“MISTERI” TRASTEVERINI? DECRETI “SICUREZZA”? PIRANDELLO E D’ANNUNZIO “SPORCHI FASCISTI”? BIBBIANO, SALVI I BAMBINI? CI PRENDONO PER ——- SOMARI NEL PAESE DEI BALOCCHI

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MONDOCANE

MERCOLEDÌ 31 LUGLIO 2019

A Collodi

Se c’è un borgo che rappresenta l’Italia in quella che dei fantocci cartonati, fantaccini del mondialismo azzeratore, deridono o stigmatizzano come identità, dileggiando l’opera sinergica di natura ed esseri viventi nel corso di migliaia d’anni, per me è Collodi, in collina sopra Pistoia. Un borgo che si conquista risalendolo e che si perde scendendo. Non per nulla è da un paese così che è nata una delle più grandi opere della letteratura mondiale. Non per nulla il suo creatore, Carlo Lorenzini, s’è dato il nome d’autore di quel paese.

Un libro, Pinocchio, che, come succede per i capolavori assoluti, ogni volta che lo rileggo vi trovo un nuovo strato dell’edificio della conoscenza. Come succede con le vette più vicine all’Olimpo, meglio, al cielo, più dentro al cosmo: Omero, il teatro dei greci, di Shakespeare, di Pirandello, la Divina Commedia, il Faust, La figlia di Jorio. Da quel genio del profondo e difficilmente visibile che era, Carmelo Bene ha fatto Pinocchio a teatro, dando a questo supremo romanzo di formazione l’introspezione necessaria a tirarne fuori le verità scomode, occultate dalle verità comode di superficie. Facendo della solita fatina buona e maestrina, la madre megera che si agita nel nostro inconscio fin dai lontani millenni del matriarcato. Quella anche di Haensel e Gretel.

Quando dal paese dei balocchi si esce somari

Questo ampio preludio vuole rendere omaggio a un personaggio, burattino, diversamente da tutti noi, solo di se stesso, che da sempre mi insegna a gettare abbecedari in testa al politicamente corretto. Ma apre anche a un mio sacrilegio nei confronti di Collodi, quando mi permetto di sostituire a una sua allegoria un’altra, che mi pare più consona. Nel Paese dei balocchi, dove sollecitato dall’infiltrato liberista Lucignolo e trasportato dal pusher Omino di burro, a forza di giochi, coca e assenza di scuole, i ragazzi diventano tutti ciuchini. Animale malscelto. Il ciuco è politicamente scorrettissimo e fa di testa sua più di qualsiasi quadrupede. Un po’ come il bassotto rispetto agli altri cani. Se proprio avesse voluto rappresentare l’azzeramento della maturazione dei ragazzi  con simboli animali, cosa mai rispettosa nei confronti di animali che, per l’intelligenza nello stare in armonia con il loro habitat, ci superano tutti quanti, avrebbe potuto usare i polli. Meglio,trattandosi di regressione, si potevano, che so,  trasformare i piccoli homines sapientes in homines erecti. La successiva  catastrofica involuzione del sapiens – come illustrata nell’immagine –  il buon Collodi non la poteva immaginare. Con Pinocchio alla macina, s’era fermato al lavoro salariato.

Un lungo sproloquio per dire che qui ci prendono per somari nel paese dei balocchi. Anzi, come metaforizzato nella correzione al maestro, perhomines neanche erecti. Ma ci va anche peggio. Molti di noi, quasi il 38%, si stava dando da fare per regredire allo stato di homo salvinianus, ulteriore degenerazione del homo pidinus, che già era la fase involutiva del homo (demo)christianus. 

Paese dei balocchi quel Trastevere zeppo di Lucignoli e omini di burro. Noi, ciuchi a cui rifilare le girandole scoppiettanti dei due balordi con pugnale, del pusher invisibile, dell’intermediario che per l’intera notte intrattiene rapporti fisici e telefonici con l’apparato d’intervento dei CC. I quali, con ben quattro pattuglie mobili e vari appiedati in zona, girano a vuoto per mezza nottata nel bailamme della movida tra Trastevere e Prati. Ma all’appuntamento decisivo con i malviventi si presentano, uno senza la pistola, “dimenticata” nell’armadietto, l’altro, sì, con la pistola, ma congelata nella fondina, mentre al collega vengono inferte uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici coltellate. E ora arriva anche il dubbio, davvero sconcertante, che i due non fossero neanche in servizio. Cosa ci facevano lì? Neanche uno sparo in aria. Il collega avrebbe rischiato l’incriminazione, ci hanno detto… E allora che il povero vicebrigadiere si facesse assistere da San Michele.

