Dove si è nascosta l’Intelligence militare russa che operava in Europa

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di 

intelligence russa

L’approfondimento di Giuseppe Gagliano sul gruppo d’élite di ufficiali dell’intelligence militare russa che ha partecipato ad omicidi in tutta Europa

Secondo un’inchiesta del Times, un gruppo d’élite di ufficiali dell’intelligence militare russa, che hanno partecipato ad omicidi in tutta Europa, hanno utilizzato i resort nelle Alpi francesi come basi logistiche e di approvvigionamento. L’inchiesta riguarda l’unità russa speciale, nota come 29155, che appartiene al servizio segreto russo delle forze armate noto come GRU.

Questa unità è in funzione da almeno 10 anni. Tuttavia, le agenzie di intelligence occidentali hanno iniziato a concentrarsi su di essa solo nel 2016, dopo che è stato accertato che un gruppo d’élite di spie russe ha cercato di organizzare un colpo di stato nel piccolo paese balcanico del Montenegro. 

Si ritiene che l’unità 29155 sia composta da un gruppo affiatato di ufficiali dell’intelligence guidati dal maggiore generale Andrei V. Averyanov, un veterano delle guerre cecene della Russia. Secondo quanto riferito, l’esistenza dell’unità è così segreta che è improbabile che anche altri agenti del GRU ne abbiano sentito parlare. I membri dell’unità viaggiano spesso in Europa per condurre campagne di sabotaggio e disinformazione, uccidere obiettivi o condurre altre forme di ciò che alcuni esperti descrivono come la guerra ibrida del Cremlino. Si ritiene che siano responsabili dell’attentato alla vita di Sergei Skripal, un ex ufficiale dell’intelligence del GRU che disertò in Gran Bretagna. Morì nel marzo 2018, quando due membri russi dell’Unità 29155 lo avvelenarono nella città inglese di Salisbury.

Mercoledì scorso, un nuovo rapporto apparso sul quotidiano francese Le Monde ha sottolineato che l’Unità 29155 utilizzava le Alpi francesi come base per effettuare operazioni clandestine in tutta Europa. Secondo il documento, le informazioni sulle attività dell’unità in Francia sono emerse a seguito di indagini sulle attività dei suoi membri svolte da parte delle agenzie di intelligence britanniche, svizzere, francesi e americane. Nello stesso articolo, Le Monde ha pubblicato i nomi di 15 membri dell’Unità 29155, che presumibilmente sono rimaste in varie città alpine francesi tra il 2014 e il 2018. Le presunte spie russe sarebbero rimaste nell’Alta Savoia francese, al confine con la Svizzera che è tra le destinazioni turistiche invernali più popolari d’Europa.

L’area comprende la famosa catena montuosa del Monte Bianco e le pittoresche città alpine di Annemasse, Evian e Chamonix. Diversi membri dell’unità hanno visitato ripetutamente la regione mentre altri agenti sono entrati in Francia una o due volte con il compito di condurre specifiche missioni. Si ritiene che la principale ragione in base alla quale hanno compiuto i loro viaggi nelle Alpi francesi sia stato quello di fondersi con il gran numero di turisti internazionali che viaggiano nella regione durante tutto l’anno. Tuttavia, l’unità ha anche utilizzato diverse altre aree geografiche dell’Europa orientale come basi, tra cui alcune città in Moldavia, Montenegro e Bulgaria.

Ripartenza. Alberto “Per uscire dalla crisi ricreiamo lo stesso spirito con cui sbloccammo la Tav”

https://quotidiano.repubblica.it/edizionerepubblica/pw/flipperweb/flipperweb.html?testata=LOC&issue=20200408&edizione=torino&startpage=1&displaypages=2

8 aprile 20 Repubblica :

di Mariachiara Giacosa 

«Diamoci un appuntamento: la prima riunione che potremo fare intorno a un tavolo reale e non virtuale, facciamola per ricreare l’alleanza che ha sbloccato la Torino-Lione e che nelle prossime settimane dovrà far ripartire Torino».

È passato un anno dal 6 aprile 2019, giorno della terza mobilitazione Si Tav, organizzata come una marcia da piazza Vittorio Veneto e piazza Castello, aperta da un plotone in cui sfilavano accanto rappresentanti delle categorie economiche e sindacati.

Tra loro c’era il presidente di Api Corrado Alberto che oggi invoca «la stessa alleanza straordinaria che si creò a favore dell’alta velocità, per una strategia con la quale la città e il Piemonte possano uscire dalla crisi economica determinata dal coronavirus».

Presidente, ci sono le condizioni per ricreare l’unità di intenti che è servita a sbloccare la Tav?

«Credo che ciò che abbiamo messo in piedi per la Torino-Lione abbia dato alle categorie economiche, ai sindacati e alla società civile di questa città una credibilità che potremo rimettere a disposizione delle istituzioni quando ci sarà la possibilità di ripartire. Se riusciamo a catalizzare tutte le energie di allora sulla rinascita economica, credo che potremo dare un’orizzonte condiviso che consenta alle varie anime che facevano parte del movimento Si Tav di ritrovare una direzione comune. Sul breve termine, ogni settore, ogni categoria ha una sua strategia: lo vediamo in queste settimane, nelle quali i vari settori economici sono impegnati a salvaguardare la tenuta del proprio comparto. Ma sulle visioni strategiche ci sono le condizioni per muoverci tutti nella stessa direzione».

