TAV. Niente di nuovo sul fronte (nord)occidentale

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Ultimamente il tema della TAV (che non dovrebbe chiamarsi così, ma facciamocene una ragione) ha avuto un ritorno di fiamma a seguito delle dichiarazioni del presidente del consiglio (seguite dal dibattito parlamentare innescato dalla mozione M5S) che lo scorso 23 luglio ha di fatto sbloccato l’iter per la realizzazione del tunnel di base (a due canne) della nuova linea Torino-Lione perché, alla luce di una serie di nuovi fatti, fermare il TAV “costerebbe” all’Italia “molto più che completarlo”. Il presidente del consiglio non presenta dati, ma affermazioni. In questo non ci sono novità, in quanto l’osservazione empirica dice che in politica (non importa chi sia l’interlocutore del momento) il merito delle questioni tende ad essere marginale: le decisioni vengono per lo più assunte “per altri motivi” legati all’assetto sociale e all’opportunità; in ogni caso guardando a un orizzonte temporale vicinissimo, per non dire immediato. Ad ogni buon conto proviamo a ricapitolare la situazione.

1.

Innanzi tutto la sostanza (quella che non conta nulla): lungo la frontiera italo-francese, guardando i dati di traffico merci, in tutte le modalità, negli ultimi 25 anni (15 governi, di centro-destra, centro-sinistra, tecnici e, ora, giallo-verdi) si trova un andamento moderatamente decrescente (precipitosamente decrescente nel caso della ferrovia). Contemporaneamente si trovano andamenti crescenti attraverso le frontiere italo-svizzera e italo-austriaca, a prescindere dal tipo di infrastrutture presenti. Col linguaggio di chi si occupa di scienza diciamo poi che “è altamente improbabile” che questi andamenti si capovolgano in un ragionevole futuro, perché sono legati alla struttura dei mercati: le direttrici nord-sud sono, tramite i porti, connesse con l’estremo oriente dove i mercati non sono materialmente saturi, mentre gli assi est-ovest, per altro molto praticati, connettono mercati materialmente saturi, fatto che fa rabbrividire gli adoratori della “mano invisibile” (del mercato, s’intende) ma che cionondimeno non cessa di essere un fatto. Insomma, proprio niente di nuovo: il volume di traffico non è tale da giustificare investimenti di miliardi di denaro pubblico che non ritornerebbero. 
Restando sul versante materiale, val la pena di fare il punto anche riguardo a un aspetto richiamato da un certo numero di improbabili “ambientalisti” dell’ultima ora e amplificato (senza verifica) da gran parte dei mezzi di comunicazione: l’immissione di anidride carbonica in atmosfera. Dicono questi attori, che non hanno tempo di, né sono interessati a, fare verifiche, ma sono sempre in cerca di frasi che diano sostegno alle loro scelte a priori: la ferrovia (per chilometro e per tonnellata di merce – questa precisazione la faccio io) immette in atmosfera meno CO2dei camion e dunque meglio soddisfa l’esigenza di contenere il mutamento climatico in atto. Senza infilarci in una analisi dei costi, in termini di emissioni, della realizzazione di due gallerie affiancate di 57,5 km e poi del loro mantenimento in condizioni di efficienza e sicurezza, limitiamoci ad osservare che un risparmio nelle emissioni si avrebbe, in astratto, se il traffico globale restasse quello di oggi e però una quota rilevante di tale traffico (nei documenti dei proponenti, il 55%) si trasferisse dalla strada alla rotaia (cosa tutt’altro che automatica). Ma se il traffico totale restasse quello di oggi il gioco non varrebbe la candela (vedere il punto precedente), tanto è vero che i proponenti basano le proprie valutazioni sulla (improbabile) crescita dei flussi di merci, arrivando ad affermare che nel 2035 il volume che transiterà sarà addirittura tre volte quello del 2010. Se davvero il mondo fosse fatto così (ma non lo è) si scoprirebbe che anche col 55% delle merci sulla rotaia l’immissione di CO2 in atmosfera aumenterebbe: certo, aumenterebbe meno di quanto sarebbe aumentata con solo il 9% su rotaia, ma aumenterebbe, e l’IPCC (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico ci dice che per contenere i guai (ormai inevitabili) entro il 2030 dovremmo dimezzare le immissioni. Anche qui assolutamente niente di nuovo: c’è chi parla perché ha la lingua in bocca e le decisioni le prende a priori “per altri motivi”.

2.

