MI FACCIO IL “GIORNO DELLA RIMEMBRANZA”—– IL GIORNO DELLA MEMORIA DEI VINCITORI, 365 GIORNI DELL’OBLIO DEI VINTI

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/02/mi-faccio-il-giorno-della-rimembranza.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 19 FEBBRAIO 2020

 

Un “Giorno della Rimembranza” per i vinti?

Il 27 gennaio ultimo scorso, data dell’arrivo dell’Armata Rossa ai cancelli di Auschwitz, si è celebrato, come ogni anno, con grandissima partecipazione di congiunti, sopravvissuti, media e autorità, il “Giorno della Memoria”. Il 10 febbraio, poi, ci si è accapigliati sul “Giorno del Ricordo”, quello delle Foibe, nelle quali un sacco di strabici, dal Quirinale in giù, vogliono vedere sepolte solo vittime di Tito fiumane o triestine. Infine, Il 14 febbraio i fidanzati, gli sposi ancora in buona, gli amanti ancora entusiasti, si sono fatti gli auguri e i pensierini di San Valentino. Per il “Giorno della Rimembranza” che qui, seduta stante, proclamo e inauguro, siccome sono solo e resteremo pochini, voglio rifarmi a San Valentino, interpretata come giornata di chi si vuole bene.

A sfida delle zanne dei morsicatori del pensiero non unico, anzi, controverso, dichiaro che, insieme all’Italia, della quale mi auguro la difesa dell’identità millenaria e il ricupero della sovranità popolare e nazionale, voglio molto bene alla Germania, per la quale formulo gli stessi auguri. E’ in massima parte a questo paese, vindice, insieme ad altre nazioni, della grande civiltà europea (tagliando via guerre e colonialismi), terra di pensatori senza uguali, esploratori dell’animo umano, terra di grandi foreste integre e di grandi fiumi andati a fare le vene d’Europa, che dedico il “Giorno della Rimembranza”. Se non altro perché è il giorno dei vinti e, di conseguenza, non se lo fila nessuno. E’ a dispetto di questo cielo di soli artificiali, che vanno sostituendo quello naturale e la sua giusta luce, che certe storie, certi crimini, certe sofferenze, vanno ricuperate, riscritte, scolpite nella Storia accanto a quelle accettate e consacrate. Non sempre a ragione. Con almeno uguale dignità. E i negazionisti, quelli che negano il diritto a studiare, rivedere e riscrivere la Storia, peste li colga.

Dresda, 13-14 febbraio 1945: al fondo dell’inferno

Il mio “Giorno della Rimembranza”, coincide – guarda il caso! – con le 48 ore, dal 13 al 14 febbraio 1945, in cui migliaia di carnefici in volo, della RAF e dell’USAAF, spediti da Churchill, hanno cancellato dalla faccia della Terra Dresda, il più prezioso gioiello barocco d’Europa. E poi anche Lipsia e Berlino e Amburgo e Monaco…. Forse questo mio “Giorno della Rimembranza” è balenato anche a quelli che recentemente in Germania Est, belli o brutti che fossero, non hanno votato come si converrebbe. Come sarebbe andata bene alle signore e ai signori del vero e del giusto, dei sacrosanti giorni della memoria e del ricordo, dalla Merkel alla Von der Leyen, da Macron a Mattarella, da Stoltenberg (NATO) al “manifesto”. E, dunque, senza nemmeno andare a vedere cosa dicono e cosa vogliono, e perché siano tanti e crescano, e per quali regioni detestino il governo che li ha annessi e colonizzati, questi depravati sono stati sotterrati sotto una slavina di “fascisti”, “neonazisti”, “razzisti”.

Germania Est, AFD, perché?

Manifestazione Alternative fuer Deutschland

Io mi riservo di studiare chi e perché stia vincendo elezioni in Germania Est, mentre ho già un’ideuzza del perché vadano scemando i voti operai e proletari di SPD e CDU, forze di un capitalismo cannibale nei confronti dei propri fratelli, anche se meno esplosivo e incendiario degli arei alleati. Forze predatrici che di una DDR, in cui nessuno aveva troppo e nessuno troppo poco, hanno distrutto, rubato, devastato tutto e quel che restava l’hanno portato via. Proprio come certi compari dall’URSS-Russia al tempo di Eltsin.

Amore, in tedesco Liebe

Detto questo per placare eventuali indignazioni, spiego perché alla Germania, ai tedeschi voglio bene. Non è questione di sangue. Miei avi paterni della Savoia e materni di origine francese ugonotta, poi trapiantati sul Reno, non c’entrano niente. C’entra che io, al tempo di Dresda immolata, insieme a centinaia di città, paesi, borghi, in Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, con una potenza di fuoco e di esplosivo ad altissimo potenziale, mai visto in nessuna guerra, da quelle parti c’ero. Piccolino, ma c’ero, vedevo, capivo. Mio padre era sotto le armi e fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’8 settembre. Il resto della famiglia, madre, sorella, io, era scampata nelle Alpi Bavaresi dai bombardamenti su Napoli. Anche per stare vicino a mio padre, detenuto a Wiesbaden. Ma gli italiani erano passati da mercenari di Hitler, a mercenari di Churchill e Roosevelt. Perdemmo lo stato di alleati e assumemmo quello di nemici. E fummo costretti al domicilio coatto, poi molto alleggerito. Mio padre fu rilasciato dopo nove mesi di agiata prigionia in un hotel di Wiesbaden e rimandato in Italia. Noi no.

Dresda come e più di Hiroshima

E’ il 75° anniversario dell’incenerimento di Dresda e di 250mila suoi abitanti. Adenauer, per non dispiacere ai vincitori ridusse quel numero a 35mila. Il FQ, oggi, addirittura a 10mila di meno. Per sicuro non s’è mai saputo. Ma la polizia dell’epoca e un documento dell’Amministrazione Comunale di qualche anno fa, calcolava le vittime tra i 250 e i 300mila. Ai 650milla “Dresdner” autoctoni s’erano aggiunti 1,5 milioni di profughi dall’Est. Presenze della Wehrmacht, o delle SS, zero. E gli stabilimenti industriali in periferia, indenni. Si trattava, a guerra quasi finita, come esattamente a Hiroshima e Nagasaki, di uccidere civili e distruggere storia e cultura. E, come con l’esibizione di orrenda potenza in Giappone, si trattava anche, in vista della Guerra Fredda, di intimidire i sovietici, largamente vincitori su gran parte della Germania, mentre gli alleati arrancavano ancora al di là del Reno. Lo stesso intento affidato oggi ai mercenari Isis a Palmira, Aleppo, Niniveh, Ur. Sradicare, obliterare nomi, identità, storia. Come con l’operazione migranti. Serve alla globalizzazione. Prima l’esplosivo ad alto potenziale, per distruggere i rifugi, da cui poi solo corpi carbonizzati. Poi, bombe incendiare a incenerire viventi e inscheletrire edifici. Di nuovo esplosivi e mitraglia sui soccorritori in arrivo.

La dichiarazione del 1992 dell’Amministrazione di Dresda

“Tedeschi da arrostire”

E non solo Dresda, la Firenze del Centroeuropa. Una città martire che è diventata il simbolo delle oltre 100 grandi e medie città tedesche polverizzate tra il 1941 e il 1945, più qualche decina di italiane. Si calcolano quasi 1,6 milioni di morti civili. Non ne è mai stato fatto il conto. Gli anglo americani, che arrivavano con 500-1000 bombardieri per volta, non avrebbero gradito farsi rinfacciare un olocausto. Anche perché la loro vendetta per le V2 su Coventry e Londra del’44, che poi, per quanto deprecabili come tutti i bombardamenti, erano operazioni di una guerra in pieno corso e non di pura punizione a fine conflitto, sta a quanto fatto alla Germania in un rapporto di circa mille a uno. Un olocausto sul quale Hollywood, tra i suoi mille film con gli immancabili ufficiali tedeschi che non parlano mai, ma abbaiano, non ha mai girato un film. In Germania di vittime non ce n’era neanche una. Neanche quel milione di resistenti antinazisti impiccati, o fucilati dal Regime, i cattolici della Rosa Bianca, i comunisti, Von Stauffenberg, il maresciallo Rommel. Della Germania, diversamente dalla Luna, è visibile solo il lato oscuro. Che c’è, non fatemi dire assurdità, ma non è il tutto. E c’è anche dall’altra parte. Oggi come non mai. Senza fasci e svastiche.

Con 11 anni, a Dresda non c’ero. Ma ne ho assaporato la carne bruciata. Più o meno negli stessi giorni, sul paese dove eravamo stati confinati, calavano gli Spitfire a mitragliare la gente. Di soldati non ce n’erano più. Raccoglievamo nei campi le loro armi abbandonate. E neanche di uomini tra i 14 e i 65 anni. Tutti richiamati per l’estrema, assurda, difesa, Noi bambini delle Medie facevamo da Protezione Civile: a secchiate spegnavamo gli incendi e a braccia raccoglievamo feriti e morti. Così anche, nell’insediamento di baracche tirate su per i rifugiati dalle bombe su Duesseldorf e mitragliate pochi minuti prima, un mio compagno di classe di 11 anni. Col ventre squarciato e gli occhi spalancati sul cielo. Un altro mio compagno volò in cielo col ponte sul Meno fatto saltare da uno scellerato comandante tedesco in ritirata.