Un anno fa l’obiettivo era la Tav, oggi qual è la meta?

«Approfittare di questo momento di “pausa” per pensare a un progetto per Torino.

Resto convinto che nessun progetto di sviluppo per la città possa prescindere dalle opere pubbliche. Parliamo di linea 2 del metrò, ma anche di una linea 3, un collegamento circolare che unisca i bracci della rete che con linee 1 e 2 sarà una sorta di croce. Poi c’è il completamento della tangenziale di Torino. Ecco, credo che se dotiamo la città in tempi rapidi di queste infrastrutture – che consentirebbero anche un po’ di dare ossigeno economico alle imprese edili – si potrà creare la griglia sulla quale costruire la nuova Torino. Che dovrà darsi alcuni obiettivi, a partire dalla sfida di tenere qui i tanti studenti che vengono per la propria formazione e che poi dobbiamo trovare il modo di far restare, perché qui possano aprire aziende e far crescere i figli».

Quali sono però i progetti concreti?

«Una città collegata è una città appetibile. Se creiamo questa condizione, il resto viene da sé. E penso al nuovo Parco della Salute, al Manufacturing center, a Tne, ai poli strategici che la città si è posta come obiettivi di sviluppo».

Questo è il futuro, il presente è il lockdown. Come se ne esce?

«Con gradualità. Spetta al governo darci gli strumenti tecnologici per ripartire in sicurezza salvaguardando la salute di tutti, ma gli imprenditori non sono degli irresponsabili e anzi in queste settimane abbiamo dimostrato la volontà e la capacità di adeguare le produzioni alle norme di sicurezza. Abbiamo reso le fabbriche luoghi sicuri e oggi sappiamo come proteggere i nostri lavoratori. Penso che dopo Pasqua sia importante iniziare a riaprire, partendo dalla logistica per consentire a chi ha prodotti in magazzino di consegnarli ai clienti. Poi diamo la possibilità di riprendere l’assemblaggio dei prodotti».

I 5stelle chiedono di togliere i soldi dalla Tav per affrontare l’emergenza. Che ne pensa?

«E’ quasi stucchevole: la Tav era fondamentale per Torino e per l’Italia prima di questa crisi, lo è a maggior ragione ora».

La piazza

A gennaio 2019 furono oltre 30 mila scesero in piazza per dire “sì” alla Tav, con le “madamine” e un’alleanza di imprenditori

Cantieri svelti? Idra replica a Cancelleri

http://www.idraonlus.it/2020/04/06/cantieri-svelti-idra-replica-cancelleri/

Pubblicato da  il 6 aprile 2020 

cantiere-campo-di-marte

La sospensione in atto di diritti costituzionali fondamentali come le libertà di circolazione e di riunione non può legittimare il varo di provvedimenti non condivisi

In un’intervista al Fatto Quotidiano, il viceministro ai Trasporti Giancarlo Cancelleri, del Movimento 5 Stelle, ha annunciato stamani una proposta, già consegnata al presidente del Consiglio e al Ministro dell’Economia. Cancelleri sostiene di voler “velocizzare i lavori per opere che sono già interamente finanziate e inserite nei contratti di programma dell’Anas e della Rete ferroviaria, per un valore complessivo di 109 miliardi”. E aggiunge, in relazione alle normative sugli appalti: “Vogliamo semplificare tempistica e modalità, nominando come commissari straordinari per l’affidamento e l’esecuzione delle opere l’amministratore delegato di Anas e quello di Rfi. Staranno in carica tre anni, rinnovabili per altri due in base ai risultati”.

Questa la risposta che dalla Toscana ha indirizzato anche per Pec al viceministro l’associazione fiorentina Idra, che monitora da oltre 20 anni le condizioni di attuazione delle ‘grandi opere’ ferroviarie in Mugello, a Sesto Fiorentino e a Firenze.

«Se il Suo obiettivo, gentile Viceministro Cancelleri, è – come leggiamo nell’intervista pubblicata oggi su “Il Fatto Quotidiano” sotto il titolo “Ora lo sblocca-cantieri, così nel giro di due mesi partiranno tutti i lavori” – quello di “velocizzare i lavori per opere che sono già interamente finanziate e inserite nei contratti di programma dell’Anas e della Rete ferroviaria”, quale sarebbe allora la differenza fra la Sua proposta e le ambizioni delle cordate di uomini d’affari che in tanti casi negli ultimi decenni hanno forzato l’approvazione di opere infrastrutturali labour savingcapital intensive, devastanti per l’ambiente e per il clima, sgradite alle popolazioni che abitano quotidianamente i territori, oltre che largamente discutibili anche sul piano dell’utilità trasportistica? D’accordo che sia necessario, appena finita l’emergenza sanitaria, intervenire con misure eccezionali. Ma occorre guardare bene (e rapidamente, questo sì!) dentro i progetti. Non si possono ripetere al buio gli errori e gli orrori del passato, addebitando alle generazioni future – col pretesto dell’urgenza – nuovi debiti fuori controllo, persistendo in scelte socialmente inutili o deleterie come quelle che hanno originato i noti gravi disinvestimenti nel servizio sanitario nazionale, nella difesa idrogeologica, nella manutenzione e nella sicurezza delle infrastrutture, nella ricostruzione delle regioni colpite dai sismi, nella scuola, nell’Università e nella ricerca!