Il Presidente del Consiglio però dei fatti nuovi li ha citati: riguardano i rapporti con la Francia e con l’Europa. Proviamo a dare un’occhiata da vicino. Il presidente Conte dice di aver avviato una interlocuzione col presidente francese Macron; non ci dice, logicamente, quale sia il contenuto di questa interlocuzione, ma noi proveremo a ragionare su quello che dovrebbe essere il contenuto. I rapporti Italia-Francia riguardo a quest’opera sono regolati da un accordo (a rigore una serie di accordi) che è divenuto un trattato con valore di legge dopo la ratifica dei rispettivi parlamenti. Questo trattato dice molte cose. Vediamo:
– vi si definisce (artt. 2 e 4) l’oggetto dell’accordo che riguarda una tratta di 112,5 km composta di una sezione transfrontaliera (il tunnel di base a due canne); una parte francese con 33 km per le due gallerie (a due canne) di Belledonne e di Glandon; una parte italiana con la galleria (due canne) dell’Orsiera per 19,5 km. Questa complessivamente è la parte definita “comune”, al di là della quale ci sono ancora dei tratti che non hanno tale qualifica e sono di competenza esclusiva di ciascun paese. Quello su cui concretamente si litiga è solo la tratta transfrontaliera, ma il trattato riguarda anche il resto. E resta fuori il completamento della linea verso Lione che comprende l’ulteriore galleria della Chartreuse;
– l’art. 16, poi dice che «La disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo francese della sezione internazionale». Sembra essere una clausola di assoluto buon senso… cui apparentemente nessuno (di coloro che dovrebbero avere delle “responsabilità” decisionali) fa caso. In concreto si dice che per cominciare i lavori di una qualunque fase occorre che siano disponibili (tecnicamente “disponibile” non vuol dire proclamato in un comizio ma stanziato) i fondi necessari: il 100% di quanto necessario. Ora, il tunnel di base non è sezionabile in lotti costruttivi (o si fa per intero o non si comincia nemmeno) e quindi per iniziarlo occorre che siano stanziati i circa 9,6 miliardi necessari (cifra aggiornata al 2017 dal nostro CIPE) da parte dei contraenti, cioè di Italia e Francia. Il terzo attore, l’Europa, interviene solo successivamente: i contraenti debbono quindi stanziare il 100% del fabbisogno, salvo poi recuperare quanto l’Europa a tempo debito assegnerà;
– a oggi lo Stato italiano, con delibera CIPE 18A00396 del 7 agosto 2017, ha stanziato la cifra di 2.565 milioni di euro circa suddivisi in una provvista annua (una specie di dotazione) tra il 2015 e il 2029: per l’anno in corso sono 243,540 milioni. La stessa delibera, in ottemperanza a quanto scritto nel punto precedente, fissa in 5.574 milioni e rotti il massimale di spesa, lato Italia, pari al 57,9% dei 9.600 del costo totale dell’opera;
– cosa ha stanziato a oggi lo Stato francese? Nulla. Dichiarazioni politiche molte e persino infastidite; documenti di programmazione che menzionano la Torino-Lione, sì; ma a bilancio nulla. È vero che l’ordinamento francese non ha un analogo del nostro CIPE, ma comprende un’agenzia speciale (AFITF) che deve provvedere al finanziamento delle opere pubbliche. Tale agenzia non ha né erogato né programmato alcunché per il tunnel di base della Torino-Lione. Tra l’altro è appena il caso di osservare che la Court des comptes francese ha criticato AFITF (istituita nel 2004) perché sostanzialmente priva di programmazione o margini di manovra [1]. Penso che oggi nemmeno più alla fiera del bue grasso di Carrù i contratti si possano siglare sputandosi nel palmo e poi stringendosi la mano tra contraenti. Da parte francese mancano 4.056 milioni e rotti e pare dunque che, a norma di trattato internazionale vigente, non ci siano le condizioni per avviare i lavori della tratta transfrontaliera.
Forse il presidente del consiglio Conte avrà parlato di queste cose col presidente Macron; chissà?

3.

