono di 1,18 miliardi per il 2017 e di 1,7 miliardi per il 2018.
In povertà assoluta 4,6 milioni di italiani quindi la maggior parte di loro saranno esclusi come sempre da quell’elemosina chiamata REI quelli in povertà relativa non se la spassano ma chi se ne frega, magari al prossimo spot elettorale saranno oggetto di qualche promessa
Un amico su FB
4,5 miliardi NON RENDICONTABILI
Quando un’azienda che fattura 5000 euro annui..
Deve rendicontare pure una caramella.
4,5 miliardi di euro non RENDICONTABILI..
Aprono i Cara a Mineo, Isola e Foggia..
Zone ad alto concentramento di Caporalato o criminalità (facci caso ..)
E poi “ops…sti soldi vanno in mano alla MAFIA?!”
“OPS, MA CI SONO DELLE IL LEGALITÀ”
lo stupore è virtù dei puri e dei fessi..
Quando si stupiscono quelli in malafede..
Si chiama #complicità
 
Non più stupore.
Ah..
Ultima chiosa
“Ho visto gettare fango e accuse sul procuratore più onesto e terzo degli ultimi 20 anni…
E la cosa mi fa pensare.. Da oggi sto con ZUCCARO.. A priori”
Nicola Gratteri
Ecco..
 
un’amica su FB
A seguito di un’inchiesta che vede le strutture dell’accoglienza coi migranti colluse con (se non gestite da) la ‘ndrangheta, 68 persone sono in stato di fermo, tra loro anche un parroco. Lo scopriamo lo stesso giorno in cui ci spiegano che il fenomeno naturale, fisiologico, storico ed irreversibile dell’immigrazione massiva deve essere sospeso per una settimana, causa riunione del G7 a Taormina. In tutto questo letamaio di menzogne e malaffare senza ritegno, qualcuno ancora crede che le Ong – quelle nei cui CdA siedono esponenti di politica e finanza internazionale; quelle che procurano la materia prima per gli affari loschi delle organizzazioni malavitose – siano estranee a ogni addebito loro contestato. Delle vergini illibate dentro un postribolo, praticamente. Io credo sia meglio ammettere di essere stati babbei per un tempo limitato, piuttosto che incancrenirsi in certe posizioni, facendo capire che si è irrimediabilmente o stupidi o ipocriti.

Macron eletto dalle banche. Ecco chi lo ha finanziato

Dopo il comunicato stampa della commissione nazionale elettorale francese che ha vietato espressamente di pubblicare il contenuto dei Macronleaks, la mole di file e documenti contenuta nelle email dello staff di Emmanuel Macron, la possibilità di vedere il contenuto di quei file sembrava definitivamente preclusa.
Quello che più ha stupito in questa vicenda, è l’espresso rifiuto dei media di pubblicare dei documenti che l’opinione pubblica francese e internazionale aveva il diritto di conoscere prima del voto, e non dopo. Le Monde ha rilasciato un comunicato stampa nel quale afferma espressamente di non aver voluto rivelare il contenuto dei file, per i timori di «influenzare il ballottaggio». Ma non è forse questo il compito dei mezzi di comunicazione, ovvero quello di portare a conoscenza l’opinione pubblica di fatti o informazioni rilevanti politicamente su un candidato alle elezioni presidenziali francesi? In questo modo, la stampa e i media mainstream dichiarano espressamente di mettere al primo posto gli interessi di Macron, e non quelli del pubblico francese. Libero ha recuperato parte di quei file, superiori a 9gb di memoria, e ha deciso di condividerli pubblicamente.
 
SOLDI DA BANCA BRED1-a3bp4gg6rs6fajhoxblxnq
Uno dei documenti che spicca particolarmente tra quelli recuperati, è il prestito di 8 milioni di euro contratto dall’AFCPEM, l’associazione del candidato di En Marche! per il finanziamento della sua campagna elettorale, incaricata per la raccolta dei fondi elettorali. In questa circostanza l’AFCPEM ha chiesto alla Banca Bred Populaire un prestito di 8 milioni di euro nel marzo di quest’anno. Il comitato elettorale di Macron ha sottoscritto un prestito con la banca in questione da restituire entro il marzo del 2019, come previsto dall’art.5 del contratto. La banca si è impegnata a versare i fondi messi a disposizione sul conto intestato dall’AFCPEM presso la banca francese del Credit Agricole.
Il contratto di prestito di Macron con la banca Bred
 