Prima di consegnare la Sua proposta al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, Le chiediamo, si è premurato di consultare la cittadinanza portatrice di interessi su questi temi, o di visitare i luoghi che beneficerebbero della ricetta da Lei suggerita? Qui e ora, sarebbe disponibile a venire a Firenze, ad esempio, per verificare ciò che ha provocato la TAV nelle valli e nelle comunità dell’Appennino, e per constatare ciò che tuttora provoca nella città patrimonio mondiale dell’Unesco un disegno di doppio sotto-attraversamento privo di costrutto, arenato da più di 20 anni? Noi La invitiamo, ci contatti: negli anni passati abbiamo accompagnato senatori e deputati del Suo Movimento in visita ai cantieri fiorentini, assieme ad Alfonso Bonafede, oggi Ministro della Giustizia e Capo delegazione del Movimento 5 Stelle, e abbiamo ricevuto impegni formali a sostenere questa nostra battaglia dallo stesso Luigi Di Maio, allora vicepresidente della Camera e oggi Ministro degli Esteri.

Invitiamo in ogni caso Lei e l’esecutivo tutto a considerare che l’attuale stato di emergenza nazionale non può giustificare l’assunzione di iniziative di governo ‘speciali’ carenti sotto il profilo della legittimità democratica: la condizione di lockdown alla quale l’intero Paese è sottoposto sospende infatti diritti costituzionali fondamentali come la libertà di circolazione e di soggiorno su tutto il territorio nazionale (Art. 16) e di riunione (Art. 17), impedendo quindi la libera espressione del confronto, del dissenso e dell’interlocuzione. Grave e paradossale sarebbe che la cittadinanza, dopo un’inedita esperienza collettiva di limitazioni di ogni genere, dovesse trovarsi – all’uscita dall’emergenza – in un Paese ancora una volta segnato da scelte adottate arbitrariamente da una classe politica non assoggettata alle ordinarie procedure di controllo. Inquieta, in proposito, quel virgolettato a Lei attribuito nell’occhiello dell’articolo, che recita “Sono ferme opere per 109 miliardi, facciamo come a Genova”. Sarebbe convenuto forse che, prima di abbracciare un tale slogan (così caro oggi a certo sindacato e a certa imprenditoria), Ella avesse interpellato il prof. Giuseppe Catalano, coordinatore della Struttura tecnica di missione, che per il Suo Ministero cura l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’alta sorveglianza. Ricordiamo che, in occasione del nostro recente incontro col Ministro Paola De Micheli, a febbraio, il prof. Catalano ebbe infatti a segnalarci come il ‘modello Genova’ non sia replicabile: si è trattato di un caso unico per la valenza materiale, morale e simbolica del dramma del crollo del Ponte Morandi, per il quale è stata tollerata – ma solo in via eccezionale – l’elusione di tempi, controlli e garanzie.

Ci risponda, per cortesia: Lei appartiene ancora, ci risulta, a un Movimento che ha fatto della democrazia orizzontale la propria bandiera!»

“Ora lo sblocca-cantieri, così nel giro di due mesi partiranno tutti i lavori”

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/04/06/ora-lo-sblocca-cantieri-cosi-nel-giro-di-due-mesi-partiranno-tutti-i-lavori/5761004/

“Ora lo sblocca-cantieri, così nel giro di due mesi partiranno tutti i lavori”

Giancarlo Cancelleri – Il viceministro al Mit: “Sono ferme opere per 109 miliardi, facciamo come a Genova”

Il modello è quello adottato per il ponte di Genova, l’obiettivo è far partire subito lavori per oltre 100 miliardi, anche per i Cinque Stelle da sempre contro le grandi opere. “Alla crisi sanitaria seguirà una crisi economica simile a quella del dopoguerra, e allora è necessario sbloccare i cantieri” teorizza il viceministro ai Trasporti Giancarlo Cancelleri, già capogruppo regionale del M5S in Sicilia.

Quali cantieri volete far ripartire, e come?

La proposta, che abbiamo già consegnato al presidente del Consiglio Conte e al ministro dell’Economia Gualtieri, vuole velocizzare i lavori per opere che sono già interamente finanziate e inserite nei contratti di programma dell’Anas e della Rete ferroviaria, per un valore complessivo di 109 miliardi. Parliamo del Passante di Bari o della 106 Jonica in Calabria, per arrivare all’alta velocità in Calabria o all’ampliamento del corridoio ferroviario Berlino-Palermo. Per realizzare alcune di queste infrastrutture potrebbero volerci anche dieci anni.

E vorreste rimediare con il liberi tutti per gli appalti?

No. Vogliamo semplificare tempistica e modalità, nominando come commissari straordinari per l’affidamento e l’esecuzione delle opere l’amministratore delegato di Anas e quello di Rfi. Saranno in carica tre anni, rinnovabili per altri due.

Così blindate gli attuali amministratori.