Dresda e le altre, come Aleppo, Niniveh, Palmira e le altre

Aleppo

Questo “Giorno della Rimembranza” per civili tedeschi senza lapidi e senza onoranze vale anche per tutte le altre città tedesche, perlopiù, come Dresda, completamente prive di significato e presenza militare. Non si trattava di distruggere una Wehrmacht ormai allo sbando. Io, in molte di quelle altre città sono capitato mentre venivano rase al suolo dagli esplosivi, o rese macabri scheletri dalle bombe incendiarie. Non avremmo mai più rivisto il gotico, il neoclassico, il Biedermeyer, il rococò, il liberty, di Francoforte, Magonza, Koblenza, Colonia, Monaco, Wuerzburg, quella con la reggia affrescata dal Tiepolo. La Germania raccontata da Goethe, E.T.A Hoffmann, Brentano, Heine…non l’avrebbe più vista nessuno. Vedevamo le bombe scendere a grappolo, a stormi, a migliaia. Mia madre evitava i rifugi: “Meglio morire all’aria aperta, piuttosto che lì sotto, come topi”. E dopo ogni bombardamento ci trascinava via, verso luoghi “più sicuri”, che poi non lo erano. Ricordo una strada in centro, pochi minuti dopo che la sirena aveva suonato il cessato allarme. Era attraversata da voragini e fiancheggiata da macerie, palazzi con finestre che parevano gli occhi vuoti delle maschere greche, ancora fiamme qua e là ad arrossare interni, cavalli con le pance squarciate al lato della strada, sempre con quegli occhi enormi, vivi, che non capiscono.

Non solo Beethoven…

Amo la Germania. E non solo per Beethoven, Schopenhauer, Hoelderlin, Duerer, Marx e Hegel. Non solo perché poi ho studiato Germanistica a Monaco e a Colonia con Thomas Mann. Nel borgo a cui eravamo stati assegnati come stranieri sotto sorveglianza, si faceva la fame, si portavano gli stessi vestiti per anni, si moriva di freddo per assenza di combustibile, mancavano latte, carne, spesso l’elettricità. Saltavano gli acquedotti. Il caporione nazi del paese non ci incolpava il “tradimento”. C’era poca NSDAP (il partito) e quel notabile che aveva sostituito il sindaco era visto come una specie di bonzo, mezzo da ridere, mezzo opportunista da omaggiare. Di nazionalsocialista c’era solo la “Hitlerjugend”, che giocava a calcio sul prato comunale, faceva gite nella foresta, dove passava il vallo di Adriano, organizzava formazione politica, assisteva gli anziani e, ogni tanto, marciava con tamburi e fanfare attraverso la città. Idilliaco? La Germania era anche questo.

Prendevo lezioni private di inglese da un giovane ebreo, si chiamava Ludwig Haas. Era sempre preoccupato, si muoveva con circospezione, ma nessuno nel paese gli ha mai torto un capello. Lo coprivano. Altrove era diverso, si sa. Avevamo la tessera annonaria, come tutti, ma quella per stranieri, più avara, da mera sopravvivenza. Mia madre ci portava in campagna a scambiare un suo vestito di seta con due panetti di burro e sei uova. Si friggeva con i resti del surrogato di caffè. Si mangiavano ortiche colte al lato della strada. Il calo delle difese immunitarie causava epidemie. Il tifo lo presi anch’io, come tanti, anche nei campi di concentramento. Mi salvai perché gli americani, a fine 1946, dopo averci trattenuti per oltre un anno, sempre in regime di fame, più qualche chewing gum (che io mi rifiutavo di accettare dai GIs), perché, stranamente, considerati non badogliani, ma mussoliniani, finalmente ci permisero di rimpatriare.

Tedeschi

Ma la gente del posto ci diede un’abitazione per pochissimi soldi. Un imprenditore del mobile ce la arredò gratis. I libri di scuola mi venivano regalati da compagni più avanti. Con qualcuno mi picchiai perché mi urlavano dietro “Badoglio!” Ma c’era tanta amicizia ed escursioni nei boschi e sul fiume. Le secche zitelle verduraie vicino a casa mia ci regalavano pomodori e cetrioli e mi insegnarono a coltivarli in un pezzetto del loro vivaio. La panettiera, grande, grossa, rubizza e tenera, ci dava sempre qualche panino in più, oltre la tessera annonaria. Così il salumiere dei Wuerstel. E il lattaio, un po’ matto, finchè ce n’era. Poi se lo portò via il “Volkssturm”, l’ultima chiamata alle armi, dei vecchi e dei ragazzini. Il mio “Giorno della Rimembranza” lo dedico anche a questi miei “concittadini”. Vittime, come tutti noi. E vinti. Ma di sicuro non peggiori dei vincitori.

(Dei casi curiosi, tipici delle guerre, che ci avevano costretti in Germania in quegli anni, con mio padre prigioniero dei tedeschi, parlo in “Un Sessantotto lungo una vita”, Editore Zambon)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 17:56

Stragi nazifasciste, l'”Armadio della vergogna” adesso consultabile online

https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/15/news/stragi-nazifasciste-l-armadio-della-vergogna-adesso-consultabile-online-1.250535?fbclid=IwAR3IwtkjZUvNmZfCpSDiWAyZSSuIIJEQC_Wk1C7yvqLrCgmgDmHETzigNmA

La Camera pubblica i 695 fascicoli sugli eccidi commessi in Italia dai nazisti fra il ’43 e il ’45: da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema. Le battaglie di Franco Giustolisi sull’Espresso perché fossero condannati i colpevoli

DI PIER VITTORIO BUFFA

15 febbraio 2016

Stragi nazifasciste, l'Armadio della vergogna adesso consultabile online

L’ “Armadio della vergogna”, adesso, si potrà quasi toccare con mano. Dal proprio computer si potrà entrare nei singoli fascicoli, leggere documenti, chiederne copia. Vedere, personalmente, senza intermediari, quello che per decenni è rimasto chiuso in un archivio, sepolto, sottratto alla ricerca della verità.

Da domani, 16 febbraio, la Camera dei deputati mette online le tredicimila pagine dei documenti della Commissione parlamentare che aveva indagato sulle stragi nazifasciste e sull’occultamento dei fascicoli in quello che è stato poi chiamato l’ “Armadio della vergogna”. Fu Franco Giustolisi, che per primo, sull’Espresso, ne denunciò l’esistenza, a battezzare così un archivio ritrovato nel 1994 in uno scantinato della procura generale militare. Dentro vi erano 695 fascicoli che riguardavano gli eccidi commessi dai nazisti e dai fascisti durante gli anni della guerra in Italia, dal 1943 al 1945. Fascicoli con nomi e cognomi dei colpevoli, elenchi di vittime, testimonianze raccolte da carabinieri o da militari inglesi e americani, spesso anche a pochi giorni dai fatti. Fascicoli in cui è scritta la terribile storia della guerra condotta da nazisti e fascisti contro la popolazione italiana. La guerra contro i civili che causò almeno 15.000 morti.

Quei fascicoli, nel 1960, furono “provvisoriamente archiviati”, un provvedimento abnorme non previsto da alcuna norma, e che è consistito, semplicemente, nella loro “sepoltura nell’ “Armadio della vergogna”. La ragione fu politica. Processi che mettevano alla sbarra ex ufficiali dell’esercito tedesco con l’accusa di centinaia di omicidi non avrebbero giovato ai buoni rapporti tra Italia e Germania occidentale.

Nel 1994 i fascicoli riappaiono durante le indagini su Erich Priebke, poi condannato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il primo articolo che ne parla, firmato da Alessandro De Feo e Franco Giustolisi, esce sull’’Espresso nel 1996. Da Roma i fascicoli partono per le procure militari competenti. Vengono riprese, dopo cinquant’anni, le indagini, si celebrano processi dove sfilano a decine i testimoni diretti di quegli orrori, i sopravvissuti. Gli imputati sono ufficiali e sottufficiali delle forze armate tedesche. Molti vengono assolti, una cinquantina condannati all’ergastolo. Ci sono i responsabili delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fivizzano, Civitella in val di Chiana… Ma le sentenze non vengono mai eseguite, nessuno ne chiede mai davvero l’esecuzione.

La pressione dell’opinione pubblica aumenta, Giustolisi e l’Espresso sono in prima linea. Nel 2003 viene istituita una Commissione parlamentare di inchiesta. I documenti inviati dai tribunali vengono catalogati e studiati, le audizioni sono numerose ma alla fine le relazioni saranno due. Una di maggioranza che non attribuisce a una precisa volontà politica l’affossamento delle inchieste. Una di minoranza, firmata dal deputato dei Democratici di sinistra Carlo Carli, che dice esattamente l’opposto.

Adesso l’accesso diretto ai documenti della Commissione dovrebbe consentire una più ampia presa di coscienza sulla profonda ingiustizia perpetrata ai danni delle vittime di quelle stragi.  Dice la presidente della Camera Laura Boldrini: “Sono contenta che il percorso di trasparenza di Montecitorio si arricchisca di un nuovo e importante capitolo perché un Paese veramente democratico non può avere paura del proprio passato”. Restano, nella coscienza del nostro Paese e oltre al silenzio durato mezzo secolo, quelle condanne all’ergastolo dei criminali nazisti che nessuno ha mai cercato di eseguire. E il destino di altre decine di fascicoli che non sono mai stati oggetto di vere indagini e che sono simbolicamente tornati nell’ “Armadio della vergogna ”.

Perché la Mappa delle Tribù dei Nativi Americani non si trova sui libri di Storia?

https://www.vanillamagazine.it/perche-la-mappa-delle-tribu-dei-nativi-americani-non-si-trova-sui-libri-di-storia/?fbclid=IwAR0rJ6PAuZ8uOgZF0bO1DVf582vsMdN95tchWIp3kuzjZiG9AK43E1du4VA

La storia del continente americano è lunga e articolata, e conobbe un punto di svolta decisivo nel 1492, anno della sua scoperta (o ri-scoperta, dopo i primi contatti con i Vichinghi nel Canada) da parte di Cristoforo Colombo. Durante i secoli successivi, in particolar modo il XVII, il XVIII e il XIX, tutta una serie di popoli europei si contesero il dominio della zona conosciuta oggi come Stati Uniti d’America, sterminando quasi completamente le popolazioni indigene locali sopravvissute alle malattie che importarono gli Europei.

