PATRICK ZAKI: GIULIO REGENI 2.0, SOROS 100.0 —– SULL’EGITTO L’ODIO DEGLI ANTI-ODIO PATENTATI —– STAMPA ITALIANA D’ECCELLENZA. NON CI RESTANO CHE I SOCIAL

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MONDOCANE

LUNEDÌ 10 FEBBRAIO 2020

Ve lo raccomando, come difesa dall’eccesso di presa per i glutei da parte della stampa, baby

Un nuovo Regeni: è in gioco il petrolio e la Libia

Permettetimi di raccomandarvelo: è una difesa dall’eccesso di presa per i glutei

Regeni raddoppiato

Su Giulio Regeni, dopo aver proposto ai retti e onesti tutte le notizie che media e Roberto Fico occultano e che rovesciano nel suo contrario la narrazione ufficiale (come occorrerebbe fare ogni giorno), avevo scritto una lettera aperta al presidente della Camera, oggi governista ad oltranza per amore di PD. Ma l’increscioso autore del colpo di mano che ha imposto ai parlamentari di rompere ogni relazione con il parlamento egiziano, non se n’è dato per inteso. Dando così prova della sensibilità democratica che, lo comprendiamo, con compagni di merende come PD e Italia Vivacchiante, è incompatibile. Un nuovo Regeni, l’Egitto, i media, sono l’oggetto centrale dell’odio dei nostri specialisti anti-odio e, dunque, di questo articolo. Ma partiamo da lontano.

Siamo sopravvissuti agli tsunami dell’odio rovesciatici addosso, prima, dal Giorno della Memoria e, poi, da quello del Ricordo, entrambi illustratici, come suole, con la nota correttezza dagli storici e parastorici dei vincitori. Per non farci mancare niente, hanno affiancato queste intemperie a quell’altro uragano dell’odio che ci accompagna da tempo e che riguarda gli sciagurati che, fuori da ogni discussione, si meritano l’odio degli anti-odio al potere in Occidente: Russia, Cina (oggi capolista), Siria, Iraq, Iran (sul quale si va esercitando, con particolare perizia Bilderberg, il promotore di Draghi presidente: Stefano Feltri del “Fatto”). Quanto alla Cina, oggi sottoposta a un prodromo di guerra in chiave economico-mediatica-occidentocentrica su base batteriologica, ci possiamo vantare di essere, con l’eccellenza clerico-atlantista Conte Bis, più realisti del re. Primi e, dopo giorni, ancora unici in Europa, nonostante l’OMS l’abbia ritenuto inutile, abbiamo imposto il blocco per un’epidemia influenzale che, nella sua forma in Cina (1,7 miliardi), ha ucciso quasi 800 persone e, nello stesso periodo, in quella degli USA (320 milioni), 10.000.

Ritocca all’Egitto, capofila arabo

Ma da domenica, 9 febbraio, è tornato alla ribalta un altro oggetto di sacrosanto odio, all’ennesima potenza a partire dall’insurrezione popolare che, nel 2013, ha cacciato Mohamed Morsi, il Fratello Musulmano della Sharìa per tutti, degli scioperi operai per nessuno e delle fiamme alle chiese cristiano-copte. Il reprobo di turno da anatemizzare è l’Egitto di Al Fatah al Sisi. Una nazione tornata alla laicità, all’amicizia con Mosca, di nasseriana memoria, al sostegno a una Libia in corso di riunificazione e riscatto sotto il governo di Tobruq (l’ultimo regolarmente eletto e, perciò, non riconosciuto dalla “comunità internazionale”), per mano del generale anti-Isis, Khalifa Haftar.

L’Egitto, come tutti sappiamo è, insieme a Siria, Algeria, Sudan e Libano, uno degli Stati arabi ancora non comprati, o annientati, dai colonialisti di ritorno a guida USA. Algeria, Sudan e Libano sono stati capaci, a forza di elezioni stravinte, di neutralizzare l’ennesimo tentativo colonialista di regime change alla Otpor-Soros. “Rivoluzione” affidata a manovratori di gente scontenta, strumentalizzata e spesso pagata e, in Algeria, dopo gli islamisti degli anni ’90, ai soliti berberi, quinta colonna francese fin dai tempi della liberazione.

L’Egitto, tuttavia, ha un’altra caratura. Dai tempi del liberatore Nasser, lo Stato-pilastro del panarabismo laico, strategicamente e geopoliticamente centrale per dimensioni storiche, geografichje e demografiche e ora anche per risorse energetiche, è rimasto l’unico vincitore netto della prima “Primavera Araba”, il più importante tentativo di sovvertire uno Stato sovrano in termini non militari, ma sociali e terroristici. Fallito il primo, con la sconfitta dei Fratelli Musulmani (FM), partoriti negli anni venti dalla reazione colonialista al nascente panarabismo laico e socialista, si è passati al secondo. Di nuovo con i FM, ma stavolta eminentemente in chiave terroristica, con il braccio armato jihadista dell’ISIS, impegnato in una sanguinaria guerriglia in Sinai, con le spalle coperte da Israele e con attentati contro esponenti delle istituzioni, a partire dei vertici della magistratura, che richiamano le stragi di civili e turisti, compiuti dai FM in decenni passati.

Si tratta di Libia e di Zhor

Vi annoio con un brevissimo sunto. Contro questo Egitto si scatena la canea vandeana di chi si vede sfuggire un importante pezzo del centro strategico del mondo, il Mediterraneo tracimante di petrolio e crocevia tra Est e Ovest, Nord e Sud. A punirlo per la estromissione a furor di popolo (20 milioni in piazza contro Morsi vincitore con il 17% degli aventi diritto in elezioni boicottate da tutti) del despota integralista, emerge il solito strumento dei “diritti umani”, brandito dai peggiori violatori di tali diritti. Giulio Regeni, ricercatore preso l’Università Americana del Cairo, scompare il 25 gennaio 2016 e viene ritrovato in strada, torturato a morte, il 3 febbraio.

Come con Enrico Mattei

Elementi che qualsiasi inquirente e giornalista prenderebbe in massima considerazione, ma che da noi vengono pervicacemente ignorati. Il giorno del ritrovamento di Regeni è quello in cui una missione del nostro ministero dello Sviluppo, con decine di rappresentanti delle maggiori industrie italiane, si incontra con Al Sisi per siglare contratti per miliardi, compreso quello per lo sfruttamento da parte dell’ENI di Zhor, il più grande giacimento di idrocarburi del Mediterraneo. Gas che renderà l’Egitto indipendente ed esportatore sul piano energetico e a noi fornirà approvvigionamenti certi. Non ne sono per niente contente le grandi compagnie petrolifere anglo-franco-americane. Fregate come dall’ Enrico Mattei degli accordi con l’Iran di Mossadeq. Seguiranno esiti non dissimili. L’incontro al Cairo salta.

Uno dei più attrezzati servizi segreti del mondo avrebbe fatto ritrovare un corpo da esso orrendamente mutilato, al lato di una strada principale, l’avrebbe buttato tra i piedi del suo presidente nel giorno del contrattone con il paese di cui il soggetto era cittadino. Tanto per favorire gli accordi…. Un’intelligence di cretini, tafazzisti, o Fratelli musulmani ostili al loro capo. Sciocchezze da escludere a chiunque non abbia la sciocchezza o i motivi di accusare il governo egiziano.

Cosa cercava il ricercatore italiano?

Il giovane Regeni aveva un passato da esplorare con cura. Mai fatto. La sua formazione inizia negli Stati Uniti sotto il patronaggio di ambienti dell’intelligence. Il suo lavoro prosegue nel Regno Unito al servizio di una centrale di spionaggio e commercio dati più illustre della notoria Cambridge Analytica (scandalo Facebook), la Oxford Analytica. Una potente e oscura multinazionale fondata e guidata da tre dei più illustri esponenti di un simpatico “milieu” alla marsigliese: Colin McColl, già capo dei servizi britannici, David Young, già assistente di Kissinger e John Negroponte, già ambasciatore Usa, ma soprattutto creatore degli squadroni della morte in Centroamerica e Honduras. Un aspetto trascurabile del curriculum del giovane, vero?
John Negroponte, Hillary Clinton

Al Cairo lo imbarazza un sindacalista dell’economia informale, agente della Sicurezza sotto copertura, Mohamed Abdallah, che Regeni riteneva utile a fornirgli contatti con elementi dell’opposizione. Invece l’agente lo controlla e alla fine lo inchioda con un video in cui, alla richiesta provocatoria di Abdallah di un aiuto per la madre ammalata di cancro, Regeni risponde con un diniego e poi con l’offerta di 10.000 dollari (di chi?), ma non per il caso umano, bensì per un “progetto”. Sovversivo? Il resto sono chiacchiere vane e fatti sepolti sotto il profluvio delle accuse senza base. Solo borbottio, dell’Egitto, dell’Università di Cambridge dalla quale Regeni dipendeva e anche degli inquirenti della Procura di Roma. Silenzio, ma tra enormi boatos propagandistici sull’Egitto dittatoriale, torturatore, decimatore del suo popolo. Silenzio sui danni che vanno facendo questi boatos all’Egitto turistico e geopolitico, sui favori che questi boatos vanno facendo ai concorrenti dell’Italia nei rapporti con l’Egitto. Modello Libia di Gheddafi e poi di Al Serraj. Siamo sempre stati bravi a offrire gratis vasellina a chi non ci vuole troppo bene.

Pensate, i rimbrotti riservati a Erdogan, padrino dei tagliagole in tutto il MO, sono carezze rispetto all’esecrazione di Al Sisi. Nonostante che, con disprezzo assoluto per tutti e per ogni legge, il sultano pirata s’è preso la fascia del petrolio che congiunge la Turchia alla Libia. E’ che lui, alla faccia della dabbenaggine dei russi, resta solidamente incastonato nel consorzio imperialista della Nato. E gli USA lo sanno e lasciano fare. E lo sappiamo anche noialtri, che ce lo lasciamo fare.

Ma silenzio soprattutto su due elementi che neanche il fratello scemo dell’ispettore Clouseau avrebbe ignorato. Botta all’Egitto: un cittadino del paese estero privilegiato, dai servizi egiziani rapito, ucciso e fatto ritrovare nel giorno degli accordi tra i due partner. Botta ai mandanti di un possibile provocatore smascherato e quindi bruciato e quindi da eliminare, possibilmente attribuendone la paternità al governo da provocare. Vi stupite che i rispettivi governi con le loro magistrature, presi in questo pasticcio che coinvolge alleati potentissimi, traccheggino da quattro anni e non sappiano come uscirne? Dando libero campo. con inchieste parlamentari, articoli alla stricnina, striscioni, ai Bonino, Manconi, Colombo, Fico, sindaci vari e media tutti, a una delle più feroci campagne d’odio contro un altro paese e di danno al proprio che si siano mai viste.

Lo spirito di Hillary nei media italiani

A sostegno di tutto questo c’è un terzo elemento rigorosamente occultato. Quando Amnesty (figuriamoci, sono quelli che mostrificano tutti coloro che gli Usa devono far fuori) e, al seguito, “il manifesto” e gli altri parlano di decine di migliaia catturati, spariti, uccisi, ci devono far pensare a gente come te e me e nostri parenti e amici. Mica a migliaia di jihadisti dell’ISIS messi in campo dai Fratelli Musulmani, loro storica espressione politica e ora lanciati contro l’Egitto in una vera e propria guerra pseudo-civile del terrorismo provatamente affiliato e devoto alle Potenze occidentali, che continua dalla caduta di Morsi e prosegue con l’eccidio di centinaia di civili e soldati egiziani, soprattutto nel Sinai. Terroristi in guerra contro lo Stato fatti passare per innocenti civili colpevoli di dissenso. C’è, in questo, una spudoratezza paragonabile alla sghignazzata di Hillary Clinton quando annuncia il linciaggio di Gheddafi.

Spuntano quelli di Soros

Ebbene ci risiamo. Alle celebrazioni per Regeni e agli anatemi contro il “dittatore”, ora si affianca, rilanciando quelli, una campagna altrettanto violenta per l’arresto di Patrick George Zaki, studente a Bologna, rientrato in Egitto, fermato all’aeroporto ed, entro la nottata, trasferito nella sua città natale Mansura dove gli è stato confermato un fermo di 15 giorni e dove ha potuto incontrare legali e famigliari. Vi risparmio i miei commenti. Parlano da soli i titoli che riproduco e che riproducono il solito unanimismo di regime tra giornaluccoli come i sovvenzionati “il manifesto” o il “Foglio”, in edicola in virtù di chi non li compra, alle grandi testate main stream, vanto dell’FNSI, come di Usa, UE e Nato.

Aggiungo solo, per deontologia, un dovere da rintracciare nei meandri di incunaboli antichi, che non c’è un filo di verità nelle accuse di torture, bastonate, frustate per ore con cavi elettrici, elettrochoc, riferite ai carcerieri egiziani. I legali di Zaki, studente di questioni di genere, hanno riferito: “Zaki era molto provato, abbiamo parlato del caso giudiziario e di ciò che è successo”. Punto. Che sia “provato” è comprensibile. Il resto è fuffa. Sembra quasi un comunicato ufficiale della Questura, spedito ai giornali. Ma l’hanno detto un amico, una sorella e Mohamed Lotfy, amico di Zaki e direttore di un’associazione dei diritti umani. Tutti senza aver avuto un minuto di contatto con la “vittima”.

Infine, non è forse del tutto sprecato che si sappia che, in una foto diffusa da La7, dietro al volto di Zaki appare, appeso alla parete un poster con il pugno reso indimenticabile da Otpor a Belgrado e, poi, in tutte le “rivoluzioni colorate”. Zaki è membro dell’EIPR. “Iniziativa Egiziana per i Diritti della Persona” che si occupa in prevalenza di questioni di genere e di impedimenti alle pratiche religiose per motivi di laicità dello Stato. Dalle sue pagine internet si evince una stretta relazione con “Freedom House”, uno dei Think Tank neocon impegnati, come la Cia e NED, nella sovversione in paesi disobbedienti. EIPR ne ha preso le difese quando è stata multata per aver violato il divieto di farsi finanziare da enti stranieri. Divieto che ha visto inquisite altre 13 organizzazioni per i diritti umani, in parte legate a Soros. Hassam Baghat, fondatore di EIPR, nel 2010 ha ricevuto il premio per “Attivismo Straordinario” da “Human Rights Watch”. I comunicati di EIPR sono riportati e diffusi dalla “Open Society Foundation” di George Soros.

https://www.atlanticphilanthropies.org/wp-content/uploads/2016/04/Resource_Doc_Human_Rights_and_International_Justice_Report.pdf

A questo link troverete il lungo elenco delle organizzazioni sorelle che nel mondo collaborano per i “diritti umani”. Accanto a Open Society di Soros, Amnesty International, Human Rights Watch, Riockefeller Foundation, Ford Foundation, Avaaz e altri esperti castigatori di nemici dell’Occidente, chi trovate? “Egyptian Initiative for Personal Rights” (EIPR) di Patrick George ZakySono sorprendenti le misure cautelari delle autorità egiziane? Sorprendono le accuse di nequizie subito sparate dai media? Ne va di Zhor, ne va della Libia, ne va di più migranti, né va di diritti umani come visti dal colonialismo. Tout se tien.

