Sulle tracce della città di Rama

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03 Luglio 2019
Il ritrovamento delle Mura di Rama, in Valle di Susa, ha estratto la città di Rama dal mito per  inserirla nella Storia
Il ritrovamento delle Mura di Rama, in Valle di Susa, ha estratto la città di Rama dal mito per inserirla nella Storia

Per tanto tempo è stata nascosta. Ora tutti sembrano sapere dov’è. Ma è proprio così? 

Una leggenda. Un mito. Una storia

Secondo le Famiglie Celtiche del Nord del Piemonte, in tempi arcaici esisteva Rama, un’antica città megalitica, che si estendeva per tutta la Valle di Susa e anche Oltralpe. Le tracce di questa leggenda sono visibilissime per chiunque voglia andare appena un po’ oltre la miopia degli archeologi “skeptics” che bollano questi ritrovamenti come cose poco interessanti ai fini di una ricerca archeologica. Miopia o qualcos’altro?

Sta di fatto che la mitica città di Rama per molto tempo è stata oggetto di cover-up.

Eppure il mito della città di Rama è sopravvissuto ai secoli per via delle tradizioni orali del druidismo locale e grazie ai ricercatori dell’800 che hanno raccolto dati di prima mano e conferme documentate della sua esistenza, prima che scomparissero nell’oblio come le pietre delle mura demolite e confiscate dai romani.

Possiamo ricordare soprattutto il prezioso lavoro di Matilde Dell’Oro Hermil e la sua opera “Storia di Mompantero e del Roc Maol”, pubblicato a Torino nel 1897, dove cita e descrive la città di Rama secondo le leggende raccolte nella Valle di Susa.

Secondo Matilde dell’Oro Hermil, oltre alla vastità del corpus di leggende riferite all’antica città ciclopica, in tutta l’area piemontese si può reperire una vasta presenza di opere megalitiche di ogni genere riconducibili all’antica cultura di Rama.

Ma poi, il nulla.

Fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando il ricercatore Giancarlo Barbadoro e il compianto archeologo Mario Salomone non si sono messi sulle tracce dell’antico mito.

Nella Torino-dormitorio per dopolavoristi di fine anni ’70, inizio anni ’80, Giancarlo Barbadoro dà il via ad una iniziativa destinata a dare una svolta alla cultura della città e ad ispirare innumerevoli filoni culturali.

La ruota solare incisa in verticale su una roccia a Monpantero ricorda il mito della ruota d’oro che Fetonte lasciò agli uomini al suo commiato
La ruota solare incisa in verticale su una roccia a Monpantero ricorda il mito della ruota d’oro che Fetonte lasciò agli uomini al suo commiato

Fonda in quegli anni il Centro Culturale Spazio 4 che si occupa di archeologia, astronomia, esobiologia, parapsicologia, meditazione, spiritualità. Lo scopo è quello di proporre una ricerca tra scienza e spiritualità, senza confini o barriere ideologiche. L’iniziativa si collega a una corrente europea di rinascimento spirituale che in quegli anni ha visto nascere un movimento culturale che è sfociato in quella che attualmente è conosciuta come New Age.

L’iniziativa Spazio 4 suscita un enorme interesse soprattutto tra i giovani ed è una fucina che ispirerà molti movimenti spiritualisti della Torino degli anni ’80, nonché un nuovo modo di fare cultura che influenzerà anche la musica. Un crogiuolo di esperienze che ha ispirato molteplici realtà culturali e musicali presenti ancora oggi nella città di Torino.

È in quegli anni che Barbadoro, insieme all’amico Mario Salomone, inizia il suo percorso sulle tracce del mito di Rama. E insieme fanno una scoperta straordinaria.

Il libro d’oro di Rama

Il modo in cui Barbadoro e Salomone sono giunti al Libro d’oro di Rama è singolare e puramente occasionale, sebbene significativo nei particolari della vicenda. La Valle di Susa è stata da sempre oggetto di attento studio da parte di ricercatori e di scopritori di tesori dell’antichità.

Purtroppo, molte volte gli organi ufficiali hanno compiuto azioni che hanno portato alla distruzione di elementi archeologici preziosissimi, come è accaduto con la scomparsa del prezioso e antichissimo complesso “La Maddalena” di Chiomonte, in Valle di Susa, raso al suolo per far transitare il tanto discusso tracciato ferroviario della linea ad alta velocità.

Anche il museo che ospitava preziosi reperti della nostra storia di più di 5.000 anni fa è stato requisito trasformando le stanze in una caserma per il controllo dei lavori. Per fortuna esiste una preziosa testimonianza (l’unica) di questa antica necropoli in un video realizzato da Shan Newspaper.

E senza contare lo smantellamento sistematico di monumenti megalitici avvenuto ad opera di “ignoti”.

Assieme al compianto archeologo Mario Salomone, negli anni ‘70 Barbadoro attuò moltissime esplorazioni in tutta la Valle di Susa, giungendo alla scoperta di “ripari sotto roccia” e alla serie dei famosi “mascheroni” definiti di “fattura tolteca” rinvenuti nei pressi della cittadina valligiana di Villar Focchiardo.

Le ruote solari, numerosissime nelle Valli di Susa e di Lanzo, sembrano testimoniare un antico culto riferito al mito di Fetonte e della città di Rama
Le ruote solari, numerosissime nelle Valli di Susa e di Lanzo, sembrano testimoniare un antico culto riferito al mito di Fetonte e della città di Rama

I contadini della Valle, anch’essi curiosi sulla storia della loro terra e raccoglitori dei reperti antichi rinvenuti occasionalmente nei loro campi durante le arature, sono sempre stati gelosi custodi delle loro conoscenze e diffidando degli enti ufficiali e dei “ricercatori della domenica” sono sempre stati riservati sui loro segreti, rilasciando tutt’al più all’occorrenza indicazioni sempre fuorvianti.

Tuttavia i contadini della Valle, divenuti fiduciosi dell’integrità dei due ricercatori, non lesinarono mai nel mostrare le loro scoperte che non erano assolutamente attribuibili ai Celti pre-romani né tantomeno all’Impero romano. Oggetti che gli enti ufficiali dell’epoca non presero mai in vera considerazione.

Fu così che un giorno dei primi di ottobre del ‘74 due contadini della Valle di Susa portarono a vedere ai due ricercatori un cofanetto di pietra. Dissero di averlo trovato casualmente in una delle stanze sotterranee del complesso megalitico della città di Rama che di tanto in tanto esploravano alla ricerca di possibili tesori. Approfondendo in seguito la conoscenza di queste due persone compresero che era stato un aiuto giunto da parte delle Famiglie Celtiche della zona valligiana per dare un supporto concreto su cui lavorare nella ricerca sulla città di Rama e sul mito di Fetonte.

Il cofanetto era in pietra grigia scura a forma di parallelepipedo con un coperchio che si apriva su uno dei lati più lunghi lasciando intravedere una serie di lamine di metallo rettangolari che i contadini definirono come un libro dalle pagine d’oro.

Le lamine sembravano essere effettivamente d’oro, però inscurito e dai riflessi vagamente verdastri. Erano tutte incise su ambo i lati con caratteri delicatamente impressi. Barbadoro e Salomone proposero ai due contadini di trattenere il tutto per qualche giorno ma questi rifiutarono con fermezza. Permisero tuttavia di ricavare dei calchi usando il metodo del ricalco, o “frottage”, ottenuto ponendo della carta leggera su ciascuna delle lamine e strofinando sui caratteri incuneati la punta morbida di una matita. Il delicato lavoro di “copiatura” prese tutto un giorno e una notte, ma alla fine i due ricercatori ebbero la copia fedele e numerata di tutte le pagine del misterioso Libro d’oro di Rama.

Esaminando più tardi le iscrizioni rilevate, non avendo idea di che lingua si trattasse, i due ricercatori pensarono di trovarsi di fronte alla scrittura di qualche antica civiltà perduta che aveva edificato la città di Rama.

Ma Salomone riconobbe che i caratteri sembravano essere in greco antico. Nella settimana successiva, portò una copia fotografica dei fogli ad un esperto di linguistica di Torino per fargli tradurre qualcosa che illuminasse sul contenuto delle lamine. Ma questi si dichiarò incapace di fare una vera traduzione essendo il testo scritto in un greco piuttosto arcaico e indicando un suo conoscente, che abitava a Saint-André-de-la-Roche in Francia, anche lui esperto linguista che avrebbe potuto tradurre compiutamente il contenuto delle lamine.

Un dolmen nelle Valli di Lanzo. L’intero territorio del Nord del Piemonte è costellato da reperti megalitici che testimoniano l’insediamento di popoli Celtici e rafforzano la tesi dell’antica leggenda di Rama
Un dolmen nelle Valli di Lanzo. L’intero territorio del Nord del Piemonte è costellato da reperti megalitici che testimoniano l’insediamento di popoli Celtici e rafforzano la tesi dell’antica leggenda di Rama

La traduzione richiese parecchi mesi, ma alla fine, uno dopo l’altro, uscirono tesori inattesi costituiti da leggende, conoscenze storiche, trattati sciamanici dell’antico druidismo, e molto altro. Il Libro d’oro era una sorta di enciclopedia, una raccolta sistematica di varie leggende e di cronache di eventi storici riguardanti la città di Rama e il mito di Fetonte.

Documentazione che nel suo insieme narrativo risultava di poco dissimile da quella conservata ancora nel nostro tempo dalle Famiglie Celtiche e dalle comunità druidiche del Piemonte.

Le leggende

L’antica leggenda greca di Fetonte riprende il tema del mito del Graal con un riferimento diretto alle vicende del Piemonte. Nelle Metamorfosi di Ovidio, il testo narra di Fetonte, figlio di Zeus, il dio Sole, che salì sul carro del padre per provare a guidarlo pur essendone incapace, e finì per perderne il controllo avvicinandosi troppo alla Terra e incendiandola.

Zeus per salvare la Terra fulminò il figlio, e Fetonte precipitò al suolo cadendo nel fiume Eridano, l’antico nome del Po. Secondo le antiche leggende della tradizione druidica Fetonte cadde in un luogo posto all’incontro di due fiumi, dove si uniscono la Dora e il Po. Una zona dove secoli più tardi sarebbe sorta la città di Torino.

Molti autori hanno associato la figura di Fetonte a quella della leggenda di Lucifero: la somiglianza con il mito medievale del Graal è più che mai evidente. Proprio al mito di Fetonte è associata la leggenda della città di Rama.

Platone, il filosofo ateniese del 400 a.C., interpreta la leggenda di Fetonte come un simbolismo esoterico la cui esegesi rivela un significato ben concreto, riferito ad un evento reale. Il filosofo, in merito alla leggenda di Fetonte, sostiene che essa, come tutte le leggende, non era altro che una favola per bambini che nascondeva un vero significato, ovvero la narrazione della caduta di uno dei tanti oggetti che navigano attorno alla Terra e che ogni tanto, a caso, cadono su di essa provocando morti e distruzioni.

In effetti, se si osservano le foto satellitari eseguite sul Nord Europa, si può scorgere sul suolo piemontese l’impronta livellata dal tempo di un antico impatto avvenuto presumibilmente milioni di anni fa. In un’epoca in cui probabilmente vivevano ancora i dinosauri, prima della loro inspiegabile scomparsa.

Ma come valutare questo dato? Secondo la scienza a quel tempo non doveva ancora esistere la specie umana. Come ha fatto a sopravvivere il ricordo dell’accaduto? Chi ha perpetuato la narrazione di quello straordinario evento? Esistevano forse altre forme di vita intelligente che poi trasmisero le loro conoscenze alla successiva umanità?

Un reperto preistorico del complesso “La Maddalena” di Chiomonte, in Valle di Susa. Ora il sito non esiste più poiché è stato raso al suolo per far transitare il tanto discusso tracciato ferroviario della linea ad alta velocità. Anche il museo che ospitava preziosi reperti della nostra storia di più di 5.000 anni fa è stato requisito trasformando le stanze in una caserma per il controllo dei lavori. Per fortuna esiste una preziosa testimonianza (l’unica) di questa antica necropoli in un video realizzato da Shan Newspaper
Un reperto preistorico del complesso “La Maddalena” di Chiomonte, in Valle di Susa. Ora il sito non esiste più poiché è stato raso al suolo per far transitare il tanto discusso tracciato ferroviario della linea ad alta velocità. Anche il museo che ospitava preziosi reperti della nostra storia di più di 5.000 anni fa è stato requisito trasformando le stanze in una caserma per il controllo dei lavori. Per fortuna esiste una preziosa testimonianza (l’unica) di questa antica necropoli in un video realizzato da Shan Newspaper

C’è anche da chiedersi per quale motivo, se si fosse trattato solo della caduta di un asteroide, l’antica tradizione abbia attribuito a quell’oggetto un significato riferito a una fonte di conoscenza, come viene riportato dall’acronimo “Gnosis Recepita Ab Antiqua Luce”, ovvero “conoscenza ricevuta da una luce antica”.

Il mito di Fetonte e la città di Rama

Le antiche tradizioni druidiche del Piemonte interpretano la venuta del dio Fetonte in maniera diversa e con molti più particolari di quanto viene citato nelle Metamorfosi di Ovidio.

Secondo le leggende druidiche Fetonte non sarebbe caduto al suolo come vuole il mito greco, bensì sarebbe disceso dal cielo sul suo carro celeste costruito interamente in oro massiccio. E inoltre non avrebbe prodotto un terribile incendio come nel mito di Ovidio, a meno che non si intenda questo evento come un riferimento simbolico al culto del fuoco o alla diffusione di una nuova conoscenza venuta dal cielo che avrebbe coinvolto tutto il continente europeo.

Il dio sarebbe disceso con il suo carro di metallo dorato nella Valle di Susa, alle pendici del Monte Roc Maol, l’attuale Rocciamelone, dove esisteva un’antica e mitica caverna sacra che si apriva sul fianco della montagna per inoltrarsi nelle sue viscere di roccia sino a raggiungere l’altro versante dell’area piemontese identificabile nelle Valli di Lanzo.

Nel luogo della sua discesa dal cielo, Fetonte avrebbe incontrato gli uomini che vivevano nei tempi antichi. Uomini che secondo la tradizione druidica erano ben diversi da quelli attuali, molto più alti, tanto da essere descritti come dei giganti con fattezze mostruose. Descritti alle volte anche come piccoli sauri e serpenti antropomorfi, ricoperti di piume variopinte e dal sangue caldo.

Secondo le leggende, il dio sceso nella Valle di Susa, dopo la sua venuta avrebbe incontrato una confraternita di uomini di quel tempo che praticava il culto del fuoco, ritenuto come una emanazione del Sole, la manifestazione della divinità che regnava sull’universo.

L’Autrice nei pressi di un sito megalitico nelle Valli di Lanzo
L’Autrice nei pressi di un sito megalitico nelle Valli di Lanzo

Fetonte aveva scelto una radura in una foresta della valle e per sacralizzarla si era fatto costruire dai suoi due assistenti di metallo dorato un grande cerchio di dodici enormi pietre erette.

Da questo memorabile evento la originaria confraternita del fuoco che operava in lavori di metallurgica si trasformò in una Scuola iniziatica. La Scuola del Fuoco iniziò il suo operato formando i primi druidi, gli Ard-Rì, che avrebbero in seguito civilizzato tutto il continente europeo. Personaggi che più tardi, nel mito medievale del Graal, sarebbero stati identificati nelle creature semidivine che avevano raccolto la gemma verde per trasformarla in una coppa di conoscenza.

Fetonte, sempre secondo la leggenda, ampliò la sua Scuola iniziatica dando vita all’Ordine monastico-guerriero dello Za-basta che prendeva nome dal pettorale che ciascuno dei suoi appartenenti indossava. Un Ordine che per certi versi preannunciava quello che molti millenni dopo sarebbe stato l’Ordine dei Cavalieri del Tempio. E così come fece l’Ordine dei Templari in una Europa imbarbarita, anche lo Za-basta si impegnò ad una immane civilizzazione di un pianeta che, dopo la fine dell’era dei grandi sauri, era tutto da ricostruire e che avrebbe portato dopo peripezie di ogni genere su tutto il pianeta all’umanità del nostro tempo.

Secondo la tradizione druidica, Fetonte avrebbe portato in dono agli uomini un albero dai poteri particolari, l’Yggdrasil, l’Albero della Vita che si estende tra i mondi, in grado di donare benessere e conoscenza a chi lo seminava e lo coltivava. Un simbolismo che porta l’Yggdrasil a fondersi con l’esperienza introspettiva e creativa della meditazione, considerata la base fondamentale della Scuola iniziatica di Fetonte.

Attorno al grande cerchio di pietre fatto erigere da Fetonte sorse la città di Rama. Intorno ad esso sarebbe sorto il primo nucleo urbano della città di Rama che raccoglieva i pellegrini giunti dalle varie parti del continente per incontrare il dio.