No, si nomina commissario la carica, non la persona che è amministratore delegato. Al termine dei rispettivi mandati subentreranno come commissari i nuovi ad.

Come agiranno i commissari?

Per molte delle opere, cioè per quelle non immediatamente cantierabili e non caratterizzate da estrema urgenza, gli affidamenti avverranno tramite gare ordinarie, anche se più rapide: per presentare una domanda di partecipazione le imprese avranno 15 giorni, mentre ne avranno 10 per presentare un’offerta. Per le altre opere, quelle immediatamente cantierabili in quanto già dotate di un progetto definitivo, si potrà agire tramite procedure negoziate, ma sarà sempre garantita una rotazione tra aziende, per impedire che alcune facciano incetta di lavori. E i commissari dovranno consultare almeno 5 operatori economici prima di decidere.

Come eviterete che le mafie si infiltrino? I tempi per i controlli saranno irrisori.

Non sono i tempi a garantire la legalità di un appalto, dobbiamo puntare al potenziamento del sistema di controllo. Invece di attendere i soliti 30 giorni per il silenzio-assenso delle prefetture, ne basteranno dieci. E questa volta a controllare sarà il prefetto della zona dove viene realizzata l’opera, e non quella dove ha sede dell’azienda.

Poco tempo, per prefetture spesso con poco personale.

Siamo convinti che possa bastare. Non deroghiamo né al codice antimafia né alle direttive europee, e sui lavori ci saranno controlli periodici. In seguito potremo tornare alle normali procedure, magari dopo aver riflettuto su come semplificare il codice degli appalti. Ma ora serve un volano per l’economia.

Di quanto ridurrete i tempi dei lavori?

Una volta approvato il decreto, contiamo di far partire i primi cantieri in due mesi.

Quando contate di approvarlo? E che ne pensa il Pd?

Abbiamo proposto di inserire il provvedimento già nel decreto aprile, quello per il rilancio dell’economia. Ho illustrato la bozza al ministro dei Trasporti De Micheli, e siamo aperti a integrazioni. Ma non vedo come una misura che crea lavoro possa trovare ostacoli.

Anche se sembra un bel favore ai grandi costruttori.

Non mi curo di questo tipo di critiche: cio’ che conta è il bene del Paese.

Voi del M5S siete sempre stati contro le grandi opere, e ora volete facilitarle.

Di fronte ad un contesto politico e ad un quadro economico totalmente diverso da quello di qualche anno fa, è necessario cambiare l’agenda politica. La priorità adesso è creare lavoro, usando soldi pronti ma fermi.

E sulla revoca ad Autostrade? Si parla di un accordo imminente con Aspi, senza revoca.

La linea del M5S era e resta quella: revocare la concessione ad Autostrade e adoperare l’Anas come struttura commissariale, quindi mettere a bando la concessione.

Magari il Pd non la pensa proprio così, no?

Deve chiederlo ai dem. Ma non si può pensare che il coronavirus abbia distratto il M5S.

La trattativa tra Aspi e Allianz è un’invenzione?

Le società private possono anche trattare tra loro. Ma noisulla revoca non cediamo di un millimetro.

“Insieme ce la faremo”, #IoREstoACasa, “Ciascuna/o può dare il proprio contributo”

Queste frasi riecheggiano ormai da parecchie settimane nelle orecchie e nelle menti degli/lle itaniani/e.

Il lessico scelto, utilizzato e diffuso dai governanti e dai media mainstream, richiama in maniera più che esplicita, “il linguaggio di guerra”: velate minacce, moniti volti a rendere ineluttabile l’adeguamento di tutt* a comportamenti ritenuti necessari, ineludibili.

Chiunque abbia un parere diverso dal pensiero unico imposto è, di volta in volta, irresponsabile, complottista, ignorante. Eppure i pareri diversi, espressi da persone autorevoli e in maniera scientificamente rigorosa, iniziano a prendere forma e ad emergere.

Le misure governative sono state adottate tardivamente e, in alcuni casi sono lacunose e contraddittorie.

Una delle lacune più vistose è rappresentata dalle carceri: spazi già di per sé a maggior rischio sanitario in quanto luoghi di assembramento.

Chiediamo che vengano messe in campo immediatamente formule giuridiche capaci di intervenire sul problema del sovraffollamento carcerario, nella misura necessaria a garantire all’interno delle carceri l’effettiva applicabilità delle norme igienico-sanitarie e di contenimento epidemico, in particolare la distanza di sicurezza prevista da tutti i DPCM emanati dal governo in carica, nonché la fornitura dei DPI previsti, oltre che l’effettuazione a tappeto dei tamponi a tutti/e i/le detenuti/e nonché al personale in servizio.

In particolare riteniamo fondamentale l’applicazione di ogni forma di misura alternativa al carcere a tutte le persone che possono fruirne.

Non si tratta di fare uscire tutt* dalle carceri: non è questo il momento nel quale mettere in discussione l’esistenza stessa dell’Istituto carcerario, di pur dubbia funzione rieducativa ed efficacia riabilitativa, a nostro parere.

Si tratta di poter fare uscire chi ha reati minori, condanne per reati legati a proteste sociali, condanne inferiori a un certo termine, o i fine pena, in modo celere ed allargato.