Tra le pieghe del contratto spunta all’art.16 un’interessante clausola che fa riferimento al codice civile francese, in particolare all’art. 1415, con il quale si esclude il consorte della persona che contrae il prestito dal partecipare con i propri fondi o beni alla restituzione del debito. Con questa clausola – accettata dalla banca – Macron ha di fatto esonerato sua moglie Brigitte dall’essere chiamata in causa con il suo patrimonio personale qualora dovessero sorgere complicazioni nel pagare il prestito da 8 milioni di euro.
Macron dunque non ha incontrato difficoltà di nessun tipo ad ottenere finanziamenti da parte della banche francesi, mentre lo stesso non può dirsi per la sua rivale, Marine Le Pen, costretta a ricorrere al finanziamento di banche straniere perché nessuna banca francese è stata disposta a finanziare la sua campagna.
Non sono mancate in questo senso le polemiche contro la leader del Front National, accusata di prendere fondi dalla Russia. Ma a differenza di Le Pen, Macron non ha rivelato queste informazioni. La banca Bred Populaire, tra l’altro, era già finita nel 2012 sotto il mirino della autorità investigative francesi per aver violato le norme anti-riciclaggio ed era stata condannata per questo a versare 200.000 euro dalla Banque de France.
ASSE CON ROTHSCHILD
Uno dei gruppi che più ha dimostrato supporto e sostegno nei confronti di Emmanuel Macron è il Boston Consulting Group. 1-4a9jgzup69horh00f1wpeqA dare conto della provata amicizia tra il BCG e il partito di Macron, En Marche, è Christian Dargnat – presidente dell’AFCPEM e già amministratore delegato di BNP Paribas – che in una email si rivolge a Guillaume Charlin, direttore della sede del BCG a Parigi, per invitarlo ad un party il 13 giugno del 2016.
 
L’email di Dargnat a Guillaume Charlin
 
Nell’email Dargnat si rivolge a Charlin e al BCG come i «maggiori sostenitori» di En Marche! e desidera metterlo al corrente «dell’evoluzione del movimento e per scambiare pareri sulle prospettive delle sue azioni». Charlin fa sapere a Dargnat che non potrà partecipare all’incontro per la sua assenza da Parigi in quei giorni. Il BCG si interessa alle attività di Macron frequentemente e in qualche occasione si rivolge ad altre parti per arrivare direttamente al presidente di En Marche. È quello che accade in una email quando Guillaume de Montchalin, responsabile della sezione marketing del BCG, scrive a Stephane Charbit, direttore della banca Rothschild a Parigi, per chiedergli di «essere messo in contatto con la persona per organizzare un incontro». La presenza dei gruppo Rothschild durante la campagna elettorale di Macron è costante, e in altre email i responsabili della sua campagna elettorale fanno riferimento a diversi collaboratori del colosso bancario che hanno partecipato ai meeting di En Marche! Le rivelazioni sui Macronleaks sono appena iniziate, nei prossimi giorni arriveranno nuovi file.
di Paolo Becchi e Cesare Sacchetti – 08/05/2017
Fonte: Paolo Becchi

Il trucco per cui i francesi voteranno di nuovo un socialista. Dei Rotschild

macron guevaraSembrava impossibile, dopo l’esperienza tristissima di Hollande, ormai al 4% dei sondaggi tanto che non s’è  ripresentato, e la gauche spaccata fra quattro  candidati. Era uscito il libro “Gli ultimi 100 giorni del Partito Socialista”; dove l’umorista Bruno Gaccio riferiva che la morte imminente era dovuta alle malattie che lo rodevano da 35 anni: Liberoencefalite degenerativa, Bordelloplastia, Debussolite Retrattile, Sindrome di Valls-sette, Sordità profonda, Cecità totale”. La sepoltura era prossima.
 
Il ritorno al potere del centro-destra sembrava ormai certo. Il vincitore a mani basse era dato Francois Fillon: scelto alle primarie, centro-destra, abbastanza a destra per raccattare al ballottaggio i voti di Marine Le Pen, pro-Ue è vero, ma anche filo-Putin. I sondaggi lo favorivano.
 