In breve tempo le abitazioni fatiscenti del primo borgo si trasformarono in dimore più solide e il borgo prese ad ospitare commerci, mense di ristoro e strutture ospedaliere. Nei secoli successivi comparvero mura di protezione in pietra che si svilupparono, progressivamente alla crescita dei residenti, in una vera e propria città-fortezza.

Successivamente, dopo il congedo di Fetonte dagli uomini, la città-fortezza si trasformò in una immensa città megalitica che si espanse per tutta la valle. Una città che poi nei millenni a venire verrà ricordata come la città di Rama. Il suo nome faceva riferimento alla “roccia”, in un antico termine gaelico, alla pietra con cui era stata costruita la città e sembra che fosse anche la contrazione del significato di “Città dei tre draghi”, riferendosi ai periodi di ricostruzione della città che ospitava il “Drago” che sarebbe avvenuta nel tempo.

Valle di Susa, una grotta dedicata alla ruota solare. Al luogo impervio si accede dopo una scalata nella roccia, quasi un percorso iniziatico che sembra sottolineare la sacralità del posto. Il vasto numero delle ruote solari che si trovano in tutte le valli del Piemonte, e non solo, sembrano riferirsi al mito della ruota d’oro di Fetonte
Valle di Susa, una grotta dedicata alla ruota solare. Al luogo impervio si accede dopo una scalata nella roccia, quasi un percorso iniziatico che sembra sottolineare la sacralità del posto. Il vasto numero delle ruote solari che si trovano in tutte le valli del Piemonte, e non solo, sembrano riferirsi al mito della ruota d’oro di Fetonte

Il nucleo più antico della città di Rama si ergeva sulle falde del Monte Rocciamelone, la cui vetta sarebbe stata poi in epoca romana la sede di culti antichi tra cui per ultimo il culto di Giove.

La città antica era stata costruita con l’uso di grandi blocchi di pietra che dalla stima delle loro dimensioni dovevano pesare mediamente dalle quattro alle cinque tonnellate ciascuno.

Le mura ciclopiche di Rama si snodavano per circa 27 chilometri e i suoi immensi portici in pietra si sviluppavano, per tutta la lunghezza della valle, sulla direttrice delle cittadine di Bruzolo, Chianocco e Foresto, sulle rive del fiume Dora. Sulla sommità del Roc Maol, la montagna su cui si appoggiavano le mura della città, era posto l’osservatorio da cui i druidi del tempo esploravano il cielo.

La città antica giunse ad essere il centro di un immenso agglomerato urbano di costruzioni minori che si estendeva dal suo centro alla città di Susa sino alle porte dell’attuale città di Torino, raggiungendo il versante transalpino dell’odierna Francia.

Nei tempi antichi, ancora legati al mito del Graal, Rama era la vera e sola città esistente allora su tutto il continente europeo, la sede pacifica e intellettuale di un popolo misterioso che diceva di aver avuto origine dalla conoscenza giunta dalle stelle.

Prima di lasciare gli uomini Fetonte avrebbe fatto costruire una grande ruota d’oro, di circa due metri di diametro, forata al centro, in cui era racchiusa tutta la conoscenza trasmessa agli umani.

La leggenda di Fetonte sembra riportare un evento che viene ricordato nei miti di tutti i Popoli del pianeta: una conoscenza ricevuta da una fonte antica, proveniente dallo spazio, come ricordano i miti degli aborigeni australiani o le figure degli Elohim, gli dei che crearono l’umanità.

Del resto, lo stesso nome del GRAAL, simbolo accomunato a quello di Fetonte, è costituito dall’acronimo Gnosis Recepta Ab Antiqua Luce (conoscenza ricevuta da una antica luce), concepito dagli alchimisti medievali.

Fetonte non è quindi da intendersi come una figura singola, ma come un evento di una consorteria venuta dallo spazio che ha donato una immensa conoscenza agli uomini del tempo.

Il ritrovamento delle mura di Rama

La ricerca sull’esistenza della città di Rama premiava i due ricercatori con una scoperta senza precedenti. Purtroppo questo accadeva molto tempo dopo che Mario Salomone era scomparso.

Come accadde per la scoperta di Troia, a cura dell’archeologo tedesco Heinrich Schliemann che inseguì il mito del Tesoro di Priamo fino a trovare l’antica città ritenuta dagli studiosi solo frutto della fantasia, anche la scoperta delle mura di Rama estrasse Rama dalla leggenda per inserirla nella storia.

Il Cerchio di Pietre di Dreamland, progettato da Giancarlo Barbadoro nell’antica terra sacra di Rama per dare continuità alla tradizione celtica e mantenere vivo il mito di Rama, custodito dalle Famiglie Celtiche
Il Cerchio di Pietre di Dreamland, progettato da Giancarlo Barbadoro nell’antica terra sacra di Rama per dare continuità alla tradizione celtica e mantenere vivo il mito di Rama, custodito dalle Famiglie Celtiche

Successe che, nonostante il clima di indifferenza esistente intorno al mito di Rama e di Fetonte da parte della ricerca ufficiale, nell’estate del 2007 sia avvenuto il ritrovamento, in piena Valle di Susa, di una parte dei bastioni di mura in pietra che, per via del luogo del ritrovamento e della loro architettura megalitica, possono essere considerate come parte delle grandi mura della città di Rama.

Il ritrovamento rappresenta una importante testimonianza sulla possibilità della reale esistenza di Rama, trasportando l’evento al di fuori della narrazione del mito e delle leggende popolari.

Le mura che sono state rinvenute sembrano emergere dalla montagna. Il che lascia dedurre che il restante della struttura sia ancora sepolto dalle valanghe naturali avvenute nei millenni.

Le pietre che costituiscono le mura risultano squadrate e quindi chiaramente prodotte da opera umana. E sono anche di grandi dimensioni, tanto che si può parlare di veri e propri macigni.

I massi sono posati gli uni sugli altri, con blocchi di pietra che mostrano misure mediamente di almeno 1 metro e 80 di altezza per 1 metro e 60 di larghezza, e altrettanto di profondità. Si può stimare che ogni pietra delle mura pesi dalle 4 alle 5 tonnellate.

Le gigantesche pietre appaiono sistemate a secco tra di loro con sagomature che rivelano come gli antichi architetti abbiano voluto dare la massima coesione tra le stesse e quindi compattezza alle mura. In alcuni casi si può notare come le pietre siano accostate tra di loro senza che ci sia la possibilità di far penetrare nelle fessure la lama sottile di un coltellino.

L’aspetto di queste mura, per loro forma e lavorazione, può ricordare quello delle fortezze andine o le pietre a più angoli di Cuzco. Ricordano senza dubbio le mura delle fortezze megalitiche del centro Italia, come quelle dell’area del Circeo laziale, vicino a Roma, realizzate si presume dai Pelasgi e poi riutilizzate in epoche successive dai romani. Possono essere accostate per la loro struttura anche ad alcune opere megalitiche della Sardegna.

C’è da aggiungere che sul versante francese delle Alpi si stanno svolgendo scavi in un sito archeologico attribuito all’antica Rama. Nel sito archeologico di Champcella, nei pressi del comune che guarda caso si chiama “La Roche de Rame”, tra Embrun e Briançon, sono in corso da alcuni anni scavi archeologici che hanno portato alla luce strutture in stile megalitico del tutto simili a quelle delle mura di Rama rinvenute in Valle di Susa.

Il Cerchio di Pietre di Dreamland raccoglie naturalmente tutti i viandanti richiamati dal cromlech, che intendono migliorare la propria vita e dare un contributo per un mondo migliore, proprio come succedeva intorno al Cerchio di Pietre di Fetonte
Il Cerchio di Pietre di Dreamland raccoglie naturalmente tutti i viandanti richiamati dal cromlech, che intendono migliorare la propria vita e dare un contributo per un mondo migliore, proprio come succedeva intorno al Cerchio di Pietre di Fetonte

I Tre Doni di Fetonte

Un altro elemento che rende viva la leggenda, a supporto della concretezza di una Tradizione che ha lasciato tracce nella storia, è ravvisabile nei “Tre Doni di Fetonte”.

Secondo l’antica tradizione narrata nel “Tai Saar i Mnai” (Il Libro del Cielo e della Terra), l’antico libro dello sciamanesimo druidico, Fetonte avrebbe lasciato agli uomini del tempo tre doni che rappresentano tre modalità di esperienza concatenate in sequenza tra di loro. Doni che possono contribuire a cambiare il mondo in un nuovo Eden, dove non esistano più sofferenza, violenza e guerre. 
Un mondo dove possa esistere pace e fratellanza tra tutte le specie viventi, libertà di espressione per ogni individuo e vera gioia di vita per ogni creatura che si affaccia e vive la natura assoluta e reale del Vuoto, l’elemento fisico e mistico da cui ha avuto origine l’universo e la vita di ogni creatura che lo popola.

Ma la comparsa di Fetonte sulla Terra non rappresenta solo un mito. Ci sono evidenti certezze della sua apparizione nella storia di questo pianeta. E queste certezze risiedono in precisi elementi che si evidenziano nei tre doni che avrebbe lasciato all’umanità del tempo e poi trasmessi dalla tradizione dell’antico sciamanesimo druidico dei nativi europei.

Il primo è la Ruota Forata, simbolo della via mistica del Vuoto. Rappresenta l’oggetto che Fetonte avrebbe donato all’umanità del tempo nel momento del suo congedo dal pianeta come prova e ricordo della sua venuta sulla Terra.

È il simbolo della sua conoscenza, interpretabile nella sua esegesi: una dottrina mistica e una cosmologia dello Shan, la natura nella sua concezione immateriale. Il simbolo della ruota forata si trova presso tutte le culture antiche e moderne di tutto il pianeta, con i suoi numerosi nomi, lasciando senza spiegazioni gli archeologi del mondo maggioritario che sono avulsi dalla storia effettiva di questo mondo.

Un simbolo che si trova soprattutto diffuso in tutta la Valle di Susa dove sarebbe avvenuto l’antico evento della venuta di Fetonte.

Il secondo dono è la Nah-sinnar, la Musica del Vuoto. Uno straordinario strumento di terapeutica dello spirito che attraverso il potere del suono si esprime con una musica in grado di agire sull’inconscio e liberare l’individuo dalla prigionia soggettiva della mente.

Il terzo dono è la Kemò-vad, una disciplina che deriva dall’antico sciamanesimo druidico che si attua con una forma di meditazione sia dinamica sia statica ed è basata sull’ “Arte del gesto consapevole”. Questa disciplina è in grado di risanare il corpo e la mente portando a intuizioni mistiche, risultato che nessun’altra tecnica similare permette di ottenere con la stessa rapidità.

Nel tempo la Kemò-vad è giunta nei giorni nostri anche trasformandosi nelle discipline di cultura orientale dove sarebbe stata portata dagli Ard-rì, gli Allievi di Fetonte.

I tre doni di Fetonte rendono concreto il mito in quanto attualizzano un insegnamento nato in ere arcaiche, quando forse l’umanità non aveva ancora l’aspetto che ha oggi, e tuttavia sono in grado di provocare cambiamenti significativi nell’individuo di ogni tempo, portandolo ad una qualità di vita migliore.

Nelle Valli di Susa e di Lanzo è facile trovare delle ruote forate davanti alle abitazioni in segno propiziatorio e protettivo. Anche se magari molti non ne ricordano più il significato, l’antica usanza è rimasta
Nelle Valli di Susa e di Lanzo è facile trovare delle ruote forate davanti alle abitazioni in segno propiziatorio e protettivo. Anche se magari molti non ne ricordano più il significato, l’antica usanza è rimasta

Cosa rimane della città di Rama?

Oggi apparentemente della leggendaria città di Rama non vi è più traccia.

Eppure, dal materiale raccolto, leggende, miti, racconti, dai reperti megalitici e dalle ricerche effettuate da appassionati del settore, tutto può far pensare ad un passato epico di cui le Valli del Piemonte sono state testimoni dirette. Il mito della città di Rama evoca un’epoca eroica e leggendaria, una vera e propria saga che avrebbe avuto come epicentro le valli del Piemonte, la cui influenza si sarebbe estesa in tutta Europa.

Ai nostri giorni, della ciclopica città di Rama rimangono le tradizioni conservate da quello che è rimasto della cultura druidica dell’area piemontese e che probabilmente hanno alimentato la cultura laica dei salotti illuministi di Torino fino ai giorni nostri.

Nella Valle di Susa e nelle Valli di Lanzo si tramandano ancora oggi leggende locali che narrano in maniera molto viva eventi relativi alla città di Rama e alla sua scomparsa.

Nell’area di Mompantero, in Val di Susa, esistono leggende locali che narrano in maniera molto esplicita eventi relativi alla città di Rama e alla sua scomparsa. Secondo le leggende, non tutti i suoi abitanti scomparvero a causa della catastrofe che distrusse l’antica città, ma una parte di loro si salvò e costruì una città segreta nelle viscere rocciose del Roc Maol, il Rocciamelone, dove i sopravvissuti si rifugiarono mantenendo nascosta la loro esistenza. Altre leggende asseriscono che all’interno del Roc Maol vi sarebbe un mago benevolo che veglia su un immenso tesoro fatto di monili preziosi e di strumenti magici.

Secondo alcune credenze, in posti segreti, conosciuti solo a pochi valligiani, sono rimasti strumenti di scavo e varie strane macchine che furono usate dagli abitanti di Rama con le quali è possibile fare ancora oggi delle cose straordinarie. Altre credenze ancora affermano che il Dio disceso tra gli uomini avrebbe lasciato uno dei suoi aiutanti di metallo dorato a proteggere la grande Ruota d’Oro e tutti i segreti della sua conoscenza.

L’aiutante del Dio sarebbe stato in grado di mutare a piacimento le sue sembianze” e si sarebbe trasformato in un “grande drago d’oro” che custodirebbe il Graal, o un smeraldo di intensa luce verde, nascosto in una grotta celata all’interno di una montagna della Valle di Susa.

L’influenza delle leggende legate al Rocciamelone e alla Città di Rama hanno una eco anche nelle Alte Valli di Lanzo, dove ancora oggi si possono trovare numerosissimi reperti megalitici: coppelle, incisioni, dolmen e menhir, ma anche usanze, tradizioni locali e leggende riferibili al mito di Rama.

Le tracce della città di Rama rimangono vive non solo nelle molteplici leggende locali ma anche nei nomi di vari luoghi dell’area su cui sorgeva Rama.

In Val di Susa esiste ad esempio un’area che porta il nome di “bosco di Rama”; a Chianocco, sempre in Valle di Susa, c’è una frazione denominata “Ramats”. Ancora più specifico è il nome di una via di Caprie: Via Città di Rama. Moltissimi sono i cognomi riferiti a Rama, così come le insegne dei negozi, segno evidente che nella gente del posto il nome è rimasto a significare ancora qualche cosa.

Il libro “Rama, antica città celtica” di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero, pubblicato da Edizioni Età dell’Acquario, anche in e-book
Il libro “Rama, antica città celtica” di Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero, pubblicato da Edizioni Età dell’Acquario, anche in e-book

Il Cerchio di Pietre di Dreamland

Rama continua a far parlare di sé, a volte anche a sproposito. Sono molti gli pseudo-ricercatori o druidi improvvisati che vantano certezze su Rama e sul luogo dove sarebbe sorta, organizzando meeting, escursioni, improbabili riti druidici e quant’altro, ovviamente a pagamento.

In realtà le Famiglie Celtiche delle Valli di Susa e di Lanzo custodiscono gelosamente il segreto delle sue mura e dei suoi reperti, affidandoli esclusivamente a persone di loro fiducia.

Nel rispetto dei principi costruttivi delle antiche tradizioni e ispirandosi al mito della città di Rama, Giancarlo Barbadoro ha voluto progettare un grande Cerchio di Pietre che risiede nell’antica terra sacra di Rama in un preciso luogo indicatogli da esponenti delle Famiglie Celtiche.

Oggi questo anfiteatro antico assume il ruolo di palco e tribuna di un teatro immerso nell’ambiente dove avvengono eventi musicali e culturali che richiamano lo spirito della natura e della grande avventura della vita vissuta dall’individuo.

Lo Stone Circle assolve anche a funzioni didattiche poiché rappresenta un elemento di archeoastronomia in grado di illustrare le antiche scienze dei Celti e di avvicinare il pubblico ai fenomeni della volta celeste. Il cerchio di pietre di Dreamland, nell’intenzione del suo promotore, è stato costruito per dare visibilità alla cultura celtica, una cultura che si è sempre riferita alla natura. Nel riferirsi alla natura la cultura celtica ha sviluppato tutti i valori che dalla natura si possono trarre. Essenzialmente l’esperienza del silenzio, fondamentale per tutte quelle culture che si ispirano alla natura.