Ciò consentirebbe anche di riuscire ad applicare, per chi restasse in carcere, le necessarie misure di distanziamento e protezione, guardie carcerarie ed operatori compresi; di garantire le cure a chi ne ha bisogno e non solo per il Covid 19.

I riferimenti normativi in merito non mancano di certo nel nostro ordinamento giuridico:

il cosiddetto decreto svuota carceri, convertito in legge nel 2014, è una riforma carceraria che ha come obiettivo principale quello di ridurre il sovraffollamento delle carceri italiane e ridare dignità ai detenuti e alle detenute.

Esso prevede principalmente 3 punti essenziali: risarcimenti ai detenuti reclusi in condizioni inumane, con sconti di pena o soldi; divieto di custodia cautelare in carcere in caso di pena inferiore ai 3 anni; domiciliari senza scorta, eccetto che per ragioni di sicurezza o processuali.

Una pandemia lasciata a sé stessa nelle carceri, non resta chiusa tra quelle mura, si espande a macchia d’olio dentro così come fuori da esse.

Anche i garanti dei detenuti parlano della necessità di fare uscire almeno 10000 persone.

Abituati/e agli abusi non abbiamo ancora metabolizzato, dopo due secoli, il diritto del condannato alla certezza, non solo del reato, ma anche della sua espiazione, la pena.

Il nostro ordinamento giuridico dovrebbe basarsi sulla certezza del reato ma anche dei limiti della espiazione, la pena.

Nel nostro regime carcerario, invece, cioè nella pratica detentiva, si preferisce aggravare le condizioni di vita quotidiana dei detenuti fino al rischio di morte, volontaria o procurata: un epilogo non raro; un rischio inaccettabile che, con l’attacco epidemico, si potenzierebbe.

Occorre, oggi più che mai, richiedere a gran voce e con determinazione, l’applicazione delle leggi vigenti.

In futuro si dovrà riaprire la questione dell’amnistia e dell’indulto ma, intanto, non si perda ulteriore tempo e si garantisca la tutela della salute e della vita dei condannati!

MISURE ALTERNATIVE AL CARCERE SUBITO!

Insieme ce la faremo”… Si! A trasformare l’Italia in un paese migliore.

Il Movimento NOTAV

I medici in rivolta: adesso lo scudo penale può slittare

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I medici in rivolta: adesso lo scudo penale può slittare

Le associazioni invocano il ritiro dell’emendamento targato Pd che “salva” cliniche e dirigenti. Il capogruppo Marcucci arretra: “Pronto a correzioni”

E ora lo scudo penale e civile per medici e ospedali potrebbe slittare. Perché allo stato attuale “è un problema e forse ora non ce lo possiamo permettere” riassume in serata una fonte di governo. Perché è vero, tutti i partiti hanno presentato in Parlamento emendamenti al decreto Cura Italia per proteggere da richieste di risarcimento e cause penali i camici bianchi e gli infermieri, in lotta contro il coronavirus.

Ma in diversi testi , primo tra tutti quello elaborato dal Pd, lo scudo si è dilatato fino a proteggere anche i dirigenti di strutture pubbliche e private, dagli ospedali fino a cliniche e Asl. Così molte associazioni di medici e tanti avvocati hanno alzato la voce. E diversi partiti si stanno sfilando, convincendo il governo che “forse ora non siamo pronti”. E c’entra innanzitutto l’emendamento dei dem, a prima firma del capogruppo in Senato Andrea Marcucci. Un testo dove è previsto che “le condotte gestionali e amministrative poste in essere in violazione dei principi del Servizio sanitario nazionale” siano punibili solo nei casi in cui venga accertato “il dolo dell’agente o del funzionario che le ha poste in essere o che vi ha dato esecuzione”. Proposte “sprezzanti” secondo l’Ordine dei medici di Parma, infuriato per “le immunità che si stanno cercando di adottare a favore delle strutture sanitarie in caso di danni agli operatori e per il contentino ambiguo che si vuole elargire ai camici bianchi in prima linea”. Ed è insorto anche l’Ordine dei medici di Roma: “Ci sono emendamenti vergognosi che offendono medici e sanitari, e vanno ritirati subito”. Una slavina a cui si è subito adeguato Matteo Salvini, che sabato ha fatto ritirare un emendamento simile della Lega. Ieri mattina Marcucci lo faceva notare, accusando: “Era la Lega a volere una sanatoria di massa per tutti i datori di lavoro, il mio testo non l’ha mai prevista in nessun caso”.

Però in serata il peso delle polemiche, con la forzista Mara Carafagna a pungere di rinforzo (“Nessun emendamento può consentire di farla franca ai dirigenti che non hanno fornito le protezioni necessarie”) ha spinto Marcucci a una parziale marcia indietro: “Domani (oggi, ndr) incontrerò in video conferenza i rappresentanti della Federazione degli ordini medici per valutare le correzioni che risultano più utili al mio emendamento”. Sempre oggi potrebbero vedersi i capigruppo dei partiti in Senato, proprio per cercare una quadra sullo scudo. E anche da ambienti parlamentari soffiano che “sarebbe il caso di prendere più tempo”. Anche se le indiscrezioni nei Palazzi raccontano che il provvedimento starebbe molto a cuore al Quirinale, e questo potrebbe essere un freno al rinvio. Nell’attesa il M5S è attestato su uno scudo ‘solo’ per medici e infermieri. E fonti grilline sussurrano: “L’emendamento Marcucci non piace neanche a diversi del Pd”.