Anche la parte Sud del continente e l’attuale Messico non furono risparmiate, con i “conquistadores” che distrussero per sempre culture ed etnie di quei popoli antichissimi

L’opera di sterminio fu semplice soprattutto all’inizio del processo, quando furono sufficienti le malattie europee, sconosciute ai nativi, per decimare la popolazione e operare il genocidio mediante “armi biologiche”. Questo particolare è spesso sconosciuto a molti che discutono delle successive Guerre Indiane, ma la conquista degli europei fu possibile proprio grazie alla quasi immediata morte della stragrande maggioranza dei nativi americani, sia al nord sia al sud.

Si stima che tra l’80% ed il 95% della popolazione indigena delle Americhe perì in un periodo di tempo che va dal 1492 al 1550 per effetto delle malattie

Vaiolo, morbillo, influenza ma anche semplici raffreddori o varicella furono la causa della morte del 10% dell’allora popolazione mondiale, che allora era globalmente di circa 500 milioni di persone.

Fatta questa dovuta premessa, che è fondamentale per comprendere quanto fu successivamente semplice, da parte dei conquistatori europei, impossessarsi di un continente immenso ormai privo di abitanti, è bene specificare che, in seguito, i popoli restanti furono sostanzialmente sterminati per impossessarsi di risorse e terre.

La domanda del titolo, semplice e provocatoria, vuol far riflettere sulla comprensione storiografica di alcuni processi umani come le conquiste e lo sterminio. Su Vanilla Magazine abbiamo già parlato della “Leggenda Nera”, che fece apparire gli spagnoli assai più terribili di quanto non fossero, mentre non abbiamo ancora analizzato il processo di “dimenticanza” dello sterminio dei nativi americani.

La storiografia mondiale, con una visione prettamente occidentale, ha evitato a lungo parole come “genocidio“, “sterminio” e simili, e ancor oggi, in particolar modo nelle scuole statunitensi, non si studiano le popolazioni native come parte fondante della storia del continente. Soltanto durante la metà del XX secolo si iniziarono a percepire le dimensioni di ciò che era accaduto, principalmente grazie a libri come “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee o simili, capaci di sensibilizzare le persone riguardo una storia (per allora) quasi sconosciuta.

Lo sterminio delle popolazioni native fu sistematico, e sistematicamente fu perpetrato per accaparrarsi il maggior numero di risorse e ricchezze del continente. La considerazione da parte della storia, quella diffusa mediante i libri scolastici ma anche nella cultura popolare occidentale, non vede il Nord-America come una zona che fu invasa da popoli conquistatori, ma viene considerata come una “scoperta”, come se prima dell’uomo bianco il continente non esistesse, o non esistesse nulla che oggi valga la pena di essere ricordato. La ricerca storica può ridare un nome e un volto a quelle popolazioni che, per millenni, furono protagoniste della storia americana.

Il Nord America e le sue Tribù

Nel Nord America nel XIX secolo erano presenti circa 1.000 tribù, mentre oggi sono registrati 566 gruppi etnici distinti nell’ancora attivo Bureau of Indian Affairs. Gli altri sono definitivamente estinti, ma anche quelli rimasti (a parte qualcuno) non sono che sparuti gruppi di minuscole dimensioni. Durante le guerre di conquista, l’epoca del selvaggio West e gli anni seguenti, la popolazione totale dei nativi americani negli Stati Uniti raggiunse il suo minimo storico a 250.000 persone. Per comprendere l’entità demografica, basti pensare che la popolazione di una città come Verona era distribuita in tutti gli USA.

Oggi i nativi hanno riguadagnato terreno e sono circa 2,9 milioni, ma rappresentano soltanto che l’1,5% del totale della popolazione statunitense. Le tribù più popolose sono quelle dei Navajo, Cherokee, Choctaw, Sioux, Chippewa, Apache, Piedi Neri, Irochesi e il Pueblo.

Le regioni in cui viene tradizionalmente divisa l’America del Nord sono 8, affini per linguaggio e usanze:

  • Costa Nord-Ovest: fu una delle regioni più facili in cui vissero i nativi. Non dovevano coltivare perché le risorse naturali erano ben più che sufficienti a sfamare la popolazione, e rimangono famosi per le case in legno, i totem e e le lunghissime canoe.
  • Plateau: La zona fra le montagne Cascade e le Montagne Rocciose, in cui vivevano le popolazioni più provate dalla natura. Le loro case erano a volte interrate, e vivevano di caccia e coltivazioni.
  • California: le tribù californiane erano oltre 100, e sopravvivevano grazie all’abbondanza di risorse naturali.
  • Il Grande Bacino: la zona compresa fra gli attuali Nevada, Utah e Colorado, furono abitanti di una terra arida e difficile, poco interessante per i coloni che infatti vi giunsero tardissimo.
  • Sud Ovest: In questa zona si trovavano alcune delle tribù oggi più popolose come i Navajo, gli Apache e i Pueblo. Essi costruivano case in mattoni, cacciavano e coltivavano, rappresentando forse le popolazioni più evolute come tecniche di sopravvivenza organizzate.
  • La Grande Pianura: il popolo più famoso per la caccia al bisonte e per i loro Tepee, le tende che montavano seguendo le migrazioni delle grandi mandrie.
  • Nord Est: Nella zona attualmente occupata da città come New York, Boston, Filadelfia, Baltimora e Washington, si trovavano tribù che potevano essere sia nomadi sia stanziali, che trovavano provviste e risorse dai grandi fiumi e sulla costa.
  • Sud Est: Nella zona dove oggi si trova la città di Miami si trovava la tribù più popolosa, i Cherokee, che come le altre limitrofe era stanziale e si occupava principalmente di agricoltura.

Le loro lingue

Nonostante non sia rimasta una forma scritta delle lingue dei nativi, esse costituivano un numero enorme, quasi 1.000 diverse forme di comunicazione differenti. Di queste ne rimangono oggi 296, le altre 704 sono dimenticate, per sempre. Quelle rimanenti vengono classificate in 29 macrogruppi, con alcune che non appartengono a nessuna classificazione. Oggi sono pochissime le lingue che vengono parlate correntemente da uomini moderni, e la maggior parte di queste saranno dimenticate entro 100 anni.

Per comprendere la ricchezza delle diverse culture native, è possibile immaginare come, a soli 100 Km di distanza, due nativi non avrebbero potuto comunicare se non a gesti

Dei 1.000 tipi di linguaggi presenti, soltanto 8 sopravvivranno al passare del tempo, e sono il Navajo, Cree, Ojibwa, Cherokee, Dakota, Apache, Piedi Neri e Choctaw, perché parlate da un numero di persone (ancora) rilevante.

Le altre svaniranno, come è svanita buona parte della storia del Grande Popolo degli Uomini

L’auspicio è quello che la storiografia riesca a includere anche grandi parti di storia dei popoli nativi americani, rendendo giustizia postuma a popolazioni che avevano un livello di civiltà elevatissimo e diverso dai valori di conquista europei.

Amin Al-Husseini: uno dei maggiori responsabili del terrorismo islamico

http://veromedioriente.altervista.org/alhusseini.htm

 

       Le verità sul medio oriente oltre la propaganda antisemitahttp://veromedioriente.altervista.org
Tratto da: http://www.corsodireligione.it/attualita_2/islam_e_nazismo.htm

Quasi sconosciuto in Occidente , Amin Al-Husseini è considerato uno dei maggiori responsabili del terrorismo islamico del secolo scorso. La sua eredità è ancora attiva ai nostri giorni . Ha anche influenzato l’attuale pensiero arabo di odio contro gli ebrei in Palestina.

 Predicatore dell’islam wahabita ha posto le basi di un nuovo impero islamico dopo quello ottomano smantellato da Ataturk.

Spregiudicato sul piano politico-finanziario, oscurantista su quello dottrinale, il wahabismo nasce come corrente islamica sunnita nel diciottesimo secolo ma si afferma soltanto nel Novecento, grazie all’appoggio delle grandi potenze occidentali alla monarchia saudita. Oggi si sta diffondendo in tutto il mondo musulmano. Ma deve anche fare i conti con le sue ali più estreme, da cui è nata la rete di estremisti islamici.

Amin Al-Husseini
Dal Genocidio degli Armeni cristiani  (1914-1917) al Genocidio degli Arabi (1917-oggi)

rif : www.faithfreedom.org

Dal Genocidio degli armeni ai Fratelli Musulmani.
1914-1933

1893

Amin Al-Husseini nasce a Gerusalemme sotto l’impero ottomano
 

1914-1917
Il primo assaggio di Jihad islamica violenta : il genocidio degli Armeni.

Amin Al Husseini: ufficiale dell’esercito imperiale.
Amin Al-Husseini giura fedeltàall’impero ottomano e partecipa al genocidio degli armeni come ufficiale di stanza a Smirne, in Turchia. Mezzo milione di cristiani armeni massacrati dalla spada dell’esercito turco ottomano. In quanto cristiani armeni.

 

1917–  Ritorno in Palestina e visione di un impero panislamico.

Amin Al-Husseini ritorna in Palestine.  L’esperienza del genocidio dei cristiani armeni lo spinge a progettare un impero panislamico dove ebrei e cristiani non hanno posto. Prima di Amin Al-Husseini ebrei e musulmani erano vissuti fianco a fianco insieme a gruppi di altre religioni, per secoli e in pace , in tutto il Nord Africa e nel medio oriente.
Amin Al-Husseini , responsabile dell’odierna tragedia palestinese.
 