Facebook ti banna, Google ti censura, Twitter ti cancella, Instagram ti esclude. Tutto vero, tutto bruttissimo. Ma di fronte a questa stampa-tv, che il cielo ci preservi i social media!

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:33

Stragi nazifasciste, l'”Armadio della vergogna” adesso consultabile online

https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/02/15/news/stragi-nazifasciste-l-armadio-della-vergogna-adesso-consultabile-online-1.250535?fbclid=IwAR3IwtkjZUvNmZfCpSDiWAyZSSuIIJEQC_Wk1C7yvqLrCgmgDmHETzigNmA

La Camera pubblica i 695 fascicoli sugli eccidi commessi in Italia dai nazisti fra il ’43 e il ’45: da Marzabotto a Sant’Anna di Stazzema. Le battaglie di Franco Giustolisi sull’Espresso perché fossero condannati i colpevoli

DI PIER VITTORIO BUFFA

15 febbraio 2016

Stragi nazifasciste, l'Armadio della vergogna adesso consultabile online

L’ “Armadio della vergogna”, adesso, si potrà quasi toccare con mano. Dal proprio computer si potrà entrare nei singoli fascicoli, leggere documenti, chiederne copia. Vedere, personalmente, senza intermediari, quello che per decenni è rimasto chiuso in un archivio, sepolto, sottratto alla ricerca della verità.

Da domani, 16 febbraio, la Camera dei deputati mette online le tredicimila pagine dei documenti della Commissione parlamentare che aveva indagato sulle stragi nazifasciste e sull’occultamento dei fascicoli in quello che è stato poi chiamato l’ “Armadio della vergogna”. Fu Franco Giustolisi, che per primo, sull’Espresso, ne denunciò l’esistenza, a battezzare così un archivio ritrovato nel 1994 in uno scantinato della procura generale militare. Dentro vi erano 695 fascicoli che riguardavano gli eccidi commessi dai nazisti e dai fascisti durante gli anni della guerra in Italia, dal 1943 al 1945. Fascicoli con nomi e cognomi dei colpevoli, elenchi di vittime, testimonianze raccolte da carabinieri o da militari inglesi e americani, spesso anche a pochi giorni dai fatti. Fascicoli in cui è scritta la terribile storia della guerra condotta da nazisti e fascisti contro la popolazione italiana. La guerra contro i civili che causò almeno 15.000 morti.

Quei fascicoli, nel 1960, furono “provvisoriamente archiviati”, un provvedimento abnorme non previsto da alcuna norma, e che è consistito, semplicemente, nella loro “sepoltura nell’ “Armadio della vergogna”. La ragione fu politica. Processi che mettevano alla sbarra ex ufficiali dell’esercito tedesco con l’accusa di centinaia di omicidi non avrebbero giovato ai buoni rapporti tra Italia e Germania occidentale.

Nel 1994 i fascicoli riappaiono durante le indagini su Erich Priebke, poi condannato per l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Il primo articolo che ne parla, firmato da Alessandro De Feo e Franco Giustolisi, esce sull’’Espresso nel 1996. Da Roma i fascicoli partono per le procure militari competenti. Vengono riprese, dopo cinquant’anni, le indagini, si celebrano processi dove sfilano a decine i testimoni diretti di quegli orrori, i sopravvissuti. Gli imputati sono ufficiali e sottufficiali delle forze armate tedesche. Molti vengono assolti, una cinquantina condannati all’ergastolo. Ci sono i responsabili delle stragi di Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fivizzano, Civitella in val di Chiana… Ma le sentenze non vengono mai eseguite, nessuno ne chiede mai davvero l’esecuzione.

La pressione dell’opinione pubblica aumenta, Giustolisi e l’Espresso sono in prima linea. Nel 2003 viene istituita una Commissione parlamentare di inchiesta. I documenti inviati dai tribunali vengono catalogati e studiati, le audizioni sono numerose ma alla fine le relazioni saranno due. Una di maggioranza che non attribuisce a una precisa volontà politica l’affossamento delle inchieste. Una di minoranza, firmata dal deputato dei Democratici di sinistra Carlo Carli, che dice esattamente l’opposto.

Adesso l’accesso diretto ai documenti della Commissione dovrebbe consentire una più ampia presa di coscienza sulla profonda ingiustizia perpetrata ai danni delle vittime di quelle stragi.  Dice la presidente della Camera Laura Boldrini: “Sono contenta che il percorso di trasparenza di Montecitorio si arricchisca di un nuovo e importante capitolo perché un Paese veramente democratico non può avere paura del proprio passato”. Restano, nella coscienza del nostro Paese e oltre al silenzio durato mezzo secolo, quelle condanne all’ergastolo dei criminali nazisti che nessuno ha mai cercato di eseguire. E il destino di altre decine di fascicoli che non sono mai stati oggetto di vere indagini e che sono simbolicamente tornati nell’ “Armadio della vergogna ”.

IL MINCHIATA-VIRUS ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA—– CIA DECAPITATA IN AFGHANISTAN —– MICIDIALE COLPO ALL’INTELLIGENCE USA DI CUI NESSUNO PARLA

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MONDOCANE

SABATO 1 FEBBRAIO 2020

 

https://youtu.be/SwI9FWqWQ3c  Byoblu, trasmissione sulla caduta (abbattimento?) in Afghanistan dell’aereo con il capo CIA del Comando Medioriente.

Grazie alla preziosa web-tv Byoblu e a una discussione a cui ho potuto partecipare, ecco un altro link, dopo quello  in cui si parlava del dopo-Soleimani e dell’aereo ucraino abbattuto su Tehran (nell’ultimo post), su una gigantesca fake news andata a male. E stavolta si tratta del tentativo affannoso di far sparire dal confronto USANATO-resto del mondo una botta micidiale inferta al massimo strumento della strategia imperialista, la CIA. Vi hanno nascosto l’abbattimento di un aereo-spia che, per conto della Cia e del Dipartimento di Stato, eseguiva nell’area Iraq-Iran-Afghanistan e regioni collegate le stragi e gli assassinii mirati commissionati da Washington, o, più precisamente, dallo Stato Profondo, o Governo Parallelo neocon, dominato dalla stessa CIA.

Il minchiata virus come arma di distrazione di massa

La smisurata e scomposta campagna allarmistica sul Coronavirus in Cina, su cui si sono scatenati i delegati globalisti alla sinofobia, finalmente in auge dopo gli anni gloriosi degli addetti alla russofobia, serve, oltreché ad altri obiettivi, a diabolizzare la Cina, nemico numero uno, o due, a seconda delle fazioni. Ma, nella contingenza, è utilizzata per occultare in prima linea lo smacco senza precedenti subito dalla CIA in Afghanistan e, in seconda, a distogliere l’attenzione dalla disgregazione del gioiello antisovranista, totalitario e vampiresco delle oligarchie antidemocratiche Usa ed europee, felicemente iniziata con la dipartita dall’UE del Regno Unito. Noi complottisti con la fissa del dietro le quinte, ne conosciamo anche altri, di motivetti e motivoni per l’isteria. Tipo la vendita agli sciocchini di milioni di mascherine che non servono a una mazza. O, nel secondo caso, aggiungere “emergenza” legislativa a “emergenza” (terroristica, climatica, fascista, ora da minchiata virus), per arrivare, per tante buone ragioni, a quella emergenza generale e perpetua che ci fa ritrovare nell’agognato Stato di Polizia.

Qualcuno, Tg o giornale o radio ha anche solo accennato alla notiziola che, in Afghanistan, è stato polverizzato il Comando Cia per il Medioriente?

Prima di passare al tema centrale della tavola rotonda dell’emittente di Claudio Messora, due parole sull’operazione Big Pharma-Cina, attivata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che, a dispetto del suo dante-ragione yankee, non ha proprio potuto esimersi dal riconoscere l’efficienza del sistema sanitario cinese. Acclarato che il Minchiata Virus non è che l’ormai quasi annuale mutazione del solito, eterno, virus influenzale, che nel mondo falcidia ben oltre le vittime e i contagiati attribuiti a quello cinese dall’isteria strumentale dei nostri media e politici, miliziani di complemento della globalizzazione, ci si impone quel minimo di complottismo che fa uscire dai gangheri i propagandisti delle cospirazioni del Potere (ascoltate Fausto Biloslavo nel programma citato).

E arriviamo a due ipotesi, che possono anche essere complementari per quanto di matrice opposta. La più verosimile: la psicosi che induce un terrore tale nelle popolazioni da far sbattere allo Spallanzani e poi in quarantena chiunque starnuti, o abbia un colpo di tosse, serve a garantire i soliti miliardi ai produttori del vaccino che presto o tardi spunterà. La più azzardata: il governo cinese, pur consapevole della portata più o meno normale dell’epidemia influenzale, ha allestito quell’ambaradan gigantesco di interventi e blindature di popolo in un terzo della Cina, per sperimentare come difendere il paese in caso di un, attacco batteriologico che certi psicopatici alla Stranamore rendono del tutto verosimile.

Decapitata la CIA in Medioriente?

Lunedì 27 gennaio si sfracella a terra un aereo dell’Usa Airforce (USAF) nella provincia orientale di Ghazni, in Afghanistan. Gli Usa dicono che è caduto, i Taliban, che controllano l’area, fonti governative a Kabul, agenzie afghane, l’Intelligence russa, l’organizzazione dei reduci americani Veterans Today, due diffusissimi quotidiani britannici (Il Daily Mail, legato ai Servizi e il Daily Mirror, laburista), affermano che è stato abbattuto e che a bordo si trovava la créme de la créme del massimo servizio segreto Usa. Una decina di dirigenti CIA, insieme a colleghi della NSA (National Security Agency), con il capo CIA per le missioni speciali (leggi assassinii mirati) in Medioriente, Michael D’Andrea. Uno davvero grosso, uno specialista di ecatombi imperiali, un Darth Vader in carne e ossa, detto “The Dark Prince” (Il Principe Nero), per la sua valenza terroristica, e anche “Ayatollah Mike”, per essersi convertito all’Islam onde sposare una musulmana. L’estremo imbarazzo del Ministro della Difesa statunitense, Mark Esper, che su questo popo’ di calcio nei denti si limita a borbottare: “Sono al corrente della situazione, ma non ho altro da riferire al momento”, e il successivo silenzio di tutti, compresi i nostri media embedded, parrebbero avallare la versione dell’abbattimento.

Da parte di chi? Dei Taliban a cui potrebbe essere rimasto un missile Stinger, di quelli lasciati lì dai sovietici in partenza e che possono raggiungere anche le notevoli altezze del “Bombardier E-11A”?  Dei Guardiani della Rivoluzione Iraniana, dotati di missili Manpada di ben altra portata, lanciati o da una pattuglia penetrata nell’area, o da casa, visto che il confine iraniano si trova a superabilissimi 600 km da Ghazni, che così avrebbero completato la propria ritorsione per l’assassinio del loro capo Soleimani? E’ un’ipotesi accreditata dall’agenzia russa Avia.pro, mentre i Pasdaran tacciono. Forse non ce lo dirà la cronaca, visto con quale solerzia si è gettata sull’evento. Forse ce lo confermerà la mancata riapparizione di D’Andrea. Forse lo sapremo dalla Storia.

Precipitato, o abbattuto il vertice CIA in Medioriente?

Bombardier E-11A, aereo spia

E’ che il fatto è drammatico, umiliante, catastrofico per chi l’ha subito. L’aereo, di media grandezza e dunque capace di portare decine di persone, era un Bombardier E-11A, sviluppato dopo che una strage di ben 19 marines in un agguato dei Taliban, nel 2014, aveva illustrato le carenze di comunicazione tra reparti. Del “Bombardier E-11A, costosissimo, ne furono fabbricati solo quattro esemplari, tutti con gli stessi compiti. Come gli altri, quello schiantatosi era stracolmo di apparecchiature elettroniche sofisticatissime, utili non solo a comunicare con le unità a terra, ma anche a operazioni di spionaggio e interferenza elettronica a vasto raggio. Bruciature e altri danni visibili sulla carcassa indicherebbero l’abbattimento con un missile. Sui resti è intervenuto un reparto americano, ne ha portato via due corpi e ne ha distrutto quanto rimaneva dopo che i Taliban avevano recuperato sei corpi e parte degli apparati.

 Michael D’Andrea, comandante CIA Medioriente

Complottisti per evitare di essere minchiati

Dal silenzio delle autorità di Washington e Langley e da quello, davvero significativo, dei nostri media, come nelle volenterose minimizzazioni di alcuni interlocutori di Byoblu, il cui argomento principale era la stantia accusa di “complottismo” a chi non si rassegna a quel silenzio e osa avventurarsi verso altre fonti, emerge la credibilità di queste ultime. Tanto più che, a sei giorni dall’evento, non è arrivata alcuna smentita ufficiale a quanto affermato dai Taliban e, tanto meno, è apparso in vita Michael D’Andrea, a smentire i famigerati complottisti. D’Andrea era il massimo responsabile della Central Intelligence Agency per le operazioni in Medio Oriente. E’ definito “Capo delle operazioni contro nemici in Iraq, Iran e Afghanistan”. Di solito l’aereo, piattaforma spia più avanzata degli Usa, ospitava, con D’Andrea, tutto il Comando Mobile della Cia. Le attrezzature e i documenti sarebbero ora, secondo le agenzie russe, in mano ai Taliban. E questo, insieme alla scomparsa di D’Andrea, sarebbe davvero un colpo strategico funesto per le attività militari statunitensi  non solo in quello scacchiere.

D’Andrea e bersagli veri e finti: Bin Laden, Al Baghdadi, Soleimani….