Poi, il trappolone. Le Canard Enchainé (“da lustri strofinaccio della Cia”, per Nicolas Bonnal) tira fuori lo scandalo:  Fillon ha pagato alla moglie Penelope uno stipendio come assistente parlamentare (500 mila euro lordi  in 8 anni), e  la signora ha preso 5 mila euro mensili alla Révue des Deux Mondes, a cui ha collaborato dal 2012 al 2013. I 500 mila in 8 anni fanno colpo; ma sono, in realtà, la dotazione che Fillon ha ricevuto come parlamentare per le spese connesse, poteva non impiegare un assistente e tenerseli tutti per sé senza commettere alcun reato. Altra cosa è  l’impiego ben pagato della signora alla Révue. I media cominciano a dire che prendeva 5 mila euro mensili, per la redazione “di due o tre note di lettura”.
Il giorno stesso della rivelazione del Canard, la magistratura “apre un fascicolo”. E il giorno dopo, fulminea, già manda con fanfare e sirene spiegate la polizia a fare una perquisizione alla Révue des Deux Mondes, per sospetto di “impiego fittizio”. La strana fulminea rapidità della magistratura, la grancassa mediatica assordante, hanno avuto l’effetto: Fillon è crollato nei sondaggi, lui ha chiesto scusa e si presenta comunque, ma non sarà lui a sfidare Marine per vincerla al secondo turno.
Perché nessuno si illuda, la Le Pen non andrà mai all’Eliseo. Anche  se oggi è al primo posto nelle preferenze degli elettori (26%, tutti gli altri candidati la seguono a distanza) al secondo turno tutto l’elettorato “antifacho” concentra i voti sull’avversario di Marine, chiunque sia. E’ così ed è sempre stato così.
Il punto è che a sfidare la Le Pen non sarà un esponente del centro-destra, Fillon. E chi sarà dunque? Uno della “sinistra”, diciamo così: Emmanuel Macron. Uno che oggi ha fondato il suo movimento  (“En  Marche”, come le sue iniziali) ma che è stato ministro di Valls e di Hollande fino all’agosto scorso, quando si è staccato dai PS per fingersi indipendente. Un PS  che s’è messo una nuova maschera appena in tempo.
Immediatamente esaltato e promosso dai media come colui che incarna “il rinnovamento e la modernità”, ultra-europeista, liberista (come Hollande), “Superare destra e sinistra, la folla lancia l’anti-Le Pen al grido Europa! Europa!”,  ha scritto il Fatto Quotidiano.
Insomma si è capito: stessa zuppa di prima. E’ bastato che Marine Le Pen presentasse il suo programma politico perché le Borse europee crollassero, i “mercati” si terrorizzassero, e lo spread dei titoli nostri, ma anche francesi, si allargasse: ed è tutta una manfrina, perché non esiste nessuna possibilità che la signora entri all’Eliseo per attuare quel programma. Fa’ parte della messinscena del drammone “Il Fascismo alle Porte”, la recita della paura che  susciterà nell’elettorato il riflesso pavloviano di andare a votare chiunque per fermare il Front National. Già adesso, i sondaggi dicono che al ballottaggio Macron prenderà il 65 % contro Marine al 35.
Vediamo dunque che tipo di socialista è Macron, che la Francia si terrà all’Eliseo per un mandato o due. Anzitutto: è un banchiere d’affari della Rotschild. C’è entrato  nel 2008  come analista – per i buoni uffici di Jacques Attali (j) ministro di Mitterrand e maitre à penser, ed è salito in carriera fino a diventare “partner”, socio di David de Rotschild, che è un intimo di Sarkozy (j) e di Alain Minc (j).
E’ un ragazzo svelto a imparare. Si occupa di fusioni ed acquisizioni: sostanzialmente vende aziende francesi a multinazionali, americane o no. Nel 2012, affianca e consiglia la Nestlé nell’accaparramento del settore “latti per l’infanzia” della Pfizer, soffiando il lucroso settore alla Danone che lo voleva. E’ un affare valutato a 9 miliardi di euro.
Le  commissioni lucrate allora dal giovanotto sono tali che, si dice,Macron è al riparo dal bisogni fino alla fine dei suoi giorni”. Un super-milionario. In quell’attività, ovviamente si è fatto una quantità di complicità e amicizie nel salotti buoni che contano, conosce tutti i segreti, i misteri, i progetti  nel mondo dei veri grandi ricchi; tanto più che spesso nelle fusioni ha operato come “consulente acquirente”, mettendoci il suo capitale insieme a quello del cliente.
La Banca Rotschild presta volentieri i suoi giovani più brillanti al governo, ministri, segretari generali dell’Eliseo, aggiunti, capi di gabinetto…”Ad ogni cambiamento di governo – ha scritto il Nouvel Osbservateur – Rotschild riesce a piazzare qualche collaboratore fra gli incartamenti del potere. Chiama ciò “mettersi al servizio”. Macron perpetua la tradizione”,  divenendo ministro dell’Economia dell’Industria e del Digitale  dal 2014. Nell’agosto scorso, come detto, si dimette per fondare il suo movimento: forte il sospetto che sia stata una dimissione concordata nel quadro del vasto progetto  – in cui è entrato anche il trappolone per Fillon – per mantenere il potere agli stessi circoli.  Siamo, molto al disopra della Gauche-Caviar. Molto prossimi alla Squadra e al Compasso, ma sopra ancora. Siamo, se così si può dire, alla Gauche-Rotschild.
Quindi la liberazione della Francia è ancora una volta rimandata. Macron è un superliberista e promotore del mercato unico mondiale.
Articoli dedicati a Macron in confronto a quelli dedicati ai tre candidati della sinistra (Jean-Luc Mélenchon, Arnaud Montebourg e Benoît Hamon) messi insieme.
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I media mainstream, che a volte sono profeti,  hanno subito capito di quante virtù è pieno il candidato, e l’hanno elevato a forza di servizi speciali, sempre più in alto nei sondaggi: l’ottobre 2014, solo l’11 per cento degli interpellati desiderava che Macron avesse un ruolo più importante nella politica; il 6% degli operai, il 4% degli artigiani. Oggi i sondaggi lo dicono la personalità politica preferita dai francesi.
 