Il ponte di Albiano aveva 112 anni e fu progettato dal pioniere del cemento armato

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Ecco chi è Attilio Muggia, il papà del viadotto crollato

mercoledì 08 aprile 2020
Il ponte di Albiano aveva 112 anni e fu progettato dal pioniere del cemento armato

AULLA – Cinque arcate ribassatissime in cemento armato distanziate l’una dall’altra cinquanta metri, le pile furono costruite grazie all’utilizzo dei cassoni ad aria compressa sottofondati con uno speciale sistema di agglomeramento pneumatico. Il papà del ponte di Albiano crollato in Toscana è stato l’ingegnere e architetto veneziano Attilio Muggia pioniere in Italia delle costruzioni in cemento armato. L’inaugurazione del ponte, lungo 258 metri, avvenne il 25 ottobre 1908. Mentre il bando fu vinto nel 1903.

Muggia progettò e costruì molte opere d’ingegneria civile tra cui si ricordano la scalea della Montagnola a Bologna e nel 1900 il primo ponte in cemento armato, con otto arcate, sul Po, a Piacenza. Dal 1912 al 1935 Muggia tenne la cattedra di architettura tecnica alla scuola d’ingegneria di Bologna. Muggia inoltre condivide con l’ingegner Porcheddu l’autonomia progettuale del ‘Sistema Hennebique’, ovvero il conglomerato cementizio armato internamente con profilati di ferro disposti e rafforzati con apposite staffe. L’utilizzo di questa tecnica, che prese il nome di ‘cemento armato’, fu ideato e brevettato nel 1892 dall’ingegnere francese François Hennebique.


  Per la costruzione del ponte di Albiano furono impiegati circa 300 operai. L’opera come racconta la cronaca giornalistica dei tempi fu “sottoposta a rigorose prove di carico statiche e dinamiche con rotabili, una tramvia a vapore e una locomotiva trainante pesanti carichi”. Il ponte fu ricostruito nel secondo dopo guerr ed è entrato unitamente a tutta l’arteria in gestione ad Anas a novembre del 2018. L’opera serviva ad attraversare il fiume Magra all’interno del comune di Aulla, in Lunigiana, territorio toscano. I comuni liguri di Bolano e Santo Stefano distano poche centinaia di metri dal ponte crollato oggi a distanza di quasi 112 anni dalla sua inaugurazione.

Ponte crollato sul fiume Magra, la procura indaga per disastro colposo – Le immagini

https://www.open.online/2020/04/08/crolla-il-ponte-sul-fiume-magra-in-provincia-di-massa-carrara-almeno-un-furgone-coinvolto/?fbclid=IwAR2n5l8lceKqp29FVwPOKz0tLFHTjNY5Tt9rCLLMfJtgBUClqUnzd6bwT04

8 APRILE 2020 – 19:12

Due furgoni sono precipitati sul letto del fiume: ferito un conducente. Lo scorso agosto Anas in una lettera indirizzata al comune di Aulla e alla provincia scriveva che «il viadotto Albiano non presenta al momento criticità tali da compromettere la sua funzionalità»

La procura di Massa Carrara ha aperto un’indagine e ha posto sotto sequestro l’intera area, dopo il crollo del ponte stradale sul fiume Magra, viadotto al confine tra Liguria e Toscana, in località Albiano Magra, in provincia di Massa Carrara. Il ponte si trovava lungo una strada provinciale che collega la bassa Val di Vara con la Val di Magra, in provincia di La Spezia. Il ponte collega la strada provinciale 70 con la 62.

Aperta l’indagine

La prima ipotesi di reato da parte della pocura di Massa Carrara è per disastro colposo, anche se potrebbero presto arrivare altri filoni di indagine. L’inchiesta è affidata alla pm Alessandra Conforti. L’intera area è stata sequestrata: «Saranno importanti le denunce dei cittadini sulle condizioni del ponte – ha detto il sostituto procuratore di Massa, Marco Mansi – E gli allarmi lanciati negli anni sulla mancata manutenzione». Anas intanto ha avviato una commissione di inchiesta interna.


Il luogo dell’incidente in località Albiano Magra, in provincia di Massa Carrara

Nel collasso del ponte, secondo le prime informazioni raccolte dai vigili del fuoco che si sono precipitati sul posto, sarebbero rimasti coinvolti due veicoli che erano in transito. Si tratta di due furgoni precipitati sul letto del fiume e poi rimasti sopra la carreggiata collassata. Uno dei conducenti sarebbe rimasto ferito nell’incidente e dunque trasportato in codice giallo all’ospedale più vicino. L’autista del secondo furgone sarebbe invece rimasto praticamente illeso ma, secondo fonti sanitarie, si trova sotto shock per lo spavento.