Ci asteniamo dal trarre conclusioni. Nel giro di minuti i giornaloni dell’odio e del rancore ci attribuirebbero la “dodicesima pugnalata” al povero Cerciello. Ci accontentiamo delle parole del procuratore Prestipino: “… Ma dire che a distanza di tre giorni che non ci siano ancora aspetti oscuri, sarebbe quantomeno precipitoso”.  Oscuri come la notte. Di Trastevere e della Repubblica.

Ciuchi nel circo TAV

Peggio dei somarizzati del paese dei balocchi, forse alla stregua del ciuchino Pinocchio alla mercè del direttore di un circo che, a forza di frustate, lo fa ballare, saltare il cerchio e inginocchiare (la fatina dai capelli turchi sta a guardare. “Le avventure di Pinocchio”, cap. 33), ci considerano quelli che fanno passare per progresso una ferrovia semivuota, che sventra valli, comunità e montagne, concepita alla fine del secolo scorso e che i partner francesi, avendone sul loro territorio due terzi, ma pagandone un terzo, finiranno alla metà del secolo in corso. Quando ci sarà più poco da trasportare, dato che le stampanti tridimensionali fabbricheranno tutto in casa e le masse previste viaggiare, chissà perchè, da Torino a Lione, saranno state decimate dai volo low cost, se non dal calo demografico, dallo scioglimento dei ghiacciai che avranno inondato le valli alpine con tutti i loro binari e, se non basta, dalle stragi elettromagnetiche del 5G. Ecchissenefrega, non vogliamo mettercelo? L’Italia nel mondo passa da qui. Col passaporto ‘ndrangheta che, finchè dura la globalizzazione capitalista, vale dappertutto.

Sicurezza decchè?

Ci sarebbe da dire del Sicurezza Bis, binomio di cui ha una certa aderenza alla realtà solo il secondo termine, visto come siamo messi in fatto di sicurezza nell’era del ministro di polizia e di tutto. Se di sicurezza si deve parlare, preoccupiamoci di quella degli africani, arabi, afghani, palestinesi, ai quali la sicurezza l’hanno rubata i parenti serpenti di Salvini, mentre ciò a cui li consegnano i partner dei barconisti è la sicurezza del caporale compatriota che ti spolpa per due euro all’ora, o del boss compatriota che ti fa picciotto della quarta mafia, quella nigeriana. Mi scaldano poco coloro, detti progressisti o sinistri, che inveiscono contro le misure indirizzate contro la neo-tratta degli schiavi, mentre nulla eccepiscono sulle misure che renderanno la partecipazione alle manifestazioni di studenti, pensionati, pastori, disoccupati, insegnanti, badanti, operai, a rischio di lazzaretto e carcere. Mi scaldano poco i provvedimenti, prima dissuasivi e poi punitivi, previsti per chi collabora al nuovo colonialismo inteso come strumento di dominio, predazione, alienazione, interne ed esterne, e finalizzato a rimpolpare la bulimica accumulazione dello 0,01% e dei suoi sicofanti. Sarà eterogenesi dei fini, rispetto all’allergia che i leghisti nel decreto esprimono per i neri, ma ben venga. Come non pensarci, a scoprire che la giustiziera della Grecia, madrina dei secessionisti lombardo-veneti, Merkel, era la sponsor e finanziatrice dell’eroina Rackete?

Pirandello e D’Annunzio? Alla colonna infame!

Ancora due temi. Anni fa mi scontrai duramente con un amico comunista, accanito studioso di Hegel e instancabile divulgatore di marxismo-leninismo. Degno di ogni rispetto, fino a quando la conversazione non sbattè contro una montagna sulla quale io stavo assiso e che lui intendeva spianare: Luigi Pirandello. Dimentico del pur amato Gramsci che, contro un burocrate sprovveduto che ne aveva sparlato da un palco a Mosca, aveva difeso il valore eversivo e il talento innovatore del  mirabolante creativo Filippo Tommaso Marinetti, il cui futurismo ebbe seguaci geniali soprattutto nella prima URSS, il compagno si accanì contro “quel venduto fascista con la camicia nera che inneggiava a Mussolini”. Essendosi messo la camicia nera, non valeva niente. Punto.

Pirandello, avrà pure messo la camicia nera, ma quella parte del cervello che non vi era implicata, cioè il 90 per cento, in quanto generatrice della più spietata, coraggiosa e profonda critica della degenerazione borghese dell’uomo, era più ontologicamente antifascista di quanto il compagno duro e puro potesse mai sognare di essere.

Il ricordo di quella disputa mi porta a Trieste, dove una autentica torma di belluini indignati si oppone all’erezione in piazza di una statua di Gabriele d’Annunzio. Anatema, in primis perché il Vate flirtava con Mussolini, anzi ne era l’ispiratore; in secundis, perché l’evento si voleva collegare alla ricorrenza della presa di Fiume guidata dal Comandante. Tutto visto, come da quel mio amico del Pirandello abietto fascista, nell’ottica striminzita, antistorica, settaria di un antifascismo dai toni totalitari e ottusi.