A  meno che…
Il  6 febbraio, Sputnik e Russia Today hanno cominciato a dire che Julian Assange ha trovato dei particolari compromettenti su Macron. Cose che avrebbero a che fare con i circoli intimi della Clinton, e il capo della campagna di Hillary John Podesta, se capite cosa intendo:
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Il deputato Nicolas Dhuicq (Les Républicains) ha  cominciato a spifferare quello che sembra un segreto di Pulcinella: “Macron è il coccolino dei media francesi, che sono proprietà di certe persone, come sappiamo tutti”. No, quali persone? Non sappiamo, noi. “Fra gli uomini che lo sostengono, si trova il celebre uomo d’affari Pierre Bergé, compagno di lunga data di Yves Saint-Laurent, apertamente omosessuale e promotore delle nozze omosessuali. C’è una ricchissima lobby gay dietro di lui. Non dico altro”.
 
Chissà. Magari i siluri degli hacker russi che hanno affondato Hillary, sono già caricati per colare a picco Macron.

“Macron non è né un outsider né uno sfidante dello staus quo: è solo una pedina dell’establishment per bloccare la Le Pen”

Il candidato «centrista» Emmanuel Macron non era neanche stato proclamato vincitore del fillonmacronlepenprimo turno delle elezioni presidenziali francesi che l’establishment politico si è precipitato a serrare i ranghi contro la rivale Marine Le Pen del Fronte Nazionale, scrive Finian Cunningham sul giornale online della Strategic Culture Foundation, Macron ha vinto il primo turno con il 23,8 per cento dei voti. La Le Pen è arrivata seconda con il 21,5 per cento. I due si affronteranno nel secondo turno, che si terrà il 7 maggio.
 
Il leader del FN ha il diritto di chiamare il suo risultato elettorale un risultato «storico». E’ stato il miglior risultato per il partito nazionalista alle elezioni presidenziali francesi dalla sua fondazione nel 1972. Ma mentre i suoi sostenitori stavano celebrando una vittoria storica, l’establishment francese stava serrando le fila per assicurarsi che la le Le Pen non acceda mai alla sede del potere.
 
