Trovate armi della NATO e della Turchia nei depositi abbandonati dall’ISIS

Armi-NATO-in-Siria-3Armi della NATO nei depositi dell’ISIS
I terroristi dell’ISIS (Daesh in arabo) in Siria combattono con le armi ricevute dalla Turchia e dalla NATO, questo lo dimostrano (fra l’altro) le armi confiscate a questa banda nel nord della Siria.
Nell’ambito delle grandi avanzate fatte dalle forze siriane e curde nella provincia Nord di Al-Raqqa, le Forze Democratiche della Siria (FDS), formazioni Curde, hanno potuto confiscare grandi quantità di armi dell’ISIS.
Secondo le immagini diffuse su questo sequestro, tutte le armi e le munizioni, confiscate nelle regioni attigue alla centrale idroelettrica della riferita città, risultano di fabbricazione turca e di proprietà della NATO.
Tra gli armamenti si evidenziano i missili anticarro M72 LAW, di uso abituale da parte dei terroristi dell’ISIS prodotti dalla ditta turca MKEK (sigla in turco del produttore).
Gli armamenti confiscati includono, tra gli altri, un mortaio da 120 mm. e la sua base, un Kalashnikov e quattro casse di proiettili, un lanciamissili multiplo Katyusha, due archi di mortaio e vari proiettili di mortaio, 100 componenti di mortaio e di obici , una rampa di mortaio da 82 mm., un sacco di proiettili BCK, due radio digitali Hytera, una cassa da 27 mm. DHSK, 20 cartucce da mortaio da 120 mm., 26 cartucce da mortaio da 60 mm. e un sacco di capsule da mortaio.
Armi della NATO trasportate dalla Turchia in Siria
Allo stesso modo, le forze curde hanno potuto sequestrare veicoli blindati di fabbricazione USA come Humvee, un veicolo militare Reo e un camion pick -up di marca Ford, tutti inviati dal territorio turco.
Con riferimento ad equipaggiamenti accessori, aggiungono le fonti, sono stati confiscati una videocamera di marca Sony, un notebook portatile , un telefono ed alcuni documenti della banda terrorista.
Tutto l’equipaggiamento, secondo le fonti locali, risulta di fabbricazione turca o made in USA, e tutto con sigle identificative della NATO che si presume sia arrivato nelle mani dei terroristi attraverso la Turchia.
Con il fine di rovesciare il Governo del presidente siriano, Bashar al-Assad, controllare i movimenti dei curdi vicino le sue frontiere, e sotto il pretesto di combattere contro il terrorismo, la Turchia ha fatto l’impossibile per ravvivare le fiamme del conflitto nel paese arabo.
 
Rispetto a questo, la Turchia ha favorito, tra le altre misure , l’invio in Siria di elementi armati, mercenari jihadisti, terroristi, come nello stesso tempo ha fornito a queste bande armamenti ed aiuti di vario genere.
 
Nota:  Questo sequestro di armi trovate nei magazzini dei terroristi è soltanto uno dei tanti effettuati dalle forze curde, dall’Esercito siriano e da Hezbollah, in cui vengono sempre ritrovate armi di fabbricazione USA e con codici identificativi della NATO. Non rappresenta quindi una novità ma una ulteriore conferma che i terroristi dell’ISIS, nonostante le dichiarazioni ufficiali dei Governi, ricevono rifornimenti ed appoggio dalle potenze (USA, Arabia Saudita e Turchia) interessate a rovesciare il Governo di Damasco e smembrare il paese.
D’altra parte ci sono le dichiarazioni di alcuni degli stessi esponenti dell’establishment USA che confermano di questo appoggio fatto dai servizi di intelligence USA o direttamente dall’Esercito turco.
Il doppio gioco sul conflitto in Siria da parte di Washington ed Ankara continua, al di fuori delle apparenze. I gruppi terroristi islamici sono stati utilizzati, con tutta evidenza, per destabilizzare la Siria e favorire gli interessi delle grandi potenze. Questo dovrebbe far aprire gli occhi a coloro che che hanno creduto a tutte le falsificazioni della propaganda occidentale su questo conflitto che dura da oltre sei anni.
Mag 04, 2017  Fonte: Hispan Tv Traduzione e nota : L. Lago

Cosa dite, gli accoglienti svedesi adesso avranno capito che non è la Russia il nemico alle porte ?

Stoccolma1per vedere le numerose foto collegate all’articolo linkare la fonte in fondo
 