Ma con la Francia non abbiamo finito.
Come si è intravisto al punto precedente, a norma dell’art. 18 del trattato tra i due paesi, il costo di realizzazione della tratta transfrontaliera (le gallerie di base) grava per il 57,9% sull’Italia (sul cui territorio le gallerie insistono per circa 12 km) e per il 42,1% sulla Francia (sul cui territorio l’opera insiste per i restanti 45 km). Questo evidente squilibrio è motivato, se non giustificato, dal fatto che la tratta francese della parte comune definita dal trattato, che comprende due addizionali doppie gallerie, è decisamente più onerosa della tratta Italiana che ne comprende una sola, più breve.
Sennonché…. Un organo ufficiale dello stato francese, il COI (Conseil d’orientation des infrastructures) ha rilevato che al momento non ci sono le condizioni di traffico e potenziale saturazione della linea tali da preoccuparsi, nonché di realizzare, di avviare gli studi per la tratta di adduzione al tunnel di base dal lato francese, i quali, nella migliore delle ipotesi dovranno essere intrapresi dopo il 2038[2]. Chissà se gli indaffaratissimi fautori istituzionali della nuova linea si sono mai chiesti come sia possibile che non sussistano le condizioni per fare la nuova linea di adduzione francese e invece ci siano quelle per fare il doppio tunnel di base (che è la cosa più costosa). Ma non importa: il progresso richiede questo e altro. Qui però importa rilevare che se la parte di competenza solo francese oggetto del trattato non si sa né quando né se si realizzerà, perché mai l’Italia dovrebbe, fin da subito pagare il 57,9% delle spese della sezione transfrontaliera? Forse questo dettaglio è sfuggito ai sovranisti nostrani? Oppure la sintonia con Confindustria val bene un regalo alla Francia?
Alla luce di quanto sopra e senza voler vestire i panni di Machiavelli posso osservare che, se una delle due parti (la Francia) non ritiene ci siano le condizioni concrete per realizzare la linea prima di una ventina d’anni, non c’è bisogno di invocare rotture unilaterali di un trattato con passaggi parlamentari, improbabili mozioni, dibattiti recitati, vesti stracciate e così via. Il trattato resta in vigore e verrà applicato quando entrambe le parti giudicheranno che ci siano le condizioni per procedere sull’intera linea. In effetti non dovrebbe essere difficile capire, anche senza una laurea in ingegneria, che se di un condotto allargo la tratta centrale e lascio invariate le adduzioni la portata dell’intero condotto resta quella di prima.

4.

Non voglio però farmi prendere la mano e accumulare troppe considerazioni; torniamo dunque alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio e osserviamo che fin qui manca un attore: l’Europa. 
Cosa non si è detto e scritto al riguardo (senza verificare, ben inteso)! In sostanza se non si fosse sbloccato l’iter dell’opera si sarebbero “persi i finanziamenti europei”: quali e perché?
Dal 2001 ad oggi per la Nuova Linea Torino Lione (così si chiama) si sono spesi o formalmente impegnati in complesso 1.840 milioni, di cui materialmente liquidati circa 1.200 milioni, in massima parte per studi e lavori preliminari (i “cunicoli” geognostici, tra cui quello in fase di completamento in Francia). Sulla carta questa spesa avrebbe dovuto essere per metà a carico dell’Unione Europea, e il resto suddiviso in parti uguali tra Italia e Francia. In realtà l’Unione Europea è intervenuta con vari stanziamenti, prima del settennato 2014-2020, per un totale di più di 500 milioni di cui una novantina sono andati persi (senza che nessuno si stracciasse le vesti), perché LTF (predecessore di TELT) non ha rispettato i tempi previsti. Per il settennato 2014-2020 lo stanziamento europeo è stato di circa 814 milioni[3] di cui una parte destinata a opere preparatorie dello scavo principale. Tali fondi, in base alla delibera di assegnazione, dovrebbero essere spesi entro il 31 dicembre 2019, ma TELT ha accumulato ritardi (che non c’entrano con le vicende italiane) tali per cui risulta comunque impossibile spendere tutta la somma entro la scadenza, sicché, in base alle norme europee, ciò che non viene speso entro il termine viene “perso”. Si tratterebbe all’incirca di 300 milioni. Questi sono i famosi fondi europei “da non perdere” e per non perderli, sempre in base alle regole europee, si può chiedere, in maniera motivata, una proroga dei termini che può essere concessa fino a 24 mesi. 
Di questo si trattava, ma certo le dichiarazioni del Presidente del Consiglio (e quelle degli attori politici e giornalistici che evitano di informarsi perché per i loro fini non ce n’è bisogno) non l’hanno chiarito. Non si tratta del finanziamento europeo per le gallerie principali, che non è stato ancora deliberato e che ovviamente se non si facesse l’opera non verrebbe erogato. Fin qui, una volta di più, assolutamente niente di nuovo.
Negli ultimi mesi però varie fonti europee hanno dichiarato che il contributo europeo per le gallerie di base potrebbe salire dal previsto 40% al 50% e al 55% (ci sono di mezzo delle sottigliezze riguardo a quest’ultimo passaggio che non è il caso di approfondire). In concreto, siccome il riferimento europeo è al costo ufficiale dell’opera in valuta 2012, senza rivalutazione, cioè a circa 8.600 milioni, si tratterebbe di un contributo massimo che potrebbe arrivare a 4.730 milioni di euro. Questo contributo però dovrebbe essere deliberato dai nuovi organi europei per il settennato 2020-2027 nell’ambito delle disponibilità complessive di bilancio e tenendo conto di altre opere da finanziare sulla stessa voce. Al momento di stanziato non c’è nulla, per cui, a norma dell’art. 16 del trattato Italia-Francia i due Stati, come già detto, se vogliono partire, debbono congiuntamente assicurare la copertura iniziale del 100% del costo dell’opera e la Francia (con cui interloquisce il premier Conte) non ha formalmente stanziato nulla. E siamo punto e daccapo.