Il “Principe Nero” aveva quella licenza di uccidere di cui il presidente Obama, caro ai nostri sedicenti sinistri, aveva dotato se stesso, nominandosi al tempo stesso accusatore, difensore, giudice e boia, quando inaugurò la lunga serie di assassinii di “sospetti” selezionati su suggerimento dei servizi e sanciti da sua scelta e firma. A D’Andrea vengono attribuiti la finta esecuzione di Osama bin Laden ad Abbottabad nel 2011. Ma il capo di Al Qaida viveva attaccato a una macchina ed era morto a Islamabad di diabete, degenerato in nefrite, prima del Natale 2002. Lo confermano gli annunci mortuali apparsi sulla stampa pakistana e convalidati da comunicati del governo e da una ricerca del Premio Pulitzer Seymour Hersh. Anche l’operazione che avrebbe portato all’uccisione del capo dell’Isis, Al Baghdadi, in Idlib, Siria, sarebbe una tacca sul suo fucile.

Peccato che dei corpi – quindi dell’evidenza – sia di bin Laden, che di Al Baghdadi, non sia rimasto nulla, per essere stati entrambi sottratti agli autoptici e alle nostre certezze mediante dispersione in mare. Del resto, l’inseguimento di un Al Baghdadi strepitante di paura, con le sue donne, per una galleria sotterranea, da parte dei soliti Navy Seals, arrivati a Idlib in elicottero, dopo aver bombardato a tappeto la zona, tanto da non lasciare in vita neanche i topi di quella galleria, è stato visto in diretta tv dal solo Donald Trump. Mentre nessun radar di tutte le forze interessate all’evento aveva registrato, per le ore e gli spazi indicati, un oggetto volante più grande di un passero. Ogni tanto il giustiziere di siriani, iracheni, iraniani, afghani, era indotto a millantare.

Soleimani, comandante delle Guardie della Rivoluzione, Al Muhandis, comandante delle Forze di Mobilitazione Popolare

Di sicuro, invece, gli spetta la riconoscenza di Washington, dei suoi alleati, dei suoi mercenari, da Al Qaida all’Isis e ai curdi, per il missile americno che ha incenerito i due vincitori del terrorismo islamico, l’iraniano Qassem Soleimani e l’iracheno Abu Mahdi al Muhandis.

Tutto il resto e molto di più, grazie a coloro che si dicono miei colleghi, al link sopra indicato.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:41

BYOBLU, IL SOTTOSCRITTO, L’ASSASSINIO DI SOLEIMANI, L’ENORME FALSE FLAG DELL’AEREO UCRAINO ABBATTUTO SU TEHRAN, E STUPENDI ESEMPI DI GIORNALISMO EMBEDDED

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MONDOCANE

VENERDÌ 31 GENNAIO 2020

Quello che troverete in questo link è una tavola rotonda di Byoblu, l’eccellente emittente web di Claudio Messora da cui riceviamo un’informazione che dà voce anche a eterodossi a rischio di censura come il sottoscritto che qui è chiamato a confrontarsi con alcune figure, abbastanza patetiche nei loro propagandismi Usa, del giornalismo cosiddetto embedded.
Qui si parla di Iran, dell’assassinio del generale Qassem Soleimani e di quanto i media di regime non hanno voluto farvi sapere sull’abbattimento dell’aereo ucraino sopra Tehran. Si tratta di informazioni davvero sconvolgenti su chi con ogni probabilità è stato il responsabile di questa enorme provocazione False Flag contro l’Iran, che poche ore prima con i suoi missili aveva colpito e devastato due basi militari Usa in Iraq.
 

BAGHDAD-ROMA: PACIFISTI ANTIGUERRA E PACIFISTI DI GUERRA —– CHI VIVRA’… IRAQ ! —– ELEZIONI: ZUPPA BATTE PAN BAGNATO

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/01/baghdad-roma-pacifisti-antiguerra-e.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 29 GENNAIO 2020

 

Elezioni: il punto, anzi il puntino

Archiviamo subito la sempre deprimente questione “elezioni”, per poi passare alle cose serie: pace e guerra, finta la prima, vera la seconda. Sfuggiamo a fatica all’onda anomala dello tsunami orgasmatico del 98% dei media italiani, scatenato dagli esiti giudicati esaltanti da chi padroneggia l’intero sistema di fake news nazionale, simboleggiato dalle 10 pagine della “Repubblica” dedicate ai sette punti di vantaggio di Bonaccini su Borgonzoni, seguite da una pagina sola in cui si nascondono i quasi venti punti di vantaggio del centrodestra in Calabria. Ecchissenefrega, alla Calabria (e molto oltre) ci pensa la ‘ndrangheta.

L’autofagia di Grillo e Di Maio

Quanto ai Cinque Stelle, hanno raccolto quanto hanno seminato Grillo, l’equivoco chierichetto degli orchi piattaformisti di Silicon Valley, il suo ragazzo di bottega Di Maio, il premier all’orecchio della Curia e soci. Hanno raccolto il frutto marcio prodotto dall’inquinamento di Sistema, dalla perdita di alterità, terzietà, rispetto a coloro che dovevano restare l’opposto e il contrario su tutti i piani, internazionale e domestico. Dall’ambiente abbandonato agli ecocidi, ai diritti degli ultimi, penultimi e non primi, dalle servitù in politica estera, all’annacquamento del contrasto all’etnocida operazione migranti del globalista Soros, con le sanguisughe Ong attaccate al bancomat costruito dalle Ong con la pelle degli africani, siriani, afghani. Fino al mancato recupero di una sovranità indispensabile alla democrazia, al riscatto sociale, alla liberazione dal cappio degli eurotiranni. Sulle loro spoglie mortali, ora si erge luminosa la figura di Vito Crimi, uno che suscita lo stesso entusiasmo ed emana lo stesso carisma di una patatina abbandonata dopo il Camparino.

Nell’armata brancaleonica dei parlamentari 5S, scesa dalla piscina sull’attico direttamente nelle canalizzazioni sotterranee, c’è una truppa di sprovveduti e opportunisti che dalla catastrofe trae il rimedio letale: consacrare in matrimonio la pratica sodomitica subita dalla Lega e poi dal PD. Masticati prima dall’una e poi digeriti dall’altro. O ci si libera di costoro, ultra-papisti alla Conte e ultra-atlantisti alla molti altri, che governano in nome del già citato brigante ungherese e di Padre Pio, cappellano squadrista nel 1922, e quel tantissimo che rimane del MoVimento sul territorio, più i vari Di Battista, Paragone, Morra, si dà una mossa, anche sotto altro nome, o è la fine. Che, per un bel po’, sarebbe la fine di tutti noi, diversamente italiani, diversamente umani. A sistemarci per le feste ci penserebbero spaventevoli sinistri, tipo Orfini e Renzi e loro fans nelle grazie di Soros, come le Sardine, o la “coraggiosa” Eli Schlein, decisiva per la vittoria a Bologna del primatista italiano di consumo del suolo (nella lista degli eurodeputati cari al globalista Soros, insieme a Cofferati e Spinelli).

La cruciale scelta tra zuppa e pan bagnato

Al di là dei trionfi celebrati dall’ ormai istituzionale unanimismo destra-destrosinistra, fatto passare per bipolarismo, il risultato emilianoromagnolo calza come un pedalino stinto il piede caprino del miscione politico nazionale. Uno è benemerito per clientelismo – do nido ut des voto – Grandi Opere, privatizzazioni, trivelle, cemento e asfalto a gogò, Nato e UE, secessione e, dunque, per alto tradimento dell’unità nazionale sancita dalla Costituzione. Costui ha sconfitto un altro benemerito per clientelismo – do armi per tutti ut des voto – Grandi Opere, privatizzazioni, trivelle, comento e asfalto a gogò, Nato e UE, secessione, dunque, per alto tradimento dell’unità nazionale sancito dalla Costituzione. Il più ganzo ed epico dei commentatori, Massimo Giannini di “Repubblica”, insignendo se stesso delle più alte onorificenze alleate, in attesa di essere proclamato baronetto dalla Regina, Sir Maximus, chiama questa collusione di operosi sensi, con meraviglioso senso delle proporzioni, “Stalingrado non è caduta”.

Sarebbe come proclamare megalopoli Sgurgola, o chiamare il mio bassotto Mohammed Ali. Peste colga invece quei Cinquestelle che, col voto disgiunto, hanno deciso la vittoria del cementificatore secessionista. Complimenti per come hanno recepito l’insegnamento del Grillo Sparlante, ahinoi non raggiunto dal martello di Pinocchio.

La Soros-Jugend

Voi invece provate a indovinare chi dei due gemelli bipartisan è centrosinistra e chi centrodestra. Le Sardine del filo-petrolieri Santori, con endorsement entusiasta del peggiore brigante mondiale, perciò anche dette Soros-Jugend, oggi in campo per lo Jus Soli, piede di porco (non c’è termine più adatto) per scardinare popoli, identità, radici, sovranità, cultura e futuro dei dominati, specchietto delle allodole della tratta, non hanno avuto dubbi: da sempre al fianco di chi queste cose le fa meglio. Sono rivoluzionari in difesa dell’esistente piramidale, amatissimi dal Potere, a chi lo rosicchia nei bassifondi, a chi ne prende il sole sui colli più elevati. Per fortuna fra un anno non ci saranno più. Li troverete, come certi predecessori del ’68 calpestato, nelle redazioni, nei consigli d’amministrazione, in Parlamento, o da Zuckerberg, alla cui libertà d’espressione la petrosardina Santori collabora, esigendo il DASPO per chi parla male di loro e dei loro referenti e sponsor.

Queste le parole d’ordine in USA.

Roma, manifestazione per la pace, o per la Pax Americana?

Una superfetazione di Ong, associazioni, gruppi e gruppuscoli, sindacati gialli, club del confortevole vivere colonialista e razzista, all’ombra e con le idee – e talvolta gli sghei – del solito Soros, commesso viaggiatore dello Stato Profondo USA, golpista e guerrafondaio, hanno proclamato e poi condotto, il 25 gennaio a Roma, una manifestanzioncella definita “per la pace”. Per la pace della coscienza di brave persone, sciocchi, utili idioti, amici del giaguaro e aperti propagandisti delle guerre USA-Nato con relativo mercenariato terrorista. Hanno colto al volo un appello della maggiore organizzazione pacifista statunitense e internazionale, l’UNAC (United National Antiwar Coalition), quella di cui vi ho fatto la cronaca da Dublino in occasione di un’assembla contro le basi USA-Nato. Una manifestazione chiara e precisa, quella negli Strati Uniti: “No alla guerra all’Iran, Usa fuori dall’Iraq e dalla Siria, Basta sanzioni, No Nato”

I finti emuli nostrani l’hanno pervertita e si sono gonfiati come tacchini di pacifismo farlocco. Quella che era una chiamata contro l’imperialismo, le sue guerre, in difesa dei popoli aggrediti, dalla parte delle vittime e contro i carnefici, è stata degradata in un fiancheggiamento politico-ideologico ai pretesti falsi e bugiardi addotti proprio dagli stessi carnefici

Concorso esterno in omicidio

Dal palco di questi sfigati, conniventi e collusi, si sono sentite soprattutto voci contro quelli che stanno sulle palle al colonialismo di ritorno. Ospiti d’onore, dissidenti iraniani e siriani, hanno imprecato contro l’Iran martoriato dalle sanzioni Usa, la Siria insanguinata e frantumata e i rispettivi “dittatori”, cantato alleluja per l’uccisione del generale Qassem Soleimani, “feroce assassino”, inni ai “popoli che si rivoltano contro dittature e lottano per la democrazia”. Dove si rivolterebbero codesti “popoli”? In Bolivia, Cile, Colombia, Francia? Scherziamo? Andiamo sul sodo dei Soros, Clinton, Bush, Obama, Blair,Trump: si parla di “popoli” alla Otpor, che danno fastidio ai governi che danno fastidio agli Usa, ai paesi Nato, al colonialismo-imperialismo tutto. Quindi: Libano, Iran, Iraq, Algeria, Sudan, Hong Kong e quanti altri “colorati” la Cia e la NED sanno mettere in piazza.…

Io ovviamente non c’ero e se ci fossi stato ci sarei andato come chi affronta il Coronavirus, la nuova SARS in Cina, quella pompata a dismisura dai media pur di parlare male della Cina e pur di occultare il proprio silenzio sul colera in Yemen, o dell’Ebola in Africa che ne stanno ammazzando a migliaia.

Ho criticato in rete, con un po’ di ortiche, un attivista statunitense  che, contro l’avviso dei suoi, ha voluto dare il suo concorso alla sorosata romana. Fa il capo del gruppo “No War”, ma è politicamente tagliato con l’accetta liberal yankee. Dal connubio con i tre trotzkisti e rifondaroli presenti e in oggettiva combutta con Soros per la guerra ai “dittatori” sgraditi alla plutodittatura USA, come all’etnocrazia israeliana, gli è venuta l’allucinazione di un “grande fronte antimperialista”. I “volemose tutti bene”, cultori del galateo praticato all’ora del tè con la Regina, si sono scatenati per la natura “scomposta” del mio rimbrotto. Naturalmente nessuno è entrato nel merito di quella che era una ragionata confutazione del perché ai collusi con le ragioni “democratiche e dirittoumaniste” avanzate per le guerre, semplicemente non ci si va. O semmai ci si va per buttare all’aria il palco. Verbalmente, per carità.

L’otporino italico

E quindi non ho visto Fabio Alberti, uno degli intervenuti anti-guerra. Lo conosco bene. Con un suo gruppo del “Ponte per…” sono stato varie volte in Iraq, quando, collaborando con le agenzie di Saddam, accompagnava gruppi di visitatori solidali e portava cartoni di medicine al popolo. Insieme a Baghdad nel 2003, nell’imminenza dell’attacco di Bush figlio, abbiamo perfino fatto gli scudi umani. E prima, insieme pure in Serbia, sotto le bombe, quando saltavano i ponti, i treni, gli ospedali e la grande Zastava, cuore operaio della Jugoslavia e davvero ci voleva coraggio. E, poi, al tempo del golpe contro Milosevic e la prima apparizione, con Otpor, dei “colorati” Cia.  Era un altro “Ponte per…” allora.

Oggi si è dato una mutazione genetica. Alberti e i suoi si sono ravveduti e la stella di Soros, quanto meno dei suoi propositi su migranti, guerre e mondo, splende sui ravveduti. L’ultima volta l’ho visto a Piazzale Ostiense, sotto lo sventolio delle bandiere  dei “ribelli” siriani e tra gli slogan di chi voleva Assad morto e la Siria democratizzata dagli americani e dall’ISIS. E lì è rimasto.