Al netto di una situazione in Siria ridimensionata nell’aspetto meramente bellico dell’attacco dell’altro giorno (un Tomahawk costa 1,81 milioni di dollari, mandarne a bersaglio 23 su 59 non pare un risultato dei più brillanti) ma non in quello politico tra USA e Russia, tutto da valutare in base alle prossime mosse (la CNN ha sentenziato che “l’altra notte Donald Trump è diventato davvero presidente” e il Senato americano si è detto certo di avere le prove del coinvolgimento russo nell’attacco chimico, vedremo se come al solito solo a parole), la giornata di venerdì ci ha regalato un’altra perla: ovvero, lo stupore generale nel constatare che il paradiso del multiculturalismo non sia affatto esente da attentati d matrice estremista.
Insomma, la Svezia felix tanto felix non è. Certamente nessuno dei frequentatori di questo blog è stato colto di sorpresa, visto che mi sono scordato il numero di articoli che ho dedicato alla Svezia e alla devastante situazione di degrado sociale creata da decenni di accoglienza senza limiti e welfare a pioggia. Basta mettere in fila qualche dato, d’altronde. E’ stato accolto dall’aperta società svedese Fuad Mohammed Khalad, somalo divenuto capo degli estremisti di Al-Shabaab, così come il capo di Al Qaeda in Iraq: di più, il Paese scandinavo è terzo per numero di foreign fighters in relazione al numero di musulmani residenti, dopo Belgio e Danimarca. E nonostante il governo lo neghi, le forze dell’ordine hanno stilato una lista di cosiddette “no-go areas”, zone in cui la polizia di fatto non entra, se non in casi di conclamata emergenza e in numero massiccio, ovviamente con assetto anti-sommossa: si trovano soprattutto nelle periferie delle grandi aree urbane, Malmoe in testa.
Insomma, il lassismo ha generato un microclima perfetto non solo per l’estremismo islamista ma anche per la creazione di ghetti dove la legge che impera è quella delle gang legate allo spaccio: nemmeno a dirlo, la gran parte dei membri è straniero di seconda o terza generazione.
E’ il caso di Rinkeby, sobborgo proprio di Stoccolma di cui vi ho già parlato in passato e balzata agli onori delle cronache lo scorso anno, quando la troupe del programma “60 minutes” svelò al mondo la quotidianità di questo quartiere composto all’80% da stranieri di prima, seconda e terza generazione, la gran parte dei quali somali dediti ad attività criminali, tanto che in gergo la zona è conosciuta come “piccola Mogadiscio”. Diciamo che l’accoglienza per i giornalisti USA non fu delle migliori.
Nel 2014, tanto per capire l’andazzo, la stazione di polizia del quartiere fu chiusa: il motivo? Essendo stata costruita per servire una comunità svedese, ovvero dedita principalmente a far attraversare la strada ad anziane signore o ritrovare cani smarriti, con gli anni era diventata non solo insicura per i poliziotti ma, addirittura, oggetto di attacchi continui al pari di un fortino assediato dagli indiani: ogni fine settimana, specialmente d’estate, auto in fiamme e pietre e molotov contro la stazione. E nonostante le negazioni formali dell’emergenza da parte delle autorità, il fatto che la situazione a Rinkeby sia fuori controllo lo dimostra questo,
il rendering della nuova stazione di polizia, la quale sarà pronta nel 2019 e costerà 40 milioni di dollari, oltre a un affitto annuale di 1,6 milioni. Le particolarità? Vetri anti-proiettile ovunque, filo elettrificato a protezione, mura e infissi rinforzati e lo status di “luogo a protezione speciale, il che significa che tirare un sasso costa automaticamente un anno di carcere.
Ma non basta: al suo interno lavoreranno 250 persone per una comunità di 15mila, di fatto una ratio di un poliziotto ogni 60 residenti. A Chicago quella ratio è di 270 a 1. Ma tranquilli, non c’è alcuna emergenza legata al degrado e alla criminalità nei quartier svedesi a maggioranza straniera: sono invenzioni, sono solo fake news dei blog populisti come questo.
Insomma, nessuna sorpresa per quanto accaduto nel centro pedonale di Stoccolma. Questo però non vuol dire che non ci siano i soliti dubbi al riguardo, perché il timing appare davvero sospetto. Ammetterete che per riuscire a depotenziare una notizia come quella dell’attacco USA in Siria ce ne volesse ma, alla fine, il risultato è stato ottenuto. Direte voi: se anche si trattasse di un’azione organizzata da qualche centrale del disordine per alzare una cortina fumogena, i tempi per organizzarla sarebbero stati davvero da record. Organizzare cosa? A Nizza, il depresso tossico aveva fatto più di un sopralluogo, aveva rubato il camion usato per la strage e si era creato una via di fuga. A Berlino, stando alla versione ufficiale, Amis Amri aveva preso in ostaggio il camionista polacco da ore, potendo contare su un mezzo con il quale compiere l’azione non appena giunto nella capitale tedesca. Lo stesso per l’attacco con il suv a Westminster due settimane fa, preso diligentemente a noleggio a Birmingham.
 
A Stoccolma il camion è stato rubato “in corsa”, mentre consegnava la birra in un ristorante: insomma, il presunto jihadista, di cui si sono perse ovviamente le tracce, ha atteso che l’autista scendesse per scaricare, è salito sul mezzo e ha dato vita all’operazione. Un po’ campato per aria, come piano: quante ore avrebbe potuto dover attendere, magari invano?
 
C’è poi l’uomo con la felpa grigia e il giubbotto verde, di cui la polizia svedese ha diramato la foto identificativa, premurandosi di dire che non lo riteneva responsabile dell’atto ma voleva parlargli perché, forse, in grado di identificare l’autore: anche qui, diciamo che siamo nel solco investigativo di “Scuola di polizia”. Poi, la svolta: l’uomo è un uzbeko di 39 anni ed è stato fermato, potrebbe essere lui l’attentatore. A suo carico, abiti sporchi di detriti e fuliggine e un “like” messo alla foto dell’attentato alla maratona di Boston (un amante del vintage). Infine, sarebbe saltata fuori anche una bomba artigianale. Per ora, nessun documento d’identità dimenticato nel camion. Insomma, poco lineare l’insieme ma resta un dato di fondo: se fai entrare chiunque, poi è difficile sapere chi ti sei messo in casa. E controllarlo.
Comunque sia, l’effetto panico è stato raggiunto, proprio in quella Svezia che a metà febbraio scorso Donald Trump descrisse come vittima di un attentato legato all’islamismo estremista, facendo andare su tutte le furie il governo di Stoccolma, il quale chiese delle spiegazioni e delle scuse. All’epoca, l’entourage del presidente disse che il tycoon si era confuso, avendo visto recentemente in televisione un servizio dedicato a un attacco compiuto a Sehwan, in Pakistan, dove rimasero uccise 85 persone. Insomma, Sehwan e Sweden suonano più o meno uguali, non vi pare? A voler pensar male, un’altra ipotesi – altrettanto originale, magari – salta fuori. Soprattutto se uno, invece che un telegiornale, guarda un memorandum. Si scherza, ovviamente.
Ma la questione a mio avviso più inquietante è un’altra, perché non più tardi dello scorso inizio di marzo la Svezia aveva tracciato con chiarezza le sue priorità in materia di sicurezza, dimostrando grande risolutezza da parte del governo. Per la prima volta dopo la fine della Guerra Fredda, infatti, la pacifica e neutrale Svezia reintroduceva il servizio militare obbligatorio, abolito sette anni fa. E, in onore del mantra del gender, lo stesso servizio militare riguarderà sia donne che uomini: per il governo di sinistra a guida socialdemocratica del premier Stefan Loefvén, tutti i cittadini nati dal 1999 in poi saranno chiamati a prestare servizio nelle forze armate. Preveggenza per quanto accaduto ieri? No, la ragione della decisione è spiegata chiaramente dai portavoce governativi: la Russia di Putin fa paura.
Ecco come raccontava la decisione “Repubblica”: “Continue violazioni delle acque territoriali da parte di sottomarini-spia della Voyenno-Morskoj Flot, frequenti sconfinamenti di caccia e persino di bombardieri atomici della Voyenno-Vozhdushnye Silij Rossii, fino a grandi aerei strategici vettori di armi nucleari che a transponder spento si mettono a volare sulla rotta d’atterraggio di Arlanda (il più grande dei 4 aeroporti della capitale svedese) con rischi di collisioni e stragi nei cieli. E ancora: propaganda ostile, fake news, spionaggio, cyberwar. Alla fine, Stoccolma ha deciso di reagire. In corsa”. Me cojoni, come dicono a Goteborg.
 