Cosa resta nel tempo di D’Annunzio? Il suo pavoneggiarsi nei salotti romani, i suoi tonitruanti manifesti interventisti, i suoi amori, certe prose turgide e perdute nelle irrilevanze? O una cultura vastissima che ci ha riavvicinato ai classici e alla letteratura mondiale moderna? O l’inventore della comunicazione di massa e di strumenti della modernità? O opere sfrondate dalla retorica del tempo, di indiscutibile valore e di toccante sincerità, in poesia come in prosa e in teatro. Come “La figlia di Jorio”, in cui il movimento delle donne dovrebbe vedere una prima rivendicazione di libertà ed emancipazione dopo l’archetipo Antigone.

Un uomo dei suoi tempi, nel bene e nel male, ma che li ha trascesi per restare nella Storia. Anche con l’impresa di Fiume che, se permettete, va vista sullo sfondo di città con diverso hinterland etnico-linguistico, ma con secoli e secoli di presenza italiana e costruzione culturale italiana. Sia detto senza l’ombra di un revanscismo territoriale, o di indulgenza contro le violenze successivamente inflitte ad altri titolari di quelle terre, ma contro l’unilateralità di chi si attesta su posizioni che impongono alla realtà storica ex-post rivisitazioni nel nome di ammende che spettano esclusivamente ai fascisti e al loro tempo.

D’Annunzio arrivò prima. E arrivò contro la soperchieria e l’arbitrio delle grandi potenze che pretendevano di imporre, allora come oggi, al nostro paese il destino a loro conveniente. Quello di Fiume, oltre a comprendere la redazione di un documento costituzionale, la Carta del Carnaro, che compete con quello della Repubblica Romana per istanze democratiche e sociali, fu un atto antimperialista, in difesa di una realtà storica che datava da mezzo millennio. A dir poco. Dunque D’Annunzio, poeta e protagonista della Storia nazionale, in piazza a Trieste ci sta benissimo. Gramsci lo gradirebbe. Non era di quelli stolti dell’acqua col bambino.

Italia 1600

Bibbiano? C’è di peggio.

Chiudo con un breve riferimento alla scellerata vicenda di Bibbiano, dove energumeni dal cinismo subumano si autoinvestivano del diritto di disporre di vite indifese, fragili, inermi, sulla base del solo criterio del profitto per sé e i compari, magari sentendosi anche un po’ dio, come i chierici del potere temporale. Nulla da aggiungere su quanto denunciato e deprecato. Solo che, ancora una volta, ci rendiamo grandi e incomparabili per ipocrisia e autocompiacimento. Dove sono le grida di disgusto, rabbia, indignazione, repulsione, a buona ragione lanciate su questa orripilante vicenda di dominio sadico, dove sono i pedagoghi, sociologhi, giuristi, educatori, moralisti, quando sui nostri schermi appaiono, senza remora e senza interruzione, bambini uguali a quelli manipolati e manomessi, manipolati e manomessi alla stessa stregua per pubblicizzare un qualche prodotto, perlopiù truffaldino, o superfluo, o nocivo. Ma anche se fosse la Sacra Sindone!

Che qualifica dare a coloro, genitori in prima linea, e poi il turpe branco dei pubblicitari, produttori, mediatori, agenti, confezionatori, grafici, copywriter, dirigenti di TV, che impongono a bambini senza difese intellettuali e provvisti solo di indebita fiducia negli adulti, la menzogna, la finzione, la recitazione, il dire ciò che gli impongono e che ripetono senza poterci credere. Si tratta di violenza senza limiti. Si tratta di abuso. Si tratta di prostituzione, si tratta di mercimonio. Insegnano a mentire. Oggi sulla merendina all’olio di palma, o sulla macchina scalda pianeta. Domani sul Tav. Ci fa schifo la classe dirigente che abbiamo, quando da piccoli venivano tirati su a forza di ipocrisia, esibizionismo, vanità, con i loro genitori che li incitavano a dire cose che non pensavano, a sorridere quando non se la sentivano, a obbedire a venditori di menzogne, insomma a fingere anziché essere autentici, onesti, veritieri!

Tutti coloro che si sono tanto spesi, in lacrime, opere e parole per i bambini sui gommoni, nei presunti lager libici, tra le macerie siriane (solo quelle nelle zone occupate da jihadisti o curdi), nei traffici di Bibbiano, dove cazzo sono?

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:35

“MISTERI” TRASTEVERINI? DECRETI “SICUREZZA”? PIRANDELLO E D’ANNUNZIO “SPORCHI FASCISTI”? BIBBIANO, SALVI I BAMBINI? CI PRENDONO PER ——- SOMARI NEL PAESE DEI BALOCCHIultima modifica: 2019-08-02T23:32:05+02:00da davi-luciano
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