Il nostro NOTAV tra bandi, penali e derby giallo-verdi

notav.info
post 13 Marzo 2019 at 15:16

Bandi partiti o bandi rinviati? Tav o miniTav? Penali o non penali? Tradimento o fiducia?

Sono queste le domande con le quali ci siamo confrontati in questo periodo, tutto condito da una sovraesposizione informativa che ha monopolizzato un dibattito pubblico dal quale, scientemente, il movimento notav è stato escluso.

Stiamo vivendo una situazione completamene nuova rispetto al nostro lungo passato, dove si è innescato un ampio dibattito pubblico sulla Torino Lione come non si era visto mai. Dibattito viziato dalla campagna elettorale e da gruppi politici ed economici particolarmente interessati non forse per una volta, alla realizzazione dell’opera, ma a quello che rappresenta.

Diciamolo chiaramente, nemmeno chi lo dichiara ai quattro venti vede in una nuova linea tra Torino e Lione una qualche utilità economica o trasportistica. Decine di incompetenti si avvicendano in tv, sui social e sui giornali parlando a vanvera (e mai supportati da dati) di flussi di traffico, di corridoi per le merci, di sistemi trasportici e di bandi europei, senza sapere nemmeno la partenza e l’arrivo del treno che vorrebbero vedere sfrecciare dentro alla montagna.

Una nuova linea tra Torino e Lione non serve, questo è acclarato. E’ costosa e inutile e non risponderebbe in nessun modo alle necessità del Paese.

Non serviva un’analisi costi e benefici per dirlo, ma visto che c’è stata, ora c’è anche una certificazione autorevole che, sebbene giudicata negativa se non dilettantistica dai sitav perché non ha prodotto il risultato sperato, ha avuto il pregio di convincere il presidente del consiglio a mettere in dubbio il tav, come non era avvenuto mai.

Ma nonostante lo sforzo tecnico, non vi è possibilità di sfondare il muro eretto in questi anni dai favorevoli all’opera, perché non vi sarà mai un dibattito serio su questo argomento, ed ecco perché il movimento notav ha sempre dovuto far da sé mettendosi di traverso, non solo in senso letterale.

Siamo convinti delle nostre ragioni e siamo convinti che queste non siano egoistiche, ma rappresentino buona parte del nostro Paese. Da Palermo a Catania ci vanno 10 ore in treno, a chi servirebbe risparmiare 20 minuti per arrivare a Lione, siamo sinceri.

Lasciamo ad altri articoli sul sito tutte l’operazione meticolosa che continuiamo a fare nello smontare fake news e dati falsi che da oltre 20 anni circolano, qui vogliamo fare chiarezza su un paio di punti che ci stanno a cuore.

Per la prima volta in quasi trent’anni il Tav è stato messo in discussione dal governo e questo non era mai avvenuto. Partiamo da qui per fare chiarezza, perché abbiamo sempre affrontato tutti i governi che abbiamo avuto di fronte come controparte, perché alla fine di tutto è quello l’organo decisionale. Lo abbiamo sempre fatto senza distinzione politica di chi avevamo davanti e non abbiamo mai fatto sconti a nessuno, come avverrà anche questa volta.

Categorie come il tradimento non sono utilizzabili dalle nostre parti perché il Movimento 5 stelle da noi non ha mai avuto carta bianca, come non ha avuto mai nessuno in passato e mai nessuno l’avrà in futuro.

Siamo gente semplice, abituata a decidere insieme, pubblicamente, guardandoci in faccia ogni volta. Inoltre siamo abituati a non delegare a nessuno il nostro futuro e questo ci ha sempre garantito di essere protagonisti delle nostre scelte.

Ora la situazione per noi non è mutata ma senza dubbio è più positiva di un tempo. La nostra lotta è stata in grado di condizionare il governo in diversi atti che fino a qui sono stati fatti: il non allargamento del cantiere, il blocco alla variante dell’autostrada, il rinvio dei bandi nella prima fase della vicenda ad esempio. Tutti atti tecnico/politici che hanno fatto si che non si muovesse una foglia nel fortino di Chiomonte.

Ora c’è la questione dei bandi lanciati con clausola, che in soldoni significa 6/8 mesi di tempo guadagnato dal nostro punto di vista. Certo il blocco totale era meglio ma il sistema Tav è una piovra dai mille tentacoli e per fermarlo bisognava a tempo debito, tagliargli la testa.