Ma non basta. “Allo stesso tempo, il governo rossoverde è pronto ad accogliere subito l’appello urgente dello stato maggiore interforze delle forze armate reali per un rapido, consistente aumento delle spese militari. Per dotare le forze svedesi – modernissime ma puramente difensive – di più armi dell’ultima generazione: i supercaccia Saab JAS 39 Gripen continuamente aggiornati, i nuovi sottomarini invisibili che Saab-cantieri sta sviluppando in corsa, e carri armati pesanti: la versione già in servizio prodotta su licenza e migliorata dai tecnici svedesi del Lopard 2 tedesco è ritenuta un’arma che forse è nel campo dei tank quanto di meglio il mondo libero schieri in risposta al temibilissimo T-14 Armata, il più nuovo panzer delle forze della federazione russa”. Me cojoni bis, siamo alle prove generali di scontro. Ora, al netto che Mosca potrebbe invadere il Baltico e la Scandinavia in due giorni, se davvero volesse, vi pare che con la situazione interna della Svezia, la priorità assoluta sia la deterrenza verso la Russia di Putin? A quanto pare sì, perché queste fotografie ci dimostrano come la russofobia sia diventata ormai patologica in Svezia, tanto i 65mila bunker anti-atomici costruiti durante la Guerra Fredda stanno subendo in questi giorni lavori di manutenzione e miglioramento, il tutto in caso di invasione russa del Paese.
Già oggi, i rifugi proteggono da esplosioni, radiazioni e agenti chimici ma le esercitazioni militari russe sul confine hanno spinto le autorità a farli ulteriormente migliorare, rendendoli soprattutto immediatamente pronti all’uso. Di fatto la Svezia, una nazione di 9,5 persone, riattiva la leva obbligatoria e fa revisionare in fretta e furia i bunker anti-atomici per timore di Mosca. Delle due, l’una: o il rischio è imminente come ci dice l’operazione sui rifugi o è di medio termine, come suggerirebbe la mossa del servizio militare, visto che non si addestra la gente nell’arco di due settimane. Soprattutto per fronteggiare l’esercito russo. Tant’è, il governo svedese aveva trovato un nemico da additare alla popolazione e un motivo per espandere il budget difensivo, nonostante lo status di neutralità. Che dite, dopo ieri gli svedesi avranno rivisto le loro priorità in fatto di sicurezza? E, cosa più importante, sapranno rispondere come si deve ai loro governanti, quando torneranno alle urne il prossimo anno?
Mauro Bottarelli – 08/04/2017 Fonte: Rischio Calcolato

Guerra NATO in Sicilia

Exercise Dynamic Manta 15

Exercise Dynamic Manta 15

meglio tenersi pronti sia mai che in Europa tornino i fascismi/populismi al potere…meno male che i liberatori non ci abbandonano e proteggano la troika.


 
Il belpaese? Ridotto dallo zio Sam ad una colonia bellica a stelle e strisce, da cui far decollare la guerra contro mezzo mondo. I codardi italidioti ingrassano, ma a ribellarsi è soltanto l’Etna con le sue recenti eruzioni. Mentre i politicanti – inclusi gli onorevoli grullini volati in gita turistica al Muos di Niscemi  – si trastullano ben pagati dai fessi dei contribuenti, l’alleanza atlantica sta svolgendo l’ennesima prova di guerra nel Mediterraneo di casa nostra.
Ecco il comunicato stampa numero 18 emesso dalla Marina Militare italiana:
«L’esercitazione NATO “DYNAMIC MANTA 2017 (DYMA 17)” si svolgerà al largo delle coste siciliane, dal 13 al 24 marzo, con mezzi aeronavali ed equipaggi provenienti da 10 Paesi Alleati, riuniti nel Mediterraneo Centrale per un addestramento alla lotta anti sommergibile e alla lotta contro i mezzi di superficie. I sommergibili provenienti da Francia, Grecia, Italia, Spagna, Turchia e Stati Uniti, sono sotto il controllo del Comando Sommergibili NATO (COMSUBNATO) e opereranno con 10 navi militari di Francia, Grecia, Inghilterra, Italia, Spagna, Turchia e Stati Uniti. L’Italia, oltre a partecipare con il cacciatorpediniere  Luigi Durand De La Penne, il sommergibile Pietro Venuti, e un elicottero SH90 della Marina Militare, fornirà supporto logistico attraverso il Comando Marittimo della Sicilia, la Base Navale di Augusta e la Base Aerea di Sigonella.
La DYNAMIC MANTA 17 rappresenta la principale esercitazione della NATO nel Mediterraneo, dedicata all’addestramento anti sommergibile con l’obiettivo di affinare capacità e tecniche dei sommergibili e delle navi dell’Alleanza Atlantica.
 