1920– Iniziano le violenze

 1920/1921. Durante il mandato governativo inglese in Palestina Husseini organizza e sostiene ribellioni, incitando i musulmani all’odio verso ebrei e cristiani. Continuerà a farlo per tutta la vita .Ha inizio un periodo di terrorismo verso i capi musulmani locali che lo consideravano un delinquente ignorante e stupido.
 

1921– Amin Al-Husseini è Grand Mufti di Gerusalemme contro il volere del popolo.

Gli inglesi, contro il voto popolare dei palestinesi, elevano Amin Al-Husseini a Grand Mufti di Gerusalemme.  La comunità musulmana aveva respinto la sua candidatura in quanto non aveva ricevuto una buona educazione islamica. Gli inglesi lo avevano candidato lo stesso e sebbene avesse raggiunto solo il 4° posto lo hanno imposto come capo musulmano di Gerusalemme. Non era nè uno sceicco ( capo accreditato) nè Alim ( teologo islamico) e divenne l’uomo più potente di Palestina. La fama della sua brutalità travalicò i confini e non venne mai riconosciuto come capo dalla comunità musulmana locale.
 

1922– Husseini diviene capo del Supremo Consiglio Islamico .

Amin Al-Husseini viene designato capo del Supremo Consiglio Islamico (1922-1937). Con Ataturk intanto scompare l’impero ottomano. Husseini allora incomincia a diventare un fanatico visionario della restaurazione di un Impero Islamico. Si consacra alla lotta contro tutti i musulmani secolarizzati.
 

1922– Gerusalemme    Capitale del mondo islamico

Amin Al-Husseini inizia i lavori di restauro della ” Casa della Roccia” e della moschea Al Aqsa Mosque a Gerusalemme    .  La cupola della Casa viene rivestita di oro e Geruslaemme diventa , agli occhi dei musulmani di tutto il mondo, un luogo sacro sempre più attraente.
 

1928– Husseini membro dei Fratelli Musulmani.

Hassan El Banna nel 1928 fonda il movimento dei ” Fratelli Musulmani” in Egitto .  Amin Al-Husseini ne diventaun membro importante ed ispiratore. La Muslim Brotherhood predica l’ islam della corrente Wahhabita che giustifica l’uso della violenza per ripulire il mondo islamico di tutto ciò che islamico non è e che si ispira ad un impero panislamico dove l’unica legge sia la Shahariah.
 

1929-Il massacro di Hebron .

Amin Al-Husseini organizza nuove ribellioni in Palestina.  Sparge falsità per aizzare i musulmani contro gli ebrei. Ad Hebron , dove risiedeva una comunità ebraica antica di 2000 anni, inizia la mattanza degli ebrei.
1931-Fondatore del
Consiglio Islamico mondiale.
Amin Al-Husseini mette le basi della sua futura azione politica e incita i musulmani all’unità fondando il World Islamic Congress nel 1931.
 
Dalla Fratellanza Musulmana al terzo Reich

Amin Al-Husseini / Adolf Hitler

 

1933-Hitler ottiene il sostegno degli Arabi.

Gruppi politici arabo-nazisti nascono in tutto il medioriente , come il   Young Egypt, guidato da Abdul Gamal Nasser ( membro dei ” Fratelli musulmani” e futuro Presidente dell’Egitto ). Il loro slogan “un popolo, un partito, un leader” che è lo stesso slogan dei nazisti ; il       Parito socialista di Siria , guidato da Anton Saada, più noto come ” il Fuhrer di Siria”
1936-Husseini incontra il banchiere di Hitler. Francois Genoud il banchiere svizzero del Terzo Reich si reca in Palestina per incontrare Amin Al-Husseini .La loro amicizia continuerà fino agli anni ’60.
 

 

1936 -Ribellioni in Palestina .Gruppi suicidi eliminano i Leaders musulmani locali ;
Amin Al Husseini è a Gerusalemme durante i fatti.

Amin Al-Husseini è il principale organizzatore delle rivolte in Palestina.  Organizza squadroni di suicidi che utilizza per eliminare le autorità locali. Applica il metodo nazista dello “sterminio sitematico di ogni arabo sospetto di non essere alineato con la visine panislamica dei ” Fratelli musulmani” .
Vengono eliminati molti intellettuali musulmani e cristiani così come diversi capi e uomini del clero islamico. E’ il terrore.
1936-1938. Uomini assassinati dai gruppi di Husseini: Sheikh Daoud Ansari ( Imam della moschea Al Aqsa ),  Sheikh Ali Nur el Khattib (Al Aqsa), Sheikh Nusbi Abdal Rahim (Council of Muslim Religious Court), Sheikh Abdul el Badoui (Acre, Palestine), Sheikh El Namouri (Hebron), Nasr El Din Nassr  (sindaco di Hebron).  Tra Feb. 1937 e Nov 1938, vengono trucidati 11 Mukhtars (community leaders) e le loro famiglie.

1937
-Amin Al Husseini è sul libro-paga di Hitler
Amin Al-Husseini visita il console tedesco a Geruslaemme.Incontra l’ SS Hauptschanfuehrer A.Eichman e l’ SS Oberscherfuehrer H. Hagen per discutere la “questione ebraica”. Amin Al-Husseini riceve così finanziamenti dalla Germania nazista.

1941
-Amin Al Husseini si unisce a Hitler nella jihad contro gli inglesi.
Amin Al-Husseini arriva a Roma, incontra Benito Mussolini, esperto di genoci ( Etiopia) . Mussolini promette di aiutarlo nella sua battaglia contro gli ebrei di Palestina.A Roma, Husseini lancia una Fatwa-Jihad contro l’Inghilterra.
 
Amin Al-Husseini: la radice della tragedia in Iraq
 

1941-Husseini-Tulfah 

Volontari Palestinesi in Iraq per un colpo di stato nazista.

 Amin Al Husseini a Bagdad con Rashid Al-Qailani, Leader del golpe del 41.

Amin Al-Husseini instiga gli irakeni per un colpo di stato filonazista a Baghdad .  Kharaillah Tulfah è il suo braccio destro irakeno. Tulfah è lo zio di Saddam Hussein e suo mentore . La Germania invia armi e aerei ad Husseini. Il golpe fallisce .

1941– Gli ebrei europei non possono essere imprigionati in Palestina.

Amin Al Husseini a Berlino durante la guerra.

Hitler voleva deportare gli ebrei europei in Palestina ma Husseini vede l’intenzione come una micaccia al suo potere in Palestina e spinge per evitare la deportazione e optare per lo sterminio. Amin Al-Husseini è stato determinante per l’opzione hitleriana dello stermino degli ebrei secondo l’ideologia della ” soluzione finale”.
1941-Progetto personale di Husseini : il genocidio dei cristiani serbi .
Amin Al Husseini incontre i Nazisti croati A.Artukovic e M.BudakHitler ringrazia il nazista croato Ante Pavelic
capo degli Ustashe , croati nazisti che hanno ucciso 750,000 serbi ed ebrei.
Aprile 25. Amin Al-Husseini è lo stratega dell’offensiva nazista in Bosnia:  L’alfabeto Serbo-Cyrillico è dichiarato fuorilegge. I serbi ortodossi Orthodossi vengono costretti ad indossare una fascia Blue e gli ebrei una gialla.

Amin Al Husseini ispeziona le sue truppe musulmane naziste nel 1943.

Mentre è in Bosnia, Amin Al-Husseini si intitola “Protettore of Islam”.  100,000 musulmani Bosniaci si uniscono alle armate naziste. Si cercava l’ approvazione tedesca per un protettorato autonomoNazista per i musulmani bosniaci.
Amin Al-Husseini approva il piano Pejani per lo sterminio della popolazione serba cristiana ed ebrea. La Germania si rifiuta di appoggiare il piano. Sotto la direzione di Husseini vengono sterminati 200.000 cristiani ortodossi serbi , 22.000 ebrei e 40.000 zingari.

1942-10,000 bambini ebrei uccisi Amin Al-Husseini interviene personalmente con l’alto comando nazista per bloccare l’offerta della Croce Rossa di scambiare 10000 bambini ebrei con prigionieri di guerra nazisti. Moriranno tutti nelle camere a gas.
 

1943– I musulmani bosniaci sono al servizio di Amin Al Husseini e del 3° Reich. I Nazi Musulmani “Crema dell’Islam ”

Amin Al Husseini passa in rivista la sua armata bosniaca nazimusulmana nel 1943

Amin Al Husseini crea la Hanzar Division , esercito di musulmani nazisti di Bosnia che egli definisce ‘the cream of Islam’.  E’ la più grande divisione dell’arma del III° Reich (26,000 uomini) e partecipa attivamente al genocidio di serbi cristiani ed ebrei.  ‘Hanzar’ è il nome del pugnale che portavano gli ufficiali turchi dell’impero ottomano.  Heinrich Himmler, capo delle SS prepara un documento con cui la divisione bosniaca nazista si rende sottomessa al comando nazista. germanico.

 1943 Il primo mistro del governo Pan-Arabo visita i campi di sterminio con il capo delle SS H.Himmler  Amin Al-Husseini diventa Primo Ministro di un “Governo pan-arabo” ad opera del regime nazista. Il suo quartier generale è a Berlin. Pianifica la costruzione di campi di sterminio a Nablus (Palestina) per favorire la “soluzione finale” in Palestina sterminando gli ebrei. Mufti diventa amico intimo di Heinrich Himmler, capo delle SS , e con lui visita Aushwitz ; lì insiste per poter essere presente alla gasificazione e cremazione di ebrei europei.
 