Questo per molti motivi, tutti ascrivibili alla mediazione politico istituzionale, non è avvenuto ma ce ne faremo una ragione.

Inoltre a noi poco importa che il M5s salvi la faccia. Vogliamo che il governo fermi il tav senza mini scappatoie. Per questo abbiamo lottato e per questo lotteremo come sempre abbiamo fatto. Ci sono quelli che non aspettano altro che gridare tradimento per dire l’ho sempre saputo.

Ci sono quelli che vorrebbero vederci fare il tifo in questo derby gialloverde. Forse sfugge che questa per noi non è una battaglia di opinione. Ne va delle nostre vite, ne va della nostra Valle.

Non ci siamo mai fermati in attesi degli eventi e non lo faremo neanche questa volta, e per questo saremo a Roma il 23 con una manifestazione nazionale.

Così come prosegue la campagna contro la militarizzazione della Valle che ci vede impegnati quotidianamente a mettere in discussione e in difficoltà l’apparato militare che impedisce la libera circolazione nella nostra Valle.

Questo Paese ha bisogno di tante altre cose immediatamente realizzabili piuttosto che di un’opera nata vecchia e basata sul nulla. Ha bisogno di piccole opere e di tanto, tanto entusiasmo che solo le lotte possono dare con obiettivi raggiungibili e soprattutto collettivi, come quelli della nostra lotta.

Vi aspettiamo a Roma  il 23 Marzo.

VENEZUELA-SIRIA, TAV- EASTMED, SECESSIONE DEI RICCHI-REDDITO DI CITTADINANZA… O SI MUORE. —– AL CROCEVIA DEL DESTINO

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/03/venezuela-siria-tav-eastmed-secessione.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 12 MARZO 2019

Potevano essere indotti ad accettare le più flagranti violazioni della realtà, poiché non hanno mai pienamente compreso l’enormità di quanto da loro si pretendeva e non erano abbastanza interessati ai fatti pubblici per accorgersi di cosa stava succedendo”. (George Orwell)

Di questioni che ci impongono a scegliere fra due o più strade in direzioni divergenti, perché sono in grado di determinare il nostro presente e futuro, dopo che è stato alterato e travisato il nostro passato, ce ne sono molte. Mi sono limitato a considerarne, a volo d’uccello, alcune, quelle che mi paiono al momento le più pressanti.

Siria e Venezuela: non è fatta!

Vedo buontemponi che si fregano le mani  convinti che in Siria, se non alla vittoria completa di quel popolo, dei suoi alleati e della sua dirigenza, con relativo riequilibrio geopolitico, si sia quanto meno alla sconfitta di assalitori e loro mercenari. Quando gli assalitori covano progetti elaborati nei decenni, in buona parte realizzati, dotati di forza militare (nucleare) e mediatica senza pari, decisivi per il loro ruolo e i loro obiettivi nel mondo, e dunque irrinunciabili, nessuna partita si può dire vinta, anche se nemmeno persa. E di mercenariato, tra masse alienate e alla canna del gas, ce n’è una fonte inesauribile.  Colonialismo e neoliberismo ne sono prodighi.

La stessa schiatta di fiduciosi nelle “magnifiche sorti e progressive”, ma ignari del pessimismo cosmico leopardiano, passato un mese dalla grottesca epifania di un teppistello da angiporto, però addestrato da Otpor a Belgrado e dalla National Endowment for Democracy (leggi CIA) a Washington, sottovalutando la psicopatologia dei mandanti e la determinazione dei banchieri sulle loro spalle, crede che basti la mancata defezione dei militari e il sostegno popolare maggioritario per affermare la vittoria di Nicola Maduro e della resistenza bolivariana. Magari restando un tantino interdetti per i tre micidiali colpi cibernetici che hanno annientato il funzionamento energetico del paese.

Il primo dei quali subito smascherato come atto bellico Usa dalla rivista “Forbes”, ma, prima ancora, in quanto annunciato, a 2’40” dal suo verificarsi, dal vaticinatore per il presidente venezuelano della stessa fine di Gheddafi, Marco Rubio, uno di cui andrebbe messa in discussione la natura umana. Con ogni evidenza, la guerra per cancellare dalla faccia della Terra la realtà bolivariana e l’intera emancipazione latinoamericana è appena iniziata. E se il moloch ripete con accanimento “tutte le opzioni sono sul tavolo”, sa quel che si dice e il blackout in atto si può definire l’inizio della guerra (economica) totale.