Scenari realistici ed eventi con difficoltà crescente caratterizzeranno i temi addestrativi per incrementare la capacità di combattimento in contesti operativi multinazionali. Le navi in addestramento saranno supportate da 14 aerei da pattugliamento marittimo ed elicotteri di Canada, Francia, Germania, Inghilterra, Italia, Norvegia, Spagna, Turchia e Stati Uniti che opereranno dalla base di Sigonella e da bordo delle navi. Il numero di nazioni partecipanti all’esercitazione di quest’anno, è una dimostrazione dell’impegno della NATO per la sicurezza marittima, in particolare, per lo sviluppo di capacità nella lotta anti sommergibile».
La base navale di Augusta e quella aerea di Sigonella (dove c’è un arsenale nucleare USA in violazione del trattato di non proliferazione (TNP) – come di consueto, forniranno il supporto logistico alle complesse manovre in mare delle forze armate d’Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Grecia, Turchia, Germania, Usa, Norvegia e Canada. L’obbiettivo di capacità di combattimento in contesti multinazionali, attraverso una simulazione di “caccia” tra sommergibili che si alterneranno nei ruoli di “cacciatore” e “cacciato”, con il supporto di navi, elicotteri e aerei da pattugliamento.
Tra le unità navali impiegate, a preoccupare maggiormente è la presenza di sottomarini a propulsione nucleare, già partecipanti all’edizione dello scorso anno. Per l’ipotesi d’incidente atomico, infatti, manca ad oggi un piano di emergenza esterna – aggiornato e accessibile al pubblico – nonostante il porto di Augusta sia periodicamente interessato dal transito e dalla sosta del naviglio nucleare di Stati Uniti e altri Paesi Nato.
 
La notizia è stata confermata indirettamente, nel mese di gennaio, dalla stessa prefettura di Siracusa che, in risposta alla richiesta di alcuni attivisti, aveva negato l’accesso al piano d’emergenza attualmente in vigore, proprio perché «in fase d’aggiornamento». E ciò malgrado le informazioni sul rischio nucleare, in base alla legge, «devono essere fornite alle popolazioni interessate senza che le stesse ne debbano fare richiesta», rimanendo «accessibili al pubblico, sia in condizioni normali, sia in fase di preallarme o di emergenza radiologica» (Decreto legislativo 230/95).
Regole che, ad Augusta come nei restanti porti militari e nucleari italiani, da sempre rimangono lettera morta. E questo, già da solo, offre la misura dei pericoli a cui sono esposti i territori a causa della militarizzazione e delle operazioni di guerra che vedono tristemente protagonista la Sicilia e il Mediterraneo.
In questo quadro s’iscrive anche la Dynamic Manta, che però non sarà l’unico war game previsto, per questo mese, a largo delle coste siciliane. Difatti, quasi del tutto in contemporanea all’esercitazione Nato, le forze speciali statunitensi (Special Forces Group USA) saranno impegnate in esercitazioni di tiro a fuoco presso il poligono marittimo di “Pachino Target Range E321”. Una serie composta di 5 sessioni d’addestramento, partita il 20 febbraio per concludersi il 22 marzo, che sta provocando l’interdizione assoluta della relativa zona di mare «alla navigazione, alla sosta, alla pesca e ai mestieri affini», come da apposita ordinanza della Capitaneria di Porto di Siracusa. Compresa tra Punta delle Formiche e Punta Castellazzo, all’estremo sud della Sicilia orientale, quella coinvolta è un’incantevole area naturalistica, marina e terrestre, da tempo asservita alle periodiche e intense prove belliche della Nato e dei marines, anche tramite l’utilizzo dei famigerati droni (micidiali aerei senza pilota) ospitati a Sigonella. Così, mentre per uomini, donne e minori migranti il Mediterraneo è frontiera da sfidare per la sopravvivenza, gli eserciti Usa-Nato stanno trasformando questo stesso specchio d’acqua in un laboratorio di guerra permanente, che si affianca al ruolo operativo assunto dalla Sicilia come piattaforma offensiva proiettata nei teatri bellici africani, mediorientali e asiatici.
 
Un ruolo, quest’ultimo, aggravato dalla recente conferma del dissequestro del Muos di Niscemi da parte della Cassazione, mentre è in programma l’allargamento della base dei droni-killer di Sigonella  Le continue esercitazioni militari nell’Isola, oltre a danneggiare l’ambiente e a iniettare nei territori una sub-cultura militarista di violenza e prevaricazione, bruciano ingenti risorse economiche sottratte alla scuola, alla cultura, alla sanità, al risanamento e alla messa in sicurezza dei territori. Gli stessi settori colpiti dai continui tagli prodotti dalle politiche di austerità imposte dall’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale.
riferimenti:
Gianni Lannes, Italia, Usa e getta, Arianna editrice, Bologna, 2014.
di Gianni Lannes – 20/03/2017  Fonte: Gianni Lannes