Confortato da quei personaggi che pensano di fare gli antimperialisti sui presupposti propagandistici degli imperialisti: “lotta contro i dittatori, la corruzione (non manca mai), per la democrazia, per i diritti umani”. Patrick Boylan, capo di No War Roma, che sei corso a rinfoltire questa gente, forse lo sai, forse no: hai fatto da stampella. E continuerai a farlo finchè condividerai il trucco della “lotta contro i dittatori e la democrazia”. Come facesti a Zagarolo, sul palco accanto a me, ricordi, a proposito di Assad.

Milioni a Baghdad per il ritiro degli Usa

Alberti e facilitatori affini, celebrando i “movimenti di rivolta dei giovani iracheni” si riferiva a quei sodali di Otpor in Serbia, Venezuela, Bolivia, Georgia, Ucraina, Hong Kong che, in coincidenza con la crescente protesta contro la presenza americana e Nato, da parte dei partiti e dei vincitori dell’ISIS, ISIS scelleratamente foraggiato dagli Usa, hanno allestito una loro “rivoluzione colorata” nel Sud del paese “Contro la corruzione, la mancanza di acqua ed energia, le infrastrutture a pezzi e, ovviamente, le interferenze iraniane”. Non una parola dedicata alle due guerre e all’occupazione Usa, alle devastazioni causate dall’irruzione dell’ISIS, alle rapine della risorsa petrolifera da parte delle multinazionali arrivate al seguito dei missili americani. E basterebbe questo.

CHI VIVRA’…IRAQ!

Ma dal volto sporco di servilismo e complicità col nemico, la maschera colorata è caduta definitivamente quando quei “giovani iracheni in rivolta” hanno reagito con efferata soddisfazione all’assassinio di un altissimo rappresentante istituzionale di uno Stato sovrano, ospite di un altro Stato sovrano, prestigioso e amatissimo vincitore della marmaglia mercenaria dell’imperialismo, protetto da immunità diplomatica: Qassem Soleimani.

https://twitter.com/i/status/1220641129651003392

https://youtu.be/f3plTR1Dcew   due video delle manifestazione per il ritiro degli Usa dall’Iraq

Milioni contro gli USA e…Otpor

Forze di Mobilitazione Popolare

Quando venerdì scorso le città irachene, a partire da Baghdad, sono state sommerse da una autentico popolo in rivolta, ma stavolta contro gli occupanti e rapinatori a mano armata, e perfino le agenzie internazionali hanno dovuto parlare di una massa sterminata di donne e uomini, tra uno e quattro milioni, che esigevano l’uscita dal paese di chi ne ha già ucciso tre milioni e affamato il resto, la rivolta del popolo colorato a stelle e strisce, celebrato dai cabalisti del 25 gennaio romano, si è risolta in pigolìo, per poi tacersi.

Quei milioni hanno dimostrato che, nonostante trent’anni di aggressione, genocidio, devastazione, sanzioni, depredazione, un oceano di sangue, il popolo culla della civiltà umana, che ho frequentato da quasi mezzo secolo, di cui ho visto la gloria, la prosperità, l’orgoglio, l’impegno per la Palestina e per gli oppressi tutti e, poi, l’incommensurabile ingiustizia, l’indicibile dolore, la distruzione, l’oscena diffamazione e al quale ho lasciato parte del mio cuore, è vivo. E lotta, purtroppo non posso dire “insieme a noi”, ma per tutta l’umanità. Cerchiamo di esserne degni.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:02

Giorno della Memoria – Leggi Razziali

In primo piano

A proposito delle “Pietre ad inciampo” perchè non posarne qualcuna con i nomi di quei Prefetti, Questori, Magistrati e Funzionari vari che durante il fascismo si distinsero nel fare rispettare ed applicare leggi infami.

Se Mussolini potette fare tutto quello che ha fatto, è perchè aveva molti collaboratori.

Leggi Razziali VIDEO 

leggi razziali

 Le leggi razziali. Ottant’anni. Perché tutti le approvarono. E perché contro gli ebrei.

leggi razziali Ottant'anni.

 

Giorno della Memoria – 1938 le Leggi Razziali – da Passato e Presente – RAI 3

Leggi Razziali

Il 16 ottobre 1938, in Italia, entrarono in vigore le Leggi Razziali (ancora non eravamo in guerra), VERGOGNA!

Leggendole oggi potrebbero addirittura sembrare ridicole ma le conseguenze furono TRAGICHE per milioni di esseri umani.

Le Prefetture avvalendosi della fattiva collaborazione delle Questure, notoriamente incapaci nel perseguire i veri criminali, dimostrarono in questo caso, una straordinaria efficienza, classificando, nell’arco di poche settimane, oltre 40 milioni di italiani in base agli ottavi di sangue ebraico e questi elenchi furono poi ovviamente consegnati agli occupanti nazional-socialisti Tedeschi che ebbero quindi facilitato il loro “lavoro”.

Da osservare il che se si fossero comportati “normalmente”, senza rischiare nulla, per una attività del genere avrebbero impiegato anni e si avrebbero avuti gli elenchi solo a guerra finita, quindi con tanti morti in meno.

Che la vergogna perenne cada sui responsabili di questa infamia, di questo crimine.

Da non dimenticare il che i solerti magistrati non si “tirarono” quasi mai indietro quando si trattava di applicare le Leggi fasciste, avrebbero potuto anche solo “tirarla un po’ alla lunga” come da loro normale abitudine, invece sovente lo fecero molto rapidamente e “volentieri “.

Gli attuali “occupanti” dei posti in Prefettura, in Questura ed in Magistratura, oggi si comporterebbero diversamente? Credo proprio di no, oggi come allora affermano di eseguire solo ordini, e lo fanno sempre con scrupolo e “volentieri”.

Libia, la sardinizzazione dei “pacifisti” alla Soros – UNO SCAMBIO POLEMICO SUL CHE FARE CONTRO LA GUERRA: COERENZA CONTRO MISTIFICAZIONE?

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/01/libia-la-sardinizzazione-dei-pacifisti.html

MONDOCANE

LUNEDÌ 20 GENNAIO 2020

Conviene partire dall’intervento in fondo e risalire alle contestazioni

Oggetto: I: (ListaNoNato) Re: [nowaroma] Nè con gli USA nè con l’ Iran: lo stravolgimento della manifestazione internazionale per la pace del 25 gennaio

(PRIMA DI PROSEGUIRE SUGGERISCO DI ANDARE SU GOOGLE E LEGGERE L’APPELLO PER LA MANIFESTAZIONE CONTRO LA GUERRA DEL 25 GENNAIO)

Aggiungo alle considerazioni sulla cantonata di Patrick Boylan, referente americano di NO War-Roma, e sul carattere peggio che ambiguo della versione italiana di un appello internazionale, assai più corretto, per la manifestazione del 25 gennaio, valutazioni imprescindibili su altri punti inaccettabili e subimperialisti di tale appello.
Si afferma o chiede: “L’UE, nata per difendere la pace deve assumere una forte iniziativa”. L’UE, blocco imperialista voluto dagli USA per eliminare le fastidiose sovranità e costituzioni democratiche e progressiste degli Stati europei usciti dal nazifascismo, non e nata per difendere la pace e non l’ha mai difesa. Col braccio armato NATO, a direzione Usa, ha partecipato a guerre, genocidi ed ecocidi imperialisti, a partire dalla Jugoslavia. Quanto alla “forte” iniziativa, con azioni di “SICUREZZA”, già si parla di forze armate UE da mandare in Libia per impedire la sconfitta delle milizie Isis e Al Qaida al servizio del regime esclusivamente tripolino dei golpisti Fratelli Musulmani.
CON LA RICHIESTA DI I”INTERROMPERE LA SPIRALE DI TENSIONE E DI VIOLENZE”, ovviamente senza paternità e quindi vaghe e indistinte, si mistifica una aggressione con mercenari sanguinari a vari paesi disobbedienti del Medioriente e dell’Africa. Fermare tale “spirale” sarebbe “responsabilità italiana”. Come, con chi? Con le forze speciali o i droni che, occultati al parlamento e all’opinione pubblica, operano militarmente in Iraq, Libia e altri paesi???
“ Opporsi all’impiego della NATO in Iraq e Medioriente”. In Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso, Libia, sì??? Non c’era una volta la proposta di uscire dalla NATO, macchina dittatoriale di guerra e colonialismo?
“Negare l’uso delle basi USA in Italia per interventi in paesi terzi senza mandato ONU”. Con mandato ONU, tipo Jugoslavia, o Libia, invece sì? Senza interventi in paesi terzi, ma solo per occupare, inquinare, condizionare vaste regioni italiane e cancellare ogni residuo di sovranità nazionale e popolare, sì???
“Mantenere vivo l’accordo sul nucleare iraniano”. Un accordo imposto da Obama a una popolazione stremata da decenni di criminali sanzioni e a un governo detto “moderato” perché, con Rouhani e Zarif, espressione dei ceti ricchi del paese e prono a ricatti che lo privano dello sviluppo economico e industriale costringendolo a rinunciare al legittimissimo nucleare civile a fini di sanità ed energia?
Sommo insulto e prova di subalternità alla schifosa narrazione imperialista sul generale Soleimani assassinato, “comandante di una milizia iraniana”, che pone una componente istituzionale e costituzionale delle forze armate iraniane, espressione nobilissima della resistenza iraniana e mondiale, decisiva nella lotta al terrorismo mercenario dell’imperialismo in Iraq e Siria, sullo stesso piano delle milizie jihadiste agli ordini di turchi, Usa, Golfo e Nato.
Queste porcate, compatibilissime con l’imperialismo, sono rivendicazioni “nostre”, afferma Boylan, cioè interamente sue. Con il che si qualifica una volta per tutte e dovrebbe ritirarsi a vita privata.
All’appello hanno aderito mille sigle, molte rappresentative solo di se stesse, tantissime ambigue o consociative, con le quali non dovremmo avere nulla a che fare e tantomeno avallare i loro raggiri. Saremo pochi, non avremo la forza per contrastare in piazza questa gente. Ma meglio soli che male accompagnati. Basterebbe allora qualche bandiera iraniana, o irachena o siriana alla finestra. Magari con l’immagine di Qassem Soleimani.
Fulvio

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Oggetto: R: (ListaNoNato) Re: [nowaroma] Nè con gli USA nè con l’ Iran: lo stravolgimento della manifestazione internazionale per la pace del 25 gennaio

Con la solita disinvoltura politica e una valutazione ideologica del tutto inadeguata, Patrick Boylan parla di “sbavatura” riguardo all’appello italiano, modificato rispetto a quello statunitense, che due giorni fa ho diffuso in inglese, per la mobilitazione del 25 gennaio (25 gennaio 2020: giornata di mobilitazione internazionale per la pace – Appello). Pur di entrare nel gregge ed erigere davanti a qualche macchina fotografica o telecamera la propria persona con relativi cartelli, si passa sopra assolute indecenze per qualunque antimperialista non prono al consociativismo democraticista dei taralucci e vino e che regolarmente finiscono col rafforzar le più ambigue e nefaste motivazioni e parole d’ordine.
Leggiamo qui sotto, dall’appello italiano, quella che secondo Boylan è solo qualche “sbavatura”:
Si evita con la massima e molto sospetta circospezione di evitare in ogni caso i responsabili di TUTTE le guerre, di TUTTI i genocidi, di TUTTE le pulizie etniche, di TUTTE le sanzioni sociocide, di TUTTI gli assassini mirati (da Obama in poi), di TUTTE le extraordinary renditions, di TUTTA la decrebrazione mediatica, confondendo in un indistinto miscione le cosiddette “potenze regionali e globali che si contendono con la guerra aree di influenza….” E chi sarebbero queste potenze regionali e globali per il cittadino comune? Forse la Russia, l’Iran, la Siria, oltre, forse agli USA e Israele, che invece andrebbero nominati come gli UNICI responsabili di ogni aggressione, violazione dei diritti umani, crimini di guerra e contro l’umanità”! E’ la tecnica della marionetta Greta e del movimento sorosiano sardinesco dei Fridays For Future e Extinction Rebellio, che non fanno nomi, ma colpevolizzano chiunque abbia più di 25 anni con il chiaro proposito di occultare i veri, concretissimi responsabili.
Stessa domanda SENZA RISPOSTA: chi sono coloro che, secondo l’appello, “reprimono, torturano, corrompono”? Guadi a nominarli. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di americani, britannici, francesi? Oppure quelli che vengono indicati da Repubblica, dal manifesto, da Pompeo o Bolton?
Chi sono le popolazioni le cui proteste hanno occupato pacificamente le piazze e le strade, da Baghdad a Tehran, da Beirut ad Algeri, da Damasco al Cairo (e, a titolo di copertura, Gerusalemme)? Quelle che sono care al Corriere, alla CNN, alla BBC, al manifesto, a Repubblica, a Soros, alla Cia, alla NED, a Freedom House, all’Atlantic Council, a tutti gli arnesi della destabilizazione al fine della dittatura mondiale dei mercati a obbedienza USA-UE-Nato che le pagano tutte e che tutte sono mobilitate contro governi che irritano Washington e Netaniahu? Avete letto una sola parola in difesa dei manifestanti per la libertà e la giustizia massacrati dagli sbirri dell’oligarchiafilo-Usa, golpista e non, in Bolivia, Cile, Francia, Colombia? Che altro ci vuole per percepire il tanfo imperialista e collateralista degli autori di questo appello adottato dal solito Patrick Boylan?
Non basta, questo appello di mistificatori e infiltrati mirato a completamente eludere colpe e meriti, crimini e difesa dai crimini, guerrafondai patologici e forze che difendono la verità e il diritto, conclude con la richiesta delle solite missioni di peacekeeping a mandato ONU, forma soft dell’imperialismo economico, sociale, culturale e militare dell’Occidente. Onu che ha sulla coscienza l’avallo a tutto ciò che capita in testa ai serial killer Usa, ma che se ne infischia quando Israele manda a cagare lei e tutte le sue risoluzioni in difesa dei palestinesi, o quando per un anno si diverte a fare il tiro al piccione su ragazzini e infermiere inermi a Gaza. Qualcuno ha sentito una parola del segretario generale dell’ONU, il pacioccone fantoccio Guterres, sull’incredibile operazione dello Stato Criminale, in un paese sovrano, contro un generale, protetto da immunità diplomatica di uno Stato sovrano, vincitore di quella che gli Usa definiscono la “guerra al terrorismo”, un terrorismo tutto spurgato dalla bandiera a stelle e strisce o da quella di David?
Ricordate altre istanze quando si sono invocati “corpi civili di pace” ? Ovviamente dove occorreva consolidare una missione militare imperialista non riuscita e porsi come interposizione a difesa dell’Ordine gradito all’Occidente: in Jugoslavia, in Siria, in Nordirlanda, o sotto forma di contingente italiano in Libano a difesa dei confini abusivi israeliani. Missioni, Ong e corpi civili che si spera non opprimano, maltrattino, torturino, stuprano, uccidano, come succede con certe missioni ONU o ONG in Somalia, ad Haiti, Centroamerica, Mali, Niger, ovunque…..
La ciliegina su questa operazione di finto pacifismo ed effettivo collateralismo colonialista, che ancora persegue obiettivi ottocenteschi di dominio, questo sì razzista, anziché togliersi dai coglioni ovunque abbia già segnato col sangue e la rapina la sua presenza nei secoli passati, è la richiesta di “una rapida implementazione del Piano Europeo per l’Africa”. Piano che non è che uno sciagurato tentativo neocolonialista UE e delle sue oligarchie franco-germanico-britanniche, con sguatteri italiani al seguito, di imporre il trionfo dei mercanti europei, con la complicità delle classi corrotte africane, sulle risorse del continente, tra l’altro sottratte ai loro legittimi titolari con l’infamia di un’emigrazione sollecitata e forzata, mirata anche a destabilizzare le società e culture europee e a fornire manovalanze schiavizzate alle loro classi dirigenti.
Quanto all’aereo abbattuto “per errore” nei cieli di Tehran, gli ignavi dell’appello dovrebbero informarsi un po’ meglio su quanto perfino il New York Times, vantandosene, ha documentato e di cui questi sedicenti attori sulla scena della lotta ai crimini di guerra avrebbero dovuto informarsi, a condizione di essere interessati alla verità (se ne può avere contezza dal mio scritto “www.fulviogrimaldicontroblog.info Colonialismo: Berlino 1885- Berlino 2020 E’ IL TURNO DELLA LIBIA — La solita manina misteriosa nella caduta dell’aereo a Tehran).
Per un intervento non dissimile da questo, di critica alla sua disponibilità ad dottare le più disinvolte e imprecise posizioni politiche o concettuali proposte da altri, il padre padrone dell’associazione NO War mi ha democraticamente escluso dalla lista email dell’associazione. Io riterrei opportuno che noi escludessimo dalla nostra tolleranza e pazienza le perniciose deviazioni che al buon Boylan sono suggerite da attori politici che con un genuino e chiaro antimperialismo non hanno nulla a che fare. Anzi.
Fulvio