Il cerchio si trova ad essere posizionato in modo tale da poter segnalare l’inizio dei solstizi e degli equinozi; vi sono delle pietre che indicano l’inizio del solstizio d’estate e l’inizio del solstizio d’inverno e presentano l’arco percorso dal sole nel cielo, dando così la proporzione della durata delle stagioni. Il cerchio è orientato esattamente sulla stella polare e serve pertanto anche come strumento notturno per l’osservazione del cielo stellato.

Presso i Celti l’astronomia rivestiva una scienza sacra perché riuniva praticamente tutte le discipline ed era vista come un modo di rapportarsi al mistero dell’esistenza. Secondo queste culture un cielo stellato rappresentava una realtà che trascende sia l’individuo che le cose terrene e pertanto studiare l’astronomia assumeva un valore di sacralità.

Il Cerchio di Pietre di Dreamland, così come è la natura dei cromlech, ha anche una funzione simbolica in quanto la struttura manifesta il principio della ruota forata di Fetonte , un ente mistico che rappresenta l’evolversi dell’individuo nella natura: dal suo ingresso nel cerchio, che simboleggia l’affacciarsi nella vita dell’universo materiale attraverso l’esperienza della nascita, fino al raggiungimento del centro del cerchio, che simboleggia l’unione con la natura immateriale dell’esistenza.

Il luogo dove sorge il cerchio di pietre è stato indicato dalle Famiglie Celtiche per la valenza simbolica che rappresenta: qui infatti sorgeva anticamente un grande albero, come l’Yggdrasil che Fetonte regalò agli uomini del tempo, che in occasioni particolari veniva addobbato con nastri multicolori e attorno al quale si creavano grandi cerchi di danze collettive, rito che è stato poi adottato da tutti i Paesi celtici.

www.rosalbanattero.net

Le riforme bloccate, dai cantieri alla Pa mancano 278 decreti

https://www.ilmessaggero.it/pay/edicola/riforme_bloccate_cantieri_pa_mancano_decreti-4678942.html?fbclid=IwAR03vOhWhGk602hi2UIwMN-iBF692Hfv1bz89l-Lq-jSDuEUaCqMuvzd-G8

Sabato 17 Agosto 2019 di Michele Di Branco

La lotta alla mafia non si ferma. Ma certo rallenta un po’. La crisi di governo inceppa la macchina burocratica al punto tale da bloccare un mucchio di provvedimenti che aspettavano solo l’input politico per andare in porto. Sono ben 278 i decreti attuativi da adottare per rendere esecutive le leggi e le riforme dell’esecutivo Conte. Ma ora, senza una guida, i funzionari fanno cadere le penne e i ministeri si fermano. Tanto che, appunto, chissà quando arriveranno i criteri che servono all’Agenzia nazionale per stabilire la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Anche la lotta all’immigrazione clandestina, tanto cara al ministro degli Interni, Matteo Salvini, rischia di incassare una pesante battuta d’arresto. Gli uffici del Viminale e degli Affari Esteri, tanto per fare un esempio, devono ancora stendere l’elenco dei Paesi di origine sicuri sulla base di criteri definiti dalla legge per la valutazione delle domande di protezione internazionale. Una carta senza la quale l’Italia non ha una bussola in materia di accoglienza.

E che dire della legge di Bilancio? Il Paese si chiede cosa ne sarà dell’Iva, visto che non c’è un governo pronto a bloccarne l’aumento nel 2020. Ma poi leggi le carte del ministero del Tesoro e scopri che in Via XX Settembre sono ancora alle prese con vecchie gatte da pelare visto che ben 76 provvedimenti collegati alla manovra dello scorso anno devono ancora trovare attuazione attraverso i decreti. Tra le riforme a serio rischio palude c’è anche quota 100. Sia chiaro: si può andare in pensione anticipata ma torna in discussione una delle agevolazioni collegate al provvedimento, quella che riguarda la liquidazione anticipata gli statali. Palazzo Chigi aveva trovato un accordo con le banche per anticipare, entro 75 giorni, fino a 45 mila euro di Tfr. Ma ora rischia di saltare tutto.

Che ne sarà dei rider? L’ultimo Cdm prima della crisi, aveva dato il via libera al decreto legge che prevedeva l’introduzione della nuova normativa sulle tutele per i rider. Ma Il provvedimento era stato varato “salvo intese”: una formulazione che mette a rischio la legge prevede che le piattaforme digitali che affidano ai fattorini la consegna dei pasti si debbano occupare della copertura assicurativa obbligatoria per i lavoratori, per la tutela in caso di malattia e infortuni sul lavoro. Il dispositivo di legge inoltre stabilisce che il pagamento a cottimo non deve essere quello prevalente, ma che va compensato con quello a tempo. Ed era stata stabilita anche una retribuzione oraria base, che prevedeva come obbligo per il lavoratore di rispondere ad almeno una chiamata all’ora. Addio alla chiusura domenicale dei negozi. 

IL CAVALLO DI BATTAGLIA
Il cavallo di battaglia dei 5 Stelle, già pesantemente azzoppato dalla Lega, langue in Commissione Attività produttive. Altra grana in arrivo per i pentastellati: la crisi inceppa la macchina del Reddito di Cittadinanza in quanto blocca una decina di decreti attuativi che, nello specifico, dovrebbero stabilire le modalità operative dei navigator assunti fino al 2021. Sono circa 50, invece, i decreti attuativi del Decreto crescita che aspettano il nulla osta, mentre in materia di Pubblico impiego la lotta ai “furbetti del cartellino” potrebbe rallentare. Servono 7 decreti attuativi per completare la riforma che punta ad introdurre i controlli “biometrici” negli uffici della Pa. I termini sono scaduti la scorsa settimana ed ora l’iter rischia di dover ricominciare da capo

TAV, «non dire gatto se non l’hai nel sacco»

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2019/08/19/tav-non-dire-gatto-se-non-lhai-nel-sacco/?fbclid=IwAR00X_YxgHQcxWBGa86uyn6ewp8hkDCrQyRHWbiTM7DI5yj63ARFuAfq5mU

Il TAV, apparentemente sdoganato da una patetica dichiarazione di un presidente del Consiglio in caduta libera e da uno scontato e inutile voto parlamentare multipartisan, resta più che mai una questione aperta. Per intanto ha colpito ancora dando la spallata finale alla crisi annunciata del Governo giallo-verde. E, poi, è assai probabile che i suoi prossimi passaggi si riaffacceranno nelle complesse trattative per uscire dalla crisi posto che, anche sotto il profilo giuridico, il via libera ai lavori del tunnel di base è tuttora controverso (cfr. l’intervista a Sergio Foà «TAV, il governo sfiduciato non può dare il via», il Manifesto dell’11 agosto 2019). Che la partita sia tutta da giocare – e che valga più che mai il detto trapattoniano «non dire gatto se non l’hai nel sacco» – lo hanno sottolineato, su queste pagine, Angelo Tartaglia, che ha dimostrato come essa sia ancora al calcio d’inizio, Giovanni Vighetti, che ha spiegato come il Parlamento, a ben guardare, abbia votato sul nulla, e Luca Giunti, che ha chiarito come nella storia e in natura non c’è nulla (o, almeno, nulla di positivo) che si possa considerare irreversibile. Per questo è utile fermarsi su alcuni dei passaggi più recenti della querelle, relativi al passato ma utili per definire scelte e obiettivi futuri.

Primo. Il cedimento del (defunto) Governo Conte al partito degli affari ha aperto sui media e sui social un dibattito sintetizzabile nell’alternativa se i 5Stelle siano traditori o sconfitti. Non so dire quale tra queste qualità sia prevalente ma so per certo che a sopravanzarle entrambe è stata una incapacità politica smisurata o, forse più esattamente, una stupidità per la quale è difficile trovare uguali. Questa – non la mancanza della maggioranza assoluta in Parlamento (evocata come scusante dal redivivo Beppe Grillo) – è, e resterà, la colpa storica del M5Stelle, una colpa tanto accentuata da sconfinare nel dolo. Che cosa poteva/doveva fare una forza genuinamente No TAV dopo la definizione di un contratto di governo in cui stava scritto che «con riguardo alla Linea al Alta Velocità Torino-Lione ci impegniamo a ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’accordo tra Italia e Francia»? Molte cose, alcune delle quali di un’evidenza solare:
– anzitutto bisognava collocare ai vertici di TELT (la società italo-francese preposta alla Nuova linea ferroviaria), alla presidenza dell’Osservatorio Val Susa e nel ruolo di Commissario di Governo, in sostituzione dei sempiterni pasdarandell’opera Virano e Foietta, tecnici convinti della necessità – appunto – di una “ridiscussione del progetto”. Non per occupare poltrone ma per dare concretezza e coerenza all’azione di governo portandone le convinzioni e i dubbi nelle sedi operative e traducendoli lì in proposte, atti amministrativi, interlocuzioni con le altre parti interessate, presenza mediatica alternativa. Non averlo fatto – nonostante le molte sollecitazioni di un territorio ostentatamente inascoltato – ed essere rimasti inerti in attesa degli eventi ha prodotto, com’era facile prevedere, un’assoluta continuità amministrativa e contribuito a determinare la vittoria dell’establishment;
– poi era necessario predisporre, coinvolgendo geologi e tecnici di primo piano, un progetto di interventi di difesa, manutenzione e risanamento del territorio (un progetto concreto, comprensivo di un’opera per ogni regione e con l’indicazione di finanziamento, tempi di esecuzione e ricadute sull’occupazione) su cui aprire un dibattito nel Paese per valutare l’opportunità di destinare a tali opere o al TAV le (poche) risorse disponibili. Non averlo fatto ha rafforzato le posizioni di chi – interessatamente – ha presentato il TAV come (sola o principale) occasione di rilancio dell’economia e dell’occupazione, così mettendo in secondo piano la stessa analisi costi-benefici richiesta dal ministro delle infrastrutture, univoca nell’evidenziare l’insostenibilità economica della Nuova linea Torino-Lyon;
– ancora, andava aperto con il Governo francese un confronto pubblico e non subalterno sulle rispettive posizioni in punto effettivo interesse all’opera, tempi della sua realizzazione (rinviata in Francia, per la tratta nazionale, a dopo il 2038 e salve ulteriori valutazioni…), costi a carico di ciascuna delle parti (in ogni caso da ridiscutere per l’irrazionale accollamento all’Italia della loro parte maggiore). Se lo si fosse fatto, anziché limitarsi a colloqui di vertice su chi doveva restare “con il cerino in mano”, sarebbe rimasta chiara, quantomeno, l’opportunità di un rinvio sine die o comunque a (improbabili) tempi migliori.
Le battaglie politiche (l’insegnamento vale per il futuro) si fanno non con sparate propagandistiche ma con atti coerenti, che – soli – possono produrre nuovi equilibri pur partendo da posizioni di minoranza.

Secondo. La lezione di questi anni è che il partito degli affari ha una capacità attrattiva senza uguali. Erano originariamente No TAV – come noto e come ricordano libri e fotografie – finanche Renzi e Salvini. Era No TAV, come ha tenuto a precisare nel dare il via agli appalti per il tunnel di base, il presidente del Consiglio Conte. E lo era, ancora pochi mesi fa, prima di diventare segretario generale della Cgil, Maurizio Landini che ora, dopo avere bizantinamente distinto la sua posizione personale da quella dell’organizzazione, ha commentato la decisione del Governo con un eloquente «bene!». Perché questa attrazione fatale, per di più immotivata o giustificata con slogan e frasi fatte, al momento della assunzione di ruoli di governo o, comunque, di rilievo pubblico di primo piano? La domanda è tanto più necessaria per chi – tutti, escluso Salvini – inneggia contemporaneamente a Greta e alla necessità di salvare ambiente e clima, all’evidenza compromessi dallo scavo di una montagna piena non solo di falde acquifere ma anche di amianto con immissione nell’atmosfera di almeno dieci milioni di tonnellate di CO2. La corruzione ideale ed etica prodotta dal potere (o anche solo dalle sue briciole) non è certo una novità del nuovo millennio e la legge del consenso nell’età dei social fa spesso perdere l’anima. Ma non c’è solo questo. C’è la mancanza nella cultura politica e sindacale – con poche eccezioni – di un pensiero lungo e, in esso, di un’attenzione reale all’ambiente, sempre soccombente di fronte al lavoro, all’economia, allo sviluppo. Non sono casuali l’inconsistenza e l’inconcludenza nel nostro Paese dei movimenti verdi (che, spesso, di verde hanno solo il nome). Un cambio di paradigma è, peraltro, imposto dal collasso climatico in atto. Ora, non domani. Con una conseguente priorità politica: trasformare l’opposizione alle grandi opere in parola d’ordine della modernità, su cui costruire alleanze e conversioni.

Terzo. Nel (breve) momento in cui la decisione del Governo sul TAV è stata in bilico le punte di diamante dello schieramento del Sì (a partire dalla strana coppia Salvini-Chiamparino), oltre a mobilitare le “madamine” sabaude, hanno invocato all’unisono un referendum per dare la parola ai cittadini o – come va di moda dire – al “popolo”. La proposta era evidentemente impraticabile e del tutto strumentale, tanto da essere immediatamente ritirata al cambiar del vento, ma contiene un nucleo forte che, sette anni fa, era stato indicato sulle pagine di La Repubblica da Adriano Sofri, subito silenziato dalla direzione del giornale (cfr. www.volerelaluna.it/wp-content/uploads/2019/05/TALPA-3pepino.pdf p. 3). In caso di chiusura, con il suicidio annunciato del M5S, di ogni spazio di discussione parlamentare, la richiesta di una consultazione popolare nazionale (l’unica ad avere senso e legittimazione) può diventare una prospettiva da coltivare, seppur nel medio periodo (se non altro perché la realizzazione di un referendum consultivo nazionale richiede una legge ad hoc). La proposta può sembrare azzardata ma lo è meno di quanto appaia se è vero che l’ultimo sondaggio serio al riguardo, condotto da Mannheimer per il Corriere della Sera nel 2012, segnalava che le rivendicazioni del Movimento No TAV erano condivise dal 44% degli italiani e che tuttora, nonostante la criminalizzazione del movimento e la canea mediatica a favore dell’opera, i contrari restano – secondo gli stessi giornali mainstream – uno su tre. Nel referendum per l’acqua pubblica e per il nucleare si partiva da numeri simili…

Stipendi da fame per produrre i nostri vestiti: la LISTA dei marchi che non garantiscono salari dignitosi

https://www.greenme.it/consumare/mode-e-abbigliamento/salari-abbigliamento-abiti-puliti-2019/?fbclid=IwAR1teGqaOZm6XgljsWSZFt7uArhHkHpftybal9Sj_Tn5XJiDjw7uFH4UEqI

salari abbigliamento abiti puliti 2019

I salari in Etiopia e Bangladesh sono meno 1/4 di un salario dignitoso. In Romania ancora peggio…

grandi marchi di abbigliamento non sono in grado di garantire salari minimi adeguati ai lavoratori: è quanto emerge dal nuovo rapporto sulle retribuzioni dell’industria dell’abbigliamento, pubblicato da Clean Clothes Campaign.

I maggiori marchi di abbigliamento non garantiscono salari dignitosi

Sono venti i marchi di abbigliamento intervistati in merito ai salari percepiti dai loro lavoratori. Le risposte sono state analizzate e riportate nel rapporto “Tailored Wages 2019: The state of pay in the global garment industry” (Salari su misura 2019: Lo stato delle retribuzioni nell’industria globale dell’abbigliamento), pubblicato dalla Clean Clothes Campaign.

Sebbene l’85% dei marchi abbia dichiarato di volersi impegnare a garantire salari che consentano ai lavoratori il soddisfacimento delle esigenze minime, nessuna delle aziende intervistate ha saputo dimostrare di aver portato avanti azioni concrete per raggiungere l’obiettivo.

Nessuno dei marchi intervistati è riuscito infatti a provare che la retribuzione dei lavoratori sia adeguata e sufficiente a garantire loro una vita dignitosa.

“A cinque anni dalla nostra precedente indagine, nessun marchio è stato in grado di mostrare alcun progresso rispetto ai salari. La povertà nel settore dell’abbigliamento anziché migliorare sta peggiorando. La questione è urgente. Il nostro messaggio ai marchi è che i diritti umani non possono più aspettare e i lavoratori che fanno i vestiti venduti nei nostri negozi devono essere pagati abbastanza da poter vivere con dignità”, spiega Anna Bryher, autrice del rapporto.

Per Debora Lucchetti, della sezione italiana Clean Clothes Campaign, le iniziative volontarie non sono riuscite a garantire i diritti umani dei lavoratori a causa anche di una eccessiva competizione nel settore:

“È un dato di fatto che i lavoratori che producono quasi tutti gli abiti che compriamo vivono in povertà, mentre le grandi marche si arricchiscono grazie al loro lavoro. È tempo che i marchi adottino misure efficaci di contrasto al sistema di sfruttamento che hanno creato e da cui traggono profitto”, ha aggiunto.