La malsana ossessione della NATO contro la Russia

Malsana-obsesione-de-la-Russia-en-OTANSchieramento di truppe NATO in Lituania
La 53a Conferenza dulla Sicurezza di Monaco (SIKO) ha ottenuto di calmare i nervi dei disperati governanti di 28 paesi membri della NATO.
Non odora di vecchio  l’Europa. Odora di doppia umanità. quella che assassina e quella che è assassinata” diceva Jaun Gelman (1930-2014), poeta argentino.
Gli alti comandanti della NATO si sono tranquillizzati dopo che i rappresentanti degli USA hanno ribadito che l’organizzazione continua ad essere fondamentale per il Nord America e “non è obsoleta”, tale e come la aveva descritta in Gennaio scorso il presidente statunitense , Donald Trump.
Questa affermazione sta facilitando gli atlantisti europei nel continuare a vivere il loro stato di letargo, dove i pericoli reali sono sostituiti dalle sfide inventate e il cui protagonista principale è l’”orso russo”.
Il vicepresidente USA Mike Pence, ha assicurato ai più di 100 delegati che assistevano all’evento che “il suo paese continua ad essere il miglior alleato dell’Europa e che appoggia con fermezza la NATO”. Pence ha anche promesso nel suo discorso prnunciato lo scorso 18 Febbraio, nel secondo giorno di riunione, che “gli USA esigeranno responsabilità alla Russia e continueranno a chiedere conto a Mosca per la guerra in Ucraina e per l’incorporazone della Crimea nella Federazione Russa”.
Il nuovo segretario alla Difesa dell’Amministrazione Trump, il generale James Mattis, ha ribadito successivamente nella sede dell’ONU di Bruxelles che l’Alleanza è cresciuta, dopo la disintegrazione dell’URSS, incorporando tutti i paesi dello scomparso Patto di Varsavia (1955-1991), ed anche l’Estonia, Lettonia e Lituania – le tre repubbliche che appartenevano alla dissolta URSS- . Nel corso del suo viaggio in Europa, il generale Mattis ha confermato anche lui che gli USA continueranno la loro politica verso la Russia da una posizione di forza. Lo stesso ha dato ad intendere che in realtà niente era cambiato nella relazione di Washington con Mosca, dopo l’arrivo di Trump alla Casa Bianca e che il lascito di Obama di una nuova Guerra Fredda continua ad essere latente.
In una recente riunione del presidente russo con i membri del Servizio Federale di Sicurezza (FSB ), Vlady Putin ha segnalato che i paesi occidentali stanno cercando instancabilmente  di provocare uno scontro del paese slavo con la NATO.
Già nel Luglio del 2016, durante il foro della SIKO a Monaco, la Russia fu riconosciuta per la prima volta dal 1989 come il “principale pericolo” per l’Alleanza. La nuova missione della NATO consiste nel rinforzare la politica di contenzione dell”Orso Russo”. Apparentemente sotto questo proposito, la NATO sta facendo tutto il possibile per la sua espansione e cerca di stringere un cerchio intorno alla Russia, schierando armi convenzionali e strategiche nei paesi alla sua frontiera.
 
Attualmente i marines USA si trovano nella base di Vaernes, in Norvegia. La Finlandia, che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale stava applicando una politica estera neutrale, anche questa è stata contagiata dall’isteria antirussa, creata originariamente negli Stati Uniti, ed ha accettato la presenza di aerei nordamericani F-15 nella sua base di Kuopio.
 
Il ministro delle relazioni estere della Polonia, Witold Waszczykowski, ha annunciato da poco che 10.000 soldati della NATO, in maggioranza statunitensi, saranno stanziati in Polonia per non permettere una “aggressione russa”.
A sua volta, un battaglione canadese sarà stanziato in Lettonia, un altro del Regno Unito sarà in Estonia e le truppe tedesche si posizioneranno in Lituania, nella sua frontiera terrestre con la Russia. Questo per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale.
 
Così la NATO ha incorporato nella sua dottrina la vecchia consegna del regime nazista ‘Drang Nach Osten’ (spingi ad Est), basata sulla tradizionale ambizione tedesca di ottenere nuovi territori nell’Europa Orientale e, in specie, in Russia.
Come  ha annunciato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, l’organismo ha deciso di aumentare la sua presenza navale nel Mar Nero per la difesa dell’Ucraina e per rinforzare la sicurezza nazionale dei paesi membri dell’Alleanza. A questo si deve aggiungere anche il sogno delle elite di Giorgia e Ucraina di poter diventare anche essi membri della NATO.
Starà preparandosi realmente la NATO per altre guerre e a cosa sta aspirando l’Occidente per il futuro? Sono domande difficili a cui rispondere. Esiste soltanto un paese dei 28 membri dell’alleanza che decide tutto questo ed il resto dei paesi che, semplicemente eseguono gli ordini. Questo paese sono gli USA.
Come ben ha spiegato a Bruxelles il generale Mattis, l’unico comando della NATO, con anche il suo quartier Generale, si trova negli USA ed è il Comandante supremo alleato della Trasformazione (SACT), quello che è responsabile del Comitato Militare. Questo organismo è la massima autorità militare dell’Alleanza , quella che prende le decisioni finali.
 
A tre anni di distanza, i giornalisti domandarono all’ex alto rappresentante dell’Unione per gli Esteri e le Politiche di Sicurezza della Unione Europea, Javier Solana, circa i progetti della UE di fronte al futuro, a cui Solana rispose nettamente: “L’Occidente non sa quale mondo vuole per le prossime decadi”.
In realtà la visione del presente e del futuro della dirigenza attuale di Bruxelles dipende semplicemente e pienamente dai progetti di Washington per le prossime decadi e, in questo contesto , il Libro Bianco del Dipartimento di Difesa degli USA è un documento guida per la NATO e per l’Unione Europea.
Se la NATO non è obsoleta e si sta preparando per fare altre guerre, bisognerebbe analizzare la sua capacità bellica reale. Per iniziare, tanto lo stesso presidente Trump ,come il suo vicepresidente, Mike Pence, oltre al segretario della Difesa, James Mattis, hanno fatto ricordare agli alleati che, senza aumentare le spese della difesa fino al 2% del PIL, il potere militare della Alleaza continuerebbe a dipendere dagli USA.
Attualmente, il Nordamerica sta pagando il 72% del budget della NATO (664.058 milioni di dollari) mentre che il resto degli alleati stanno apportando 254.200 milioni di dollari. In generale  gli USA spendono in difesa il 3,6% del PIL (ufficialmente)  in contrasto con la Germania (1,19%) e gli altri membri che sono tutti fra l’ 1 ed 1,78% del PIL.
 