Il ponte crollato sul raccordo tra la strada provinciale 70 e la 62 ad Albiano Magra (MS)

Polizia di Stato

 

@poliziadistato

 

+++Aulla (Massa Carrara), crolla sul fiume . Le immagini della sul posto per viabilità. Attualmente chiusa la SS62

Video incorporato

I cittadini arrivati nei pressi del viadotto crollato segnalano un forte odore di gas e, oltre ai soccorritori, sono intervenute anche le squadre tecniche dell’azienda di distribuzione della zona. Secondo alcuni testimoni e abitanti dell’area circostante, al momento del collasso del ponte si è sentito un forte boato fino a diversi chilometri di distanza dal fatto.

Paolo Becchi@pbecchi
  

Albiano Magra. È caduto un altro ponte. Ormai siamo un paese allo sbando.

Video incorporato

 La struttura, gestita dall’Anas, era finita sotto osservazione lo scorso novembre a causa di una crepa importante che si era formata sull’asfalto. Segnalata da diversi cittadini, era poi stata riparata. E riparata in tempi record, come riporta la Gazzetta di Massa Carrara.

Un soccorritore al lavoro sul ponte crollato

Dopo la segnalazione del 3 novembre scorso, i tecnici dell’Anas, con l’assessore Marco Mariotti e vigili del fuoco, sono intervenuti e hanno effettuato tutti i controlli sia sulla spaccatura dell’asfalto, sia sulla tenuta del ponte.


Il ponte crollato ripreso dall’alto

«Al termine dei controlli, tuttavia – scrive il giornale locale – il personale di Anas ha decretato l’assenza di rischi di crolli della struttura. Per questo motivo è stato autorizzato un piccolo intervento di riempimento della crepa con del catrame per assicurare il passaggio delle auto sul fondo stradale e – dopo una breve parentesi di traffico alternato – il ponte è stato riaperto totalmente alla circolazione».


Il manto stradale danneggiato

Lo scorso 3 novembre dunque il ponte è stato riaperto, come scrive La Gazzetta della Spezia. I tecnici dell’Anas avevano rilevato allora che non ci fossero pericolosità sul tratto.

Il sindaco di Aulla: «Scrissi all’Anas delle criticità»

«Ho inviato ben tre lettere all’Anas negli ultimi mesi per segnalare criticità sulla stabilità del ponte ora crollato», così ha detto il sindaco di Aulla Roberto Valettini dopo il cedimento del ponte che collega le due sponde del fiume Magra. «Il ponte è collassato su se stesso – ha aggiunto – la popolazione ha avvertito un forte boato. Per fortuna le limitazioni al traffico hanno evitato il peggio».

Gli attimi immediatamente successivi al crollo

Ma lo scorso 9 agosto, Anas comunicava in una lettera desinata al comune di Aulla e alla provincia di Massa Carrara che «il viadotto Albiano non presenta al momento criticità tali da compromettere la sua funzionalità».


La lettera inviata da Anas a comune Aulla e Provincia

La ministra De Micheli chiede la relazione dell’Anas

La ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli ha contattato il sindaco di Aulla, Roberto Valettini, per chiedere un rapporto dettagliato dell’Anas, la società che dal 2018 gestisce l’ex strada provinciale 70, gestione che ha ereditato dalla Provincia di Massa Carrara. Gli accertamenti sono in corso e Anas, su richiesta del ministero, ha fatto sapere che provvederà a fornire tutte le informazioni sulla stabilità.

Fonte immagine in evidenza: Twitter

Agricoltori denunciati dalle forze dell’ordine mentre si recano nei propri fondi

https://www.radical-bio.com/abusi-di-potere/agricoltori-denunciati-dalle-forze-dellordine-mentre-si-recano-nei-propri-fondi/?fbclid=IwAR2ta3B93Nr4jo4KYaywIumlXMjTRtopOHxpkFdZn1cCmLFXFwuhfd3SAcM

 
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Oltre al danno dell’emergenza Covid19, la beffa di un’applicazione difforme del decreto “Chiudi Italia”. Dopo il caso registrato a Grumo Appula (Ba), la denuncia di Tommaso Battista  di Copagri Puglia: «Se l’agricoltura è attività essenziale non ci può essere questa arbitrarietà nell’applicazione della legge». Inviata una denuncia al Prefetto di Bari Antonia Bellomo

«AGRICOLTURA ATTIVITÀ ESSENZIALE».

«AGRICOLTORI LIBERI DI MUOVERSI».

«AGRICOLTORI ESCLUSI DALLE LIMITAZIONI DEL DECRETO “CHIUDI ITALIA”».

«SETTORE PRIMARIO DECISIVO PER FAR RIPARTIRE L’ECONOMIA DEL BELPAESE».

C’è molta enfasi sul ruolo del nostro settore ai tempi del coronavius, ma la situazione reale nei campi è ben diversa, soprattutto dopo l’applicazione del nuovo decreto legge del 24 marzo 2020, che introduce “misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19” e che ha sdoganato l’emanazione di misure più restrittive da parte delle autorità locali.

Un diritto diventato arbitrario

Di fatto il diritto degli agricoltori di potersi muovere liberamente per esercitare questa professione essenziale è diventato molto arbitrario, con differenze paradossali anche tra comuni vicini. Dopo altri casi segnalati, una conferma arriva anche dalla Puglia.