Le retribuzioni nell’industria dell’abbigliamento

In Bangladesh i salari minimi sono meno di un quarto del salario che consente la sussistenza. La situazione appare simile in Etiopia e addirittura peggiore in Romania e in numerosi altri paesi dell’Europa orientale, dove gli stipendi sono pari a un sesto del salario di sussistenza. Retribuzioni così basse non sono assolutamente in grado di coprire le esigenze minime di una persona o di una famiglia e non consentono una vita dignitosa.

I lavoratori che confezionano gli abiti che ogni giorno compriamo e indossiamo non hanno di fatto accesso a cibo, alloggi, istruzione e cure primarie.

Tra le aziende coinvolte in quella che è una vera e propria violazione dei diritti umani Adidas, Nike, Amazon, Fruit of the Loom, GAP, Puma, H&M, Primark, Zalando.

La lista dei marchi che non garantiscono salari minimi:

  • Adidas,
  • Amazon,
  • C&A,
  • Decathlon,
  • Fruit of the Loom,
  • Gap,
  • G-Star RAW,
  • H&M,
  • Hugo Boss,
  • Inditex,
  • Levi’s,
  • Nike,
  • Primark,
  • Puma,
  • PVH,
  • Tchibo,
  • Under Armour,
  • Uniqlo (Fast retailing),
  • Zalando

Unica eccezione è rappresentata da Gucci: un lavoratore presso questo marchio può permettersi di vivere in alcune aree del Sud e del Centro grazie allo stipendio percepito.

Tatiana Maselli

TAV: LA VERITÀ DEI FATTI

https://www.agi.it/saperetutto/tav_torino_lione_costi_effetti-4451507/longform/2018-10-12/?fbclid=IwAR0y4-M-9dTaykV2uDyb0Jip1iZ9XqldiwqDXie2f_X27l1nUM3eEGGh8IM

Un super fact-checking in 35 domande e risposte sul più importante progetto infrastrutturale in Italia

di PAGELLA POLITICA 

25 luglio 2019,11:24

NO TAV

«Non esiste il partito delle grandi opere.

Non credo a quei movimenti di protesta che considerano dannose iniziative come la Torino-Lione. Per me è quasi peggio: non sono dannose, sono inutili. Sono soldi impiegati male».

Matteo Renzi, 2013

Articolo originale del 12 ottobre 2018 aggiornato l’ultima volta il 25 luglio 2019.

Si discute di Tav da quasi trent’anni. La sigla indica, in generale, le ferrovie ad alta velocità, ma nel dibattito pubblico italiano vuol dire una cosa sola: il progetto che coinvolge il nuovo asse ferroviario tra Italia e Francia e, più nello specifico, tra Torino e Lione. Per questo, nelle pagine che seguiranno, con “Tav” si intenderà di solito “la linea Torino-Lione”.

A partire almeno dal 1991 – anno in cui la stampa parlava già dell’opera come particolarmente urgente – il progetto è stato al centro di un acceso dibattito tra chi ritiene l’opera una necessaria opportunità di sviluppo per il Paese[1] e chi la reputa inutile, costosa e dannosa.

Nello specifico, i principali obiettivi dei promotori della Tav sono economici, per rendere più competitivo il treno per il trasporto di persone e merci; ambientali, per ridurre il numero di Tir dalle strade; sociali, per connettere meglio e valorizzare aree diverse. I contrari all’opera pensano che questi obiettivi, seppur validi, non siano realizzabili con il progetto proposto, che viene visto inoltre come uno spreco di soldi pubblici.

In realtà, la divisione tra sostenitori e critici della linea – i cui lavori sono già iniziati da almeno dieci anni – è assai complessa. Come vedremo nel corso del testo, le posizioni sono molteplici, e non riconducibili a un solo dibattito polarizzato tra due schieramenti.

In queste pagine si proverà a fare il punto sul progetto, il suo stato di avanzamento, la sua storia, i pareri degli esponenti politici e le ragioni dei favorevoli e dei contrari. L’obiettivo è fornire un punto di vista il più possibile chiaro e imparziale sul tema della nuova linea ferroviaria Torino-Lione.

Una vera e propria “storia nella storia” è quella dei movimenti di protesta alla costruzione dell’infrastruttura, della risposta delle autorità, delle misure di sicurezza intorno ai cantieri e delle vicende giudiziarie che hanno coinvolto molte persone negli ultimi vent’anni: per esigenze di spazio, questi temi saranno trattati solo in modo molto sintetico, preferendo concentrarsi sugli aspetti più legati al progetto in senso stretto.

1. Che cos’è (e che cosa non è) la Tav?

La sigla Tav sta per “Treno ad alta velocità”. Secondo un parere linguistico pubblicato nel 2015 dall’Accademia della Crusca, sarebbe corretto utilizzare l’articolo maschile, visto che la prima lettera della sigla sta per “treno”. L’articolo femminile fa riferimento alla linea ad alta velocità (“la linea del Tav”).

Il nome, però, è fuorviante. Anche se “Tav” – maschile o femminile – ricorre sempre nel dibattito e in quasi tutti gli articoli di giornale, la linea Torino-Lione di cui si discute, infatti, non è in senso stretto una linea ad alta velocità (Av).[2]

Lo ha confermato anche Paolo Foietta – attuale commissario di governo per il progetto – durante un’audizione alla Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati nel dicembre 2016.

L’opera è tecnicamente definita come «una linea mista con specifiche tecniche d’interoperabilità», specifiche conformi alle rete centrale europea di cui è parte: questo significa che permette il passaggio di treni passeggeri a una velocità massima di circa 220 km/h e treni merci a una velocità massima di circa 120 km/h.

Come già avviene per diversi importanti tunnel realizzati o in fase di realizzazione in Svizzera e in Austria, la linea di valico in progetto al confine tra Francia e Italia non consente di raggiungere la velocità di punta dell’Av propriamente detta per il trasporto viaggiatori, che è di 250 km/h, secondo le definizioni contenute nelle normative Ue.

A oggi le velocità consentite dall’attuale linea Torino-Modane variano a seconda delle tratte, ma sono comunque in generale inferiori, raggiungendo un massimo di 120-140 km/h per i passeggeri.

Per i promotori – che ritengono la riduzione dei tempi di percorrenza uno dei principali vantaggi ottenuti dalla realizzazione del progetto – l’opera proposta è comunque più concorrenziale e conveniente del trasporto su gomma, soprattutto per quanto riguarda le merci, anche senza raggiungere le velocità superiori a quelle dei treni ordinari.

La giustificazione: il traffico ferroviario delle merci non ha bisogno per forza di velocità elevate, ma di maggiori capacità di trasporto, ossia di treni più lunghi – oltre 750 metri – e pesanti – almeno 2 mila tonnellate. Secondo i promotori, il progetto della nuova linea Torino-Lione garantirà proprio queste caratteristiche, che invece non sono soddisfatte dalle infrastrutture attuali.

Il beneficio principale, in questo caso, si ottiene anche grazie a una riduzione sostanziale delle pendenze sulle Alpi: nella nuova tratta le pendenze sarebbero inferiori al 12 per mille, rispetto all’oltre 30 per mille di quella attuale, che richiede un utilizzo di trazioni doppie o triple per i vagoni.

Critici come Marco Ponti – professore ordinario, oggi in pensione, di Economia e pianificazione dei trasporti al Politecnico di Milano, nominato a luglio 2018 dal ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli consulente per la valutazione delle grandi opere – restano comunque dubbiosi sulla maggior convenienza dei treni rispetto alla strada, indipendentemente dalle questioni di velocità e capacità di una linea

L’analisi costi-benefici sulla Tav pubblicata il 12 febbraio 2019 dalla commissione del Ministero presieduta da Ponti – fortemente criticata dai favorevoli all’opera – arriva a una conclusione simile: a fronte dei costi per lo Stato, la ferrovia (in questo caso la Torino-Lione) non ha nel complesso un vantaggio competitivo favorevole rispetto alla strada.
2. Dove dovrebbe passare la Tav?

Il punto di partenza di ogni dibattito informato è il tracciato della nuova opera ferroviaria, da Torino a Lione. Quello di cui si discute oggi è stato definito il 30 gennaio 2012 a Roma, in un accordo tra Francia e Italia, con alcune modifiche successive. In precedenza, il tracciato prevedeva un percorso parecchio diverso, per esempio passando sulla riva sinistra del fiume Dora (quello attuale passa sulla riva destra).

Nella sua versione attuale il progetto parte dal nodo di Lione e arriva al nodo ferroviario di Torino in Piemonte. La tratta è suddivisa in tre parti: quella italiana – tra Susa/Bussoleno e Torino – è di competenza della società Rete Ferroviaria Italiana (Rfi); quella francese – tra Lione e Saint-Jean-de-Maurienne – è di competenza della società che gestisce la rete ferroviaria francese (Société Nationale des Chemins de fer Français, Sncf); quella transfrontaliera – tra Saint-Jean-de-Maurienne e Susa/Bussoleno – è di competenza di Telt (Tunnel Euralpin Lyon-Turin).

Telt è la società che nel 2015 ha sostituito Ltf (Lyon-Turin Ferroviaire) come promotrice pubblica dell’opera. È responsabile della realizzazione e della gestione della parte tra Francia e Italia, e le sue quote di partecipazione sono divise a metà tra i due Paesi.[3]

La parte di tracciato in comune – quella gestita da Telt, appunto – è lunga circa 65 chilometri e per l’89 per cento passa sotto terra. Comprende la realizzazione di diverse opere: quella più imponente e discussa è un tunnel a due canne – ossia con due fori separati per i binari – lungo 57,5 chilometri, tra le stazioni internazionali di Saint-Jean de Maurienne in Francia e Susa/Bussoleno in Italia.

L’imbocco del tunnel si trova al termine della Val Susa: dal punto di vista industriale, si tratta di una delle valli più sviluppate dell’intero arco alpino, già attraversata dall’autostrada A32 e da due strade principali che conducono ai valichi del Monginevro e del Moncenisio.

Rispetto alla tratta ferroviaria già esistente, il nuovo percorso della sezione transfrontaliera si presenta come più breve (circa 60 chilometri rispetto a 90), pianeggiante (con un risparmio di oltre 500 metri di dislivello) e rettilineo.

La linea ferroviaria attuale compie infatti un’ampia curva verso Oulx, per poi risalire verso nord e il traforo del Frejus. Questa curva verrebbe “tagliata” dal nuovo percorso, che a partire da Susa punterebbe direttamente verso il Moncenisio.

Se venisse realizzato, il traforo – noto con il nome ditunnel di base del Moncenisio”, perché passa appunto alla base del colle – sarebbe uno dei tunnel ferroviari più lunghi al mondo, insieme a quello del Gottardo, per una curiosa coincidenza lungo anch’esso circa 57 km e inaugurato nel 2016 in Svizzera.

Scavato interamente sotto le Alpi e alla quota di pianura, il progetto del tunnel di base del Moncenisio – diviso tra 45 km in Francia e 12,5 km in Italia – comprende anche tre aree di sicurezza a La Praz, Modane e Clarea.

3. Quando e come è nato il progetto?

La storia della Torino-Lione è iniziata circa trent’anni fa. È scandita da numerosi vertici e accordi tra Francia e Italia, ratificati dai rispettivi parlamenti nazionali e supportati per anni da schieramenti politici lungo tutto l’arco parlamentare. Allo stesso tempo, ci sono da altrettanti anni proteste nei due Paesi, nelle zone di confine e non solo, e si sono susseguite numerose revisioni del progetto.[4]

Nel 1990, nasce il Comitato promotore per l’Av sulla direttrice est-ovest (Trieste-Torino-Lione) – presieduto per la parte privata da Umberto Agnelli, poi succeduto l’anno dopo da Sergio Pininfarina, e per quella pubblica dall’allora presidente della Regione Piemonte Vittorio Beltrami, della Democrazia Cristiana – che con il supporto delle ferrovie italiane e francesi inizia a promuovere l’opera come una scelta strategica per il Paese.

Nel 1991, il Comitato realizza i primi studi di fattibilità per la nuova linea e, contemporaneamente, la notizia arriva sui giornali: nascono così i primi movimenti di protesta nelle zone coinvolte, come il Comitato Habitat, composto da medici, tecnici, professionisti e docenti del Politecnico di Torino.

Tre anni più tardi, l’opera ottiene il sostegno ufficiale dell’Unione europea: nel Consiglio europeo di Essen (9-10 dicembre 1994) la Tav Torino-Lione è inserita nell’elenco dei 14 «progetti prioritari nel settore dei trasporti e dell’energia», peraltro con l’indicazione: «lavori già iniziati o che dovrebbero iniziare entro la fine del 1996».

Il 15 gennaio 1996, a Parigi, Giovanni Caravale – economista e ministro dei Trasporti del governo tecnico Dini – firma il primo accordo con la Francia, creando una Commissione intergovernativa, ossia un negoziato tra rappresentanti dei due Stati membri dell’Unione europea per gettare le basi della realizzazione della grande opera.

Cinque anni più tardi, il 29 gennaio 2001, con la firma del ministro dei Trasporti Pier Luigi Bersani, un vertice italo-francese propone la prima idea di tracciato della linea: l’ambizione generale del progetto era un nuovo percorso ferroviario che mettesse in comunicazione la larga vallata francese che corre per una sessantina di chilometri tra Albertville e Grenoble, il cosiddetto Sillon alpin, e il nodo ferroviario di Torino.

4. Che cosa c’entra la saturazione della linea?

Uno dei punti intorno a cui ruota il dibattito, ancora oggi, è una formulazione contenuta nel primo articolo dell’accordo italo-francese del 2001. I due governi, infatti, si impegnavano a costruire «le opere necessarie alla realizzazione di un nuovo collegamento ferroviario misto merci-viaggiatori», la cui «entrata in vigore dovrebbe aver luogo alla data di saturazione delle opere esistenti».

Veniva insomma collegata esplicitamente la nuova linea alla «saturazione» della precedente. Come analizzeremo nel dettaglio in seguito, il tema della saturazione della linea storica e delle previsioni di crescita dei traffici merci è da sempre uno dei punti centrali del dibattito sull’opera.

I promotori, nelle primissime fasi, davano quella saturazione come imminente e attesa al più tardi alla metà degli anni Novanta; in realtà, quelle previsioni iniziali si sono rivelate assai infondate. Alcune ragioni degli oppositori sono state in parte confermate dal governo negli ultimi anni, come avvenuto di recente in un documento del 2017.

Nel 2003, Ltf – società partecipata da Francia e Italia – iniziò le fasi di esplorazione, con i primi scavi ricognitivi. Nel frattempo, il movimento di protesta “No Tav” della Val di Susa otteneva sempre più attenzione a livello mediatico.

5. Perché le proteste del 2005 sono così importanti?

I movimenti di opposizione contro la Torino-Lione avevano già iniziato a contestare l’opera in manifestazioni pubbliche negli anni Novanta. La prima grande protesta avvenne infatti il 2 marzo 1996, nel paese di Sant’Ambrogio di Torino, quando – secondo i No Tav – sfilarono per le strade oltre 3 mila manifestanti. Negli anni seguenti arrivarono i primi arresti e le prime condanne contro gli attivisti.[5]

Ma è negli anni Duemila che gli oppositori alla grande opera aumentarono i loro consensi, soprattutto a causa dell’inizio vero e proprio dei lavori, con gli scavi e i conseguenti espropri dei terreni.

L’8 dicembre 2005, decine di migliaia di persone occuparono il cantiere di Venaus – nella Val Cenischia, in provincia di Torino – la cui realizzazione aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. È una delle svolte più importanti nella storia dell’opera.

I lavori, di fatto, furono congelati. Così, il 1° marzo 2006, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi istituì l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione. Questo organismo tecnico – con presidente Mario Virano, poi diventato nel 2015 direttore generale di Telt – si insediò ad aprile, con il nuovo governo presieduto da Romano Prodi, e diventò operativo a dicembre 2006.

6. Che cos’è l’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione?

L’obiettivo dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione – o più comunemente Osservatorio Torino-Lione – è quello di accompagnare «l’intero percorso di definizione, condivisione e realizzazione degli interventi di adeguamento» della linea.

L’Osservatorio non è un ente deliberativo, ovvero non prende decisioni vincolanti o con forza di legge, ma ha tra i suoi compiti – che sono stati definiti in una lunga serie di decreti a partire dal 2006 – quello di indicare linee di indirizzo per la realizzazione dell’opera.

Dopo l’istituzione, la sua composizione è stata modificata due volte, nel 2010 e nel 2017. Negli anni, all’Osservatorio hanno partecipato, tra gli altri, i comuni interessati dal tracciato – ma non tutti –, i ministeri di competenza, la città e la provincia di Torino, la regione Piemonte, il promotore pubblico Telt, Rete Ferroviaria Italiana, sindacati, associazioni professionali, oltre ad altri numerosi enti ed esperti.