Adesso, in termini militari, la potenza principale in Europa è la Germania. Senza dubbio, nel verificare gli ultimi dati del The Military Balance, pubblicato dal The International Institute of Strategic Studies (IISS), ci troviamo con la sorpresa che la Germania ha smesso di produrre carri armati dagli anni ’90, ed il carro armato più moderno ha per lo meno 26 anni. In totale, il paese dispone di 306 carri e tutti antiquati. In accordo con il Dipartimento della Difesa della Germania, le sue Forze aeree dispongono di 93 bombardieri Renavia Tornado acquistati negli anni ’70, dei quali solo 29 sono pronti per il combattimento. La loro artiglieria e la loro difesa aerea si trovano anche queste in una situazione deplorevole. Le Forze Armate tedesche hanno subito tagli dai 100.000 effettivi nel 1990 ai 28.000 nel 2017.
 
Lo stesso sta accadendo con gli altri paesi della NATO, includendo gli USA. La produzione di aerei da combattimento F-22, che era stato presentato come un miracolo del secolo XXI, e in cui non volevano volare i piloti statunitensi, era stata cancellata. Il loro nuovo caccia F-35, che già è costato più di un bilione di dollari , ha seri problemi. I loro carri Abrams datano agli anni ’90, e il blindato più nuovo era stato prodotto nel 1991. Il costo del nuovo distruttore invisibile DDG-1000 classe Zumwalt, ha in dotazione un cannoncino elettromagnetico, che  supera il costo di 3.000 milioni di dollari. Questo distruttore già si è trasformato nella barzelletta dei militari cinesi. Poco tempo fa, l’ammiraglio Zhang Zhaozhon ha dichiarato che questa nave potrebbe essere mandata a picco da alcune navi da pesca caricate di esplosivo.
Tutti questi dati indicano che la NATO si prenderà più di una decade per prepararsi ad una guerra e che necessiterà enormi risorse finanziarie che non possiede nessuno dei loro membri, incluso il NordAmerica.(Per quanto gli USA hanno possibilità esclusiva  di stampare migliaia di milioni di dollari per sostenere il costo della militarizzazione).
Bisogna anche tenere in conto che, in questo periodo di informazione virtuale, è molto difficile ingannare l’opinione pubblica, che ogni giorno sfiducia la abituale retorica antirussa, le cui parole d’ordine vengono dai media globalizzati statunitensi e ripetuti dopo dai loro colleghi europei.
L’analista tedesco Uli Gellermann ha sottolineato che “i media tedeschi sono contenti di creare notizie inesistenti per presentarle come “notizie false” create dalla Russia, per poi creare le loro “notizie false”.
 
Tale è la situazione che perfino negli USA, l’agenzia di inchieste Gallup, ha rilevato che la fiducia dei nordamericani nei media si trova molto bassa, dal 72% nel 1976 al 32% nel 2016. Inoltre l’isitituto Gallup ha certificato in una inchiesta che gli abitanti di Grecia, Turquía, Bulgaria y Eslovenia, in caso di conflitto, preferirebbero vedere la Russia come un paese protettore.
Allora la possibile guerra contro l’”aggresione Russa”, di cui tanto si discute nella NATO, è pura retorica ideologica dei globalizzatori, che hanno paura di dover subire la dissoluzione dell’Alleanza Atlantica e con quello, la fine dell’egemonia nordamericana in Europa.
Fonte: Sputnik Mundo – di  Vicky Peláez Mar 04, 2017
Traduzione: Juan Manuel De Silva

Il principe, la Cia e il terrorismo

clinton saudiDue giorni fa, il neo-nominato direttore della Cia, Mike Pompeo, già diplomato all’accademia militare di West Point, industriale dell’aerospazio e rappresentante repubblicano per lo Stato del Kansas, è volato fino in Arabia Saudita per consegnare a Mohammed bin Naief, principe ereditario del regno saudita e ministro degli Interni, una medaglia quale riconoscimento per il lavoro svolto contro il terrorismo e per la pace e la stabilità internazionale.
È più che probabile che il riconoscimento al principe sia stato deciso dalla precedente amministrazione, quella Obama-Kerry, e che l’amministrazione entrante, quella Trump-Tillerson (il nuovo segretario di Stato), non abbia potuto e/o voluto annullarlo. Comunque sia, è un bruttissimo segno. Perché il principe Mohammed bin Naief non solo non è impegnato contro il terrorismo e per la pace ma, al contrario, è uno dei principali promotori del terrorismo e della guerra, come ben sanno non solo tutti i politici ma anche tutti coloro che si occupano di questi temi con un minimo di serietà.
Trump, Tillerson e Pompeo sono nuovi nei rispettivi incarichi ma il principe no. E in ogni caso, questi sono andati al potere promettendo di seguire nella lotta contro l’Isis una linea ben diversa da quella dei loro predecessori. Il duo Obama-Clinton aveva perfetta coscienza dei traffici dell’Arabia Saudita con il terrorismo, tanto che la Clinton il 30 dicembre 2009 già scriveva (in una delle mail poi rivelate da WikiLeaks nel 2010) che “l’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici… è una sfida senza fine convincere le autorità saudite ad affrontare il finanziamento ai terroristi che nasce nel loro Paese” (documento che WikiLeaks ha catalogato con il numero 131801).
Con la tipica ambiguità dell’era Obama, pochi mesi dopo la redazione di quel documento, la Casa Bianca autorizzò la vendita all’Arabia Saudita di una fornitura di armi di ogni genere per un valore di 62 miliardi di dollari. Ma anche durante la campagna elettorale per la presidenza, nel 2016, la Clinton e suoi continuarono a discutere del ruolo dell’Arabia Saudita nel sostegno al terrorismo. Tanto che nel rispondere a una delle mail di John Podesta (capo della sua campagna), la Clinton scriveva: “…Dobbiamo tornare ai nostri piani per fornire equipaggiamenti all’Esercito libero siriano e ad altri gruppi di ribelli moderati…e mentre questa operazione militare procede dobbiamo usare i nostri strumenti diplomatici e quelli tradizionali di intelligence per premere sui Governi di Arabia Saudita e Qatar che continuano a fornire aiuti finanziari e logistici clandestini all’Isis e ad altri gruppi radicali sunniti” (si veda l’originale in questo sito).
Non c’è quindi alcun dubbio sul fatto che il principe saudita (e ministro dell’Interno) Mohammed bin Naief (lo stesso che nel marzo 2016 ebbe da Francois Hollande la Legion d’Onore, con relative polemiche) sia un sostenitore del terrorismo stragista dell’Isis. Trump lo sa e infatti per tutta la campagna elettorale ha criticato (giustamente) i legami, anche finanziari, tra la Clinton e gli ambienti che ruotano intorno alla casa reale saudita.
Quindi, delle due l’una. O Trump ha ereditato questa porcheria della medaglia al principe da Barack Obama e non ha potuto fare marcia indietro. Oppure è un’iniziativa sua, una porcheria sua. La sua politica non è diversa da quella di Obama e per il Medio Oriente si preparano tempi cupi come quelli del recente passato.
di Fulvio Scaglione – 12/02/2017
Fonte: Fulvio Scaglione