Chi vince prende tutto

Di crocevia della Storia, in entrambi i casi si tratta. Qui (ma anche in Afghanistan, Yemen, Libia, Iraq, Iran, Ucraina, Corea del Nord, Europa) alcuni miliardi di esseri umani sono coinvolti in un processo che li pone al bivio tra la fine dell’uomo voltairiano e socratico, e l’uomo del consumo-autoconsumo, abbarbicato alla slotmachine, o affogato nello smartphone, con zero altre opzioni o diritti. Ma anche tra esproprio totale e fine dell’uomotout court. E, meglio ancora, tra mafia e padrini, definitivamente elevati al rango di governo globale, e quanto ci resta di sovranità dell’individuo, sublimata in sovranità di popolo e Stato.

O vince l’imperialismo USA (con l’appendice junckeriana UE e del neofeudalesimo tirannico dei detriti antistorici sauditi), strumento dei finanzdittatori del mondialismo, o resiste uno straccio di potere del diritto, come emerso dai bagni di sangue della storia con il Trattato di Westfalia e poi la Carta dell’ONU. O il governo della legge, o l’arbitrio di chi si arroga il diritto di imporre gli interessi del proprio 1% al resto del pianeta vivente. Tipo tagliandoti le mani se non ottemperi alle sanzioni all’Iran, ti incammini sulla Via della Seta, sposti denaro dall’alto al basso, non accetti di fare da bersaglio alle rappresaglie missilistiche russe a missili Usa, o non riconosci un turpe fantoccio emerso dal  laboratorio di pendagli da forca per rivoluzioni colorate e colpi di Stato, inaugurato a Belgrado contro la Jugoslavia e ricaricato a molla ovunque occorresse.

Camere a gas 2.0

Il TAV non serve a nessuno, se non alle mafie degli appalti e loro padrini politici, è il doppione di una ferrovia esistente, ma costa/rende 20 miliardi e la devastazione di Prealpi e Alpi, con relativa umanità, fauna e flora. L’Eastmed, il gasdotto ora all’esame del governo, sarà il più lungo del mondo, con 1.500 km subacquei che passano su faglie sismiche e vulcaniche, costa 12 miliardi di euro (in effetti il doppio) e fornisce appena il 5% della domanda europea (contro il terzo fornito a prezzo più basso dalla Russia), coinvolge Israele, Cipro, Grecia e Italia e sbocca, come il TAP, in Puglia. Taglia fuori Turchia, Libano, Siria e Palestina (Gaza), che si affacciano sugli stessi giacimenti del Mediterraneo Orientale. Cerca di ridurre il ruolo della Russia. Ma elimina dal gioco soprattutto l’Egitto e l’ENI, possessori del giacimento più vasto e fornitori più ricchi, meno costosi e a noi vicini. Dal che si capisce meglio, sia l’operazione Regeni, che la spaventosa guerra terroristica lanciata contro l’Egitto dai Fratelli Musulmani (Isis) a nome dei concorrenti.

TAV, TAP, Eastmed, Italia hub del gas europeo, trionfo del fossile e sacrificio della nostra residua integrità ecologica nel tempo in cui incontrovertibili studi e conseguite evidenze ci lasciano 10 anni perché l’inizio dell’estinzione di massa (già in atto per il 40 % dei vertebrati e per molto di più degli insetti), sia irreversibile. Grazie all’energia fossile siamo stati capaci di arrivare a fine agosto avendo già esaurito quanto il pianeta può fornire in un anno. Non c’è un vertice sul disastro climatico e sulle morìe che provoca, tranne quello di Kyoto, dove personalmente ho visto gli Usa, con l’ambientalista Al Gore, bloccare l’obbligatorietà dei vincoli, che imponga sanzioni agli Stati che non raggiungono i già tardivi e minimalisti obiettivi di riduzione dei gas serra e di consumo del suolo. Abbiamo un piede sospeso sul baratro, ma i padrini della criminalità organizzata politico-economica si costruiscono bunker e isole buenos retiros. E ricercatori Frankenstein ben pagati cercano tecnologie per spegnere il sole due ore al giorno, o raccogliere le alluvioni in innaffiatoi.

Sbloccare i cantieri o bloccare le frane?