Descritto dai suoi partecipanti come «un’esperienza di confronto unica e straordinaria nel panorama italiano», l’Osservatorio – la cui attività tecnica e di confronto tra le parti è raccolta nella pubblicazione di, finora, dieci «Quaderni» – è in realtà oggetto di forti critiche, ritenuto da alcuni una “trappola”, e non un vero luogo di condivisione e decisione comune sulla Tav.

Più in generale, l’operato di questo organismo è diventato un altro terreno di scontro. Per esempio, nel giugno 2008, l’Osservatorio sembrò raggiungere un importante traguardo grazie al cosiddetto “accordo” di Prà Catinat, con i quali i partecipanti dell’organismo tecnico trovarono un’intesa sulla fase di valutazione di nuovi tracciati e alternative progettuali.

Secondo i critici, questo accordo – definito «solo una relazione finale firmata dal commissario del governo» – contiene auspici e generiche indicazioni e non ha evitato l’esclusione dall’Osservatorio – considerata un’«autoesclusione» dal governo – di alcune amministrazioni locali non favorevoli all’opera – 17 sulle 50 aventi diritto a essere rappresentati nell’Osservatorio – avvenuta nel 2010.

Nello stesso 2010 arrivò al termine il lungo processo di revisione del tracciato della linea, deciso dopo le grandi proteste di fine 2005 e mediato dall’Osservatorio. Il 30 gennaio 2012, a Roma, le autorità politiche italiane e francesi ratificarono l’accordo sul progetto di adeguamento della Torino-Lione, con il tracciato che, al netto di qualche modifica di dettaglio, rimane quello di cui si discute ancora oggi.

7. Che cos’è il fasaggio dell’opera?

Oltre alle modifiche in seguito alle proteste, l’accordo del 2012 introduceva un’altra importante novità. L’articolo 4, infatti, diceva che le opere «saranno realizzate in diverse fasi funzionali».

Si inizia così a parlare di “fasaggio” dell’opera – termine fino ad allora inesistente nel vocabolario italiano, ma calco della parola francese phasage al posto della versione alternativa “fasizzazione”. In concreto, questo significa che la linea Torino-Lione non verrà costruita tutta insieme, ma in quattro tappe, con la Tappa 1 che prevede appunto la realizzazione e messa in opera del tunnel del Moncenisio e – per il lato Italia –  il potenziamento della linea storica fra Bussoleno e Avigliana e la realizzazione della variante Avigliana-Orbassano.

Gli interventi delle tappe successive (1 bis, 2 e 3) non hanno una programmazione temporale definita, ma saranno attivati alle condizioni di “saturazione” della linea.

Il senso di questa suddivisione in fasi è dunque economico e funzionale, ossia punta ad abbassare i costi dell’opera anticipando la realizzazione delle componenti indispensabili per ottenere i benefici più significativi e rinviando le parti meno urgenti.[6]

Il 24 febbraio 2015 venne firmato a Parigi l’accordo per «l’avvio dei lavori definitivi della sezione transfrontaliera della nuova linea ferroviaria Torino-Lione», integrato con un protocollo addizionale – per l’aggiornamento del piano finanziario, la certificazione dei costi e il contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata –, fatto a Venezia l’8 marzo 2016 tra l’allora presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi e l’allora presidente della Repubblica francese François Hollande.

8. Qual è lo stato di avanzamento dei lavori?

In totale, le tre parti della linea ferroviaria Torino-Lione compongono un tracciato lungo circa 270 km – di cui il 70 per cento (189 km) in territorio francese e il 30 per cento (81 km) in territorio italiano – che interessa complessivamente 112 comuni. Come abbiamo visto, quest’opera comporta molti interventi, sia sulle ferrovie nazionali sia in scavi geognostici, quest’ultimi fatti per analizzare il terreno e preparare i tunnel utilizzati per la manutenzione e la sicurezza a opera ultimata.

Lo stato di avanzamento dei lavori dipende dalla parte della linea di cui si sta parlando.

Una “tappa” preliminare e limitata, detta “Tappa 0”, già conclusa, ha previsto la messa in servizio della gronda merci Cfal Nord di Lione (Contournement Ferroviaire de l’Agglomération Lyonnaise), in Francia; in Italia, la realizzazione di interventi di potenziamento tecnologico nella tratta italiana tra Avigliana e il nodo di Torino, il quadruplicamento tra le stazioni Torino Porta Susa e Torino Stura e il potenziamento del servizio ferroviario metropolitano.

Prendiamo in considerazione ora la sezione transfrontaliera, la cui realizzazione, come abbiamo visto, costituisce la Tappa 1 dell’intera linea. Secondo i dati ufficiali di Telt, a luglio 2019 è stato scavato «oltre il 18 per cento dei 164 km di gallerie previste per l’opera». Su un totale di circa 160 chilometri, si tratta di quasi 30 chilometri già realizzati.

Gli scavi ultimati comprendono, tra gli altri, la discenderia di  Villarodin-Bourget-Modane in Francia (iniziata nel 2002 e completata nel 2007); quella di Saint-Martin-la-Porte in Francia (iniziata nel 2003 e completata nel 2010); il cunicolo esplorativo della Maddalena di Chiomonte in Italia (iniziato nel novembre 2012 e terminato a febbraio 2017).

La prima funzione di queste discenderie è quella geognostica: cioè sono scavate per capire quali sono le caratteristiche del terreno e individuare i potenziali problemi di meccanica. Terminato questo scopo, questi tunnel costituiranno parte delle infrastrutture di supporto del tunnel di base, «in quanto essenziali alla sua ventilazione, a interventi di manutenzione e come uscite di sicurezza».

Tra i cantieri ancora in corso tra Francia e Italia, risulta invece ancora in costruzione il tunnel geognostico di Saint-Martin-La-Porte. Qui, al 14 luglio 2019, sono stati scavati quasi 8,3 km sui circa 9 km complessivi.

Sebbene questa galleria sia in asse e nel diametro del futuro tunnel di base, da un punto di vista formale non è il tunnel vero e proprio, i cui bandi per l’inizio ufficiale degli scavi sono stati rimandati. La funzione dichiarata di questa galleria è quella di conoscere un’area dalla «geologia particolarmente delicata», spiega Telt, in vista della realizzazione definitiva del tunnel di base e il passaggio dei primi treni (nel 2030, se saranno rispettati i tempi previsti).

Da un punto di vista sostanziale però, se il tunnel di base sarà costruito, i 9 chilometri scavati della galleria di Saint-Martin-La-Porte ne diventeranno una parte effettiva, dopo alcuni interventi.

A luglio 2017, è stato pubblicato un progetto di variante – poi approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) a marzo 2018 – che prevede, tra le altre cose, lo spostamento per ragioni di sicurezza dell’area principale dei lavori da Susa al cantiere di Chiomonte, invertendo il senso di scavo rispetto a quello inizialmente previsto. 

Il cantiere di Chiomonte, quindi, è diventato la sede dell’inizio degli scavi definitivi per il tunnel di base, per i quali nel 2017 Telt aveva annunciato l’apertura di 81 bandi di gara su 12 cantieri operativi – 9 per i lavori dell’attraversamento alpino; due per la valorizzazione dei materiali di scavo e uno per gli impianti tecnologici e di sicurezza.

I lavori per le due canne del tunnel di base – inizialmente previsti da Telt per il 2018, ma ancora da avviare, se non si conta il tunnel di Saint-Martin-La-Porte  – dovrebbero finire entro il 2029, con la messa in servizio pianificata per il 2030. Ma i ritardi dovuti all’incertezza sul futuro dell’opera causeranno probabilmente un spostamento in là di queste scadenze (sempre che si decida di fare la Tav).

Il 9 marzo 2019, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha scritto a Telt, chiedendo di non procedere con la pubblicazione dei bandi di gara (con un valore di circa 2,3 miliardi di euro) per la realizzazione del tunnel di base.

La società responsabile della realizzazione della sezione transfrontaliera della Tav ha però risposto che «in assenza di atti giuridicamente rilevanti che comportino istruzioni di segno contrario» entro marzo 2019 avrebbe pubblicato i cosiddetti avis de marchés (avvisi di interesse) relativi ai lotti francesi del tunnel di base (circa 45 chilometri di scavi).

Secondo la legge francese, questi avvisi sono inviti alle aziende interessate a presentare le proprie candidature: dopo un periodo di sei mesi – con l’avallo dei governi italiano e francese, scrive Telt – saranno inviati ai vincitori i capitolati con le specifiche tecniche dei lavori.

In sostanza, a inizio marzo 2019 l’esecutivo a guida Lega e M5s ha preso ancora tempo sulla realizzazione effettiva dell’opera, per ridiscuterne i termini con la Francia, ma dando comunque seguito a una procedura già prevista.

Come specifica Telt nella sua risposta a Conte, dopo i sei mesi la stazione appaltante – ossia chi affida i bandi – potrà decidere di non procedere con le gare, senza oneri per nessuno. In questo modo, sono state rispettate le scadenze poste dalla Commissione europea, che aveva “minacciato” una riduzione di 300 milioni di euro al contributo per l’Italia in caso di non avanzamento della pubblicazione dei bandi entro il 31 marzo 2019.

Il 25 giugno 2019 – come spiega Telt – il consiglio di amministrazione della società «ha deliberato l’autorizzazione all’avvio delle procedure di gara per l’affidamento dei lavori del tunnel di base della Torino-Lione, lato Italia, per un importo stimato complessivo di circa 1 miliardo di euro».

In sostanza, si tratta dell’equivalente sul fronte italiano degli avvisi di interesse pubblicati a marzo 2019, che come abbiamo visto sono cosa diversa dai bandi di gara veri e propri.

Ad agosto 2018 – a due mesi dalla formazione del nuovo esecutivo – il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5S) aveva dichiarato che sarebbe stato considerato «atto ostile» ogni avanzamento dei lavori prima delle decisioni del governo sul proseguimento della Tav.

9. Quali sono le infrastrutture esistenti?

Esistono già alcune infrastrutture che mettono in comunicazione le città di Torino e Lione, o più in generale che attraversano il confine alpino tra Francia e Italia.

Nel dibattito pluriennale tra promotori e contrari alla Tav, i primi sostengono che i collegamenti attuali sono insufficienti, antiquati e inefficienti dal punto di vista economico e ambientale; i secondi, invece, ritengono che le linee presenti sono adeguate per gli obiettivi fissati dalle politiche infrastrutturali e per i volumi di traffico, e che – con cifre minori a quelle stanziate per la grande opera – possono essere potenziate e ammodernate.

Prima di analizzare nel Capitolo 3 le posizioni nel dettaglio, cerchiamo di capire quali sono le infrastrutture già esistenti.

Per quanto riguarda i treni, Torino è collegata al confine con la Francia dalla ferrovia del Frejus – o linea Torino-Modane-Chambéry-Culoz. Da quest’ultimo comune transalpino è possibile raggiungere Lione con una linea gestita dalle ferrovie francesi.

Questo tratto ferroviario è anche chiamato “linea storica” perché la prima tratta, tra Susa e Torino, è stata inaugurata nel 1854, e il traforo ferroviario del Frejus – lungo oltre 13,5 km e con un’altitudine massima di 1.324 m sul livello del mare – è stato aperto nel 1871: la sua costruzione ebbe il sostegno, tra gli altri, di Camillo Benso, conte di Cavour.

Durante tutto il Novecento, la tratta è stata oggetto di numerosi lavori di potenziamento e ammodernamento. Gli interventi recenti più importanti sono stati fatti tra il 2003 e il 2011, quando le pareti e il fondo del tunnel sono stati scavati per permettere il passaggio di treni con carichi e semirimorchi più alti (fino a 3,75 metri).

Dal 2003, sulla linea storica Torino-Lione è anche attiva l’autostrada ferroviaria alpina (Afa), che permette, su un percorso di 175 km, il trasporto combinato delle merci, che vengono spostate in un container, posizionato prima su camion e poi su rotaia.

Secondo i critici della Tav, i lavori di ammodernamento – uniti ai dati sui traffici delle merci e dei passeggeri – dimostrano che la linea storica «non è vecchia», cioè non è ancora superata, e consente il passaggio della maggior parte degli autocarri e dei container.

Viceversa, i sostenitori della Tav criticano come non sufficiente per gli standard europei la nuova sagoma del traforo ferroviario del Frejus, definita P/C45 – una sigla che indica il trasporto intermodale di casse mobili e semirimorchi con un’altezza massima di 3.750 mm. Secondo il commissario Foietta,[7] «la vecchia tratta di valico» non sarebbe adeguata al trasporto moderno ed «è oggi considerata fuori dagli standard moderni di sicurezza dei tunnel ferroviari».

Per quanto riguarda il trasporto su gomma al confine alpino, in questa zona Italia e Francia sono collegate dall’autostrada A32, che – con una lunghezza di oltre 70 km – attraversa la Val di Susa e arriva al traforo autostradale del Frejus. Quest’area è attraversata anche da due strade statali che arrivano ai valichi del Monginevro e del Moncenisio.

Note

[1] Nel 1990, come vedremo, era nato il Comitato promotore per l’Alta velocità sulla direttrice est-ovest (Trieste-Torino-Lione).

[2] Per questo testo, abbiamo deciso di continuare a usare l’articolo femminile “la Tav” – anche se impreciso – perché a oggi resta di gran lunga quello più comune nell’uso.

[3] Il promotore pubblico Ltf era invece responsabile degli studi per i progetti preliminari dell’opera, terminati nel 2015. 

[4] Rispetto all’Italia, il progetto della Torino-Lione resta comunque un tema meno presente nel dibattito pubblico francese. Nonostante la presenza di gruppi di protesta locali, questi non hanno raggiunto dimensioni e visibilità pari a quelli italiani.

[5] Una delle vicende più note riguarda gli arresti di Maria Soledad Rosa (“Sole”), Edoardo Massari (“Baleno”) e Silvano Pellissero avvenuti a inizio marzo 1998. I tre anarchici erano accusati di associazione sovversiva e terrorismo. Il 28 marzo dello stesso anno, Baleno si suicidò in carcere, e l’11 luglio la sua compagna Sole si tolse la vita in una comunità dove era tenuta agli arresti domiciliari. Nonostante i dissidi dell’epoca tra gli ambienti anarchici e una parte dei No Tav, oggi la storia viene ricordata dagli attivisti come esempio di «montatura» organizzata da media e magistratura per screditare i movimenti di protesta.

[6] Secondo il Controsservatorio della Valsusa – un’associazione nata nel 2013 – questa strategia è invece «palesemente non-funzionale», perché la capacità della sezione transfrontaliera – in assenza del resto della nuova linea – resterebbe comunque quella attuale.

[7] Paolo Foietta – nominato il 20 aprile 2015 commissario straordinario per l’asse ferroviario Torino-Lione – è anche presidente dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione e ricopre l’incarico di capo delegazione per l’Italia della Conferenza intergovernativa per la nuova linea. 

CUPOLA: I FRONTI DELLE MILIZIE ARCOBALENGHE —– MOSCA-HONGKONG-LAMPEDUSA —– CONTROCANTO IN ARGENTINA —– PARTE SECONDA (SEGUE TERZA)

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/08/cupola-i-fronti-delle-milizie.html

MONDOCANE

SABATO 17 AGOSTO 2019

 

Basta questo

“Io sono convinto che è dovere di uno Stato proteggere i confini, espellere chi è irregolare e porre un freno all’immigrazione clandestina che puzza tanto di deportazione di massa a vantaggio del grande capitale” (Alessandro Di Battista, “Politicamente scorretto”, Paper First)

https://twitter.com/i/status/1160153238823247872  Come sottofondo a Hong Kong e Mosca suggerisco questo canto dell’inno nazionale Usa dalle vibranti gole dei manifestanti anticinesi.

Media italiani? In geopolitica stiamo dove dobbiamo stare

La parte prima di questo dittico si chiudeva con il doveroso accenno al ruolo della nostra stampa: Sappiamo tutti, quei 13 gatti spelacchiati che leggono il manifesto, ora che è diventato enigmistico e offre fumetti agli analfabeti, che nel quotidiano comunista c’è chi è deputato dall’alto a picchiare la Russia e Putin, chi a spernacchiare la Resistenza afghana, chi a scatenare la foia razzista contro Gheddafi e Assad e chi a fare della Cina il Regno di Mordor. Offrono a costoro ampi spazi di empietà giornalistica le manifestazioni di questi giorni a Mosca e a Hong Kong, epicentri della guerra globalista contro le due nazioni che viaggiano in direzione ostinata e contraria sui binari del diritto internazionale e, quanto a bottino di devastazioni e morti inflitti, stanno a chi li avversa come i blob della Solfatara stanno all’eruzione del Vesuvio nel 79 dC. Ma tant’è, su Mosca e Hong Kong dove torme di violenti armati vengono contenuti con mezzi che rispetto a quelli di Macron sui Gilet Gialli sono da esercitazione di boyscout, con pochissimi feriti (molti di più tra gli agenti) e nessun morto, ci si stracciano le vesti. Sugli oltre 300 inermi o lanciatori di sassi fucilati e gli oltre 7000 mutilati e feriti di Gaza ci si straccia la coscienza.