Obama, il mercante d’armi

la società civile moralmente superiore NON HA MAI “RIMPROVERATO” il premio nobel per la pace Obama per questo traffico, nessuno di questa società al caviale ha desiderato mollargli un pugno. Se i pacifisti non spendono tanto in armi si rischia “l’isolazionismo”….terribile non poter bombardare chi da fastidio all’impero vero?

Obama, il mercante d’armi
Quella di Barack Obama passerà alla storia come l’amministrazione americana che ha venduto più armi nel mondo e sopratutto ai Paesi in via di Sviluppo; niente male per un Presidente premio Nobel per la Pace (sulla fiducia), mito dei terzomondisti liberal e pacifisti. Dal 2008 al 2015 (in pratica durante i suoi due mandati), gli Usa hanno chiuso accordi per 200 miliardi di dollari, pari al 42% dell’intero ammontare del traffico di armi in questi paesi.
Il dato eclatante risulta da un recente studio pubblicato dal Congressional Research Obama trafficanteService, l’Istituto di Ricerca del Congresso americano. Secondo il report, gli accordi di trasferimento di armi nei Paesi in via di Sviluppo, hanno rappresentato più dell’80% di tutto il mercato delle armi globale; e l’America di Barack Obama è stata leader assoluta con una quota di mercato più del doppio di quella della “famigerata” e “guerrafondaia” Russia di Putin.
Non solo, ma se a quelli Usa si aggiungono gli accordi di Francia (51 bln $), Germania (19,5 bln $), Gran Bretagna (14 bln $), Italia (10 bln $) e altri paesi europei (53 bln $), si raggiunge la cifra di 357 miliardi di dollari di accordi di trasferimento armi nei Paesi in via di sviluppo; e la differenza con la Russia diventa superiore di quattro volte. Interessante notare che anche aggiungendo alla Russia, le vendite della Cina (le due nazioni che secondo la vulgata occidentale, mettono a rischio la pace nel mondo), non si raggiunge neppure la metà del controvalore del traffico d’armi generato dall’Occidente.
 
In altri parole i paesi Nato hanno inondato di armi di ogni tipo le aree più a rischio del pianeta.
Quando?
Secondo il rapporto, le scelte di trasferimento armi rispondono a precise necessità della politica estera americana e di tutela degli interessi nazionali di Washington.
Dalla fine della Seconda Guerra mondiale, la strategia Usa è stata quella di aiutare alleati e nazioni amiche ad affrontare le minacce alla sicurezza regionale.
Eppure colpisce il fatto che la maggiore quantità di vendita armi in Medio Oriente (76 miliardi di dollari) sia stata autorizzata da Obama nel biennio 2011-2012, quello per intenderci che ha generato le famose Primavere arabe, la guerra (ovviamente umanitaria) in Libia e quella civile in Siria; lo stesso biennio che ha preparato l’ascesa dell’Isis e la formazione del Califfato. In altre parole sembra che “la politica delle armi” di Obama non sia servita alla stabilizzazione regionale ma, al contrario, ad alimentare le crisi che oggi stiamo attraversando.
Dove?
Per l’America di Obama, l’area privilegiata per la vendita di armi è stato il Medio Oriente; qui, nella polveriera del mondo, gli Usa hanno chiuso oltre il 70% dei loro accordi complessivi.
Limitatamente all’ultimo triennio 2012-2015, la Russia detiene la principale fetta di mercato in Asia (76%), la Cina in Africa (22%), mentre l’America Latina riceve in prevalenza armi europee.
Chi?
L’Arabia Saudita è il paese acquirente che più di ogni altro ha chiuso accordi commerciali di armi al mondo per un valore complessivo di oltre 93 bln $; di questi, secondo la ricerca, circa 72 miliardi dagli Usa ed il restante dai paesi europei (Francia in testa). L’India il secondo con 34 miliardi.
Rimanendo nel Medio Oriente, gli altri Paesi maggiori acquirenti di armi sono stati Egitto (30 bln $), Iraq (29 bln $), Emirati Arabi (25,6 bln $) e Qatar (24 bln $).
Da notare che per l’Egitto dal 2012, anno della presa di potere di Al-Sisi, il Obama trafficante 2principale fornitore di armi è diventata la Russia; segno evidente di un cambiamento della politica estera di un paese che per decenni è stato il riferimento degli interessi Usa in Medio Oriente.
Focus 2015
Nel 2015, anno più recente preso in considerazione, gli Usa hanno chiuso accordi di vendita armi per 40 miliardi di dollari, pari al 50,2% dell’intero mercato mondiale; questo significa che più della metà del traffico di armi nel mondo è gestito dagli Stati Uniti.
Ma il dato più eclatante è che per la prima volta, al secondo posto tra i paesi fornitori di armi, non c’è la Russia (nonostante abbia leggermente aumentato il valore degli accordi commerciali) ma la Francia del socialista Hollande che ha raggiunto la cifra di 15 miliardi di dollari di armi vendute, a coprire quasi il 20% del mercato mondiale (nel 2014 era di 5,5 miliardi).
 