Dall’appello italiano per una mobilitazione il 25 gennaio (lo trovare intero su Google)
Nella crisi del vecchio ordine internazionale, potenze regionali e globali si contendono con la guerra aree di influenza sulla pelle delle popolazioni locali. La sola alternativa consentita al momento è il mantenimento dei regimi teocratici o militari – comunque illiberali e non rispettosi dei diritti umani – con i quali si fanno affari, chiudendo occhi e orecchie su repressione, torture e corruzione. La guerra non produce solo distruzione, ma cancella anche dall’agenda politica la questione sociale, oramai incontenibile ed esplosa nelle proteste delle popolazioni che hanno occupato pacificamente le piazze e le strade….
Non possiamo stare a guardare Dobbiamo gridare il nostro no alla guerra, alla sua preparazione, a chi la provoca per giustificare la produzione e la vendita di armi. Guerre che, in ogni momento, possono fare da miccia ad un conflitto globale tanto più preoccupante per il potenziale degli armamenti nucleari oggi a disposizione dei potenti del mondo. Le vittime innocenti dell’aereo civile abbattuto “per errore” da un missile, dimostrano una volta di più che la guerra è un flagello per tutti, nessuno può chiamarsi fuori, siamo tutti coinvolti. Manifestiamo il nostro sostegno alle popolazioni, vere vittime delle guerre, a chi si rivolta da Baghdad a Teheran, da Beirut ad Algeri, da Damasco, al Cairo, a Gerusalemme, a Gaza. Quel che sta avvenendo nel Golfo Persico, aggiungendosi alle sanguinose guerre e alle crescenti tensioni in corso, mette in luce la drammatica attualità e il vero realismo dei ripetuti ma inascoltati appelli di Papa Francesco per l’avvio di un processo di disarmo internazionale equilibrato. L’UE, nata per difendere la pace, deve assumere una forte iniziativa che – con azioni diplomatiche, economiche, commerciali e di sicurezza – miri ad interrompere la spirale di tensione e costruisca una soluzione politica, rispettosa dei diritti dei popoli, dell’insieme dei conflitti in corso in Medio Oriente e avviare una rapida implementazione del Piano Europeo per l’Africa (Africa Plan) accompagnandolo da un patto per una gestione condivisa dei flussi migratori.
ritirare i nostri soldati dall’Iraq e dall’Afghanistan, richiedendo una missione di peacekeeping a mandato ONU ed inviare corpi civili di pace; • adoperarsi per la sicurezza del contingente italiano e internazionale in missione UNIFIL in Libano;

Da: Patrick Boylan
Inviato: domenica 19 gennaio 2020 22:50
:
Che fare?

Possiamo semplicemente manifestare il giorno 25 in risposta all’appello dei gruppi pacifisti statunitensi. Incredibile, ma sono molto più avanti rispetto ai gruppi pacifisti italiani e della sinistra di opposizione italiana. Per esempio, la loro prima rivendicazione è “NO alla guerra con l’Iran, Basta sanzioni!”
http://nepajac.org/unac_011520.html

Mentre, come Enzo osserva, Sinistra Anticapitalista fa un incontro dietro la parola d’ordine: “NO agli USA e NO all’Iran, entrambi imperialisti”. E che non spreca una parola su Israele — che invece, di imperialismo, ne sa qualcosa: ha invaso e occupato la Palestina, invaso e occupato una parte della Siria, invaso più volte il Libano prima di essere respinto dai Hezbollah, e ora proclama di voler occupare tutta la trans Giordania. Se non è imperialismo questo! L’Iran, invece, che ha dispute territoriali con alcuni stati ai suoi confini, ha sempre cercato di risolverle diplomaticamente, non ha mai invaso né occupato nessun altro paese. La sua presenza in Siria è stata RICHIESTA dal governo legittimo.

Ecco quindi il gioco di Sinistra Anticapitalista: tacere su Israele e presentare l’Iran come l’aggressore. Proprio la velina che Netanjahu ha dato a Trump da leggere e evidentemente anche a qualcuno tra i promotori della manifestazione italiana del 25. Così si giustifica una futura aggressione contro l’Iran, già allo studio a Tel Aviv e a Washington.

Ma tutto ciò è una pecca di Sinistra Anticapitalista. Non c’entra con l’appello italiano per il 25 gennaio. Non confondiamo le due cose.

Come ho già detto, l’appello italiano per il 25 gennaio parla di “ingerenze iraniane”, è vero, e questo è sì una sbavatura: ma non dice altro. Non dà addosso all’Iran, non lo equipara agli USA, come fa Sinistra Anticapitalista.

E, in compenso, l’appello italiano chiede: (1.) la revoca dell’embargo contro Iran; (2.) la negazione dell’uso delle basi Usa in Italia per interventi in paesi terzi senza mandato ONU (sarebbe da sottoscrivere l’appello solo per questa rivendicazione); (3.) il ritiro della proposta di impiego della Nato in Iraq e in Medio Oriente; (4.) il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq e dall’Afghanistan, e altro ancora.

Ma queste sono rivendicazioni nostre, porco giuda! Come si fa a non essere d’accordo? A volersi distanziare comunque, a causa di qualche sbavatura di linguaggio e il silenzio sui crimini imperialisti UE passati e futuro (leggi esercito UE)?

Io non butterei il bambino con l’acqua sporca. Sono per aderire alla giornata del 25, appunto, sulla piattaforma dei pacifisti statunitensi, miracolosamente senza sbavature.

Basta con il Calvinismo: “una volta che hai peccato, sei peccatore e dannato per sempre.”

Basta con il Calvinismo, dico. Perché gli organizzatori del 25 in Italia sono tutti peccatori, è vero, ma lo siamo anche noi. Già, anche noi. Dove eravamo quando l’esercito israeliano stava uccidendo in sangue freddo — settimana dopo settimana — decine di giovani palestinesi disarmati? Dove eravamo quando la Francia ha cominciato la sua guerra del Vietnam nel Malì? Dove eravamo quando l’Italia ha annunciato di voler mandare truppe nel Niger, facendoci tornare all’epoca di quando c’era Lui?

Da nessuna parte. Tutti zitti e buoni.

Allora stiamo zitti ora, non facciamo i Calvinisti e andiamo il 25.

Patrick

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 12:44

COLONIALISMO: BERLINO 1885- BERLINO 2020 —– E’ IL TURNO DELLA LIBIA —– LA SOLITA MANINA MISTERIOSA NELLA CADUTA DELL’AEREO A TEHRAN

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/01/colonialismo-berlino-1885-berlino-2020.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 16 GENNAIO 2020

 

Bombe inesplose tra Tehran e Tripoli

Le notizie-bomba che vi nascondono sono: 1) Un cyberattacco USA che con ogni probabilità, secondo il NYT, nella notte dell’8 gennaio ha abbattuto il Boeing 737-800 ucraino sopra Tehran, con i suoi 176 passeggeri ed equipaggio e che forse darà il via alla battaglia finale tra patrioti e vendipatria iraniani;  2) Il generale Soleimani, che aveva lo status diplomatico, era in missione di pace con piena consapevolezza USA. Era stato invitato a Baghdad dal premier iracheno Abdul Mahdi per mediare nella contesa tra Iraq e Arabia Saudita. Gli americani ne erano al corrente e ne hanno approfittato per allestire la trappola e ucciderlo. 3) il regime fantoccio dei Fratelli musulmani a Tripoli, difeso dagli stessi tagliagole Isis e Al Qaida che, per conto Usa-Nato-Turchia, hanno imperversato in Siria, Iraq, Nigeria e a cui corrono in soccorso gli sponsor neocolonialisti che pretendevano di combatterli. Allora servivano a frantumare Siria e Iraq, oggi li si impiega per spartirsi la Libia, come si progetta dai convenuti a Berlino.

Si abbattono torri, si abbattono aerei….
La prova degli occultamenti relativi all’abbattimento dell’aereo sopra Tehran nella notte della risposta iraniana all’assassinio del generale Qassem Soleimani, viene pubblicata nientemeno che dal New York Times, standard aureo del giornalismo imperiale e guerrafondaio. Pur di vantarsi di un crimine riuscito, a volte i suoi apologeti si scordano della riservatezza. Di Libia e degli irresponsabili e fieri sguatteri Nato, Conte, Di Maio e Guerini, che cianciano di interventi più o meno armati, più o meno nazionali o internazionali, parliamo dopo.

Ho partecipato a una conferenza in video su Iran e Libia dell’ottima web-tv “Byoblu” dell’amico Claudio Messora (mercoledì 15 gennaio, ore 18). Oltre a me c’erano un competente ex-capo di Stato Maggiore e due propalatori di versioni Nato degli avvenimenti nel mondo. Doveroso negare qualsiasi attenzione alle panzane atlanticistico-sioniste che sparavano in faccia agli spettatori. Per riassumerle ne bastano due. Nella prima si diceva che l’aereo ucraino era stato abbattuto dai Guardiani della Rivoluzione perché, con ogni probabilità, vi si trovava a bordo un qualche personaggio poco gradito al regime. Per cui valeva la pena ammazzare 176 persone di cui 90 concittadini. La seconda, ancora meglio, supponeva che il missile fosse partito dal ditino di un ragazzetto inesperto dei Pasdaran. E’ la stampa, baby. E solo disponendo di un audience di gente in coma neanche tanto vigile, può sfidare il ridicolo a tal punto. Non credo sia il caso del pubblico di Byoblu, per fortuna.

Ma la stampa è anche, ahinoi, il “New York Times”, standard aureo del giornalismo che si finge di sinistra, sta con il Partito Democratico, col Pentagono, con i ben 16 servizi di Intelligence Usa e immancabilmente con tutto ciò che queste nobili forze di pace e diritti umani producono. Quello che, nella foga di uno scoop, oppure nella tracotanza di chi sa se stesso e i suoi referenti impuniti, parrebbe uno scivolone del quotidiano a direzione talmudica, al mondo stupefatto dovrebbe apparire come un’ammissione agghiacciante. Riassumo.

Miracolo: beccare con la fionda una mosca in cima alla Torre di Pisa….

Un cronista investigativo e video-esperto del NYT, Christian Triebert, ottiene da un dissidente iraniano, Nariman Gharib, molto popolare da quelle parti per il suo ruolo di fustigatore delle malefatte del regime degli Ayatollah, un video di 19 secondi girato da un anonimo video-maker a Tehran. E lo pubblica sul NYT. Triebert e Gharib sono anche collaboratori del sito “Bellingcat”, definitosi di giornalismo investigativo e, con ogni evidenza, megafono dei seminatori di sesquipedali balle antirusse. Non per nulla viene ospitato anche dal “Fatto Quotidiano”. Che cosa c’è nel video?

L’esatto momento in cui un missile e poi un altro colpiscono e fanno esplodere il Boeing ucraino uccidendo 179 persone, di cui 90 giovani iraniani, perlopiù in viaggio di studio. Ebbene? I cellulari oramai sono miliardi e i videomaker pronti per qualsiasi evenienza, pochi di meno. Tutto normale? Anche che l’anonimo videomaker si trovasse alla periferia di Tehran, in una zona industriale derelitta, poco prima dell’alba, con tanto di telecamera professionale, puntata sul punto del cielo notturno dove sarebbe passato l’aereo e dove lo avrebbe colpito il missile. Prendere quel punto in quell’istante era come da terra beccare una mosca in cima alla Torre di Pisa. Culo? O precognizione?