Il fronte nostrano: etero-schiavismo per agevolare l’auto-schiavismo

Non ci volevano i tonitruanti proclami a vuoto dell’energumeno dei “pieni poteri”, finalizzati unicamente alla rabdomanzia dell’Italia liquida dei voti, perché gli italiani capissero, più o meno lucidamente, che cosa si nascondesse dietro a questa Grande Armada che invade l’Italia con bombe umane, fornitegli da altri cooperanti all’ultima fase del colonialismo a fini di globalizzazione militar-neoliberista. Mica  hanno scritto S. Egidio in fronte a credere ai sicofanti mediatici progressisti umanitaristi che ogni due per tre c’è gente su un gommone che si sgonfia e, puntuale sul posto, just in timenell’immenso mare, ecco la potente corazzata Ong (Organizzazione Navette Governative) da trasbordo, con i suoi elicotteri, i suoi mezzi da sbarco, i suoi medici, preti, parlamentari, celebrità tibetane, agenti di Soros e, purtroppo, mai – guai! –l’ufficiale giudiziario che tra questi operatori privati della tratta voleva inserire il pazzariello Minniti.

Ci si telefona, ci si incontra, si traghetta, si celebra il salvataggio di naufraghi, si provoca, si scarica. L’Africa perde altri pezzi di sè. Campi e mafie prosperano.

Mica ai suoi potenti mezzi di comunicazione era arrivata, dalle migliaia di cellulari in mano ai migranti e ai loro tour operator, un invito all’appuntamento. Sacrilegio a solo sospettarlo! Hanno fatto a botte tra etnie nei luoghi di raccolta, si sono pestati a sangue per salire sul barcone, quelli di Open Arms (provata di Soros, se ce n’è una) ammettono che si sono scazzottati anche sul vascello umanitario. Li si tiene nel lager di bordo finchè si possono esibire stremati. Il colonialismo in tutte le sue più nefande forme, benedetto dalle Chiese di ogni setta, ha ricuperato il sistema mattatoio. Poi ci dicono che portano i segni della tortura. E chi le ha ingravidate tutte queste donne all’ottavo mese? Gli stupratori libici, ovvio, tra una battaglia e l’altra per Tripoli. Non c’erano, secondo Save the Children, anche i soldati di Gheddafi, alimentati a Viagra, a violentare le donne libiche per render loro più simpatico il Leader? Saranno quelle che si portano al naufragio sicuro i figlioletti di otto anni. Ma com’è che, se i libici della Tripolitania sono bianchi,  i bimbetti sono neri?

Qualcuno qui ha capito che, se lui non ce la fa, viziato com’è dal conforto consumista del neoliberismo, a piegarsi su pomodori 10 ore per 10 euro e una vita sotto la plastica, ecco che ci pensa l’esercito di riserva dalla Grande Distribuzione. Qualcuno, malizioso assai, pensa che per lasciare mafia, camorra e ‘ndrangheta ai grandi affari del Nord industriale e grandioperista e al narcotraffico internazionale, lo spaccio, il caporalato, la prostituzione li si potevano anche cedere a nigeriani e albanesi. Molti si sono sentiti turlupinati da un critico d’arte,Tommaso Montanari, di  manifesto acume politico (ricordate la coppietta rivoluzionaria Montanari-Falcone, per un pezzo poi confluita nel PD e per l’altro in Caravaggio?) che, con  le meglio teste d’uovo umanitarie, firma appelli alla preservazione dell’identità culturale, territoriale, comunitaria, archeologica, storica, del belpaese e poi ne firma altre che invocano ripopolazione multiculturalista tramite Hausa e Tuareg.

O cristiano o niente

Alcuni di costoro riescono perfino a capire, in parallelo, come si stia preservando il patrimonio umano, culturale, comunitario, storico, territoriale, dell’Africa e di altri paesi del Sud, deportandone le generazioni della continuità, della creazione, della difesa, dell’identità, per far imperversare al loro posto multinazionali ed eserciti stranieri. E qualcuno, riesce addirittura a intravvedere, tra le fumigazioni d’incenso che annebbiano   le parole del papa, quell’enorme croce sulla quale la di lui impresa ha inchiodato, da un millennio e mezzo, coloro che ben si facevano i fatti loro.

Sono tornato sull’argomento, sia perché è uno dei nodi intorno ai quali si sta svolgendo lo sculettante meretricimonio ai piedi del Colle tra chi finge di voler bloccare la degenerazione del paese in discarica umana e chi sostiene suicidariamente l’operazione nord-globalista che, oltre ai travasi di sangue dal Sud al Nord, comprende finalmente la riduzione dell’Italia alla mera espressione geografica –ma meravigliosamente papeetiana – dell’amico Metternich. E tanto è diventato consociativo umanitarista anche Di Maio che, alla vista della strizzatina d’occhio del PD, trasforma i sacrosanti “taxi del mare”, che l’anticolonialista Di Battista, uno dei pochi geopolitici del MoVimento, gli aveva fatto denunciare, in “apriamo i porti” a Soros e stracci. Del resto, che bello, come dicono tanti, dal Grillo Straparlante al vice della Raggi, Bergamo, passare da quelli verdi della “zingaraccia” a quelli dello Zingaretti verde, dell’accoglienza di migranti, UE, euro, Nato, cemento, trivelle, Grandi Opere, Tav, Tap (la “Green New Economy” di Greta) vaccini, mafie e mafiette, autonomie perché no, basta che siano all’emiliana….Chiamasi la definitiva normalizzazione, opacizzazione, delle 5 Stelle.

Sovranisti di cartone, nazionalisti coloniali

Comunque ci sarà da ridere  a vedere le facce dei vari secessionisti, Zaia, Fontana, Bonaccini & Co, poi Toti e Fedriga, ora che si ferma la locomotiva tedesca che doveva camminare  con le loro melanzane e sui loro assemblaggi. Finisce nel ridicolo il teatrino dei sovranisti cartonati e dei manichini nazionalisti di mascherare, sotto vesti patriottiche e anti-europee, la loro libidine di impinguirsi  trasferendo al servizio franco-tedesco il comparto industriale-manifatturiero italiano, da Trieste a Savona, da Torino a Bologna.  I detriti rimasti dopo l’orgia di svendite e dilapidazioni innescate da Soros-Draghi (1992) ed eseguite da Amato, Prodi, D’Alema, Bersani, Renzi. Altro che tradimento dei 5 Stelle! Alto tradimento del paese intero. Ce lo chiedeva l’Europa. O, per dirla tutta, lo compensava con qualche cadrega ai proconsoli l’imperatore finanzcapitalista. E cv’è ancora chi s’appassiona, come fosse Wimbledon, alla combine di ping-pong, tuttora produttiva di voti, del noi entriamo, voi non entrate, ma poi entrate, ma solo grazie a un magistrato simpatico alla Merkel.

ONG dal fronte piccolo al fronte grosso. Mosca, se son russi son brogli

 Mosca e Parigi

Tutto questo fa di noi anche un’espressione della guerra mondiale che, oltre all’intralcio dei piccoli posti di blocco, deve togliere di mezzo anche le grandi barriere. Andiamo a Mosca, dove occupa le nostre prime pagine e i nostri primi schermi gente che in libere e internazionalmente corroborate elezioni vale meno del 4%, mentre ha un presidente eletto con il 75% dei voti e dal consenso  doppio di quello di Theresa May, o Emanuel Macron, o The Donald Trump (a garanzia di qualità è rispuntato pure quel gentile arnese Cia che sono le Pussy Riot e il leader carismatico, Navalny, è un pregiudicato plurimo per malversazione e appropriazione indebita). Trovandoci in Russia, è uno scandalo che dalle prossime amministrative di settembre siano state escluse una trentina di candidature dei partiti liberisti filoccidentali, per firme false, irregolari, o non raccolte. Una trentina su 800 ammesse. Anche qui, naturalmente, manipolazioni d eliminazione per motivi puramente politici. Zitti tutti sulle esclusioni per gli stessi motivi dei candidati dei partiti di maggioranza. In tutte le elezioni italiane, dal nuovo millennio in poi, la magistratura ha confermato l’esclusione di candidati  di tutti i partiti, sempre per firme false e irregolari. Ricordate quelle del M5S in Sicilia? Da noi, sa va sans dire, esclusioni legittime. Mica siamo nella dittatura dello Zar.

Hong Kong: il capitale, le mafie e le loro brigate

Poi andiamo a Hong Kong  dove i colorati con Croce di S.Andrea fanno le zanzare nello stormo di avvoltoi che si ingolosiscono su una Cina  che vorrebbero vedere come una tavolata di carcasse. Tipo l’America Latina d’antan. Una Cina come quella ridotta dai britannici all’imbecillimento da oppio (da cui Hong Kong), non più padrona di fare quel che fa, di essere la più grande industria manifatturiera, di esportare più di chiunque, di fare la Via della Seta, di stare a fianco di Siria, Venezuela, Pakistan,  di comprare petrolio dall’Iran, di costruire mezza Africa con gli africani, di sostenere la Corea del Nord atomica.

Le nuove Maidan

Fionde dei diritti umani

I segni delle rivoluzioni colorate, partite da Belgrado nel 1991 e ripetute, invano o con successo, in America Latina, Asia centrale e Medioriente, sono tutti in gloriosa evidenza. Per non vederli, come in effetti li hanno visti mai, quelli dei giornaloni in stampa o schermo, con il giornaletto-soffietto “il manifesto” venenum in cauda, hanno il permesso e plauso del loro organo sindacale e di quello di autogoverno.  E così, che manifestanti, che non vengono ostacolati quando l’iniziativa è organizzata, ma vengono bloccati e respinti a acqua e gas (i poveracci non hanno nemmeno i Taser da esecuzione elettrica, o i bonbon d’acciaio e gomma), se non autorizzata (succede così anche da noi), è l’indice di una dittatura che reprime ferocemente dimostranti, per definizione giovani inermi, pacifici , levissimi e purissimi Certo, al confronto la polizia di Macron, che da quasi un anno spara granate e mutila e acceca, non vale più neanche un trafiletto.

Qui, qualcosa non torna sempre, perché i video-operatori sul posto, con la migliore buona volontà non riescono a non riprendere quanto succede da mesi, dappertutto, negli scontri: l’assalto di manifestanti con caschi, maschere antigas  e mazze di ferro, che sparano gas urticante e bombe incendiarie, fiondano biglie grosse come arance, usano pistoloni ad aria compressa, occupano e devastano il parlamento (neanche Mussolini, neanche Hitler), sede della democrazia, distruggendone gli arredi, insozzandone finestre e pareti, spaccano tutto, occupano per giorni l’aeroporto, arteria di comunicazione per il mondo e del mondo. Decine di migliaia, tutti uniformati, identici, riforniti dalla stessa centrale. Tutta roba comprata allo spaccio?

Basta questo

Dicono che non gradissero una legge che permetteva di estradare in Cina, ma anche a Taiwan e altrove perseguiti dalla giustizia per crimini commessi in Cina e fuggiti a Hong Kong. Un centro di malaffare finanziario  da sempre, come egregiamente ci illustra l’ex-vice segretario dell’ONU e straordinario analista, Pino Arlacchi, covo della peggiore criminalità mafiosa di mezzo mondo. Lascito della colonia britannica, sottratta all’impero cinese nel 1842 grazie alla guerra dell’oppio, e che il ritorno alla Cina nel 1997, sul principio di uno Stato due sistemi, non ha saputo eliminare. Poi, congelata la legge dalla leader di HK, Carrie Lam, le richieste si sono allargate, inchiesta e condanna delle violenze della polizia, democrazia (?) e partono le vere parole d’ordine: non più autonomia nello stesso Stato, ma indipendenza. Cioè rientro nel dolce lager coloniale anglosassone. E rottura di palle alla Cina.

Chi li equipaggia?

Da Maidan a Hong Kong/ bastano le ONG

Si ripetono pedissequamente gli stessi moduli del regime change. Si individua un motivo di scontento di parte della popolazione, prezzi, inflazione, lavoro, se ne incaricano le Ong occidentali con le relative filiali, si reclutano o mandano organizzatori, arrivano fondi, la protesta fa contagio, fino a diventare di massa. Di massa per dire, venti-trentamila-cinquantamila su 7 milioni e mezzo, di cui migliaia pure manifestano per la Cina, ma non se ne parla. Descritta come protesta pacifica, ma via via più violenta. E manca un Decreto Sicurezza Bis di Salvini per fronteggiarli. L’obiettivo è quello di provocare il governo a intervenire con sempre maggiore durezza, tanto da far esplodere una ben mediatizzata indignazione nelle opinioni pubbliche. Poi si vedrà che fare. Magari si manda un po’ di Al Qaida.

Ma non è questo il punto. Il punto sono le prove dei magheggi Usa-Uk. Media e organi governativi a Londra e Washington appoggiano la protesta senza riserve. I manifestanti dimostrano le loro posizioni sventolando bandiere britanniche e americane, arrivando a cantare l’inno statunitense, come da link nel titolo. Al  solito,  partono le fake news video: un’esercitazione di polizia sudcoreana antiprotesta viene fatta passare per intervento dell’esercito cinese.

 Proprio come a Belgrado

E già una bella indicazione. Ma andiamo al sodo. La foto mostra l’incontro a HK tra la diplomatica Julie Eadeh, capo dell’unità politica del consolato Usa, e un gruppo di leader del movimento del partito Demosisto, legato al Partito Democratico Usa, capeggiati da Joshua Wong Chi-fung, segretario generale del partito. Uno che si è vantato con i giornali di essere stato più volte a Washington. Ricevono auguri per il capodanno cinese, o istruzioni? Indovinate. Immaginiamo cosa succederebbe se un console cinese incontrasse i capi, mettiamo, del movimento Usa Occupy Wall Street, o di manifestanti anti-Trump.

Chi paga

Un esercito equipaggiato

I  sediziosi di HK sono appoggiati e finanziati, come tutti i loro predecessori qua e là, da NED, USAID, National Democratic Institute (NDI). Una settantina di Ong  del complesso umanitar-spionistico hanno diffuso una lettera firmata dai direttori di Amnesty International, Human Rights Watch e dalla Ong Hong Kong Human Rights Monitor. Il NED (National Endowment for Democracy), creato dalla Cia per operazioni di cui non poteva intestarsi la paternità dopo lo scandalo Iran-Contras, ha dal 1997 due filiali attive a HK. Ma fin dal 1994 la NED finanzia i gruppi apparsi sulla scena nel 2014 nella “rivoluzione degli ombrelli”. L’anno scorso ha dato al Solidarity Center (SC) di HK $155.000, $200.000 al NDI per lavoro a HK e $90.000 alla sua branca di HK, Hong Kong Human Rights Monitor (HKHRM), a cui sono arrivati $ 1, 9 milioni tra il 1995 e il 2013. Sempre sostenuti dal NED sono nell’ex-colonia L’Associazione dei Giornalisti, il Partito Civico, il Partito Laburista e il Partito Democratico di HK. Non potevano mancare, nella panoramica che ricorda il nostro scenario, i sindacati, beneficiari in 7 anni di $540.000. Tutti operatori presenti nelle manifestazioni di queste settimane. All’emittente Voice of America, pagata anche da Soros (che sui nazi di Maidan si è vantato di aver fatto piovere 5 milioni di euro), Il dirigente NED, Greve, lamenta che gli attivisti che lavorano con il NED ora rischiano di brutto, ma che non cedono.

Serve altro per riscoprire la manina artigliata comparsa a Kiev, il Cairo, Bengasi, Beirut, Caracas, Kirghizistan, Algeri, Khartum? La stessa che, guardando bene, si può intravvedere come polena sulla prua delle navi Ong?

Al rapimento orgasmatico con cui i media atlantisti seguono le turbolenze di Mosca e Hong Kong, svaporate quelle delle “primavere” in Algeria e Sudan e finita nel ridicolo la sollevazione in Venezuela di quattro scapestrati, tre generali in panzuta pensione, mezza assemblea parlamentare delegittimata, una dozzina di spie Usa, è seguito l’anticlimax, il down, dell’Argentina.

E anche qui si evidenzia la proterva sciatteria di una stampa che cita fonti, o anonime, o col marchio made in USA nel colletto. Impressionanti la dovizia di ignoranza faziosa nel “Fatto Quotidiano” e i trafelati tentativi del “manifesto” di democratizzare da sinistra la sedizione angloamericana di Hong Kong e  Mosca, o, in perfetto parallelo strategico, le deportazioni di cittadini africani sulle nuove navi negriere. E’ rivelatrice l’assonanza e il sincronismo col quale esattamente gli stessi reportage, tema per tema, parola pere parola, escono sui  main stream media di qua e di là dall’Atlantico. Tipo, il NYT lancia dagli Usa la candidatura presidenziale di Michelle Obama contro l’obbrobrio Trump e il giorno dopo la rilancia Guido Moltedo del “manifesto”.