Le Pen, che ha preso la leadership del partito nel 2011 da suo padre Jean-Marie, ha portato il FN ad essere la principale forza politica francese e a concorrere per vincere la presidenza della Repubblica francese. Ma è improbabile che Marine Le Pen diventi Madame Presidente – almeno nel 2017. Il suo rivale Macron ha già ricevuto il sostegno dei due ex partiti principali, i repubblicani e i socialisti in carica. Entrambi i partiti hanno subìto dolorose sconfitte nel fine settimana, la prima volta in 60 anni che nessuno di loro avrà un candidato al secondo turno.
Il candidato repubblicano Francois Fillon, che ha ottenuto il 19,9 per cento dei voti, ha dato subito il suo appoggio a Macron, dicendo ai suoi sostenitori che la Le Pen sarebbe un «disastro» per il paese.
Il concorrente socialista, Benoit Hamon, la cui prestazione elettorale si è fermata al 6,5 per cento dei voti, è stato ancora più forte nel sostenere Macron. Nel suo discorso di sconfitta, Hamon ha invitato i suoi sostenitori a sostenere Macron perché la Le Pen era «un nemico dello Stato».
Jean-Luc Melénchon è arrivato al quarto posto con un  rispettoso del 19,6 per cento, subito dietro Fillon. Considerando che Melénchon ha fatto campagna su un manifesto socialista e che il suo partito è stato appena costituito, è stato un risultato lodevole per il cadidato di estrema sinistra. Egli può affermare di aver assicurato il mantello della «vera e propria sinistra» in Francia, e andare avanti con una base forte su cui costruire un nuovo partito socialista. Per questo motivo, Mélenchon ha rifiutato di appoggiare sia Macron che la Le Pen per il secondo turno. A suo merito, non sta vendendo i suoi principi politici.
 
L’elezione del capo dello stato francese potrebbe trasformarsi in una ripetizione dell’elezione presidenziale del 2002, quando il padre di Marine, Jean-Marie, ha causato uno shock politico quando è approdato al secondo turno . All’epoca, come ora, l’establishment si è unito per sostenere Jacques Chirac, dell’Ump di centro-destra (precursore dei Repubblicani attuali). Nel 2002, Jean-Marie Le Pen è stato sconfitto, ottenendo solo il 18 per cento dei voti, contro l’80 per cento di Chirac.
Come allora, è in corso la stessa manovra  contro Marine Le Pen. Macron consoliderà gli elettori dei repubblicani di Fillon e i socialisti di Hamon, e sarà proiettato a vincere con il 60 per cento contro Marine Le Pen.
In termini di voti, FN di Le Pen si è evoluto diventando una indubbia forza politica centrale nella politica francese. Durante il fine settimana, ha guadagnato circa 7,6 milioni, meno di un milione dietro Macron, e ben prima degli altri contendenti. La performance del suo partito ha superato quello del suo miglior risultato nelle elezioni comunali del 2015 quando il FN ha ottenuto 6,6 milioni di voti.
 
Tuttavia, il FN di Le Pen è ancora inquinato dalla sua associazione originale con il fascismo, il razzismo e l’antisemitismo. Le Pen afferma che l’etichettatura dei media mainstream del suo partito come di «estrema destra» è una calunnia. Preferisce chiamare il FN «nazionalista». In larga misura, l’avvocato di 48 anni è riuscita a «disintossicare» l’immagine del partito e lo ha posizionato come un movimento populista che si oppone al capitalismo globale e alla servilizzazione dell’Unione europea per la finanza aziendale.
 
Le Pen sta facendo campagna sulle politiche economiche di sinistra della “protezione sociale” e sul portare la Francia fuori dall’Unione europea, allo stesso modo della Brexit per la Gran Bretagna. Inoltre vuole abbandonare la NATO a guida Usa e chiede apertamente relazioni amichevoli con la Russia. Il FN punta a ripristinare il controllo nazionale sulle frontiere francesi e ad attuare grandi tagli nel numero degli immigrati. La sua denuncia   di «islamizzazione» della cultura francese le è valsa l’accusa di xenofobia.
Tuttavia, etichettare Le Pen e il FN come «un nemico dello stato» sembra essere una caricatura isterica. Il sospetto è che le politiche del suo partito che si oppongono al capitalismo globale, all’UE e alla NATO siano la vera fonte dell’animus dell’establishment, nascoste da accuse accuse di «razzismo, xenofobia e fascismo» e «nemico dello stato».
 