La visione nazista dell’Islam

Heinrich Himmler disse al capo della propaganda nazista Josef Goebbels:“ io non ho nulla contro l’islam perchè esso addestra una intera divisione di uomini per me e promette loro il paradiso se combattono e vengono uccisi in battaglia . Una vera e propria religione attraente per i soldati “
 L’Istituto Islamico di Dresda in Germania: Nazi Islam Heinrich Himmler fonda e finanzia l’ Islamische Zentralinstitut’ di Dresden insieme al Mufti Husseini con l’intento di creare una generazione di capi islamici nazisti per il 21° secolo.
Discorso del Mufti alle truppe nazi musulmane.   Marzo 1, 1944. Amin Al-Husseini pronuncia a Berlino un discorso indirizzato alle truppe SS naziste – musulmane : “Sterminate gli ebrei ovunque li trovate. Questo fa piacere a Dio , alla religione, alla storia. Questo salva il vostro onore , Dio è con voi “
 
Da Amin Al-Husseini a Yasser Arafat
1944-1974
 

1944- Amin Al Husseini all’ Arab League Meeting.

Amin Al-Husseini è uno dei fondatori della Lega Araba. L’obiettivo è quello di rafforzare l’unità Pan-Islamica.  I paesi fondatori : Egypt, Iraq, Jordan, Lebanon, Saudi Arabia, Syria and Yemen.  Husseini viene eletto President in Absentia del Fourth Higher Committee of Arab League.
1946-Gli inglesi perdonano Husseini Amin Al-Husseini viene processato ed amnistiato dagli inglesi, così torna in Palestina.
1946– Husseini è Leader della ” Fratellanza Musulmana” Amin Al-Husseini Viene eletto Leader della ” Fratellanza Musulmana” a Gerusalemme .  L’islam wahhabita diventa l’ideologia utile al Mufti per la pulizia etnica .  Egli si batte per un mondo Judenfrei , come dicevano i nazisti tedeschi.
1946-Ricercato per crimini contro l’umanità.

Amin Al Husseini all’ Arab Higher Institute , Cairo 1946.

La Yugoslavia richiede l’estradizione dall’Egitto di Amin Al-Husseini per crimini di guerra e crimini contro l’umanità , ma il governo egiziano si rifiuta.

 

Husseini:  “Uccidete gli ebrei,uccideteli tutti”

1946
-Amin Al-Husseini , zio e maestro di Yasser Arafat
Yasser Arafat incontra Amin Al-Husseini a 17 anni e subito lavora per lui .  Amin Al-Husseini era presumibilmente uno zio di Arafat, il cui vero nome era Mohammed Abder Rauf Arafat Al-Kudwa Al-Husseini.  Arafat si dice abbia accorciato il suo nome per togliere qualsiasi legame con Amin al-Husseini.
Arafat, ” santo combattente Amin Al-Husseini incarica Yasser Arafat di procurare armi e soldi per le forze irregolari del Mufti  “I santi combattenti ”
1948-1949
Husseini:

“Dichiaro
la Guerra Santa”
Amin Al Husseini 
con Abdel Nasser, Presidente dell’ Egitto.
Israele diventa uno stato riconosciuto dall’ONU.
La Lega Araba dichiara la Jihad (Guerra Santa) contro Israele. Egypt, Iraq, Syria, Saudi Arabia e Jordan immediatamente dichiarano guerra ad Israele e lo invadono. Amin Al-Husseini : “Dichiaro la Guerra Santa, Fratelli Musulmani ! Uccidete gli ebrei,uccideteli tutti”
Quattro guerre della Lega Araba. La Lega araba ha dichiarato le 4 guerre contro Israele (1948, 1956, 1967, 1973) ed ha favorito e sostenuto tutte le Intifada (= rivolte dei palestinesi contro Israele) 1987-1993 e 2000-oggi.
1949-1952-La Rete di Odessa-organizzazione per proteggere la fuga dei capi nazisti dall’Europa.I nazisti si riorganizzano. L’  Egitto,casa della Fratellanza Musulmana e la Syria hanno assunto molti nazisti nei loro organismi militari, strategici e di propaganda. Amin Al-Husseiniè direttamente impegnato ad ospitare criminali nazisti nelle terre musulmane. E’ il contatto arabo di Francois Genoud, il banchiere svizzero di Hitler che ha finaziato la Rete di Odessa con i soldi rubati agli ebrei sterminati da Hitler.
 

Husseini-Genoud-Connection:
Soldi nazisti per finanziare il terrorismo islamico del 20° secolo.

Francois Genoud visita Amin Al-Husseini molte volte a Beirut.  A IlCairo ed a Tangeri, Genoud stabilisce compagnie import-export come la Arabo-Afrika, che fu una copertura per propaganda antiebraica. Genoud aprì nella Swiss bank conti degli eserciti di liberazione del Marocco, Tunisia e Algeria.  In partnership con la Syria,fonda la Arab Commercial Bank a Ginevra.  Nel 1962,diventa direttore dell’ Arab People’s Bank in Algeria .
 

Avalon Gemeinschaft
organizzazione antiamericana ed anti-israeliana

Albert Freidrich Ahmed Huber (aka Ahmed Huber), nato nel 1927, giornalista svizzero, diventa il maggior finanziatore del pan-arabismo e del terrorismo arabo. Ammiratore di Hitler fu attivista dei movimenti radicali in Europa. Dopo la sua partecipazione alle ribellioni degli algerini copntro i francesi , negli anni 1950 si converte all’Islam negli uffici della Fratellanza Musulmana. Consulente di Nasser , presidente dell’Egitto, si unisce all’ Ayatollah Khomeini quando Sadat stipula la pace con Israele.
Conosce Amin Al Husseini, il Grand Mufti di Gerusalemme, Francois Genoud e Johannes Van Leers, primo capo della propaganda nazista del Reich. Fonda la Avalon Gemeinschaft, organizzazione antiamericana ed anti-israeliana. Vi partecipano radicali nazisti come Horst Mahler, Jurgen Graf e Ahmad Rami. Infine fonda la Al Taqua Bank insieme con Youssef Nada e Ali Gholib Himati , membri della Fratellanza Musulmana. La banca venne poi chiusa per aver fatto transazioni con Al Qeida e Hamas . Ahmed Huber è ritrnuto l’ideatore e finanziatore dei movimenti negazionisti in Iran.
1962 –Amin Al-Husseini President of World Islamic Congress – Le terre musulmane devono essere  Judenfrei (Free of Jews) Amin Al-Husseini diventa presidente del World Islamic Congress, da lui stesso fondato .  I fondamentalisti islamici si attivano per fare Judenfrei (free of Jews) tutte le terre musulmane così come Hitler aveva cercato di fare in Europa. In cominciano le persecuzioni di tutte le comunità giudaiche del Nord Africa e del Medio Oriente. Centinaia di migliaia di ebrei arabi vengono uccisi o forzati ad emigrare.
1969 – Organization of Islamic Conferences
-braccio del World Islamic Congress.
Amin Al Husseini è ancora il capo del ” Mondo islamico”. 

1969- L’ (OIC) Organization of Islamic Conferences è fondato da Husseini a Jeddah, Saudi Arabia. E’ il braccio operativo del World Islamic Congress sempre fondato da Amin Al Husseini nel 1926. Il Secretary General (1971-1973) è H.R.H. Tunku Abdul Rahman, Primo Ministro della Malaysia. The OIC è composto da 56 paesi Islamici . E’ una delle voci più ascoltate dell’Islam ed ha formato gli ideologi musulmani del Pakistan e di tutto il mondo islamico .

 

 

 

1974– Arafat omaggia Amin Al Husseini al suo funerale nel 1974.

Amin Al-Husseinimuore in Syria. La sua eredità:

Il telegramma di Himmler al Gran Muftì di Gerusalemme: al vostro fianco contro gli ebrei

https://www.lastampa.it/esteri/2017/03/31/news/il-telegramma-di-himmler-al-gran-mufti-di-gerusalemme-al-vostro-fianco-contro-gli-ebrei-1.34644752?fbclid=IwAR31D5lyhHX7AUE54LFfytRbkBrGXEeYCwmfT6psycg6XaHB6ORNdEM7BXk

Il documento scoperto nella National Library di Israele, spedito il 2 novembre 1943

Un documento riemerso dalla National Library di Israele getta nuova luce sui rapporti fra la Germania nazista e il Grand Muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini. E consolida in qualche modo la tesi del premier Benjamin Netanyahu che il religioso abbia giocato un ruolo nell’incitare allo sterminio degli ebrei. E’ un telegramma spedito dal capo delle Ss Heinrich Himmler a Husseini, il 2 novembre 1943, nel ventiseiesimo anniversario della Dichiarazione di Balfour.

Himmler ricorda che la Grande Germania è stata una “strenua sostenitrice” della battaglia “degli arabi in cerca di libertà, in particolare in Palestina, contro gli ebrei invasori”. In nemico in comune, continua, “sta creando una solida base per l’unità fra la Germania e gli arabi nel mondo. In questo spirito, vi auguro, nell’anniversario della Dichiarazione di Balfour, di continuare la lotta fino alla grande vittoria”.

Proprio la citazione della Dichiarazione di Balfour ha portato a riemergere il documento. La biblioteca stava infatti conducendo una ricerca di tutte le testimonianze sul tema nel centenario della Dichiarazione. Il telegramma era stato confiscato dall’esercito americano nel 1945, dopo la disfatta della Germania nazista, dove viveva il Gran Muftì. Poi era entrato in possesso dell’Haganah, l’organizzazione ebraica che ha portato alla nascita di Israele. E infine era arrivano alla National Library, dove è rimasto sepolto fino ad ora.

Il documento originale, ingiallito ma in perfetto stato di conservazione, è stato pubblicato sul giornale Haaretz. E naturalmente si è riaccesa la discussione sulle frasi di una anno e mezzo fa di Netanyahu, quando aveva accusato il Gran Muftì di aver suggerito a Hitler di “bruciare” gli ebrei, il loro sterminio. Poi il premier aveva fatto marcia indietro in mancanza di prove storiche. Il telegramma non prova che quella conversazione abbia veramente avuto luogo ma conferma i rapporti “calorosi” fra i nazisti e il leader religioso.