Controcanto  al ritmo di tango

In Argentina niente spazio per le Ong e, dunque, controcanto al ritmo di un bellissimo tango. Ci ho girato un documentario, dopo il default e la rivolta popolare del 2001, quando  un popolo cacciato al 60% nella miseria nera, passato dalle case alle baracche nel fango , nella fame e la mortalità infantile aveva superato quella di inizio ‘900. Lì si è vista la tempra di questa gente e lo scenario era stato occupato da una danza rivoluzionaria che ha smosso l’intero paese. Mense sociali, unità di medici per i poveri, fabbriche espropriate, o da cui i padroni erano fuggite, prese e rimesse al lavoro, banche assaltate e costrette a restituire, terre requisite ai latifondisti, scuole inventate nelle bidonville spuntate ai bordi delle metropoli, milioni di giovani fattisi militanti del riscatto sociale e politico, le Madri di Plaza de Majo all’avanguardia di tutto, l’inizio della caccia ai generali della dittatura e alla banda dei vampiri di Menem, presidente che si era venduto pure i cimiteri. Mobilitazione permanente dalla terra del fuoco al confine con la Bolivia. E’ l’Argentina  in cui poi seppe istituzionalizzare la rivolta il peronismo di sinistra del Kirchnerismo, con Nestor Kirchner e, dopo la morte del marito, Cristina Fernandez.

Macrì si era preparato a queste primarie politiche. Ong, intimidazioni, repressione, terrorismo FMI. Ma né le Ong della colonizzazione Usa, nè la corazzata mediatica del regime, hanno retto contro una mobilitazione di popolo dalle radici profonde e dalla presenza quotidiana. Né è venuta il crollo del macrismo, al di là di ogni speranza, con il quasi 48% al peronismo del “Frente de Todos”, dell’accoppiata per presidenza e vicepresidenza, Alberto Fernandez e Cristina Fernandez Kirchner, contro il 33% di “Juntos por el Cambio” di Macrì. E la vittoria, per la prima volta nella provincia di Buenos Aires di un candidato nettamente di sinistra Alex Kicillof, sulla macrista storica Maria Eugenia Vidal. A Macrì resta la consolazione della capitale e di Cordoba.

Si chiamava “Americas Reaparecidas” quel documentario, seguito poi da un altro, “L’Asse del Bene” su quanto seguì in Venezuela, Bolivia, Ecuador, l’A.L.B.A. E anche stavolta la derrota, el fracaso della controffensiva imperialista potrebbe indicare un camio del vento. Fra poco si voterà in Bolivia e Uruguay. Il Venezuela resiste. Il Nicaragua ha vinto, il Messico avanza. Vedremo nella Terza Parte. 

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:51

ROMA-MOSCA-HONGKONG: IN CAMPO I COLORATI (ARCOBALENGHI) —– CONTROCANTO ARGENTINO, DOVE LE ONG DEL CORTILE DI CASA NON BASTANO PIÙ —- PARTE PRIMA

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/08/roma-mosca-hongkong-in-campo-i-colorati.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 14 AGOSTO 2019

Le mani sul bottino

Un breve giro sul carnevale estivo nostrano, in cui tutti paiono subire gli effetti fantasmagorici della canicola regalataci dei poteri politici ed economici del Sovramondo (con l’aiuto del famoso “mondo di mezzo” di Carminati, Buzzi e Al Capone). Un brano in coda sull’armageddon 5 Stelle dal solito pezzo analitico decisivo di Mario Monforte. E fari accesi, nella seconda parte, su un’America Latina, Argentina e Venezuela, dove la controffensiva imperialista si va arenando e su Hong Kong, dove la si prova con l’ennesima Maidan nazi-colonialista, alimentata dai soliti  mezzi messi in campo da Cia, NED e, immancabile, il re dei regime change, delle deportazioni  Ong dei popoli da disperdere e delle speculazioni ammazza popoli, George Soros.

Essi – i media – vivono (Carpenter)

Quel gioiello di stampa libera, coraggiosa e sdegnata negatrice di condizionamenti esterni o interni, che sono i nostri media, risplende di luce riflessa dall’alto su tutti i fronti. Da quelli in mano a imprenditori, finanzieri, bancarottieri, cementificatori, nulla ci aspettavamo e nulla di diverso dal solito coro unanime degli scherani del sistema abbiamo visto. Dai “sinistri” neppure nulla ci aspettavamo, ma fa impressione il Fatto Quotidiano per il ciarpame degli “esteri” rispetto allo spesso discutibile, ma dignitoso “interni” di Travaglio, Scanzi, Lillo, Caporale, Daniela Ranieri, Marco Palombi, l’eterodosso taliban Massimo Fini…

 Un’invenzione Dada, alla Duchamp, è sempre più “il manifesto” con la sua testatina “comunista” su un organo della Cupola, ma il dadaismo è fuori moda da cent’anni e così la bacheca Usa in Italia si è messa a rimpinzare il magro seguito, accalappiando enigmisti da Terza elementare e fumettari semi-analfabeti dell’horror.

Fumetto pedagogico del “manifesto”

Il Manifesto: fumetti e cruciverba per chi non sopporta più gli articoli?

Sarò arrogantemente intellettualoide, ma ai miei tempi i ragazzetti, superati i libri di fiabe alla Pinocchio (mai superabile) dove, alla mano delle figure, si imparava a leggere e a ripensare, leggevano Topolino, Tex Viller, Bracciodiferro, fino ai 10 anni. Poi, nei primi turbini ormonali, passavano a Satanik e Diabolik. Dai 14 anni in poi, parlo della metà del secolo scorso, si arrivava a leggere Balzac, Dostoievsky, Svevo, Pavese, Calvino, Fenoglio, Simenon, Faulkner, Pound, Montale, T.S.Eliott. Qualcuno, non sbagliando, proseguiva sui fumetti, ma su quelli dei grandi artisti, alla Bilal., alla Pazienza, o sulle graphic novel alla Buzzati. Dagli anni ’80 in poi, sempre più libri pubblicati, sempre meno letti. Invece grande ritorno del fumetto e “il manifesto”, conscio di mercati, come dimostra nella sua esaltazione dei videogiochi più trucidi, l’ha capito. Cultura yankee, per ridurre lo sforzo, per semplificare, per semplificarci. Non ci possono essere nel fumetto più di una dozzina di parole. Come nei tweet.

Pur impegnandosi con zelo a eseguire gli ordini di servizio dello Stato Profondo Usa, fino a ventilare un governo “comunista” di Draghi, oggi ci mostra come pure una formazione così compatta di giannizzeri della Sublime Porta possa smarrirsi nell’interpretarne i voleri. La direttrice con la soluzione Renzi: sacra unità PD-5Stelle contro il buzzurro fascista, tutti gli altri più in linea con la tradizione e quindi che accada il patatrac spaventoso, ma alla urne subito. Chiunque, pure Draghi secondo l’autorevole editorialista Villone. In fondo, quel giornale ce l’ha nel DNA dalla nascita. Salvini, seppure in mutande da Trump e Netaniahu, ha brigato con i russi, cercando di spillare sostegni nientemeno che dallo zar di tutte le nequizie! Certo, c’è il paradosso, valevole per tutta la stampa imperiale, di chi solleva scandalo per gli affari Lega-Mosca, quando non starebbe in piedi, da sempre, senza i tacchi ortopedici amerikani. Come può una congrega di interconfessionali votatisi alla guerra della civiltà occidentale contro la Russia, staliniana o putiniana che sia (quella suicida di Elsin e Gorbaciov l’arrapava), non votarsi con tutti gli strumenti del caso al compito della mostrificazione dei russi e loro alleati, da Rossanda a Macaluso a Obama ai Clinton (Epstein o non Epstein)? E al vignettista dei “naufraghi salvati” Biani?

 

Al governo tecnico, di unità nazionale, di scopo, di accozzaglia, di salute, di Alzheimer, con Briatore, di Al Capone, di chi ci sa fare, di chi sa disfare, neocrispino, bergogliano, del presidente (e qui siamo fritti)

A questo punto non siamo più alla battaglia delle idee, di quelle poche emerse dai 5 Stelle (vedi Monforte in calce) e di quelle porche che frullano in testa a tutti gli altri che di stelle ne portano tante, insieme a strisce e con una stella polare a sei punte, ma corsa per o contro il tempo. Chi vuole raccogliere subito le mele bacate, prima che marcino del tutto e chi vuole che cadano a terra e se le pappino le cornacchie. Tutte le ipotesi messe in campo, ognuna che si pretende favorita dall’oracolo sul Colle che, peraltro, medita solo su chi eleverebbe le migliori preci nel tempio Nato-UE, fanno davvero schifo. Far ammazzare i 5 Stelle dal plebiscito pro-Salvini, auspicio di chi nel sistema si occupa più di interessi nei caveau che di poltrone nella giostra del “calcio in culo” parlamentare, dalla Banca d’Italia alla Confindustria, dai furbetti del quartierino ai furboni del quartierone, a quelli che si affidano al sovranista di pongo per succhiare il sangue al Sud e poi godersi il morso sul collo dai tedeschi, fino al Vaticano da sempre fedele al sistema che accoppia i  “pieni poteri” di Salvini ai propri pieni poteri spirituali (non solo) e che funziona al meglio dopo la messa di mezzanotte.

L’Union Sacrée di tutti contro Salvini, oltre che dalle appendici locali deiliberal clintoniani e sorosiani, è propugnata dal settore che, quanto ad affidabilità si fida più del PD e codazzo sinistro, politico, mediatico, sindacale, per quel che riguarda un neoliberismo meno spocchiosamente arraffone e trasparente, ma più turbofinanziario, di maggiore tenuta grazie a modi più opachi e urbani e con l’indisturbato apporto degli schiavi da tratta, deportati dai paesi delle risorse da recuperare. Ha per riferimento i guerrafondai e ricolonizzatori del Partito Democratico americano. E qui potrebbe rispuntare un Giuseppe Conte di transizione, uno che ha già dato buona prova di sé con Washington, Bruxelles, Guaidò e Nato e che si trascinerebbe qualcuno della non sempre limpida miscellanea eletta, un po’ per celia e un po’ per non morire, nelle ultime politiche.

C’è poi la soluzione Monti, pardon Draghi che, dopo aver fatto per le banche tedesche e francesi quanto è culminato con il matricidio della Grecia, ora potrebbe sistemare definitivamente al carretto italiano il traino dei più belli spiriti animali del capitalismo neocarolingio. Ha dietro Goldman Sachs, come si sa, il che comporta anche la benevolenza di Rothschild, IOR, banche private tutte e Federal Usa, nonché l’operatività discreta del già citato mondo di mezzo, ormai globalizzato.

Lucia Annunziata, la mia ex-direttrice, respinta da una redazione TG3 non ancora normalizzata da suor Paterniti, ci comunica invece i desiderata dello spicchio atlantosionista della Cupola: tutto fuorchè i 5 Stelle, in qualsiasi combinazione. Stessa matrice per Stampubblica di DeBenedetti-Elkan, che arriva a suggerire all’amico sul Colle, alla cui giacchetta, del resto, si appendono tutti, compreso lex-impeachmentista Di Maio, colossi della modernità progressista e verde, come Sabino Cassese, Walter Veltroni o Enrico Letta. E Andreotti, non lo potremmo clonare a partire da un po’ di DNA dalle orecchie?

E quelli della palingenesi?

In tutto questo, dove si pongono i portatori della grandi speranze di riscatto e catarsi della parte sana del nostro popolo? Anche qui c’è grande marasma con chi ne vuole una di quelle elencate sopra e chi l’altra. Tutti uniti, però, nel giurare che se ne esce unicamente facendo passare il taglio dei 345 parlamentari. Con il quale cambierebbe tutto, perfino il firmamento, altro che solo cinque di stelle. Un trucchetto clamorosamente demagogico, col quale si vorrebbe rapire a Salvini il primato della cazzata che portavoti. Non so se il taglio sia giusto, cosa cambi di sostanziale tra 1000 e 500, se sia meglio tagliare gli emolumenti,  so che 60 milioni non ci stanno nell’agorà di Atene, ma so che la democrazia migliora con la proporzionale e i referendum. So anche che se è a questa ciambella di salvataggio che si affidano, rischiano di trovarsela al collo piena di piombo. Piombo messoci dai nuovi soci, Zingaretti o Renzi che siano, più bravi di Salvini a rubare, sotto coperta mediatica, suolo ai viventi, futuro a giovani e vecchi, salute e beni a tutti e a vendere pace e sovranità agli istruttori che li tengono in sella.

L’intelligente Andrea Scanzi (FQ) parla di governicchio Zinga-Maio, invece da tempo il sogno del suo direttore, come di “un orrore inaudito e un regalo al Salvini, infatti è l’ennesima idea abbietta dello sciagurato Renzi”. Ha ragione.  Ragione di più per dimenticare Di Maio. O ora, o mai più. Lo si mandi alle serali a leggere un po’ di geografia, storia, Aristotele, Schopenhauer, Hegel, Kant, Balzac, Gramsci, Calvino. E figuriamoci se non almeno “Il Manifesto”, quello con la M maiuscola.….  Di Battista, Paragone, Morra,Taverna, Bugani, Ruocco,  base dalle idee chiare, non siete bolscevichi, ma un colpo lo potete battere. Sul tema dice meglio il molto severo Mario Monforte, qui in fondo.

Media italiani? In geopolitica stiamo dove dobbiamo stare

Sappiamo tutti, quei 13 gatti spelacchiati che leggono il manifesto, ora che è diventato enigmistico e offre fumetti agli analfabeti, che nel quotidiano comunista c’è chi è deputato dall’alto a picchiare la Russia e Putin, chi a spernacchiare la Resistenza afghana, chi a scatenare la foia razzista contro Gheddafi e Assad e chi a fare della Cina il Regno di Mordor. Offrono a costoro ampi spazi di empietà giornalistica le manifestazioni di questi giorni a Mosca e a Hong Kong, epicentri della guerra globalista contro le due nazioni che viaggiano in direzione ostinata e contraria sui binari del diritto internazionale e, quanto a bottino di devastazioni e morti inflitti, stanno a chi li avversa come i blob della Solfatara stanno all’eruzione del Vesuvio nel 79 dC. Nella SECONDA PARTE il seguito.

Hong Kong, nostalgie

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MARIO MONFORTE, estratto da “Salvezza dai nuovi barbari?

E i 5S? Anche loro hanno tradito, come Salvini-Lega, e nei fatti, ciò era primario. Non era nella loro testa, né propositi, per mancanza di analisi, di progetto conseguente, di strategia e tattica adeguate. L’“impianto” resta quello loro consueto: con onestà (è solo un pre-requisito, mentre con le regole e con il loro rispetto va sempre insieme la tendenza alla violazione, organica all’oligarchia e alle regole liberali, né la «legge spazzacorrotti» impedisce di escogitare altre forme di violazione) porre correzioni o misure specifiche dove occorre, e cosí far “andare bene” le “cose”. Ma proprio questo è impossibile! Il “sistema” non è “neutro”, né l’apparato statual-burocratico è astratto: è funzionale alla perpetuazione dei rapporti di produzione e sociali vigenti (ossia al capitalismo), mantenendoli nelle sue fasi successive.

Tradimento, dunque, oggettivodelle possibilitàdelle potenzialità. Della Lega, del M5S, del governo giallo-verde – e dell’ulteriore interno gravame del cuneo inserito da Mattarella, Tria, Moavero e poi lo stesso Conte, a difesa del mantenimento della fase in crisi, ma sempre in atto, della globalizzazione. Esaminando gli “impianti” della Lega e del M5S, in fondo e infine era difficile attendersi esiti altri. Si può solo aggiungere che, mentre la Lega è sicuramente poco penetrabile da idee, analisi e prospettive di “altro” e “oltre” (è forza “di sistema” e di qualche mutamento, ma nel e per il “sistema”), cosí lo sono stati anche i 5S (con le lodevoli eccezioni di coloro che sono molto critici o perfino in rottura – bisognerà però vedere se, al momento opportuno, seguiranno o meno il richiamo a stringersi nella “casa comune”). E, nel loro “grosso” e nei loro esponenti, appaiono attestati su poche convinzioni parziali e, al piú, analisi settoriali – le idee dominanti sono quelle dei dominanti, nella generale penetrazione dell’ideologia dominante, il liberalismo (e i 5S non affermano “siamo non-ideologici e post-ideologici”? Come si vuole il liberalismo per escludere ogni visione e comprensione del mondo “altra”).