È notevole che i leader dell’UE si siano uniti a figure dell’stablishment francese  per sostenere Macron durante il fine settimana. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il cancelliere tedesco Angela Merkel hanno risposto rapidamente per congratularsi con lui per aver vinto il primo turno presidenziale. A due settimane dal secondo e ultimo round, i commenti pubblici dei leader dell’Unione europea sembrano una flagrante interferenza nelle elezioni francesi. Tuttavia sottolineano l’urgenza per l’establishment politico in Francia e in tutta Europa di impedire a Le Pen di entrare all’Eliseo il 7 maggio.
Quanto a Macron, il branding del politico “centrista” ha l’aria inconfondibile di marketing slick dai poteri-that-be. Naturalmente, essendo proficuamente pro-UE, pro-NATO e gelido verso il leader russo Vladimir Putin, Macron è apprezzato agli occhi dello status quo.
Macron sostiene che, politicamente, non è “né di destra né di sinistra” e i media mainstream lo hanno brillantemente definito un “outsider” . Confronti sono stati fatti con John F Kennedy, Tony Blair e Barack Obama. Macron è presentato come il ragazzo d’oro della politica che porterà “speranza e cambiamento” per tutti.
 
Solo in un senso crudo e superficiale Macron potrebbe essere descritto come «un outsider» che sta forgiando una «nuova politica». È vero che non ha mai ricoperto una carica elettiva e che ha fondato il suo partito politico, En Marche!, solo un anno fa.
Ma Macron è espressione dell’establishment e dello status quo. Con un’educazione d’élite, ha lavorato come ex banchiere di   Rothschild  prima di essere nominato ministro dell’economia  da Francois Hollande, quattro anni fa. In quel posto è stato l’architetto delle «riforme»  «pro-business» ampiamente odiate, che il governo di Hollande è stato costretto ad adottare con decreto, nonostante le massicce proteste pubbliche.
 
Macron ha abbandonato abilmente il suo posto di ministro in anticipo per entrare nella corsa presidenziale e prendere le distanze dai socialisti al governo largamente invisi alla popolazione. Il governo di Hollande (2012-2017) ha servito come sostenitore ardente del capitalismo neoliberista al servizio della finanza globale. Questo è in parte il motivo per cui il  successore di Hollande, Benoit Hamon, ha vissuto un tracollo elettorale , mentre Jean-Luc Melénchon  è emerso con un sostegno rispettabile.
 
Quindi, Macron non è certamente «estraneo»  dello status quo. Questo è solo marketing per assicurare che impedisca la vittoria della le Le Pen.  Macron si rivelerà essere un servo del capitalismo globale, l’Unione europea e la NATO, e un colpevole economico nei confronti della classe operaia.
La lista dei sostenitori di Macron dice molto. Essa comprende: il presidente incaricato Francois Hollande e l’attuale primo ministro Bernard Cazeneuve, il ministro degli esteri Jean-Marc Ayrault e il ministro della difesa Jean-Yves Le Drian. Oltre all’intera leadership repubblicana del centro-destra. Questi due partiti sono stati rigettati solidamente al primo turno delle elezioni presidenziali. Eppure ora appoggiano Macron, il supposto «outsider». Ciò significa che i politici francesi falliti hanno generato altri politici francesi falliti. Wow, che cambiamento!
Notizia del: 26/04/2017

Macron presidente? Non illudetevi, sarà un nuovo Hollande

macron-rothschildEmmanuel Macron è stato eletto e non è certo una sorpresa. La sua è una vittoria annunciata e, se gli exit polls saranno confermati, ben oltre le previsioni.
 