…. o con la camera un puntino che esplode nel cielo buio della notte

Le compagnie aeree avevano sospeso in quelle ore i decolli e gli atterraggi a Tehran, Poche ore prima, missili iraniani avevano disfatto due basi USA in Iraq. L’unico aereo decollato in pieno marasma notturno era il Boeing della Ucraina Airlines. Chi si è messo di notte a puntare un punto preciso nel buio, sapeva. Chi ha fatto decollare 176 sicure vittime, sapeva? Di certo sapevano i comandi militari USA in Iraq che, poche ore prima, sarebbero arrivati su quelle basi oltre 20 missili iraniani. Li aveva avvertiti il governo iracheno che, a sua volta, era stato avvisato da Tehran. Tanto che i militari USA e della Coalizione, compresi i nostri professionisti, ebbero modo di mettersi al sicuro. E qualcosa sapevano anche i numerosi aerei statunitensi che ronzavano attorno ai confini aerei dell’Iran nei momenti precisi dell’abbattimento dell’aereo.

Guerra cibernetica: non è la prima volta

In Iran si ricordano i casi del tutto analoghi dell’Il-20 russo abbattuto nel 2018 dalla contraerea siriana mentre pensava di colpire un caccia israeliano che si nascondeva dietro a quello russo e quello del MH-17 malese colpito nel 2014 sopra il Donbass da un missile Thor russo (in dotazione agli ucraini dal tempo dell’URSS). E si parla di guerra elettronica e di attacco cibernetico. Che gli Usa abbiano sviluppato la tecnologia dei cyber-attacchi di questo tipo è noto e ammesso. Che con tale tecnologia si possa interferire nei radar altrui, facendo apparire minacce volanti e che i comandi degli aerei possono essere controllati dall’esterno è altrettanto noto e assodato. Che l’operatore notturno di Tehran, puntando la sua camera su un punto nero nel cielo in quel momento sapesse cosa stava per avvenire è ancora più assodato. Qualcuno dei nostri eroi dell’informazione libera e democratica vi ha sottoposto almeno qualche dubbio su quanto avvenuto nella notte di Tehran, dopo che il segretario di Stato Pompeo e il ministro della Guerra Esper avevano fregato Trump imponendogli di attribuirsi l’assassinio di Soleimani e l’Iran aveva risposto devastando due basi USA?

Ahmadinejad e Rouhani

Gli schieramenti che si confrontano in Iran. Quelle vere e quelle viste in Occidente

Non meno interessante, ma riguarda l’Iran, è quanto succede dopo la tragedia. I comandi militari e quelli dei Guardiani della Rivoluzione si sono riservati un comunicato definitivo. Il presidente Rouhani e il ministro degli Esteri Zarif hanno invece subito condiviso la versione accreditata in Occidente, del missile iraniano che ha preso l’aereo per errore della contraerea. E sollecitano i militari a chiedere scusa. Ne hanno preso spunto le Sardine sorosiane di Tehran per rimettersi in piazza contro il “regime” e per far calare l’ombra mediatica sui sette milioni che avevano seguito la bara di Qassem Soleimani nella sola capitale.

I “bravi analisti”, gli stessi che il taumaturgo Trump fa tutto lui e ignavi segretari di Stato e Consiglieri della Sicurezza neocon gli vanno dietro come pecorelle, vedono in Iran l’eterna divisione tra “ultraconservatori” (alla Khamenei e Ahmadinejad) e “moderati o progressisti” (tipo Khatami, Rouhani, Zarif). Curiosamente, sotto Ahmadinejad, oltre al riscatto delle classi lavoratrici e dei poveri, c’è stato anche il più forte allentamento delle prescrizioni islamiche, tipo sull’abbigliamento delle donne, mentre, con i “moderati”, si è tornati alle restrizioni clericali.

Per una contrapposizione meno banale, consentitami anche dalla conoscenza diretta dell’Iran, del suo popolo e delle sue istituzioni, va chiarito che in Iran c’è la classica e immancabile divisione di classe. Da un lato chi esprime la volontà e i bisogni delle classi popolari, le più colpite dalle criminali sanzioni, e chi quelli dell’alta borghesia e dei grossi bazari ansiosi di scambi a largo raggio e a qualsiasi costo politico. I primi, i presunti ultraconservatori, costituiscono la base elettorale di presidenti laici come Ahmadinejad, di segno sociale e patriottico e dunque antimperialista. I quartieri alti producono dirigenti come Khatami, Rouhani, o il famigerato speculatore Rafsanjani, detto “lo Squalo”, tutti pronti alla mediazione, al compromesso, ansiosi di neoliberismo. Sono gli autori del tafazziano accordo sul nucleare voluto dall’astuto Obama per bloccare, con l’annullamento del nucleare civile, peraltro legalissimo, l’intero sviluppo industriale e sociale dell’Iran,  come era stato promosso dal laico Ahmadinejad. Tra questi due schieramenti si gioca il destino del grande paese, della sua resistenza, come del Vicino e Medio Oriente.

Da una Berlino all’altra: corsi e ricorsi coloniali

A Berlino, tra il 1984 e il 1885, le restaurate monarchie d’Europa riunirono, sotto il cancelliere Otto von Bismarck, i portatori dei loro interessi vetero-feudali e neo-capitalisti per muoversi a un nuovo assalto al Sud del mondo, Africa nello specifico, e spartirsi territori, risorse e vie strategiche. Che la conferenza sulla Libia veda coinvolti gli stessi predatori di allora, associati al nuovo protagonista imperialista USA e a Stati di contorno, è il segno della tracotanza impunita con cui, sotto la maschera benevola dei diritti umani, come allora sotto quella della civiltà e del progresso, le potenze dell’Occidente si apprestano a nuove aggressioni, devastazioni, genocidi, rapine a mano armata, liberista, missionaria e ONG. Oggi come ieri, nel segno e con la benedizione della Croce.

Tutto procedeva da anni nel tran-tran di chi deplorava l’attacco e la distruzione della pacifica e prospera Libia unita, da esso stesso commessi; per poi approfittare del controllo dei Fratelli musulmani di Al Serraj su segmenti del tripolitano con il suo business dei migranti. Business sia promosso (dalle Ong e referenti politici globalizzanti), sia avversato (dai cercatori di elettori spaventati). Ci si adattava alla spartizione nei fatti della Libia; si calcolavano la porzioni di idrocarburi da spartire e si contava sul caos libico perché la ricolonizzazione del Sahel da parte di Francia e compari non fosse disturbata da un ritorno a una Libia forte e autonoma. Tutto questo, sotto copertura di un governo riconosciuto dalla “comunità internazionale” (un sesto dell’umanità) e dall’ONU, era la ricaduta benefica di un graditissimo colpo di Stato islamista dei jihadisti misuratini, che aveva costretto l’ultimo parlamento e governo legittimi, eletti democraticamente, a rifugiarsi a Tobruq. Governo di cui il generale Khalifa Haftar, comandante del Esercito Nazionale Libico (ENL), e il legittimo ministro degli Esteri.

Guai se non ci fossero i cari fratellini musulmani

I Fratelli Musulmani, come s’è visto in molte occasioni, recentemente col presidente Morsi in Egitto, cacciato da una rivoluzione di popolo che poi si sono intestati i militari, sono, da quando furono inventati dai britannici negli anni ’20, la Quinta Colonna del colonialismo occidentale nel mondo arabo, prima europeo, poi Usa-Nato. Quando un movimento civile e militare, diretto da Tobruk, è riuscito a ottenere il consenso della maggioranza delle tribù, compresa quella di Gheddafi e il controllo sull’80% del territorio nazionale e stava per realizzare la liberazione di Tripoli, ecco che tutti si sono svegliati di soprassalto. E’ partita,  prima piano, poi con accelerazione frenetica, la girandola degli incontri diplomatici (con Conte e Di Maio che ridicolmente si rincorrevano di capitale in capitale), delle conferenze di mediazione, dei soccorsi al fidato burattino Fayez al Serraj  che, guarda il caso, è di origine etnica turca. A Erdogan questo è bastato per rivendicare a sé la “provincia ex-ottomana”, spostarvi da Idlib migliaia di scuoiatori e stupratori jihadisti di Isis e Al Qaida e concordare con il socio di minoranza turco-libico il possesso delle acque tra Turchia e Libia e degli idrocarburi ivi contenuti (con tanti saluti, oltrechè a Grecia e Cipro, a Greta e al Green New Deal).

C’è da ghignare sul fatto che per molti che avevano dato del macellaio a Erdogan per la cacciata dei curdi dai territori siriani,da questi invasi e occupati con l’aiuto Usa, ora lo vedono di buon occhio, perché promette di bloccare, magari far fuori, il generale amico di Al Sisis, “dittatore egiziano e assassino di Regeni”. Per altri, la venuta dei turchi è benvenuta nella misura in cui il sultano non se ne approfitti troppo e lasci ad altri porzioni del bottino petrolifero, idrico e geopolitico. Il congresso di Berlino, di cui l’assonanza con quello del 1885 è chiaramente voluta, è a questo che punta.

Il cattivo anticurdo diventa il buono anti-Haftar
Tanto più che a Mosca, Putin, lo “Zar” – che ha appena avviato una riforma costituzionale mirata a democratizzare l’assetto istituzionale con un premier eletto dalla Duma e non più nominato dal presidente (riforma ovviamente letta in Occidente, “manifesto” & Co, come ulteriore spinta dello “Zar” all’autocrazia) – ha sparigliato facendo sottoscrivere una tregua a Erdogan e al pesantemente pressato Serraj. Ma non a Haftar, che ha considerato la proposta irriguardosa e offensiva nei riguardi del popolo libico e del suo parlamento. E non a torto. Le tregue che, dagli incontri di Astana in qua, Mosca ha concordato con il neo-ottomano, dalle aree di de-escalation in Siria, al governatorato di Idlib zeppo di tagliatori di gola da cento paesi, fino a questa, sono tutte servite e serviranno, anche contro le intenzioni russe, a far riprendere fiato ai jihadisti in difficoltà e a farli rifornire di armi e uomini. Né dei tagliagole, né dei loro protettori (USA, Nato e Turchia) c’è mai stato da fidarsi. Ne ce ne sarà in Libia. La buona figura mediatrice e pacificatrice che Putin ha tutti i tioli per rivendicare rispetto alla psicopatologia bellica degli USA e dei loro ascari, a volte comporta un prezzo troppo alto. Lo sanno i siriani quando guardano a Idlib, alla cosiddetta “fascia di sicurezza” presa dai turchi, o alla regione del Nord Est sotto occupazione USA.

Lasciateci almeno i migranti e un po’ di petrolio

Libici trucidati dai soldati di Graziani

Gli italianuzzi senza arte né parte, ma con un solido e sanguinario passato coloniale in Libia, si danno un gran e inutile da fare. Con Haftar potrebbe rinascere una Libia unita e indipendente. Se avessimo avuto l’intelligenza di stare con colui che ha ragione e non con i fantoccio Isis di Tripoli e i cacciatori di neri di Misurata, l’ENI avrebbe avuto la migliore delle chance rispetto ai concorrenti (ENI, che fa la vera politica estera italiana, scevra dai servilismi partitici e perciò viene demonizzata dagli atlantistico-sionisti alla Travaglio e Stefano Feltri-Bilderberg).

Ma Haftar rischia anche di far seccare una fonte vitale di reddito, prestigio e propaganda di quella lobby plurilaterale che prospera sullo svuotamento dell’Africa da depredare e dei nuovi schiavi con cui esaltare la fetta padronale del mercato del lavoro. Se prende Misurata e Tripoli, ha promesso di farla finita con la detenzione e il traffico di esseri umani che costituiscono il profitto e l’arma di ricatto dei Fratelli musulmani e delle loro milizie armate “governate”, si fa per dire, da Serraj. Che ne sarà delle Ong di Soros e Merkel, delle speronatrici di navi militari italiane, delle cooperative, della Caritas, degli Angelus di Bergoglio, degli argomenti di Salvini, del profumo d’incenso attorno ai buonisti della maggioranza?

 Haftar e Said al Islam, figlio di Muammar Gheddafi

Di Maio e Conte farneticano di caschi blù europei (che non esistono) da mettere a guardia del bidone e salvare Serraj. Un mini-Pompeo italiota che fa il ministro della Difesa vorrebbe che quel dicastero fosse dell’Offesa e pretende, insieme ai suoi generaloni, una “rimodulazione del nostro impegno militare in Libia”. Oltre ai 400 militari scandalosamente mescolati tra i bruti di Misurata. Hanno il coraggio di parlare di “Forza di interposizione”, che non significa altro che la sciagurata spartizione della Libia tra Cirenaica e Tripolitania. Colonialisti d’accatto. Qui, dopo i 600mila libici massacrati da Graziani e il paese distrutto con il concorso dei bombardieri di Giorgio Napolitano, noi non abbiamo che “una parola d’ordine, categorica e imperativa per tutti”: starsene fuori dalle gonadi. Aì vari occidentali, colpevoli delle peggiori tragedie inflitte all’umanità nel Sud del mondo non spetta parola in capitolo. La Libia ai libici e la soluzione non può che essere militare, come lo è stata in Siria, Iraq, Vietnam. Giù le mani dal Sud del mondo. La “soluzione politica”, ai tempi delle lotte di liberazione, è sempre e solo una fregatura. Non si può che stare con Haftar. Anche perché, se quelli di Serraj incarcerano e impiccano i gheddafiani, lui li ha riabilitati e accolti.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:08

 

UN’OCCHIO PULITO SULLA PIAZZA DI SANTIAGO ———— IL FALSO DALL’IRAN, IL VERO DAL CILE

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MONDOCANE

LUNEDÌ 13 GENNAIO 2020

Questo che segue, dopo una mia premessa, è il capitolo cileno, a Santiago in lotta, del diario di viaggio di un mio giovanissimo amico, Tommaso Cherubini, con le sue belle e significative fotografie. Il suo è un viaggio per l’America Latina, con zaino, sacco a pelo e in autostop, di esplorazione e formazione.

I falsari dell’informazione ci stanno saturando con le immagini di proteste popolari in paesi accuratamente selezionati. Di altre manifestazioni e di repressioni ben più feroci si sforzano di non farci sapere nulla. Sono documenti come quello che vi propongo che ci fanno avere bagliori di verità e che riducono alla vergogna e al ridicolo le manipolazioni ormai ontologiche e generalizzate, a sinistra-destra come a destra-destra.

