Sono 58 miliardi di euro gli investimenti previsti nel nuovo piano industriale 2019-2023 del gruppo Ferrovie dello Stato. Sommati a impegni pregressi, si arriva alla fantastica cifra di oltre 170 miliardi di euro. Dicono i vertici: “Un impegno record che conferma il gruppo quale primo investitore in Italia, con punte fino a 13 miliardi all’anno.
Uno sforzo sostenuto per il 24 per cento con risorse di gruppo, un indotto per 120 mila posti di lavoro all’anno, 15 mila assunzioni dirette in cinque anni e un contributo annuo all’aumento del Pil fra 0,7 e 0,9%. I ricavi raggiungeranno nel 2023 i 16,9 miliardi, e l’utile netto arriverà a 800 milioni…”.
Non è fantastico? Peccato che si tratti di soldi dei contribuenti, non di investimenti generati da risorse proprie dell’azienda, dal punto di vista industriale. Infatti anche quel 24 per cento è solo formalmente “proprio”. Potrebbe essere il doppio o la metà, visto che i trasferimenti pubblici in conto capitale o esercizio sono una quota dominante dei ricavi, e questo ammontare è frutto di decisioni strettamente politiche, cioè arbitrarie.
Quindi anche l’aumento del Pil e dell’occupazione sono un risultato arbitrario, e le risorse proprie tanto “proprie” in realtà non sono, e neanche l’utile netto lo è. L’intero quadro contabile ruota intorno a quanti soldi pubblici arrivano all’azienda, e sappiamo quanto questi siano preziosi e scarsi, e quindi da spendere con estrema cautela.
Vale la pena di ripetere il concetto: perché lo Stato non trasferisce alle Ferrovie il doppio o la metà dei circa 10 miliardi annui attuali di soldi nostri? Nessuno ha mai risposto a questo semplice quesito, a riprova che usando il termine “arbitrario” si descrive un fatto reale.
Il problema democratico, prima che economico, è la trasparenza dell’informazione, quando si tratta di soldi della collettività. Infatti Ferrovie dello Stato e i suoi conti, sono presentati all’opinione pubblica, con i giornali e le televisioni conniventi, esattamente nello stesso modo in cui di solito si parla delle scelte di una impresa privata esposta al mercato.
Ma chi ha verificato che quel fiume di soldi non potesse avere risultati migliori impiegato diversamente?
Certo toccherebbe al difensore dell’interesse pubblico dimostrarlo ai contribuenti, cioè toccherebbe allo Stato, ma questo ben se ne guarda. Alla gente potrebbero venire molti dubbi o delle strane idee.
Parlando di investimenti, nel mondo reale di solito se ne presentano i ritorni attesi, per giustificarli agli occhi degli azionisti. Ma su questo aspetto, le Ferrovie dello Stato non si ritengono affatto un’azienda normale, infatti non ne parla mai.
Ogni singolo euro nostro speso in ferrovie – è il messaggio implicito – ha ritorni in termini di benefici sociali, ci mancherebbe di pretendere veri profitti!
E se non fosse proprio così? Chi controlla tutti questi enormi benefici sociali?
Per gli investimenti il controllo è affidato alle analisi costi-benefici, prima promesse dal ministro Pd Graziano Delrio, e ora finalmente in corso di esecuzione grazie al ministro Cinque Stelle, Danilo Toninelli.
Anche se, per la verità, finora ne sono state pubblicate solo due: il terzo valico di Genova, che dichiarava l’investimento uno spreco di soldi pubblici, ma la politica, legittimamente responsabile finale delle scelte, ha deciso che si deve fare lo stesso.
Per il nuovo tunnel del Fréjus (il cosiddetto Tav), l’analisi dice che si tratta di uno spreco, ma forse si farà ugualmente (ci sono aspetti internazionali complessi).
Per l’Alta velocità Brescia-Padova (8 miliardi di preventivo, tutti italiani, la sovranità nazionale innanzitutto…) i risultati dell’analisi non sono ancora stati resi pubblici, ma il ministro, con sprezzo del pericolo, ha detto che si farà comunque.
Ma il massimo sprezzo del pericolo si è manifestato per le ferrovie siciliane, che presentano costi totali di preventivo da 13 miliardi. Sono opere che vanno fatte, sostengono a gran voce i Cinque Stelle. Pare addirittura che esista una analisi economica fatta da Delrio, ma per ragioni misteriosissime non è mai stata pubblicata. Corre voce che ne esista una anche per la nuova linea Napoli-Bari (7 miliardi di preventivo), ma anche qui il mistero rimane fitto.
Intanto il Paese tutto punta su una enorme e costosissima “cura del ferro” per crescere.
Ci puntava anche il governo precedente, quindi occorre prendere atto di una mirabile concordia di intenti (con i quattrini nostri).
Ma questo governo vuole spendere addirittura “di più”. Peccato che nel mondo il progresso tecnico vada da un’altra parte, su veicoli stradali non inquinanti molto più sicuri, e non costosi per le casse pubbliche.
Noi avremo invece splendidi treni, forse per la gran parte vuoti (e i treni vuoti non sono un granché nemmeno per l’ambiente), e per i quali si saranno scavati, più che tunnel, voragini nei nostri conti pubblici.