Sentenza del tribunale civile respinge la richiesta di risarcimento di uno dei protagonisti
di OTTAVIA GIUSTETTI
Non c’è dubbio che una cricca sia esistita davvero, e abbia trovato terreno fertile all’interno della procura di Torino, quantomeno da gennaio 2016 ad aprile del 2018. E’ un giudice civile il primo ad affermarlo, in una sentenza che riconosce la legittimità di quella espressione giornalistica – ” cricca” – usata per raccontare le cronache di quanto è accaduto intorno ad alcuni uffici al sesto piano del Palazzo di giustizia in quei mesi. Si tratta di un pronunciamento che mette un primo punto fermo in quella storia dolorosa, che ha inaspettatamente travolto l’ufficio giudiziario e tutti suoi equilibri nella primavera del 2018. In molti, allora, avevano tentato di sminuire la gravità dei fatti, raccontati sulla scia di una indagine penale partita sempre dalla procura di Torino. E avevano stigmatizzato i giornali che ne riportavano gli episodi, più che le persone che se ne erano rese protagoniste. Il tribunale di Torino invece, con la sentenza del 18 febbraio spazza via ogni precedente indulgenza, respingendo le lamentele dell’avvocato indagato, che si era sentito danneggiato da quella lettura dei fatti e chiedeva un risarcimento a Repubblica.
” Nel bilanciamento tra diritto all’informazione e diritti della persona alla reputazione e alla riservatezza – obietta il giudice Giacomo Oberto – , il primo tendenzialmente prevale sui secondi, atteso che l’esercizio della sovranità popolare, solo in presenza di una opinione pubblica compiutamente informata può correttamente dispiegarsi “.
La cricca, dicevamo. Impossibile sostenere che non sia mai esistita. Anche solo per il fatto che l’espressione è stata utilizzata dagli stessi protagonisti della vicenda. “Gli atti di indagine, poi, dimostrano in modo lampante l’esistenza di un complesso intreccio di favori reciproci aventi, secondo gli inquirenti, rilevanza penale, all’interno degli uffici della Procura della Repubblica di Torino, fra l’avvocato Bertolino e l’appuntato Renato Dematteis (assegnato all’ufficio del pubblico ministero dott. Padalino), e gli altri imputati – scrive il Tribunale – . Tale intreccio di favori giustifica, senza ombra di dubbio, l’utilizzo dell’espressione giornalistica “cricca di favori””.
I fatti sono riassunti brevemente: è ” una circostanza incontestabile ” che l’appuntato Renato Dematteis, violando i propri doveri d’ufficio e i criteri di assegnazione automatica dei procedimenti, “facesse in modo che determinati procedimenti penali fossero assegnati in carico al pm Padalino e che l’avvocato Bertolino fosse, effettivamente nominato difensore, fornendo al medesimo informazioni sui procedimenti a cui non avrebbe dovuto avere accesso. Così, di fatto, piegando le procedure giudiziarie a scopi di natura personale dei soggetti coinvolti”. Ne deduce il giudice che non sono illegittime nemmeno espressioni come ” organizzazione parallela”, “volte a evidenziare come i soggetti coinvolti nelle indagini facessero in modo di deviare il normale corso dei procedimenti penali ” . Nessun dubbio neppure sulla “veridicità ” dei fatti raccontati. E riguardo alla ” pertinenza ” , dice il tribunale, ” potrebbe veramente dirsi che res ipsa loquitur ( i fatti parlano da soli)”.
Infine, risponde il giudice a chi obiettava che nessun personaggio pubblico fosse coinvolto nei fatti, e che perciò il diritto alla riservatezza dovesse prevalere: ” Allorquando si è protagonisti ( o co- protagonisti) di avvenimenti del genere, inevitabilmente, piaccia o meno, personaggi pubblici si ” diventa” “