E ora dobbiamo chiederci: che presidente sarà? So di andare controcorrente ma Macron non rappresenta, a mio giudizio, una vera novità politica ovvero non costituisce il cambiamento che  ha promesso in campagna elettorale. D’altronde, pensateci bene: come può un uomo che è stato consigliere dell’Eliseo e poi ministro dell’economia di un governo socialista incarnare un movimento politico se non rivoluzionario perlomeno molto innovativo, considerando che poco più di un anno fa “En marche!” non esisteva nemmeno?
Come può un ex banchiere rappresentare le istanze del socialismo e della sinistra?
I veri movimenti sorti dal nulla richiedono tempi di incubazione e di crescita più lunghi, vedi il lungo percorso della Lega Nord in Italia e, in tempi più recenti, del Movimento 5 Stelle  o di Podemos in Spagna.
In realtà Macron è, da sempre, un rappresentante dell’establishment e la sua ascesa è frutto di una brillante quanto spregiudicata operazione di marketing politico.
Ragioniamo. Sulla Francia incombeva un rischio: che  dopo la Brexit e  la vittoria di Trump, il vento del cambiamento si imponesse anche qui, spazzando via i due partiti tradizionali, sia quello socialista sia l’Ump, accomunati, agli occhi degli elettori, da lunghi anni di promesse tradite. Come scongiurarlo? Puntando sul nuovo, ma teleguidandolo. Dunque, più precisamente, presentando il vecchio vestito di nuovo.
Attenzione: non si tratta di congetture. Jacques Attali nell’aprile del 2016 pronosticava che uno sconosciuto avrebbe vinto le presidenziali del 2017 e indicava due possibili nomi: Emmanuel Macron a sinistra e Bruno  Le Maire. Vedi questo video in cui tra l’altro afferma che sarebbe stato lui a riempire di contenuti il programma di Macron.
Jacques Attali è uno dei personaggi più influenti in Francia sin dai tempi di Mitterrand, un francese globalista, convinto europeista, introdotto e stimato nell’establishment internazionale.  Era l’eminenza grigia di Mitterrand, poi è stato consigliere di Sarkozy ed era considerato da Hollande. Trasversale, come molti dei membri dell’élite che contano davvero in Francia e non.
Con queste premesse non è difficile scremare la retorica elettorale per decriptare le intenzioni  di Macron, il quale  non rappresenta il cambiamento ma la continuità. Sotto ogni punto di vista, anche riguardo la sua personalità. Con lui i francesi otterranno il proseguimento delle politiche di Hollande, che, paradossalmente, tanto hanno odiato.
 
Naturalmente il nuovo presidente non si scoprirà subito. Prima dovrà riuscire ad ottenere la maggioranza alle legislative di giugno e non sarà facile, poi beneficerà, come sempre, di un periodo di grazia ma nell’arco di qualche mese mostrerà il suo vero volto e le sue vere intenzioni. Temo che sarà una profonda delusione per molti dei suoi sostenitori, anche a sinistra.
L’uomo giusto per la Francia di oggi era Fillon, ma non era gradito a quell’establishment che infatti lo ha azzoppato.
 
E Marine Le Pen? Per portare a compimento la rimonta impossibile avrebbe dovuto vincere, anzi stravincere il confronto televisivo. E questo non è avvenuto per l’incapacità di mostrarsi presidenziale e propositiva nella seconda parte del dibattito di mercoledì sera. Anche la scelta di denunciare i presunti conti segreti alle Bahamas  di Macron è stata azzardata: queste cose le fai se ne sei sicurissimo altrimenti ti si ritorcono contro. Aggiungete la presunta gaffe con il Corriere della Sera  e gli echi del cosiddetto Macronleaks (le email trafugate), che, contrariamente a quanto scritto da molti giornali, hanno rafforzato il candidato di “En marche!”  permettendogli di presentarsi come vittima di una macchinazione.
 
La campagna di Marine Le Pen è stata ben strutturata e, per nove decimi, riuscita: il suo scopo era di presentarsi come un candidato sempre più neogollista e sempre meno Front National ma ha sbagliato la volata finale, contraddicendosi. Per stanchezza o forse in seguito a una suggestione. E possibile che lei e il suo stratega Florian Philippot abbiano pensato di replicare le tattiche  di Trump,  alzando i toni e sparando ogni cartuccia (conti alle Bahamas) . Ma la Francia non è l’America. E le svolte improvvise sono sempre rischiose. Se ti ispiri a De Gaulle non puoi comportarti d’un tratto come Trump.  Negli ultimi tre giorni della campagna la Le Pen ha bruciato i progressi fatti negli ultimi dieci.
 
Il suo è comunque un risultato storico, mai un candidato del Fronte aveva ottenuto tanti consensi, praticamente raddoppiati rispetto al 17,8% di Jean-Marie Le Pen nel 2002.
Resta un dato di fondo: se sommate i voti ottenuti al primo turno a destra dalla Le Pen e da Dupont-Aignan e a sinistra da Mélenchon, risulta che quasi il 50% dei francesi ha votato per partiti in aperta rottura con l’establishment, quasi anti-sistema. Questo significa che il malessere francese è profondo ed è destinato ad aumentare se l’economia francese non ricomincerà a crescere davvero e se la società francese non troverà un  nuovo slancio. Quel che l’élite alla Jacques Attali è incapace di realizzare da oltre un decennio.
Come dire: risentiremo parlare della Le Pen e di Mélenchon.
di Marcello Foa – 07/05/2017 Fonte: Marcello Foa