Così veniamo inondati da cronache stampate e televisive che ci dovrebbero entusiasmare sulla “rivolta dei giovani iraniani” contro il loro governo. Prima, perché erano stati decisi prezzi appena più alti sui carburanti (10 centesimi al litro) per poter convogliare questo aumento alle fasce più colpite e impoverite dalle sanzioni genocide che, da Obama a Trump e dai loro rispettivi referenti, colpiscono una nazione che rifiuta di inchinarsi ai presunti padroni del mondo. E, successivamente, in protesta contro l’abbattimento dell’aereo delle aviolinee ucraine e le sue 170 vittime  a causa dell’errore dell’antiaerea iraniana. Non “ammesso con colpevole ritardo”, come infieriscono i media, ma dopo due giorni, con l’inchiesta neanche terminata. Vorremmo altrettanta onestà da parte di chi bombarda Siria e Iraq e nasconde la mano. Oppure da chi ha abbattuto il DC-9 dell’Itavia su Ustica e da chi sa tutto. O da chi ha fatto ammazzare Ilaria Alpi e Miran Hovratin a Mogadiscio. O da chi ha ordinato e supervisionato tutte le stragi di Stato da noi. O alle Torri Gemelle…………

Nessuno rileva che queste dimostrazioni, al pari di quelle di Hong Kong, Algeria, Libano, Iraq, tutte fomentate ai fini del “regime change” perseguito dall’Occidente nei confronti di governi disobbedienti, si rapportano a quelle di milioni in tutti i paesi arabi e islamici, ma anche latinoamericani, contro l’assassinio del generale Qassem Soleimani, come un roveto è paragonabile a una foresta. Soleimani, vincitore della guerra contro il terrorismo Isis e Al Qaida in Iraq e in Siria, era in missione di pace a Baghdad per negoziare la distensione tra Iraq e l’ostile Arabia Saudita, creatrice e foraggiatrice, insieme agli Usa e Israele, di questo mercenariato jihadista (oggi, peraltro, attivo in Libia su mandato dell’altro sponsor del jihadismo, Erdogan, e impegnato, con il beneplacito di potenze e gregari, a fermare la liberazione in atto di quel paese dai Fratelli musulmani e loro milizie Isis).

L’assassinio di Soleimani, a cui oggi plaudono sia l’ISIS che Israele, costituisce una criminale violazione del diritto internazionale, delle convenzioni di Ginevra e della sovranità di due paesi, Iraq e Iran. Immaginate cosa sarebbe potuto succedere se qualche paese aggredito da sanzioni, eserciti, o mercenari Usa-Nato, avesse ucciso con un drone il Segretario di Stato Pompeo, superfalco e vero protagonista dell’estremismo Usa, o l’influentissimo politico e parlamentare statunitense John McCain (defunto nel suo letto), massimo guerrafondaio americano, compare di tutti i capi della sovversione terroristica, da Al Baghdadi, con cui si fece fotografare in amichevole colloquio, ai golpisti di Kiev. Coloro che ora sono rispuntati nelle piazze di Baghdad, Beirut, Tehran, avevano inneggiato all’uccisione di Soleimani. Veri patrioti.

C’è da aggiungere, a prova del tasso di deontologia dei nostri media, che si sorvola con grazia leggera sulle repressioni in Cile e Bolivia, di netta natura pinochettiana, che vanno avanti da mesi e hanno prodotto centinaia di morti, tra l’un paese e l’altro, e migliaia di arresti, con l’immancabile corollario della tortura. Mentre viene trasformata in inaudita violenza contro inermi l’incredibile moderazione delle forze di polizia di Hong Kong davanti ad autentiche brigate di squadristi, uniformate e armate, che tutto devastano, invadono il parlamento, distruggono la metropolitana, danno fuoco a chi ne prende le distanze, sventolano le bandiere del colonialismo e dell’imperialismo, britannica e statunitense.

Il documento che ci fa avere Tommaso sul Cile di un pinochettismo mai morto, ma anche di un popolo mai domo, rende giustizia alla verità. Non ci arriva dagli schermi e dalle pagine che si fanno passare per fonti di informazione. Sono occhi che hanno visto, cuore che ha sentito, mente che ha capito. Ci arriva via rete. Quella rete che tutti i corruttori di un giornalismo che, per me, dovrebbe essere la più utile e bella professione del mondo, denunciano come la massima fonte di fake news. Freud parlerebbe di transfert.

Tommaso mi perdonerà se taglio la breve parte storica, ben nota ai miei interlocutori

E questi sono due link che ristabiliscono la verità sui bombardamenti iraniani sulle due basi Usa in Iraq. Il primo è la cronaca dell’inviata della CNN che mostra la distruzione causata (e negata) alla base di Ain el Asad, con uno dei dieci crateri prodotti dalla dozzina di missili. L’altro è un’ulteriore illustrazione dei danni a quella base. Se ne può trarre la conclusione che, seppure non sarebbero state causate vittime, l’intento della ritorsione all’assassinio di Soleimani , come si sa preavvisata al governo iracheno, non era una strage, ma la dimostrazione di quanto l’Iran potrà infliggere a qualunque aggressore. Risposta civile alla barbarie.

https://youtu.be/xXl6wEcRYOg Base Usa a Ain el Asad distrutta, cratere di uno dei 10 missili arrivati (CNN)

https://youtu.be/AR2-LHXUXNg  danni alla base di Ain el Asad

 Tommaso Cherubini da Santiago

Una città in protesta, un popolo stanco che rivendica i propri diritti

Sono finalmente a Santiago de Chile.

Al contrario degli altri luoghi finora visitati, questo mi attira per tutt’altri motivi. Non per la natura e le emozioni dei paesaggi, ma per la situazione storica che sta vivendo questo paese, raccolta e rappresentata dalla capitale.

Prima di iniziare questa pagina di diario, vorrei precisare che quello che scrivo e scriverò è frutto di ciò che ho vissuto e mi è stato raccontato.  Non voglio offendere nessuno né considerarmi l’unico possessore della verità assoluta, solo raccontare la mia esperienza.

L’inizio delle proteste si ha il 14 Ottobre 2019, in seguito all’aumento del costo del biglietto della metro. Come mi viene spiegato, però, questo è da considerarsi solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, infatti le motivazioni sono molteplici: carovita, corruzione, disuguaglianze, legge sull’aborto e molti altri.

Ma tutto ha inizio, quindi, dalle stazioni della metro e dagli studenti universitari che iniziarono a non pagare il biglietto.

Il 18 settembre, vedendo la situazione peggiorare, con continue occupazioni e danneggiamenti delle stazioni metro, il presidente Piñera decide di dichiarare lo stato di emergenza, spiegando le forze militari. Quel giorno, per la prima volta dalla dittatura Pinochet, viene attuata una repressione militare, con coprifuoco e limitazione della libertà.

Le proteste sono tutt’ora in atto, da più di 80 giorni.

Il 22 Novembre, il presidente ha affermato che “Il Cile è in guerra”.

Io, nel mio piccolo, dall’Italia avevo avuto notizie solo attraverso i media e la situazione sembrava critica in tutto il Cile. Parlando, però, con i miei amici cileni, ero stato rassicurato e mi era stato consigliato di non dare retta ai notiziari, in quanto controllati dal governo. Così ho deciso di andare a vedere con i miei occhi, non volevo farmi sfuggire questa opportunità.

Il giorno del mio arrivo mi imbatto subito nella prima protesta, mentre mi dirigo alla fermata della metro per andare in centro. C’è una strada ad alta velocità che attraversa la città, a pagamento, il cui pedaggio continua ad essere aumentato di anno in anno. Passando al fianco di essa, mi accorgo di un accumulo di persone, fuori dal recinto che la delimita, ma tutte rivolte all’interno. Avvicinandomi mi accorgo che lungo la pista è pieno di macchine e camion che la percorrono a velocità molto bassa, suonando il clacson.

È in corso una manifestazione di protesta contro il caro prezzi, i veicoli vengono condotti a bassa velocità per creare traffico ed intoppi.  L’assembramento di persone al lato della strada è all’altezza di un posto di blocco dei carabinieri.

Mi unisco alla folla e subito mi salta all’occhio che i carabinieri, indossando abbigliamento color militare e giubbotti antiproiettile, hanno in mano armi più grandi di quelle che mi aspettavo e si muovono con veicoli blindati davvero enormi. Fermano ogni auto, fanno scendere il conducente e i passeggeri, li perquisiscono, il tutto mentre la folla gli urla contro di non toccarli e di rispettare i loro diritti. C’è anche una giornalista col suo cameraman che riprende tutto, all’interno di quella che sembra un’autostrada.

Davanti ai miei occhi increduli, una ragazza che conduceva una delle macchine a bassa velocità, viene caricata su una delle camionette blindate e portata via. Così. Chiedo spiegazioni ad un ragazzo tra la folla e lui mi spiega le motivazioni di tale protesta. Il pedaggio di questa strada è stato aumentato per l’ennesima volta quest’anno, per coprire i costi di investimento iniziali e la manutenzione. Secondo i manifestanti, però, l’investimento è già stato coperto da anni e la manutenzione è solo una piccolissima percentuale rispetto al guadagno dello stato sulle spalle dei cittadini.

Mi fa subito impressione la quantità spropositata di carabinieri rispetto ai protestanti. Ci sono almeno 5  per ogni manifestante, si muovono a gruppi, con scudi, elmetti, manganelli ed armi.

Resto un po’, per fare qualche foto e video, poi me ne vado verso il centro.

Come primo giorno non c’è male.

L’indomani esco per fare un giro nel centro di Santiago. Piazza Italia è il punto nevralgico della protesta cilena, la fermata metro Baquedano, al centro di essa, è fuori servizio dai primi giorni di tensione. Scendo quindi alla precedente e mi avvio a piedi, le proteste iniziano ogni giorno verso le 17, quindi sono tranquillo essendo più o meno le 12.

Avvicinandosi alla piazza si notano i cambiamenti, gli edifici iniziano ad essere pitturati e pieni di murales, i pavimenti distrutti, i negozi chiusi con lastre di metallo o cemento, la quantità di carabineros che aumenta a dismisura. Arrivato, ho subito la sensazione di trovarmi in un luogo dove è successo, e sta succedendo, qualcosa di storico. L’aria è tesa, come piena di energia per le proteste del giorno prima e pronta per quelle in arrivo. La statua al centro è completamente vandalizzata, i semafori distrutti, i negozi e gli edifici pieni di scritte e murales contro il governo e i “pacos”, come vengono chiamati carabinieri.

Dà i brividi. Carabineros in tenuta antisommossa, armati di scudo, casco ed armi. Impassibili alla gente comune che passeggiando o andando a lavoro gli urla “asesinos”.

Allontanandomi mi imbatto nella seconda manifestazione, un gruppo di una 60ina di persone in mezzo alla strada con dei cartoni raffiguranti degli occhi. Mi avvicino e noto che, come sempre, sono circondati da carabinieri. Ma la manifestazione è tranquilla, un microfono passa di mano in mano permettendo alle persone di esprimere la loro rabbia. Si parla di mancanza di diritti, di necessità di sanità gratuita, di corruzione, della violenta repressione delle proteste. Di come non sia possibile festeggiare il Natale vista la situazione in cui verte il Cile.

I cartelli stanno a significare che è necessario aprire gli occhi, rendersi conto del problema e non far finta di nulla.

Quello che mi ha colpito, oggi, è la varietà di persone presenti alla manifestazione. Dall’adolescente, al signore di mezza età, alla vecchietta che mi ha rapito il cuore. Tutti in piedi, in piazza, intenti a far sentire la propria voce e ad unirsi facendosi forza l’uno con l’altro.  Gente incazzata, gente in lacrime, gente orgogliosa e convinta di quello che sta facendo.

Vengo informato che il venerdì seguente, 20 dicembre 2019, ci sarebbe stata l’ultima grande manifestazione prima delle vacanze natalizie.

Il giorno stesso mi dirigo lì verso le 18, la fermata di piazza Italia, come già detto, è fuori servizio, quindi scendo a quella prima: San Salvador. Esco dalla stazione ed è già manifestazione. Centinaia di persone tutte intorno a me, con bandane a coprire naso e bocca o maschere da snowboard. Tamburi, trombe, canti e balli.  Tutti in strada, diretti a Piazza Italia, incitando chi ancora sul marciapiede ad avvicinarsi. L’atmosfera è allo stesso tempo gioiosa ed incazzata. Gioiosa per me, perché si percepisce quanto la gente faccia tutto ciò col cuore, perché ama il proprio paese e preferisce questo ad abbandonarlo. Incazzata perché questo paese non è disposto ad ascoltarla, ma preferisce reprimerla con la forza.

Mi aggiungo al corteo, non è il classico corteo di una manifestazione in cui sono tutti appiccicati, in questo la gente è a più di 2 metri di distanza, sparsa su tutta la strada, sviluppato molto in lungo. Percorro meno di 50 metri quando sento qualcuno urlare in lontananza, poi vedo i manifestanti correre in senso opposto al mio.

Tutto succede molto velocemente. Mi rendo conto di colpo che a 20 metri da me c’è un gruppo di un centinaio di poliziotti che corre verso di noi, scudo e manganello in mano. Mi giro e corro più veloce che posso. Sento cadere la borraccia dallo zaino.  Mi giro per dargli l’ultimo saluto, ma è già nelle mani di una ragazza che me porge, mentre continuiamo a scappare.

Sento scoppi in lontananza, poi più vicini. Poi nuvole di fumo. Volano lacrimogeni.

Non ho idea di quanto spazio o tempo io abbia corso, finché vedevo gente correre intorno a me, non mi fermavo.

Ho avuto paura. Arrivo al ponte che attraversando il fiume in secca va verso l’esterno del centro. Mi giro e la situazione sembrava più tranquilla, i manifestanti intorno a me, a quanto pare molto abituati al contesto, ricominciano come se niente fosse. Quelli in bici urlano “blocchiamo qui” e si buttano in mezzo alla strada fermando le macchine in entrambe le direzioni. I tamburi ricominciano a battere, mentre si aggiungono un gruppo di ragazze sbattendo mestoli contro pentole. Poi dei ragazzi suonano dei grossi sassi contro i pali della luce.

Ho la pelle d’oca da un’ora. Tutto ciò mi emoziona. Mi sento fortunato a poter vivere tutto questo, nonostante sia nel mezzo di una guerrilla. Sono commosso sotto la bandana e gli occhiali da sole.

 I carabinieri di fanno indietro, io cerco di avvicinarmi di nuovo a Piazza Italia, rinominata in questo periodo Plaza de la Dignidad.