L’incontro fra Hitler e il Gran Muftì è però del novembre 1941, due anni prima del telegramma di Himmler. Lo sterminio degli ebrei, come conferma Dina Porat del Museo dell’Olocausto Yad Vashem, sempre citato da Haaretz, “era già cominciato da un pezzo” e i nazisti stava già uccidendo gli ebrei “e avevano già abbandonato l’idea che l’emigrazione forzata e l’espulsione fossero una soluzione”. Il telegramma ribadisce comunque l’esistenza di un’alleanza ideologica fra nazisti e il Muftì in quel preciso momento storico

Giorno della Memoria – Leggi Razziali

In primo piano

A proposito delle “Pietre ad inciampo” perchè non posarne qualcuna con i nomi di quei Prefetti, Questori, Magistrati e Funzionari vari che durante il fascismo si distinsero nel fare rispettare ed applicare leggi infami.

Se Mussolini potette fare tutto quello che ha fatto, è perchè aveva molti collaboratori.

Leggi Razziali VIDEO 

leggi razziali

 Le leggi razziali. Ottant’anni. Perché tutti le approvarono. E perché contro gli ebrei.

leggi razziali Ottant'anni.

 

Giorno della Memoria – 1938 le Leggi Razziali – da Passato e Presente – RAI 3

Leggi Razziali

Il 16 ottobre 1938, in Italia, entrarono in vigore le Leggi Razziali (ancora non eravamo in guerra), VERGOGNA!

Leggendole oggi potrebbero addirittura sembrare ridicole ma le conseguenze furono TRAGICHE per milioni di esseri umani.

Le Prefetture avvalendosi della fattiva collaborazione delle Questure, notoriamente incapaci nel perseguire i veri criminali, dimostrarono in questo caso, una straordinaria efficienza, classificando, nell’arco di poche settimane, oltre 40 milioni di italiani in base agli ottavi di sangue ebraico e questi elenchi furono poi ovviamente consegnati agli occupanti nazional-socialisti Tedeschi che ebbero quindi facilitato il loro “lavoro”.

Da osservare il che se si fossero comportati “normalmente”, senza rischiare nulla, per una attività del genere avrebbero impiegato anni e si avrebbero avuti gli elenchi solo a guerra finita, quindi con tanti morti in meno.

Che la vergogna perenne cada sui responsabili di questa infamia, di questo crimine.

Da non dimenticare il che i solerti magistrati non si “tirarono” quasi mai indietro quando si trattava di applicare le Leggi fasciste, avrebbero potuto anche solo “tirarla un po’ alla lunga” come da loro normale abitudine, invece sovente lo fecero molto rapidamente e “volentieri “.

Gli attuali “occupanti” dei posti in Prefettura, in Questura ed in Magistratura, oggi si comporterebbero diversamente? Credo proprio di no, oggi come allora affermano di eseguire solo ordini, e lo fanno sempre con scrupolo e “volentieri”.

Nessuno ne parla ma ieri il Parlamento Europeo ha approvato una mozione che equipara Comunismo e Nazifascismo

https://www.tpi.it/politica/comunismo-nazismo-equiparati-risoluzione-parlamento-ue-20190920452981/

“Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, questo il titolo della risoluzione che mette sostanzialmente sullo stesso piano nazifascismo e comunismo

Di Maurizio Ribechini

Pubblicato il 20 Set. 2019 alle 23:01Aggiornato il 22 Set. 2019 alle 12:56
Immagine di copertina

Comunismo e nazismo equiparati per una risoluzione del parlamento Ue

Nella giornata di ieri, 19 settembre, il Parlamento europeo di Strasburgo ha approvato ad ampia maggioranza una risoluzione dal titolo “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, che oggi sta facendo molto discutere. Sono in diversi infatti ad accusare il testo approvato di attuare una sostanziale equiparazione fra il nazifascismo e il comunismo.

La risoluzione è stata votata con 535 voti a favore, 66 contro e 52 astenuti. Si sono espressi a favore in particolare il gruppo del PPE, di cui fa parte Forza Italia, il gruppo Identità e Democrazia a cui aderisce la Lega, il gruppo dei Conservatori e Riformisti di cui fa parte Fratelli d’Italia e anche quello dei Socialisti e Democratici di cui è membro il PD. Tutti i parlamentari italiani di tali gruppi presenti in aula ieri, risultano aver votato a favore.

Comunismo e nazismo: la risoluzione approvata dal Parlamento Ue

Il testo della risoluzione è piuttosto lungo e, fra i vari passaggi, recita che il “patto Molotov-Ribbentrop, e i suoi protocolli segreti, dividendo l’Europa e i territori di Stati indipendenti tra i due regimi totalitari e raggruppandoli in sfere di interesse, ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale”.

Il testo parla di “riconoscimento del retaggio europeo comune dei crimini commessi dalla dittatura comunista, nazista e di altro tipo” e più avanti prosegue: “i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell’umanità”

La risoluzione poi “invita tutti gli Stati membri dell’Ue a formulare una valutazione chiara e fondata su principi riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista”.

Poi “sostiene che la Russia rimane la più grande vittima del totalitarismo comunista e che il suo sviluppo in uno Stato democratico continuerà a essere ostacolato fintantoché il governo, l’élite politica e la propaganda politica continueranno a insabbiare i crimini del regime comunista e ad esaltare il regime totalitario sovietico; invita pertanto la società russa a confrontarsi con il suo tragico passato”.

E ancora “esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti”.

Inoltre “osserva la permanenza, negli spazi pubblici di alcuni Stati membri, di monumenti e luoghi commemorativi (parchi, piazze, strade, ecc.) che esaltano regimi totalitari, il che spiana la strada alla distorsione dei fatti storici circa le conseguenze della Seconda guerra mondiale, nonché alla propagazione di regimi politici totalitari”.

Va precisato che la versione approvata della risoluzione è frutto di un compromesso fra i principali gruppi dell’Europarlamento: originariamente infatti esistevano quattro diversi testi sullo stesso tema, proposti appunto dai gruppi parlamentari principali, che contenevano versioni più o meno edulcorate e perentorie rispetto al testo poi approvato.

Le polemiche

Nel pomeriggio di questo venerdì 20 settembre, dopo che il testo della risoluzione è stato pubblicato in italiano sul sito del Parlamento Europeo, sono iniziate le prese di posizioni critiche e le polemiche. In particolare si sono espressi contro il Partito della Rifondazione Comunista, col segretario Maurizio Acerbo, ma anche il Partito Comunista di Marco Rizzo e il PCI di Mauro Alboresi.

Tutti contestano il fatto che questo voto dell’Europarlamento in sostanza equipara il comunismo al nazifascismo, operando un sostanziale revisionismo storico e politico. Sullo stesso tema, un paio di giorni fa, si era espresso criticamente anche il movimento di estrema destra Forza Nuova con il proprio segretario Roberto Fiore.

90 anni fa il delitto Matteotti, nella borsa la prova della tangente al fascismo

https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2014/06/10/anni-delitto-matteotti-nella-borsa-prova-della-tangente-fascismo_CkDWWk8CeduXuIuqn5piAI.html?fbclid=IwAR076UInhrfFMUXnoaD8ZRFD7Cu2CjmVNLXwADDD-w4OcJ0cxMpTp3v8B24

90 anni fa il delitto Matteotti, nella borsa la prova della tangente al fascismo

Novanta anni fa Giacomo Matteotti veniva ucciso a Roma da sicari fascisti, era il 10 giugno del 1924. Il leader socialista pagava con la vita le accuse contro il regime di Mussolini, massacrato mentre si recava in Parlamento, dopo essere stato rapito da una squadraccia.

A condannarlo non furono però solo le parole di fuoco del discorso del 30 maggio, in cui contestava il voto elettorale: “Nessun italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà”, diceva in Aula, accusando il fascismo e Mussolini. Come emerso successivamente, a Matteotti fu impedito di svelare la maxi-tangente dietro alla convenzione tra lo Stato italiano e la compagnia petrolifera americana Sinclair Oil, in cui erano coinvolti Arnaldo Mussolini, il fratello del duce e alcuni dei gerarchi. Una caso di corruzione e tangenti che avrebbe messo in grave difficoltà il regime.

La vicenda, come tanti gialli della successiva storia repubblicana, non verrà mai chiarito del tutto. Anche in questo caso sparirà la borsa di Matteotti, che avrebbe contenuto le prove della tangente. Nel processo a Amerigo Dumini, uno dei sicari del deputato socialista, verrà fuori la storia: “Lo abbiamo ucciso per ordine di Mussolini, perché non rivelasse la storia della tangente”.

Il governo italiano, in effetti, poche settimane prima della fine di Matteotti, aveva concesso alla Sinclair Oil un’esclusiva, delal durata di 90 anni, per la ricerca e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi presenti nel territorio italiano, in Emilia e in Sicilia. Un business che aveva in prima linea i principali gruppi finanziari di New York, tra cui la banca di John Davison Rockefeller, presidente e fondatore della Standard Oil, la società per cui operava in Italia la Sinclair.

Gorbaciov ha indicato i responsabili della caduta dell’URSS

https://it.sputniknews.com/mondo/201911098280380-gorbaciov-ha-indicato-i-responsabili-della-caduta-dellurss/?utm_source=push&utm_medium=browser_notification&utm_campaign=sputnik_it

Mikhail Gorbaciov, politico sovietico, l'unico presidente dell'URSS

© AP Photo / Alexander Zemlianichenko

16:13 09.11.2019

L’ex presidente dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbaciov ha indicato chi ha provocato il crollo dell’URSS. Lo riporta la rivista tedesca Der Spiegel.

“I responsabili della fine della perestrojka e del crollo dell’Unione Sovietica sono coloro che organizzarono il colpo di stato nell’agosto 1991, e di chi dopo il colpo di stato sfruttò la posizione di debolezza del presidente dell’URSS”, ha detto.

