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Archivi giornalieri: 31 gennaio 2020
RITORNO ALLA “NORMALITAV”
De Micheli, un ministro delle infrastrutture che tra gaffes e decisioni discutibili sta facendo rimpiangere Toninelli
- Il ministro dei Trasporti e Infrastrutture Paola De Micheli. Agf
L’impresa non era semplice. Ma alla neo ministra delle Infrastrutture e Trasporti, la 46ene Paola de Micheli (Pd), sono bastati tre mesi scarsi per far rimpiangere il più che discusso predecessore, Danilo Toninelli.
Tra gaffes (la ventilata cooptazione dell’ex ad di FS, Mauro Moretti – condannato in appello a 7 anni per la strage di Viareggio – a consigliere ministeriale, nomina poi negata quando la notizia è trapelata e i parenti delle vittime hanno minacciato la rivoluzione); atteggiamenti “morbidi” verso i concessionari autostradali (l’ultima umiliazione tre giorni fa, quando il neo ad di Aspi, Roberto Tommasi, le ha risposto “neanche ci sogniamo di abbassare i pedaggi”); siluramenti di professionisti già indicati per guidare nuove agenzie di controllo; scudi protettivi concessi ai controllori dei concessionari di autostrade e ferrovie; il pasticcio dei seggiolini; in molti hanno iniziato a rimpiangere l’ex ministro assicuratore del primo governo Conte. Soprattutto la sua voglia di rompere l’enpasse burocratico-amministrativa che ha portato l’Italia ad avere infrastrutture traballanti.
Quanto costa la TAV alla Terra. L’impronta ecologica della Torino-Lione
Il primo ministro dice che la TAV si farà perché non farla costerebbe di più. Ma quanto costa la TAV alla Terra?
Si afferma che il gran buco sotto le Alpi è necessario per spostare il traffico dalle strade e dalle autostrade alla linea ferroviaria, e dunque per ridurre le emissioni. E’ un ragionamento infondato sia per le merci sia per i passeggeri.
Infatti per stabilire se la costruzione della linea ferroviaria comporta una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica – il gas principale responsabile dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale – bisogna calcolare le emissioni necessarie per scavare il tunnel ferroviario e per posare i binari, “spalmare” queste emissioni nel corso del funzionamento della linea e poi tirare le somme.
Non risulta che nulla del genere sia mai stato fatto. Si è sempre solo parlato di quanto costa la TAV in termini economici. Un sacco di soldi che potrebbero essere meglio spesi per rattoppare il quotidiano funzionamento dello scalcagnato italico stivale.
Dato che non esiste l’analisi ecologica dei costi-benefici legati alla TAV, bisogna far ricorso alla letteratura scientifica, ovvero al saggio “Can high speed rail offset its embedded emissions?”. Il testo completo è riservato agli abbonati, ma on line c’è anche una versione gratuita.
Il saggio conclude che una linea ferroviaria ad alta velocità lunga 500 chilometri, di cui il 10% in galleria, comporta un risparmio di emissioni nell’arco di 50 anni solo se si verificano due condizioni: ogni anno i passeggeri sono almeno 10 milioni (dieci milioni!) e la maggior parte di loro usa il treno al posto dell’aereo. Cinquant’anni per compensare le emissioni del cantiere: i cambiamenti climatici si verificano qui ed ora, fra 50 anni sarà troppo tardi.
Il saggio offre un esempio teorico analogo, ma non uguale, alla TAV Torino-Lione, che – se arriverà a compimento – sarà lunga circa 230 chilometri, di cui oltre il 22% in galleria (la parte che, in fase di realizzazione, comporta emissioni più alte) e sarà destinata al traffico veloce di passeggeri oltre che di merci.
Forse che il risparmio di emissioni si verificherà grazie allo spostamento delle merci da strade e autostrade alla ferrovia? Affermarlo è come minimo azzardato. Il passaggio di pesanti e lenti treni merci (circa 120 chilometri all’ora) su binari condivisi con leggeri e veloci treni passeggeri (circa 220 chilometri all’ora) comporta costi molto alti e serie difficoltà tecniche che a tutt’oggi, almeno in Italia, non sono state risolte.
Infatti in Italia le linee ferroviarie ad alta velocità ed alta capacità esistono dal 2005, ma allo stato attuale dei fatti su di esse passano solo due treni merci, diconsi due, dal lunedì al venerdì: sabato e domenica, riposo. Il servizio ha cominciato a funzionare nell’ottobre 2018, e da allora non risultano variazioni.
Torino dice di nuovo no alla Tav: M5s vota per tenere la città fuori dall’Osservatorio

La mozione di Lo Russo (Pd) in Consiglio comunale, per rientrare nell’organismo appena rilanciato dal governo con la nomina del prefetto Palomba, respinta con 22 voti contro 10
Torino dice di nuovo No alla Tav. Con 22 voti contrari, e 10 a favore, il Consiglio comunale ha infatti bocciato una mozione, primo firmatario il capogruppo Pd Stefano Lo Russo, che chiedeva alla Città di rientrare nel l’Osservatorio, dal quale Torino è uscita nel dicembre 2016. “Il punto non è essere favorevoli o contrari alla Tav – ha precisato Lo Russo – ma garantire l’interesse dell’ente. Una volta che i lavori vanno avanti e l’Osservatorio non è stato chiuso anche grazie al sostegno del M5S a livello nazionale perché la città continua a rimanere fuori?”. L’Osservatorio è stato rilanciato nei giorni scorsi, con la nomina, da parte del governo, del prefetto torinese Claudio Palomba come presidente.