Il caso di Grumo Appula (Ba)

«Abbiamo ricevuto diverse segnalazioni da parte di nostri associati, ad esempio dal

Tommaso Battista, presidente della Copagri Puglia.

Comune di Grumo (Bari), i quali lamentavano di essere stati fermati dai carabinieri, che hanno loro contestato le violazioni previste dal dpcm attualmente in vigore». È la denuncia di Tommaso Battista presidente della Copagri Puglia. «Un agricoltore, in particolare – continua Battista -, mentre si recava nei propri fondi per svolgere le pratiche agricole veniva fermato e denunciato dai carabinieri che gli contestavano la violazione in ordine agli attuali divieti di spostamento».

Il compito gravoso dell’agricoltore

Un caso che spinge Battista a ricordare che «se è assolutamente vero che restare a casa è un dovere di tutti i cittadini, svolgere un’attività essenziale quale quella agricola, è allo stesso modo un dovere, anche e soprattutto in ragione del fatto che il settore agricolo è impegnato in prima linea per assicurare i prodotti alimentari a tutte le famiglie del Paese».

«Se le forze dell’ordine – prosegue il presidente – sanzionano gli agricoltori mentre si recano nei propri fondi per svolgere le pratiche colturali, probabilmente c’è qualche difetto di comunicazione rispetto alle norme recentemente emanate, in base alle quali non vige la sospensione dell’attività produttiva».

La sede della Prefettura di Bari

 Denuncia inviata in Prefettura

Copagri Puglia ha quindi inviato una nota ad Antonia Bellomo, Prefetto di Bari «perché chiarisca questi episodi che riteniamo gravi e che allarmano i nostri associati, oltre a ingenerare ulteriore confusione in una fase già particolarmente delicata per il Paese, quale quella in cui stiamo vivendo a causa dell’emergenza legata alla pandemia del Covid-19».

«Noi stessi avevamo spiegato ai nostri associati che il lavoro agricolo è un’attività fondamentale per il nostro Paese soprattutto in questa situazione di grave emergenza e che non vi sono limitazioni di alcun genere».

Campi e oliveti nei intorni di Grumo Appula FONTE

Coronavirus: denunciò di essere stata messa a tacere, scompare medico di Wuhan

https://www.iene.mediaset.it/2020/news/scompare-medico-wuhan_743526.shtml

News | 31 marzo 2020

Ai Fen, capo della terapia d’urgenza dell’ospedale di Wuhan, ha detto di aver scoperto il 31 dicembre in un paziente un virus simile alla Sars e di essere stata subito messa a tacere. Dopo un’intervista a un magazine locale, cancellata subito dal web, la donna sarebbe scomparsa. Mentre a Wuhan è polemica anche sul numero reale dei morti: 42mila invece dei duemila dichiarati?

Aveva raccontato che le autorità sanitarie cinesi le avevano impedito di mettere in guardia il mondo su una nuova epidemia simile alla Sars: ora la dottoressa sarebbe scomparsa.

La notizia è stata data da 60Minutes Australia, popolarissima trasmissione di giornalismo investigativo: “Solo due settimane fa la responsabile della terapia d’urgenza dell’ospedale centrale di Wuhan Ai Fen è apparsa in pubblico, dicendo che le autorità avevano impedito a lei e ai suoi colleghi di mettere in guardia il mondo. Ora è scomparsa, non si sa dove sia”.

La dottoressa Ai Fen aveva raccontato in un’intervista a un magazine locale un episodio accaduto il 31 dicembre scorso. Dopo aver notato la presenza in alcuni pazienti di sintomi parainfluenzali resistenti ai trattamenti sanitari noti, ottiene i risultati di un’analisi di laboratorio che indicano il termine “Sars coronavirus”. Il medico avvisa subito alcuni colleghi dell’ospedale di Wuhan e la notizia si diffonde tra gli operatori sanitari.

E arriva, dice Ai Fen, anche al comitato disciplinare del suo ospedale, che le intima di non diffondere “voci”, per “non danneggiare la sicurezza“. Anche allo staff del suo reparto viene intimato di non diffondere messaggi o immagini sull’accaduto. “Se avessi immaginato quello che sarebbe successo”, prosegue Ai Fen nell’intervista, “non mi sarei curata del rimprovero. Ne avrei parlato a chiunque e dovunque avessi potuto”. 

L’allarme delle autorità sanitarie cinesi al mondo arriverà molto dopo, il 21 gennaio scorso, dopo aver confermato il salto di specie del virus dagli animali selvatici all’uomo. Nel frattempo a Wuhan muore anche il giovanissimo medico Li Wenliang, di 34 anni, il primo a segnalare l’arrivo di un nuovo misterioso virus. Anche lui, come Ai Fen, era stato screditato e minacciato dalle autorità. Poi in seguito è stato “riabilitato”.

Subito dopo l’intervista di Ai Fen, l’articolo viene cancellato dal web e ora, secondo 60minutes Australia, sarebbe scomparsa. Intanto a Wuhan è mistero sul numero reale delle vittime da COVID-19, dopo che un giornale locale ha avanzato l’ipotesi che in realtà i decessi non siano i circa duemila come comunicato dalle autorità, ma almeno 42mila.