Allo stesso tempo, Gorbaciov notò di essere consapevole dei possibili rischi della perestrojka e che l’intera leadership del paese comprese che erano necessari cambiamenti.

“Era impossibile vivere come prima. E una parte essenziale della perestrojka era una nuova mentalità di politica estera che comprende sia i valori universali e il disarmo nucleare, sia la libertà di scelta”, ha spiegato.

L’ex presidente dell’URSS ha sottolineato di non rimpiangere la perestrojka, ma ha riconosciuto che ci sono stati errori nel percorso delle riforme. Ha anche espresso l’opinione che la Russia non tornerà mai a essere un sistema totalitario.

In effetti, l’Unione Sovietica è crollata il 25 dicembre 1991, quando Gorbaciov, in appello al popolo sovietico, annunciò la fine delle sue attività di presidente. Ciò è stato preceduto da un accordo firmato l’8 dicembre dai leader di Russia, Bielorussia e Ucraina, che dichiarava la fine dell’esistenza dell’URSS e proclamava la creazione della Comunità degli Stati indipendenti. Questo atto passò alla storia come Accordo di Belaveža.

Nel 1990, tutte le repubbliche dell’Unione adottarono dichiarazioni di sovranità statale. Per fermare il crollo del paese, il 17 marzo 1991 si tenne un referendum sulla conservazione dell’URSS. Il 76,4% di coloro che presero parte votarono a favore e sulla base dei risultati del referendum nella primavera e nell’estate del 1991 apparve il progetto “Sull’Unione delle repubbliche sovrane”, la cui firma era prevista per il 20 agosto. Ma non ebbe mai luogo a causa di un tentativo di colpo di stato del 19-21 agosto 1991, che passò alla storia come colpo di stato di agosto.

40 ANNI DAL MURO, 40 ANNI DI ILVA—– GORBACIOV PER 100 MILIONI DICE SÌ ALLA NATO. PER QUANTO IL GOVERNO DICE SÌ ALL’ILVA?

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/11/40-anni-dal-muro-40-anni-di-ilva.html

MONDOCANE

DOMENICA 10 NOVEMBRE 2019 

Qui si parla di muri e fumi che si abbattono sui viventi. Dei fumi (ILVA) ci occupiamo dopo in fondo, con un contributo, al solito problematico e illuminante, di Mario Monforte, al quale precedono alcune mie osservazioni. Partiamo dai muri, crollati.

Ondate d’odio

Scampati a malapena vivi, ma ancora abbastanza lucidi, in grado di distinguere tra verità e fake news, realtà e finzione, tra odio e lotta dei subalterni; scampati per un pelo alle ultime ondate di odio rovesciateci addosso da certe commissioni parlamentari, a certi sradicatori di popoli, certe ragazzine che incolpano dello sfascio del clima chiunque abbia più di trent’anni, certi euroboia, certi dirittoumanisti che non vedono l’ora di farci scannare con i russi e i cinesi e, soprattutto, scampati allo tsunami di odio per i comunisti, recentemente carburato dagli eunuchi nell’harem satrapesco dell’Europarlamento… Mi sono fatto prendere la mano. Riprendo.

Scampati vivi a questi e altri diluvi d’odio, come al solito scrosciati con particolare dovizia dal giornale New Age-Deep State del gruppo che, fin dal 1969, in odio ai russi si separò dalla casa madre (PCI), nell’anniversario di quando tutto questo iniziò, Berlino, novembre 1989, abbiamo celebrato, che dico, ricordato, anzi, deprecato, quella data e quell’evento a San Lorenzo di Roma. Locale angusto per contenere quella gran folla, ma allargato oltre ogni orizzonte da una donna sulla parete, con un’enorme bandiera rossa e ulteriormente nobilitato da Vladimiro Giacchè. Laureato in filosofia e prestigioso economista, alle miserabilia della vulgata reazionaria di destra e “sinistra” sulla “riunificazione” tedesca, ha risposto con una slavina di dati e analisi da sotterrare tutta intera la torma dei celebranti dell’uccisione della DDR, Deutsche Demokratische Republik, del suo mandante Usa, del suo sicario, Kohl, e del suo palo, Gorbaciov. I due libri che ci ha illustrato la dicono tutta: il suo “Anschluss-Annessione” (Ed. Diarkos) e “La Perestroika e la fine della DDR” (Ed. Mimesi) di Hans Modrow, dirigente SED (Partito dell’Unità Socialista) e ultimo premier della DDR.

Di Vladimiro Giacchè su euro, Grecia, migranti e affini, potete trovare una bellissima intervista nel mio docufilm “O la Troika o la vita”, mentre una sua prefazione, che vale tutto il libro, mi è stata regalata per il libro “Un Sessantotto lungo una vita”.

Colonizzati e spogliati dai fratelli

Se vi capita l’occasione di confrontarvi con coloro che blaterano di una “caduta del muro” che avrebbe fatto esultare gli insqualliditi cittadini della DDR, agonizzanti sotto il regime Stasi – un servizio di sicurezza che sta a quelli occidentali come i vigili urbani del mio borgo stanno ai Navy Seals e ai sistemi occidentali di controllo biopolitico – e inaugurato l’era dell’uguaglianza tra tedeschi e di pace e libertà nel mondo, prendete una balestra e sparategli questi dati.

Unificazione o  annessione?

Al tempo del crollo di un muro che era stato eretto per impedire che spie, provocatori, infiltrati stillassero veleni capitalisti e imperialisti nella Germania Orientale (tipo come succede oggi più che mai in 193 pasi del mondo), l’85% dei tedeschi dell’Est affermava la volontà di restare indipendente. Le riforme, non verso il modello di Bonn, ma per un socialismo democratico, di grandi figure come Hans Modrow e Christa Wolf, vantavano  il sostegno della maggioranza della popolazione. Non era difficile intravvedere cosa sarebbe successo nel fervore di destre e sinistre già allora unite: una Germania socialista in tutte le sue componenti sociali ed economiche, privata della sua visione e del suo ruolo geopolitici, depredata dei beni che, essendo dello Stato, erano dei cittadini. Così fu. E anche peggio.

Il muro cadde in testa non solo ai cittadini dell’Est, ma a mezzo mondo. L’era di pace si tramutò, con Bush, Clinton, l’altro Bush, Obama, in era di guerre e terrorismi, senza limiti di spazio e tempo, tutti della stessa matrice. Il potenziale industriale, una specie di mega-IRI, fu svenduto, saccheggiato, o spianato. I nostri Draghi, Andreatta, Prodi, Amato, Ciampi, impararono la lezione e procedettero in maniera analoga nel segno speculativo, stavolta, di George Soros, già allora messaggero degli dei di Wall Street. Ci ha pensato un ente unilateralmente gestito da Bonn, la Treuhand Anstalt, per fare la parte del rottweiler che spolpa l’osso, una roba a metà tra un mini-FMI e la camorra di Cutolo. Suo compito realizzato fu di passare ai grossi gruppi tedeschi quanto valeva e poteva far concorrenza e, il resto, a farabutti dello stampo dei nostri furbetti del quarterino, però all’ennesima potenza.

 I terreni su cui sorgevano le fabbriche erano dello Stato, ma furono ceduti ai manager degli stabilimenti che se li vendettero e al posto di una fabbrica di scarpe, con mille operai, sorse magari un centro commerciale, o un hotel di lusso, con quaranta addetti.  Disoccupazione di massa, emigrazione di massa. Cambio da marco a marco, dall’illusorio 1 a 1 dei primi giorni, a 1 a 350. Un popolo cui i pochi marchi ovest iniziali avevano bucato le tasche, lasciandole vuote per decenni.

L’Opera Magna di Gorbaciov

 Il mandante e il palo

Sei mesi dopo il muro, la produzione industriale era ridotta del 35%, dal 1989 al 1991 il PIL, ora misurato alla capitalista, si ridusse del 45%. Ottenuto dal cancelliere Kohl un prestito di 100 milioni all’URSS in sfacelo, Gorbaciov diede via libera all’ingresso della Germania unita nella Nato. Di conseguenza, non si sognò di chiedere ciò che la Germania doveva all’Unione Sovietica: 500 miliardi di riparazioni per i danni dell’invasione. Giacchè si chiede se fosse semplicemente scemo, o altro. Noi non abbiamo dubbi: tutto il seguito e la scomposta passione del “manifesto”, e di altri tentacoli e foruncoli dello Stato guerrafondaio USA, per il demolitore dell’URSS e del suo alleato dalla migliore riuscita, avvalorano “l’altro”.

Alexanderplatz prima e dopo

A Berlino, giorni prima

Poche settimane prima della fine del muro, attraversai la DDR con mio figlio Oliviero. Naturalmente ci fermammo in un albergo di Berlino Est, sull’Alexanderplatz, con in fondo le solenni statue di Marx ed Engels, addolcite dagli alberi che le ombreggiavano, da gente che ci si fotografava e bambini che vi si arrampicavano. Era quanto restava, dopo la guerra, della meravigliosa Berlino del barocco, del neoclassico, del guglielmino, in parte ricostruiti. Piena di caldi locali e localini, frequentati da poeti, musicisti, studenti, spumeggianti di discussioni. Niente boutique di stilisti, niente “wellness”, quella roba che sostituisce il sano vivere. Fighettume zero. La riunificazione travolse tutto questo, ci diede la modernità urbanistico-architettonica che vedete nel confronto delle immagini.