Lo sfessante e ormai ridicolo rinvio della decisione sul TAV, per sentire francesi ed europei che sanno benissimo  come tutto il Corridoio 5 non esista più e fare quel buco serva solo a bastonare gli sconvenienti 5 Stelle, finirà in parlamento. Qui il da sempre finto bipolarismo si tradurrà in perfetto monopolarismo, come del resto su tutto ciò che conta (Atlantismo, Israele, Venezuela, Via della Seta, trivelle, affari, malaffari), e il TAV finirà,.anzi partirà, come il TAP e l’ILVA. Di Maio ha detto: “Noi le infrastrutture le vogliamo fare, anche quelle nuove” e tutti i gialloverdi si riempiono la bocca dello “Sbloccacantieri”, eco tonitruante del renziano “Sbloccaitalia”. Mica hanno detto “Qui tocca rifare l’Italia”. Dissestata, inquinata, franata, siccitata, alluvionata, cementificata, soffocata, con i ratti che impazzano e gli esseri umani che stanno a guardare. E a morire. C’è uno che lo dice. Si chiama Costa e fa il ministro dell’ambiente, come nessuno l’aveva fatto prima. Al crocevia non va lasciato solo.

Fare o disfare l’Italia

In compenso qualcuno ha detto, anzi ha bisbigliato, dato che ancora le plebi non hanno saputo niente, che l’Italia va… disfatta. E qui siamo a un altro crocevia  del destino, dalla scelta irrinunciabile. Speravamo in un nuovo bipolarismo: 5 Stelle da una parte, tutti gli altri, come loro natura e le rimpiante larghe intese bancarie comandano, dall’altra. Invece siamo al monopolarismo con frange. E siccome noi di signori abbiamo i signorotti di provincia, il nostro nuovo feudalesimo subimperiale si articolerà in piccole unità monovernacolari, monoculturali, monofiscali, insignificanti e inoffensive sulla scena europea e mondiale, con la classica vocazione dei microbaroni e microprincipotti italioti: Francia o Spagna purchè se magna. Nel caso si tratta di Francia e Germania. E gli altri?Un volgo disperso che nome non ha.

E questi che governano, lo stesso custode della Costituzione, di cui il valore più alto è l’unità d’Italia, si rendono meritevoli delle misure che la Patria prevedeva per alto tradimento Perciò lo fanno di soppiatto. Come ladri nella notte. E nessuno, né tantomeno Salvini, gli spara.

Al bivio tra Via del Padrino e Via dei picciotti

Resta un ultimo bivio tra la via al mondo dei gangster e quella al mondo degli umani, con il loro indispensabile corredo animale, vegetale, ambientale. Non s’era mai visto, dopo gli uomini saggi e buoni di Neanderthal, che il flusso della ricchezza dalla terra agli uomini e, tra questi, da quelli bassotti a quelli altotti, cambiasse verso, dall’alto verso il basso. Attimi, in migliaia di anni, si sono avuti dopo il 1917, qua e là nel mondo. Ma è durato poco. Poi quattro stenterelli, intestatisi le stelle, ci hanno riprovato. Un piccolo esperimento, capace però di fare da innesco, soprattutto alla consapevolezza che il trasferimento dal basso verso l’alto non era necessariamente nella natura delle cose. E per cinque milioni di italiani hanno invertito la corrente. E’ successo il finimondo. Anatemi, scomuniche, roghi (mediatici) Come quando Copernico (15°secolo D.C), informatosi da Aristarco di Samo (terzo secolo A.C), asserì che la Terra girava intorno al sole. E non viceversa, neanche se è sulla Terra che era venuto Gesù bambino.

E fu il reddito di cittadinanza. Quello per i fannulloni sul divano. Quello del suo più nevrastenico oppositore. Tale Roberto Ciccarelli che, a disco rotto, ha ripetuto 127 volte l’esorcismo: “sussidio di povertà impropriamente detto reddito di cittadinanza”. E’ uno che vanta tutti i crismi della credibilità: sull’11 settembre ha sepolto sotto sberle e sputazzi oltre 3000 scienziati e tecnici che non erano proprio d’accordo con il racconto di Bush. Scrive sul “quotidiano comunista” . Quindi i soldi per i poveri gli vanno proprio di traverso. All’incrocio, non ha esitato un attimo.

Possiamo esitare noi che siamo il 99% e abbiamo la scelta tra il padrino, che infila popoli tra i tondini delle fondamenta dei suoi edfici e quelli che mafiosi non sono.  Ci facciano un pensierino colui che si chiama con termine antipatizzante “capo politico” e la polvere di stelle che lo segue. Al crocevia, che strada sceglieranno, dato che la scelta di Salvini, e dei suoi compari nel monopolarismo, chierici del pensiero unico, quello del padrino, la conosciamo bene?