La maggioranza 5 Stelle ha però ribadito la sua contrarietà.”Non mi sarei aspettata – ha osservato la capogruppo Valentina Sganga – che il governo riuscisse a bloccare l’opera, ma mi sarei aspettata che si provasse a ricucire la frattura fra lo Stato e una parte importante del suo territorio, la Valsusa. Una frattura – ha aggiunto – che persiste e che verrà a bussare alla porta di tutti noi: se pensiamo di affrontarla con un atto che è una scaramuccia politica questo sarà un problema”.
Amin Al-Husseini: uno dei maggiori responsabili del terrorismo islamico
http://veromedioriente.altervista.org/alhusseini.htm
Le verità sul medio oriente oltre la propaganda antisemitahttp://veromedioriente.altervista.org |
Tratto da: http://www.corsodireligione.it/attualita_2/islam_e_nazismo.htm
Quasi sconosciuto in Occidente , Amin Al-Husseini è considerato uno dei maggiori responsabili del terrorismo islamico del secolo scorso. La sua eredità è ancora attiva ai nostri giorni . Ha anche influenzato l’attuale pensiero arabo di odio contro gli ebrei in Palestina. Predicatore dell’islam wahabita ha posto le basi di un nuovo impero islamico dopo quello ottomano smantellato da Ataturk. Spregiudicato sul piano politico-finanziario, oscurantista su quello dottrinale, il wahabismo nasce come corrente islamica sunnita nel diciottesimo secolo ma si afferma soltanto nel Novecento, grazie all’appoggio delle grandi potenze occidentali alla monarchia saudita. Oggi si sta diffondendo in tutto il mondo musulmano. Ma deve anche fare i conti con le sue ali più estreme, da cui è nata la rete di estremisti islamici. Amin Al-Husseini rif : www.faithfreedom.org Dal Genocidio degli armeni ai Fratelli Musulmani.
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Il telegramma di Himmler al Gran Muftì di Gerusalemme: al vostro fianco contro gli ebrei
Il documento scoperto nella National Library di Israele, spedito il 2 novembre 1943

Un documento riemerso dalla National Library di Israele getta nuova luce sui rapporti fra la Germania nazista e il Grand Muftì di Gerusalemme Amin al-Husseini. E consolida in qualche modo la tesi del premier Benjamin Netanyahu che il religioso abbia giocato un ruolo nell’incitare allo sterminio degli ebrei. E’ un telegramma spedito dal capo delle Ss Heinrich Himmler a Husseini, il 2 novembre 1943, nel ventiseiesimo anniversario della Dichiarazione di Balfour.
Himmler ricorda che la Grande Germania è stata una “strenua sostenitrice” della battaglia “degli arabi in cerca di libertà, in particolare in Palestina, contro gli ebrei invasori”. In nemico in comune, continua, “sta creando una solida base per l’unità fra la Germania e gli arabi nel mondo. In questo spirito, vi auguro, nell’anniversario della Dichiarazione di Balfour, di continuare la lotta fino alla grande vittoria”.
Proprio la citazione della Dichiarazione di Balfour ha portato a riemergere il documento. La biblioteca stava infatti conducendo una ricerca di tutte le testimonianze sul tema nel centenario della Dichiarazione. Il telegramma era stato confiscato dall’esercito americano nel 1945, dopo la disfatta della Germania nazista, dove viveva il Gran Muftì. Poi era entrato in possesso dell’Haganah, l’organizzazione ebraica che ha portato alla nascita di Israele. E infine era arrivano alla National Library, dove è rimasto sepolto fino ad ora.
Il documento originale, ingiallito ma in perfetto stato di conservazione, è stato pubblicato sul giornale Haaretz. E naturalmente si è riaccesa la discussione sulle frasi di una anno e mezzo fa di Netanyahu, quando aveva accusato il Gran Muftì di aver suggerito a Hitler di “bruciare” gli ebrei, il loro sterminio. Poi il premier aveva fatto marcia indietro in mancanza di prove storiche. Il telegramma non prova che quella conversazione abbia veramente avuto luogo ma conferma i rapporti “calorosi” fra i nazisti e il leader religioso.
L’incontro fra Hitler e il Gran Muftì è però del novembre 1941, due anni prima del telegramma di Himmler. Lo sterminio degli ebrei, come conferma Dina Porat del Museo dell’Olocausto Yad Vashem, sempre citato da Haaretz, “era già cominciato da un pezzo” e i nazisti stava già uccidendo gli ebrei “e avevano già abbandonato l’idea che l’emigrazione forzata e l’espulsione fossero una soluzione”. Il telegramma ribadisce comunque l’esistenza di un’alleanza ideologica fra nazisti e il Muftì in quel preciso momento storico