5.

Ma il Presidente del Consiglio ha introdotto un’altra novità: la possibilità, ventilata a livello di dichiarazioni e non di atti formali (che non potrebbero nemmeno essere adottati, al momento), che l’Europa intervenga contribuendo anche alle tratte nazionali della linea, e qui il presidente parla di un costo totale di 1,7 miliardi: per fare che?
Se dovesse trattarsi del tunnel dell’Orsiera (previsto dal trattato) sembrano piuttosto pochini e poi il ministro dei trasporti del precedente Governo non l’aveva lasciato cadere? È vero peraltro che anche in quel caso documenti diversi dalle chiacchiere non ce ne sono… Si tratta forse del nodo di Torino? Ma la cifra da dove sbuca? E poi il nodo di Torino non fa parte della tratta comune di competenza italiana prevista dal trattato; sarebbe un po’ come parlare del tunnel francese della Chartreuse… Potrebbe trattarsi del costo della messa a (nuova) norma di sicurezza europea del tunnel esistente e delle altre gallerie della linea storica: lì la cifra sembra più congrua e dovrebbe essere erogata comunque, a prescindere dalla realizzazione del nuovo tunnel. Ma che c’entra?
Ancora. Dice il Presidente Conte: non fare l’opera ci costerebbe di più che farla. Avvocato, però lei si dimentica di citare le motivazioni e le argomentazioni a supporto. Accenna al fatto che fermandosi ci sarebbe da pensare ai costi derivanti dalla rottura dell’accordo con la Francia; cioè? Il trattato e i diversi accordi non prevedono mai nulla di simile a compensazioni o rimborsi e anzi si premurano sempre di tutelare ciascuna parte nel caso di abbandono unilaterale dell’opera. Si riferisce forse alla messa in sicurezza del tunnel geognostico della Maddalena? Non trova che quel costo sarebbe una frazione del costo sostenuto per scavarlo? E quindi sarebbe nell’ordine delle decine di milioni.
Dice ancora il Presidente che i fondi europei destinati all’opera non potrebbero essere utilizzati per altre finalità. Ovvio, tanto più che non sono ancora stati stanziati e rientrerebbero nel bilancio dell’Unione cui accedono tutti i paesi, Italia inclusa. Viceversa i soldi stanziati dal CIPE per l’opera, quelli sì che potrebbero essere destinati ad altre opere decisamente più utili e sostenibili.

Insomma, la commedia, passaggi parlamentari inclusi, continua senza che nulla in realtà cambi: l’opera ha, per chi non ha un interesse diretto, una valenza ideologica e coincide con la difesa a spada tratta di un modello economico incompatibile coi vincoli ambientali (oltre che di bilancio, per un paese indebitato in maniera molto pesante) e che genera, mantiene e fa crescere le diseguaglianze sociali. Per chi ha interessi diretti l’utilità e sostenibilità dell’opera non hanno importanza; l’importante è fare qualsiasi cosa che converta a breve termine denaro pubblico in utili privati.

NOTE

[1] « Comme elle l’a déjà fait dans son rapport public annuel de 2009, la Cour constate l’absence de plus-value apportée par l’AFITF, opérateur de l’État sans feuille de route ni marge de manœuvre. Elle insiste, indépendamment de la question du devenir de cet opérateur, sur la nécessité d’une maîtrise de la trajectoire de financement des infrastructures de transport»: Cour des Comptes Publications 29.08.2016.
[2] « Il semble peu probable qu’avant dix ans il y ait matière à poursuivre les études relatives à ces travaux qui au mieux seront à engager après 2038», p. 78 rapporto COI 2018.02.01.
[3] Grant agreement INEA/CEF/TRAN/M2014/1057372 del 31 luglio 201

TAV. Niente di nuovo sul fronte (nord)occidentaleultima modifica: 2019-08-07T19:09:46+02:00da davi-luciano
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