Limitatamente ai Paesi in via di Sviluppo, Usa e principali produttori europei (Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia) coprono quasi il 70% valore del traffico d’armi; la Russia il 17% e la Cina il 9%.
 
Nella relazione è specificato come “i principali fornitori dell’Europa occidentale, singolarmente, hanno migliorato la loro posizione competitiva nelle esportazioni di armi attraverso il forte sostegno marketing dei propri governi “; insomma appare chiara la natura della politica estera occidentale.
 
Probabilmente nel 2016 il volume trasferimenti complessivi di armi autorizzati dall’amministrazione Obama risulterà aumentare considerevolmente se verrà confermato lo sbalorditivo accordo di 115 miliardi di dollari siglato da Obama con il governo saudita. Armi, che ricordiamolo, sono utilizzate dalle monarchie del Golfo per condurre la criminale guerra nello Yemen in aperta violazione del diritto internazionale.
Chissà se nel discorso di commiato che Barack Obama si appresta a fare alla nazione americana, racconterà anche di questo suo merito: il Presidente che avrebbe dovuto proiettare il mondo verso una nuova era di pace e distensione internazionale è stato il maggior esportatore di armi (e guerre) nella storia americana.
Fonte: Gli Occhi Della Guerra gennaio 11 2017

L’eredità del democratico Barack Obama

Alla vigilia del passaggio di poteri alla Casa Bianca, il 2017 si apre con la strage terroristica in Turchia, due settimane dopo l’assassinio dell’ambasciatore russo ad Ankara, compiuto il giorno prima dell’incontro a Mosca tra Russia, Iran e TurchiaRisultati immagini per premio nobel pace Obama per un accordo politico sulla Siria. Incontro da cui erano esclusi gli Stati uniti. Impegnati, negli ultimi giorni dell’amministrazione Obama, a creare la massima tensione possibile con la Russia, accusata addirittura di aver sovvertito, con i suoi «maligni» hacker e agenti segreti, l’esito delle elezioni presidenziali che avrebbe dovuto vincere Hillary Clinton. Ciò avrebbe assicurato la prosecuzione della strategia neocon, di cui la Clinton è stata artefice durante l’amministrazione Obama.
 
Questa termina all’insegna del fallimento dei principali obiettivi strategici: la Russia, messa alle corde dalla nuova guerra fredda scatenata col putsch in Ucraina e dalle conseguenti sanzioni, ha colto Washington di sorpresa intervenendo militarmente a sostegno di Damasco.
Ciò ha impedito che lo Stato siriano fosse smantellato come quello libico e ha permesso alle forze governative di liberare vaste aree controllate per anni da Isis, Al Nusra e altri movimenti terroristici funzionali alla strategia Usa/Nato. Riforniti di armi, pagate con miliardi di dollari da Arabia Saudita e altre monarchie, attraverso una rete internazionale della Cia (documentata dal New York Times nel marzo 2013) che le faceva arrivare in Siria attraverso la Turchia, avamposto Nato nella regione.
 
Ora però, di fronte all’evidente fallimento dell’operazione, costata centinaia di migliaia di morti, Ankara se ne tira fuori aprendo un negoziato con l’intento di ricavarne il massimo vantaggio possibile. A tal fine ricuce i rapporti con Mosca, che erano giunti al punto di rottura, e prende le distanze da Washington.
 
Uno smacco per il presidente Obama. Questi, però, prima di passare il bastone di comando al neoeletto Trump, spara le ultime cartucce.
Nascosta nelle pieghe dell’autorizzazione della spesa militare 2017, firmata dal presidente, c’è la legge per «contrastare la disinformazione e propaganda straniere», attribuite in particolare a Russia e Cina, la quale conferisce ulteriori poteri alla tentacolare comunità di intelligence, formata da 17 agenzie federali.
Grazie anche a uno stanziamento di 19 miliardi di dollari per la «cybersicurezza», esse possono mettere a tacere qualsiasi fonte di «false notizie», a insindacabile giudizio di un apposito «Centro» coadiuvato da analisti, giornalisti e altri «esperti» reclutati all’estero. Diviene realtà l’orwelliano «Ministero della Verità» che, preannuncia il presidente del parlamento europeo Martin Schultz, dovrebbe essere istituito anche dalla Ue.
Escono potenziate dall’amministrazione Obama anche le forze speciali, che hanno esteso le loro operazioni coperte da 75 paesi nel 2010 a 135 nel 2015.
Nei suoi atti conclusivi l’amministrazione Obama ha ribadito il 15 dicembre il proprio appoggio a Kiev, di cui arma e addestra le forze, compresi i battaglioni neonazisti, per combattere i russi di Ucraina.
E il 20 dicembre, in funzione anti-russa, il Pentagono ha deciso la fornitura alla Polonia di missili da crociera a lungo raggio, con capacità penetranti anti-bunker, armabili anche di testate nucleari.
Del democratico Barack Obama, Premio Nobel per la pace, resta ai posteri il suo ultimo messaggio sullo Stato dell’Unione: «L’America è la più forte nazione sulla Terra. Spendiamo per il militare più di quanto spendono le successive otto nazioni combinate. Le nostre truppe costituiscono la migliore forza combattente nella storia del mondo».
di Manlio Dinucci – 03/01/2017
 
Fonte: Il Manifesto