Anche se i 5S danno la colpa a Salvini, al “sistema”, etc. – e ci manca solo il «destino cinico baro -, l’iter della loro opera nel governo e la sua fine ingloriosa è una dimostrazione inconfutabile (ma già lo era la perdita delle gestioni comunali nella scadenza seguente all’averle conquistate) che intendere e dare a intendere che si possa attuare il «cambiamento» senza comprendere il “sistema” e mirare a romperlo significa solo illudere e auto-illudersi – e fallire. In questo contesto è avvenuto qualcosa di imperdonabile: invece di spingere avanti, formare una comprensione di massa della realtà e degli ostacoli da superare, potenziare il movimento popolare e costruire – appunto – un blocco sociale effettivo e soggettivo, si è determinato l’opposto, ossia lo scoraggiamento, il riflusso di quel movimento che, pur confusamente, si era levato, alimentando la convinzione che non si può fare niente di decisivo, che bisogna rassegnarsi e accettare “ciò che c’è”, al piú puntare sul “meno peggio” – che fa comunque parte del peggio.

E ora? Io non intervengo oltre su ciò che ho scritto e detto in vari interventi, ribadendo solo che è necessario ostacolare il riflusso, costruire il movimento democratico popolare diretto a riprendere in mano il paese, perciò mirante a riacquisire indipendenza e autonomia, il che può procedere solo in intreccio con comprensione e la messa in atto, volta all’imposizione, della vera democrazia. Certo, questo è ancora piú arduo nelle condizioni presenti, perché ha di fronte davvero tanti, troppi ostacoli. Ma dovrebbe essere ancora tentato. Nonostante quanto non vuol capire o fuorvia, o nega, e blocca.

Mario Monforte

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:52

Comunicato Stampa – Una Nota al presidente Conte e al suo ministro Toninelli

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

13 agosto 2019

www.presidioeuropa.net/blog/?p=20680

Una Nota al presidente Conte e al suo ministro Toninelli

Perché un Governo sfiduciato non può dare il via al progetto Torino-Lione

13 agosto 2019

Invitiamo il Presidente Giuseppe Conte e il suo ministro Danilo Toninelli a leggere il Comunicato Stampa di PresidioEuropa del 10 agosto e l’intervista de il manifesto dello stesso giorno al prof. Sergio Foà, Ordinario di Diritto amministrativo all’Università di Torino.

Apprenderebbero perché un Governo sfiduciato non può dare il via al progetto Torino-Lione.

Per mantenere la loro autonomia decisionale, di fronte alle smanie cementificatrici di TELT, Conte e Toninelli dovrebbero intanto impedire che “gli uffici” gestiscano in modo solitario e “burocratico” la relazione del MIT con INEA, ossia del Governo italiano con la Commissione europea.

Per rendere più chiara la questione citiamo un passo della lettera degli uffici del MIT del 26 luglio 2019 all’INEA, firmata dalla dr.ssa Bernadette Veca, Direttore della Direzione Generale per lo Sviluppo del territorio del MIT: “the Government expressed favor for the confirmation of the project – il Governo si è dichiarato favorevole alla conferma del progetto”. Questa frase così esplicita non è mai stata pronunciata dal Presidente Conte.

Prima che l’Italia (il MIT) comunichi all’Europa (INEA) la posizione definitiva dello Stato sul futuro della Torino-Lione dovranno passare molti atti politici: non può una Direzione generale di un Ministero fare proprie diverse mozioni contraddittorie approvate dal Senato.

Il MIT dovrebbe attendere l’approvazione di un atto politico sulla Torino-Lione da parte di un Consiglio dei Ministri.

Fino ad allora lo Stato italiano non potrà essere rappresentato da un livello burocratico ministeriale rendendo irreversibile, con la benedizione di TELT, una decisione che il potere esecutivo non ha ancora espresso con la sua approvazione politica pubblica.

In questo contesto appare evidente che il MIT non potrà comunicare all’INEA la “posizione definitiva delle Stato italiano”, in quanto mancano i presupposti.

«Salvezza dai nuovi barbari»?

  La “cosa” ha avuto un precedente disastroso e derisorio: dopo che i 5S (che hanno via via ceduto su tutti i “nodi” qualificanti, o realizzandoli al minimo strozzato, vedi «reddito» e «pensioni» di cittadinanza) hanno acconsentito al «sí» di Conte all’opera inutile e dannosa del Tav TO-Lione per evitare la crisi del governo, e per non “perdere la faccia” hanno imbastito la pantomima del «no» in parlamento al loro stesso governo, di scontata bocciatura … ebbene, hanno perso la faccia e hanno avuto la caduta del governo. Ben diverso sarebbe stato, in dignità e consensi, puntare i piedi nel governo di cui erano “soci di maggioranza” sui troppi impegni (con l’elettorato) disattesi o attuati al minimo, sfidando Salvini a rompere e accettando la crisi. Ma già il voto alla Von der Leyen (decisivo per l’elezione alla Commissione Ue dell’esponente della peggiore austerity liberal-capitalistica Ue, motivato con discorsi puerili: “ha promesso punti del nostro programma …”) era stato lo sbocco della loro integrazione nel “sistema” e politicantismo corrente, in coerenza con il “siamo nell’Ue, euro, Nato” del «contratto di governo»; dei viaggi in Usa di Di Maio, Conte, Salvini; del tatuaggio in fronte a Di Maio: “sto nell’euro”.

Ma Salvini ha rotto sul Tav? No, aveva già il «sí». Ha preso l’escamotage 5S come ultimo pretesto. Il segnale, sull’onda dei successi elettorali leghisti, veniva dallo sfascio della berlusconiana FI, con uscita di Toti (e afflusso di esponenti FI) e sua formazione di «Cambiamo». Berlusconi potrà solo affiancarsi a Salvini, la Meloni è sua alleata (né ha altre chances) e Toti & Co. sono la “ciliegina sulla torta”: si staglia la potenzialità della maggioranza di voti e seggi, e Salvini presidente del Consiglio. E Salvini ha deciso di non traccheggiare – se poi ha scelto bene i tempi resta da vedere.

Nello schiamazzo seguente sono evidenti i tentativi per ritardare nuove elezioni, con ridda di ipotesi sul governo intermedio (tecnico, di garanzia, elettorale) e con Grillo che invita i 5S a fare un governo perfino con il Pd come «salvezza dai nuovi barbari» (e mantenimento del posto a governanti ed eletti): ma non si erano accorti della «barbarie» quando erano insieme al governo? E va bene il Pd massima formazione di messa in atto delle sciagurate politiche respinte dalla maggioranza della popolazione e contro cui si è levato l’attacco annoso dei 5S? E vanno bene i renziani, con il codazzo della Bonino, LeU, SI? – ma il Pd di Renzi è spaccato da quello di Zingaretti, che non vuole tale accordo, e allora basterebbero i seggi? Comunque questo governo salverebbe il paese «dai nuovi barbari»? E in adesione totale ai dettami Ue e del capitale transnazionale non attuerebbe un’ulteriore barbarie? E un accordo del genere non sarebbe la fine dei 5S? Che gridano al tradimento, vogliono il taglio dei parlamentari – per votare l’estate prossima – e chiamano a stringersi: ma i sondaggi danno piú che dimezzati i voti del 4 marzo 2018 e già ora il discredito non è facilmente rimediabile.

A ogni modo il quadro della propaganda è questo: Salvini che vuole il governo per sé, senza impacci, denuncia “inciuci” e manovre, e attacca accordi 5S-Pd; Pd e “sinistrismo” levano appelli contro i «barbari», il “colpo di Stato”, l’avvento del neo-fascismo (leit motiv in corso da tempo). Intanto infuriano discorsi parziali quando non fuorvianti: “sono stati i poteri forti” (en passant: quali sono i “poteri deboli”?), “Salvini ha sbagliato i tempi”, “no li ha colti bene”; “è colpa di Salvini”, “è dei 5S”, etc. Il frastuono silenzia la sostanza della questione – come sempre, mai si va alle “radici”.

Le elezioni del 4 marzo hanno portato allo sbocco au sommet delle reattività della maggioranza della popolazione italiana alle politiche (su tutti i piani) del liberal-capitalismo globalizzato-globalizzante attuate dai suoi «organismi» come l’Ue/euro e gli Stati inglobati in tale contesto e «organismi». E hanno segnato l’emersione oggettiva di un fronte sociale: dai lavoratori, inoccupati, sottoccupati, disoccupati, soprattutto del Sud, ma non solo (anche al Centro e al Nord), al tessuto produttivo (medie, piccole, piccolissime imprese e artigianato residuo, e agro-alimentare) del Nord, ma non solo (anche il Centro è pervaso dall’incrocio delle due componenti); insomma, lavoratori e classi (comunque) subalterne, i due terzi e piú della popolazione, con voti raccolti da M5S e Lega: perciò il solo governo possibile era il loro.

Quale avrebbe dovuto essere l’asse primario del governo «giallo-verde»? Tradurre il fronte sociale in blocco sociale effettivo e anche soggettivo, consolidato con misure adeguate (da un piano ampio di investimenti il piú possibile auto-centrato, all’impegno agro-alimentare e ambientale, all’incastonamento del tessuto produttivo, alla messa sotto controllo dei capitali, fino agli accordi esteri, oltre che al blocco del flusso migratorio – unito all’azione nei paesi d’origine, sul principio del «diritto di stare a casa propria»). Il che va contro lo “stiamo nell’Ue, euro, Nato”, e richiede di agire per la ri-acquisizione di indipendenza e autonomia del nostro paese (è questa la «sovranità»), senza di che non si può costruire una reale democrazia né attuare le efficaci misure connesse.

Niente di tutto ciò era nella testa e nei piani della Lega. La sua linea è piuttosto chiara: gestire il paese in base a uno pseudo-nazionalismo (con sovranismo a chiacchiere, e neanche insistite) perché resta, certo “criticamente”, nell’Ue mentre subordina ancora piú l’Italia agli Usa (al versante “trumpiano”), e sempre in base a un indirizzo liberal-capitalista, con un’apertura piena al capitalismo (compreso quello grande, transnazionale) e ai suoi imperativi su tutti i piani (compreso l’afflusso “regolare” di forza-lavoro di pressione e di riserva), ma situando il tutto nell’alveo del “governo nazionale che vigila e decide” – e intanto attua tramite l’«autonomia differenziata» la “navigazione” del Nord nella «macro regione alpina» (franco-tedesca), con il Centro in rincorsa e il Sud sganciato. Insieme condito da un neo-bacchettonismo perbenistico (rosario e vangeli di Salvini, “grazie alla beata vergine Maria nel giorno della sua nascita” – questa figura inventata dai neo-esseni, alias cristiani, nel II sec. d. C. “è nata” il 5 agosto?), il che serve per contrastare la Chiesa di Bergoglio sparata sul «sí» a globalizzazione e immigrazione, ma ribadisce un “clima” di ipocrita conformismo.

Salvini, che ha portato la Lega a consensi enormi (grazie a tentennamenti e cedimenti 5S), ha infine “fatto il suo” sul piano politico, per assumere “in proprio” il governo. Ha tradito? Sí. Che cosa? Lui e la Lega hanno tradito ciò che sarebbe stato necessario: la traduzione del fronte sociale in blocco sociale. E ora cancelleranno questa possibilità, posta “nelle cose”, riportando tutto nell’alveo “usuale” del “sistema”: destra che va al governo, sinistra all’opposizione, con modifiche (di maggiore, o minore, o minima entità) però volte alla perpetuazione del “sistema” stesso nella sua ricerca di mutamento di assetto: è l’«alternativa unica» di “sistema”. Ma che «barbarie» e neo-fascismo! È questa propaganda occhiuta di comparti di dominanti (pro fase presente della globalizzazione e suzzunzone totale all’Ue), buona per babbei frastornati. E le opposizioni, Pd & Co., sono le forze della reazione volta alla perpetuazione di questa fase, che è in crisi e rispetto a cui il capitalismo è in cerca di un diverso assetto (e non parlo dei vari “sinistri”, che arrivano magari a dire no Ue/euro/Nato, ma senza via praticabili e in contraddizione plateale con la loro accoglienza “senza se e senza ma” del flusso migratorio voluto dal capitalismo globalizzante della fase ancora attuale, e volto a colpire sia la condizione dei lavoratori e dipendenti, sia il residuo assetto sociale, culturale, urbano del nostro paese – e anche loro ancor piú scatenati sulla fantasmagoria del «barbaro» Salvini “neo-duce”).

E i 5S? Anche loro hanno tradito, come Salvini-Lega, e nei fatti, ciò era primario. Non era nella loro testa, né propositi, per mancanza di analisi, di progetto conseguente, di strategia e tattica adeguate. L’“impianto” resta quello loro consueto: con onestà (è solo un pre-requisito, mentre con le regole e con il loro rispetto va sempre insieme la tendenza alla violazione, organica all’oligarchia e alle regole liberali, né la «legge spazzacorrotti» impedisce di escogitare altre forme di violazione) porre correzioni o misure specifiche dove occorre, e cosí far “andare bene” le “cose”. Ma proprio questo è impossibile! Il “sistema” non è “neutro”, né l’apparato statual-burocratico è astratto: è funzionale alla perpetuazione dei rapporti di produzione e sociali vigenti (ossia al capitalismo), mantenendoli nelle sue fasi successive.

Tradimento, dunque, oggettivo: delle possibilità, delle potenzialità. Della Lega, del M5S, del governo giallo-verde – e dell’ulteriore interno gravame del cuneo inserito da Mattarella, Tria, Moavero e poi lo stesso Conte, a difesa del mantenimento della fase in crisi, ma sempre in atto, della globalizzazione. Esaminando gli “impianti” della Lega e del M5S, in fondo e infine era difficile attendersi esiti altri. Si può solo aggiungere che, mentre la Lega è sicuramente poco penetrabile da idee, analisi e prospettive di “altro” e “oltre” (è forza “di sistema” e di qualche mutamento, ma nel e per il “sistema”), cosí lo sono stati anche i 5S (con le lodevoli eccezioni di coloro che sono molto critici o perfino in rottura – bisognerà però vedere se, al momento opportuno, seguiranno o meno il richiamo a stringersi nella “casa comune”). E, nel loro “grosso” e nei loro esponenti, appaiono attestati su poche convinzioni parziali e, al piú, analisi settoriali – le idee dominanti sono quelle dei dominanti, nella generale penetrazione dell’ideologia dominante, il liberalismo (e i 5S non affermano “siamo non-ideologici e post-ideologici”? Come si vuole il liberalismo per escludere ogni visione e comprensione del mondo “altra”).

Anche se i 5S danno la colpa a Salvini, al “sistema”, etc. – e ci manca solo il «destino cinico baro -, l’iter della loro opera nel governo e la sua fine ingloriosa è una dimostrazione inconfutabile (ma già lo era la perdita delle gestioni comunali nella scadenza seguente all’averle conquistate) che intendere e dare a intendere che si possa attuare il «cambiamento» senza comprendere il “sistema” e mirare a romperlo significa solo illudere e auto-illudersi – e fallire. In questo contesto è avvenuto qualcosa di imperdonabile: invece di spingere avanti, formare una comprensione di massa della realtà e degli ostacoli da superare, potenziare il movimento popolare e costruire – appunto – un blocco sociale effettivo e soggettivo, si è determinato l’opposto, ossia lo scoraggiamento, il riflusso di quel movimento che, pur confusamente, si era levato, alimentando la convinzione che non si può fare niente di decisivo, che bisogna rassegnarsi e accettare “ciò che c’è”, al piú puntare sul “meno peggio” – che fa comunque parte del peggio.

E ora? Io non intervengo oltre su ciò che ho scritto e detto in vari interventi, ribadendo solo che è necessario ostacolare il riflusso, costruire il movimento democratico popolare diretto a riprendere in mano il paese, perciò mirante a riacquisire indipendenza e autonomia, il che può procedere solo in intreccio con comprensione e la messa in atto, volta all’imposizione, della vera democrazia. Certo, questo è ancora piú arduo nelle condizioni presenti, perché ha di fronte davvero tanti, troppi ostacoli. Ma dovrebbe essere ancora tentato. Nonostante quanto non vuol capire o fuorvia, o nega, e blocca.

Mario Monforte

I No Tav bruciano i fogli di via

Serata dei pintoni attivi
 Serata dei pintoni attivi

A seguito delle manifestazioni No Tav delle scorse settimane sono state denunciate 82 persone dalla Digos, mentre 28 “fogli di via” sono partiti dalla Questura di Torino. Questi ultimi hanno raggiunto anche alcuni appartenenti allo storico, e molto noto, gruppo dei “Pintoni attivi”: uomini e donne anche non più giovani ma molto determinate, che si danno appuntamento da anni, con qualsiasi condizione climatica, fuori dal cantiere di Chiomonte per un rituale aperitivo-cena molesto e dissacratorio.

I fogli di via della durata tre anni con divieto di soggiorno e transito nei comuni di Chiomonte e Giaglione sono stati emessi «a causa della pericolosità sociale espressa e per le oggettive azioni di turbativa dell’ordine pubblico ed alla sicurezza pubblica».

Venerdì sera i fogli di via sono stati portati da alcuni No Tav presso il cancello del cantiere di Chiomonte, dove era in corso l’usuale aperitivo-cena, e lì sono stati inceneriti dalle fiamme.