Stavolta passo più vicino al fiume, dove sembra più tranquillo. Perché nonostante tutto quello che sto raccontando, la gente continua ad attraversare queste zone come se niente fosse, semplicemente per arrivare dall’altra parte. Sono a pochi metri dalla piazza più famosa del Cile. Inizia a prudermi il naso, inizio a starnutire. Poi la gola, un lieve prurito che diventa piano piano forte e costante. Poi gli occhi, non riesco a tenerli aperti. Si arrossano e pizzicano, moltissimo.

La piazza è piena di lacrimogeni e le forze armate continuano a lanciarne. Ad altezza uomo. Qualche giorno fa hanno ucciso una ragazza di 15 anni colpendola in faccia con uno di questi.

Sono costretto ad allontanarmi perché non respiro. Ci sono dei ragazzi che girano per le zone di protesta con acqua e bicarbonato in uno spruzzino, per aiutare la gente alleviandole il dolore. Ne incontro uno che mi aiuta e mi permette di tornare verso la piazza. Un prato di forze armate, sparpagliate, alcune in moto, altre a cavallo, decine di camion blindati, gruppi a piedi con scudi e manganelli. Tutti con casco e giubbetto antiproiettile.

La situazione è come quella precedente, migliaia di manifestanti sparsi per la piazza, il suono dei tamburi sovrastato da quello del lancio dei lacrimogeni. Dalle strade tutto intorno la piazza, tutti suonano nel traffico, con un ritmo che è lo stesso dei tamburi, per invitare la protesta. Non è facile né scontato muoversi in mezzo a tutto ciò. Si segue il movimento delle masse, se qualcuno scappa tu scappi, se si avvicina cerchi di avvicinarti. Se senti qualcuno urlare “arriba!” guarda in alto, è stato appena lanciato un lacrimogeno.

Resto li in mezzo, faccio foto, video, parlo con i manifestanti. Sono emozionato, eccitato, adrenalinico, ma soprattutto molto impaurito. Il dolore provocato dai lacrimogeni torna insopportabile e decido di lasciare la zona, mi è stato suggerito di andarmene presto, prima che i carabinieri ricevano l’ordine di far finire tutto e diventino ancora più violenti.

Tornando a casa ripenso a quello che ho vissuto, mi sento di nuovo molto fortunato. Si, è stato pericoloso. Ma non sarebbe stato più pericoloso vivere con il rimorso di essere stato qui, in questo momento storico così importante per questo paese, e non aver vissuto da vicino tutto ciò?

Ho deciso di andare perché spesso, da fuori, gli avvenimenti vengono distorti per vari motivi. Spesso cose come questa, che riguardano vite umane e problemi seri, si riducono a chiacchiere da bar dove ci si sente in diritto di esprimere un’opinione pressappochista della realtà. Dall’Italia ero informato solo sul vandalismo rivoluzionario del popolo cileno. Vivendolo in prima persona ho visto persone che, stanche della situazione in cui verte il proprio paese, rivendicano diritti sacrosanti pacificamente. In opposizione, il loro governo li reprime con la violenza, venendo meno anche ai diritti conquistati con la fine della dittatura.

Mi sento vicino al popolo cileno e spero che questa situazione si risolva nel migliore dei modi.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:16

LUC MICHEL ET LA JAMAHIRIYA LIBYENNE (LA VERITE SUR LE CHAOS LIBYEN II)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2020 01 12/

LM.GEOPOL - Libye II parcours LM (2020 01 12) FR (3)

* Voir la Partie I/

CONTRE LES SCENARIOS OCCIDENTAUX, LES MEDIAMENSONGES ET LES FAUX ANALYSTES : LUC MICHEL DIT SES QUATRE VERITES SUR LE CHAOS LIBYEN EN 2020 !

sur https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel/posts/1796470587154018

# PARTIE II-

LE PARCOURS LIBYEN DE LUC MICHEL

(RADIO MOSCOU/ LA VOIX DE LA RUSSIE)

Les noms, les faits, appuyés sur une connaissance intime du Dossier libyen : le géopoliticien lorsqu’il dresse un réquisitoire implacable contre les ennemis et les faux amis du peuple libyen et dénonce les faux analystes, sait de quoi il parle …

Voir le « parcours libyen » de Luc MICHEL :

Sa vie engagée s’est doublée d’un parcours en Afrique, une seconde vie parallèle et co-existant avec ses combats en Eurasie, avec la Jamahiriyah de Kadhafi et ses Comités Révolutionnaires (dont il a dirigé le Réseau paneuropéen à partir de 2003), puis avec PANAFRICOM et son « Néopanafricanisme » (les africains, dont il partage le combat, dans la ligne de Joe Slovo ou de Gaston Donnat, l’ont surnommé « le panafricaniste blanc »).

‘LA VOIX DE LA RUSSIE’ (RADIO MOSCOU) RÉSUMAIT CE PARCOURS LIBYEN EN 2014 :

« Nous nous entretenons aujourd’hui sur ce vaste sujet avec Luc MICHEL, grand spécialiste de la géopolitique et notamment de la Libye (on lui doit notamment une GEOPOLITIQUE DE LA JAMAHIRYA LIBYENNE).

Organisateur et homme d’action, il est aussi le créateur dans toute l’Europe dès la mi-février 2011 des Comités ELAC / Euro-Libyan Action Committees et en juin 2011 de leur pendant africain, les Comités ALAC / Afro-Libyan Action Committees (…). En avril 2011, il a organisé avec le Ministère libyen des affaires étrangères, la Libyan National Youth Organisation et ELAC la seule conférence internationale – euro-afro-arabe – de soutien à la Jamahirya « Hands off Libya », à Tripoli sous les bombes de l’OTAN.

Il a aussi exercé des fonctions dirigeantes pour la Jamahiriya. A partir de 2004, il dirige le Réseau pan-européen du Mouvement mondial des Comités Révolutionnaires libyens (le MCR, colonne vertébrale de la Jamahiriya), le MEDD-MCR (Mouvement Européen pour la Démocratie Directe, la seule organisation du MCR restée active après 2011, et dont le secrétaire-général est Fabrice Beaur) (4). En avril 2011, il est nommé par Tripoli président de la « Commission internationale du forum des Associations contre la guerre en Libye » et est chargé de la coordination du combat pour la Jamahiriya en Europe et en Afrique (5). Il est aussi l’éditeur du ELAC & ALAC Website.

Luc MICHEL est donc à la fois un analyste de la Libye mais aussi un grand témoin de l’agression contre la Jamahirya, qu’il a vécue de l’intérieur, et un acteur de sa défense. »

* Voir les photos et références sur :

http://www.elac-committees.org/2015/04/14/lucmichel-net-le-parcours-libyen-de-luc-michel-vu-par-la-voix-de-la-russie-moscou/

LUC MICHEL A CO-ORGANISÉ LES DEUX DERNIÈRES ACTIVITÉS POLITIQUES QUI ONT EU LIEU EN LIBYE AVANT L’AGRESSION OCCIDENTALE :

* juste avant les événements , dans les premiers jours de février 2011, le « 6e Forum européen du MEDD-RCM », le réseau pan-européen du Mouvement des Comités Révolutionnaires libyens qu’il dirigeait depuis sa création en 2003.

* Et la « Réunion Internationale de soutien à la Libye en avril 2011 – Hands off Libya ».

Il en existe deux « pages spéciales événement » sur Facebook avec des centaines de photos et vidéo. On peut notamment y voir une vidéo en arabe où le Ministre Kaled Kahim nomme Luc MICHEL (et ce seront ses dernières fonctions en Libye Jamahiriyenne) « président du Forum international des associations soutenant la Libye ».

* Voir https://www.facebook.com/ELAC.April.2011.Tripoli.Conference

et https://www.facebook.com/MEDD.RCM.6th.Forum

* Voir aussi les photos Luc MICHEL avec Ibrahim Moussa, porte-parole de Khadafi, et le vice-ministre libyen des affaires étrangères Khaled KAIM, en avril 2011 à Tripoli, organisant la seule conférence internationale – euro-afro-arabe – de soutien à la Jamahirya « Hands off Libya », sous les bombes de l’OTAN. Et Luc MICHEL avec le Dr Rajah Bouddabous, idéologue du Socialisme jamahiriyen à la VIe Convention du MEDD-MCR (Zawiah, Libye, 5-7 février 2011).

DEUX ÉTUDES GÉOPOLITIQUES EXISTENT :

1-

« LA LIBYE DANS LES CONCEPTS GÉOPOLITIQUES DU PCN »/

« ZNACZENIE LIBII W GEOPOLITYCZNYCH KONCEPCJACH NACJONAL-EUROPEJSKIEJ PARTII KOMUNITARNEJ (PCN) »

Le« 3e Congrès des Géopoliticiens polonais » – III Zjazd Geopolityków Polskich –, organisé à Wroclaw (Pologne, 21 et 22 octobre 2010), a été l’occasion d’une brillante intervention de Kornel SAWINSKI intitulée « Znaczenie Libii w geopolitycznych koncepcjach Nacjonal-Europejskiej Partii Komunitarnej (PCN) », « La Libye dans les concepts géopolitiques du PCN ».

Géopolitologue, sociologue, analyste à l’ « Europejskiego Centrum Analiz Geopolitycznych », Sawinski est Doctorant à l’Uniwersytetu Śląskiego – Université de Silésie –, il préparaite thèse sur « Les idées géopolitiques de Jean Thiriart ».

Le géopoliticien et chercheur polonais développe longuement dans « La Libye dans les concepts géopolitiques du PCN » l’action générale transnationale du PCN et la mienne depuis plus de 25 ans, amplifiée et continuée dans celle du MEDD-MCR (le réseau pan-européen du MCR libyen, resté organisé en Europe). Ainsi que ses fondements dans l’action du leader et théoricien paneuropéen Jean THIRIART dans les années 60. Il expose le rôle important et influent joué par l’Organisation transnationale du PCN en tant qu’Ecole de pensée et « think tank » (comme l’entend la politique anglo-saxonne).

Enfin, il en arrive au cœur de son exposé : les liens tissés avec la Jamahiriya libyenne, la proximité des thèses géopolitiques de Moammar KADHAFI, des miennes (je devenais en 2004 Coordinateur-général du MCR en Europe) et du PCN sur la Grande-Europe eurasiatique, la nécessaire émergence d’un monde multipolaire, la Méditerranée conçue comme un lieu de civilisation commune, ou encore le rôle de Pont de la Libye entres les Unions européenne et africaine.

SAWINSKI évoque enfin le thème de la Démocratie Directe (dans ses versions libyenne et européenne), le rôle qu’il joue dans ma pensée et celle du MEDD-MCR en tant qu’alternative fondamentale au Parlementarisme bourgeois.

* Laersion polonaise de cette conférence – avec des résumés français et anglais -a fait l’objet d’un numéro de LIBYA NEWS & FACTS (n° 2054, 17 nov. 2010), le Bulletin du CEREDD :

Disponible en Pdf sur : http://ceredd.free.fr/accueil.htm

2-

« ELAC, UNE ORGANISATION EN RESEAU CENTRALISEE » / « ELAC (EURO-LIBYAN ACTION COMMITTEES – KOMITETY AKCJI EUROPEJSKO-LIBIJSKIEJ) JAKO ORGANIZACJA O CHARAKTERZE SIECIOWYM »

Cette analyse est une tentative d’analyser le phénomène d’une organisation en réseau, dont la mise en place était directement liée à la situation politique en Libye en 2011. Les manifestations qui avaient eu lieu en Libye ont été le fruit d’un succès (renversement de la loi et émeutes en Tunisie et en Égypte). Les émeutes ont été inspirées et contrôlées de manière significative et peut-être même décisive de l’extérieur, grâce à l’utilisation d’une technologie de réseaux, qui fait partie des armes de « soft power ». Les partisans du système libyen, les gens qui sympathisent avec la démocratie directe, à la manière de la Jamahiriya libyenne, utilisent également cette arme tout en menant des guerres d’information pour défendre leurs axiomes. Une manifestation de ceci est sans aucun doute le réseau ELAC, créé de manière significative sur la base du MEDD-MCR (Mouvement pour la démocratie directe européenne – Mouvement des Comités Révolutionnaires – Mouvement des Comités Révolutionnaires) à l’initiative de Luc MICHEL L’analyse de l’activité d’ELAC net nécessite de prendre en considération quelques faits qui la distinguent des activités des organisations gouvernementales et non gouvernementales officielles qui disposent de beaucoup plus de soutien financier, politique et de renseignement. – d’une part, c’est une organisation décentralisée, d’autre part, elle est basée sur une structure strictement centralisée du Parti PCN. Pour garder la chronologie du récit et aussi pour comprendre l’essence du phénomène ELAC il a fallu effectuer une analyse de l’activité du parti politique PCN et du mouvement socio-politique MEDD-MCR dans le contexte de leur plus important entreprises nettes.

* Original en Pdf en polonais :

Wydawca Akademia Marynarki Wojennej (Polish Naval Academy), Gdynia, Poland

sur http://yadda.icm.edu.pl/yadda/element/bwmeta1.element.cejsh-3329b808-e832-4dc0-868c-10d27ec8f59a/c/Kornel_Sawinski.pdf

* Cfr. Kornel SAWINSKI : ELAC (EURO-LIBYAN ACTION COMMITTEES), UNE ORGANISATION EN RESEAU CENTRALISEE

Partie 1 sur http://www.elac-committees.org/2013/03/11/ceredd-kornel-sawinski-elac-euro-libyan-action-committees-une-organisation-en-reseau-centralisee-partie-1

et Partie 2 sur http://www.elac-committees.org/2013/03/11/ceredd-kornel-sawinski-elac-euro-libyan-action-committees-une-organisation-en-reseau-centralisee-partie-2

(Sources : Press TV – Radio Moscou/ La Voix de la Russie – ELAC Website – Afrique Media – EODE Think Tank)

Photo 1 :

Luc MICHEL à Tripoli à la tribune du Forum 2011 du MCR paneuropén (MEDD-MCR) avec le Dr Bouddabous, idéologue du Socialisme jamahirien.

Le combat avec le MCR pour la Démocratie directe ;

A la tribune du Forum 2009 des Partisans du Livre vert (ASIPALV) en octobre 2009 à Tripoli au Congrès Général Populaire (le parlement jamahirien).

A la Tribune du Meeting international « Hands off Libya » en avril 2011 à Tripoli (sous les bombes de l’OTAN).

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

LUC-MICHEL-TV https://vimeo.com/lucmicheltv

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

LINKEDIN https://www.linkedin.com/in/luc-michel-eode-600661163/