E’ lecito passare dall’antico al nuovo. Ma senza rompere, insultare. Qui siamo passati al kitsch e a una volgare pacchianeria da Disneyland, alla paccottiglia urbanistica che scimmiotta una Times Square, mille volte più vera, e insulta la storia di una città e della sua cittadinanza. Ne cancella l’anima. Al generale degrado, alla diseducazione urbanistica, al verticalismo da parvenu ha dato una mano anche Renzo Piano. C’è da stupirsi se, oggi, nella ex-DDR avanzano i movimenti politici che maggiormente ce l’hanno con questa Germania? Costruita sul più spietato colonialismo inflitto a una parte della propria popolazione. Quella fatta prima a pezzi dai bombardamenti di Churchill e Roosevelt, poi privata di un terzo dalla Polonia e infine ridotta in ginocchio dagli sprezzanti “fratelli” democratici all’ovest.

Potsdamer Platz, prima e dopo

Un crollo che ha liberato i cavalieri dell’Apocalisse

Ho parlato di dati, quelli inconfutabili fornitici e, in parte, rivelatici, da Vladimiro Giacchè. Ne aggiungo uno, neanche tanto mio, poiché semplicemente lapalissiano. Fatto cadere il muro, a forza di trucchi, bugie, promesse, illusioni, tradimenti, corruzione, quello che è caduto è anche un muro infinitamente più alto, lungo, robusto, che nel cuore e nella mente di gran parte dell’umanità, la difendeva dalla retrocessione a tempi, scintillanti per pochi, bui per molti, da cui il lavoro, l’intelligenza, il coraggio e poi il sangue di milioni di uomini e donne, l’avevano riscattata. E questo a prescindere dalla qualità che possa aver avuto, o non avuto, l’URSS di Stalin o Brezhnev.

Sopra le macerie di quel muro, e di quest’altro muro nostro, sono passati i quattro cavalieri dell’apocalisse, quelli dell’odio ontologico che danno dell’odiatore a chi resiste: capitalismo, colonialismo, imperialismo, scienza e tecnologia anti-vita, le armate della controrivoluzione. L’Europa, a tirannia euro-carolingia, fondata sul totalitarismo sorveglianza-punizione, punta a ricuperare i suoi fasti colonial-stragisti e, a forza di odii e discriminazioni per chi non si sottopone al pensiero unico politicamente corretto, consegna all’Africa depredata il Sudeuropa da svuotare di sé. Oggi costoro, danzando sulle rovine della parte migliore della Germania, festeggiano. Festeggiano anche molti berlinesi qualunque. Chissà se sanno cosa festeggiano.

 ILVA, quod non fecerunt Sacra Corona Unita…

Alcune mie osservazioni molto rozze sull’Ilva, qualche ricordo e poi estratti dall’analisi più approfondita di Monforte, anche più realistica – nella fase attuale – dell’idea mia che, però, ritengo irrinunciabile sul piano morale, sanitario, urbanistico, civile, e in vista di un futuro che le innovazioni buone ci prospettano diverso.

Vivi a Tamburi e poi muori

Nel documentario “L’Italia al tempo della peste” racconto Taranto al tempo dell’Ilva, gli incontri, le vittime, i combattenti, i criminali, gli indifferenti. Madri, padri, bambini, medici, militanti, Alessandro Marescotti, l’attivista e scienziato di Peacelink che, più di ogni altro, con passione e competenza, da decenni scrive, parla, documenta, denuncia, grida. Pochi lo ascoltano. Nessuno di coloro che hanno preso le decisioni. Semmai i giudici che ce l’hanno messa tutta a bloccare la strage, potere indipendente dello Stato, sabotato dall’altro potere. Marescotti mi ha accompagnato per Tamburi, il quartiere dove le strade sono frequentate solo da polvere nera, residui di metalli pesanti, ossidi. Dove a lottare contro le polveri di carbone ci sono solo i murales. Mi ha indicato i quattro o cinque pezzetti di prato, tossici, recintati perché i bambini non si azzardino a giocarci a pallone. Non si gioca per le strade di Tamburi. Si gioca poco per le strade di tutta la città, visto che all’Ilva si aggiungono cementifici, raffinerie, depositi di carburanti, le navi Usa.

Poi sono salito nelle case dove, lungo la tromba delle scale, panni appesi ad asciugare provavano a ridurre al minimo l’anneramento. Negli appartamenti le donne, tutte con qualche parente ammalato o morto di cancro e altre patologie da Ilva, mi facevano strisciare il dito lungo le pareti per ritirarlo nero. E non era neanche una di quelle giornate del vento da nord o nord-ovest, che il nero te lo spara fin nelle viscere, quando le scuole chiudono per far vivere un altro po’ i bambini. Donne che mi chiedevano, mortificate, di non riprenderle perché, hai visto mai, qualcuno in fabbrica potrebbe prendersela col marito a causa di qualche verità, qualche pianto. Poi, a faccia voltata, ululavano.

Basta!

Rientrando, con alcuni attivisti dell’organizzazione “Cittadini e lavoratori liberi e pensanti”, quelli che da decenni chiedono la chiusura della “più grande acciaieria d’Europa” (così qualcuno, a petto in fuori, glorifica il killer), ho deciso che non la si può pensare che come loro. Il mostro va ucciso, punto. L’hanno tenuto in vita i complici, da Vendola a Renzi e a tutti i governi fino ad oggi, con scudi e Salva-Ilva di un cinismo complice, pari a quello di chi impicca o crocifigge prigionieri siriani, o bombarda matrimoni afghani, o stupra manifestanti a Santiago. Poi ci sono coloro che pensano che senza l’industria pesante, senza acciaio, in crisi ovunque e ovunque nemico dell’ambiente e dei viventi, non si va avanti, resta senza lavoro una comunità. Forse hanno ragione oggi, con questo modello di sviluppo, dell’1% straricco e del resto che si dibatte tra fame e veleni. Sicuramente non domani, visto che si parla di riconversione ecologica. Perché alimentare i forni col gas, anziché col carbone e la truffaldina e letale truffa che vuole l’Italia hub del gas (purchè non russo), è come i pannicelli caldi che i Cinquestelle applicano al bubbone PD.

Taranto ha pagato. Ora basta. Hanno pagato tutti i luoghi sui quali, con virulento odio cristiano-capitalista per la bellezza e per chi l’aveva coltivata e ne godeva, si è abbattuto il fuoco velenoso del drago, cancellando civiltà antiche, vite di ogni specie, incanti prodotti in faticosi secoli dalla Natura, da Trapani a Capo Passero in mare, da Siracusa ad Augusta, a Cornigliano, fiore avvizzito della Riviera di Ponente, alle spalle di Venezia che sulla faccia viene schiaffeggiata da Grandi Navi e Mose, in tutto lo Ionio e l’Adriatico, vietato a Ulisse e ai suoi marinai. E, per sempre, a Omero, che sarebbe davvero il male assoluto. Sono scomparsi gli ulivi, la civiltà che alitava tra i suoi rami e i suoi uomini, si sono mangiati il mare e le coste. A forza di industrie pesanti, le potenze si sono gonfiate come rane. Ora scoppiano. Ma scoppiano su cimiteri zeppi di gente che è morta di lavoro sotto quella pioggia di rane, o non ce l’ha fatta neanche ad arrivare al lavoro, spesso neppure alla scuola. Anche per un solo bambino divorato dal mostro, l’Ilva deve scomparire come tale. Non mi si dica che la settima potenza del mondo non saprebbe sistemare dieci, quindici, ventimila lavoratori. Già solo a riaggiustare la Puglia. E poi l’Italia.

Qualcuno ghignerà: “Bravo, la decrescita felice”… Non lo so. Ma l’ILVA ha da morì. Questo sì.

Sullaffaire acciaieria di Taranto … di Mario Monforte

…..E allora? La promessa dei “grillini” in campagna elettorale del ’18 era di chiudere, sic et simpliciter, lo stabilimento, assumendo cosí la piú che comprensibile rivolta contro inquinamento-malattie-decessi (e ricevendo il 47% dei consensi in città). Però il “nodo” sopra delineato dell’occupazione e delle sorti per Taranto in particolare, e dell’importanza dell’acciaieria per l’Italia in generale, rimane (certo, lo stabilimento è fatto male e situato peggio fin dall’inizio, etc.: tuttavia, c’è ed è lí). E le soluzioni “grillesche” come l’“alternativa” dell’«allevamento di cozze pelose» e l’uso dello stabilimento come «archeologia industriale» per turisti e per scalatori (delle ciminiere), se si vuole essere comprensivi, non costituiscono molto piú che battute di spirito – che adesso fanno anche poco ridere. Da parte sua, il governo Conte-bis ha dimostrato, e dimostra, sempre sic et simpliciter – senza stare qui a fare troppi discorsi, inutili, e “distinguo”, fuorvianti -, e ancora se si vuole essere comprensivi, la sua incapacità, la sua inettitudine, la sua dannosità.

Che si dovrebbe fare? Ma quanto andava fatto da tempo: assumere a carico statale il risanamento ambientale (dello stabilimento e dell’intera area) e statalizzare l’acciaieria, onde preservare non soltanto le condizioni dei lavoratori e impiegati (diretti e indiretti) nonché l’economia della città e dell’area, ma anche per mantenere, e anzi supportare, la nostra produzione di acciaio. E questo dovrebbe apparire piuttosto evidente. Solo che … solo che ciò significa sia andare contro il liberalismo economico scatenato, e imperativo (per il nostro paese …) dell’Ue (è quello che viene chiamato con il nomignolo storpiato, e riduttivo, di «neoliberismo»), sia dover ricorrere almeno all’uso (keynesiano) della «spesa in deficit» (per investimenti produttivi): ossia sostenere la “bestia nera” dell’Ue, e scontrarsi con l’Ue – contrastando le immancabili interne “voci” (stolte) ostili: “oddio! Interventismo pubblico! Sovranismo!”. Ma il governo Conte-bis è la “centrale” di queste “voci”, ed è precisamente il “pupillo” e il “commesso” dell’Ue …..

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:01