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 23:00

TCHAD-LIBYE-SOUDAN. COMPRENDRE LA STRATEGIE ANTI-TERRORISTE DU PRESIDENT IDRISS DEBY ITNO (LA GEOPOLITIQUE DU TCHAD III)

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2019 03 12/
VIDEO.FLASH.GEOPOL - Geopol du tchad III - amtv (2019 03 12) FR

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans FACE A L’ACTUALITE du 6 mars 2018

sur AFRIQUE MEDIA

J’ai à nouveau analysé la Géopolitique du Tchad ce 6 mars sur AFRIQUE MEDIA, sujet complexe au moment où se répandent les rideaux de fumée de la propagande d’une grande campagne médiatique de confusion et de désinformation contre le président tchadien

Sources :

* La Video sur WEBTV TCHAD/

LUC MICHEL: TCHAD-LIBYE-SOUDAN.

COMPRENDRE LA STRATEGIE ANTI-TERRORISTE DU PRESIDENT IDRISS DEBY ITNO (SUR AFRIQUE MEDIA)

sur https://vimeo.com/322421524

* Thème de l’émission :

TCHAD / LUTTE CONTRE LE TERRORISME

Comprendre les véritables raisons de la fermeture de la frontière du Tchad avec la Libye.

* Quelle est ma thématique :

COMPRENDRE LA STRATEGIE ANTI-TERRORISTE DU TCHAD

Comment le président Idriss Deby Itno utiise deux fenêtres d’opportunités géopolitiques – le recul de Paris face à Moscou en Centrafrique et l’élection du maréchal Al Sissi à la tête de l’Union Africaine – pour faire avancer le combat antiterroriste du Tchad ?

Le président tchadien utilise la faiblesse des français (arrivée des russes en Centrafrique) pour liquider ses djihadistes. Stratégie menée par l’alliance stratégique avec l’égyptien Al Sissi et le libyen Haftar. Les russes ont fait de même en Syrie en 2015-16.

Au Sahara, la géopolitique est un billard à 3 bandes ou le trio Sissi/Haftar/Deby utilise l’hypocrisie de la « lutte au terrorisme » occidentale pour ses propres objectifs. En Libye et au Tchad notamment. Ce ne sont pas des « tchadiens qui ont été bombardés » (comme l’écrit l’opposition compradore tchadienne à Paris) mais des groupuscules terroristes (plusieurs groupes alliés tchadiens et soudanais installés en Libye et soutenus par Farj Libya et le Qatar à Tripoli. Tout cela doit d’appréhender globalement.

C’est aujourd’hui le « Grand Moyen-Orient » très compliqué (dont l’Afrique fait partie jusqu’au Sahel pour les géostratèges américains) …

COMPRENDRE LA GEOPOLITIQUE PRAGMATIQUE ET RÉALISTE DU PRÉSIDENT TCHADIEN IDRISS DEBY ITNO

* Voir sur PANAFRICOM-TV/

LE ‘ZOOM AFRIQUE’ DE PRESS TV – ED. DU 14 AOUT 2018 – :

LE TCHAD DU PRESIDENT IDRISS DEBY ITNO LEADER PANAFRICAIN DE LA LUTTE CONTRE LE TERRORISME

(PRESS AFRIQUE)

sur https://vimeo.com/284989976

Comprendre la GEOPOLITIQUE DU TCHAD du Président Idriss Deby Itno et la politique étrangère et de voisinage que mène Ndjaména depuis 2011 ;

Comment depuis la destruction de la Jamahiriya en 2011, le Tchad a hérité du rôle géopolitique de la Libye de Kadhafi et est devenu l’ »Etat pivot » de la région ;

Les trois axes de la Géopolitique tchadienne : Sahel et Golfe de Guinée (dont la lutte implacable contre Boko-Haram et le ‘G5 Sahel’), Libye et Sahara (triangle stratégique Déby-Haftar-Al Sissi), Axe Tchad-Centrafrique-Soudan (avec la ‘Force mixte’) ;

Au cœur de la visite de Macron : la rivalité franco-russe en RCA, les enjeux budgétaire, la relation Paris-Washington en Afrique …

J’y esquisse la géopolitique pragmatique et réaliste du président tchadien Idriss Deby Itno, devenu « par le sang versé » le leader de la lutte panafricaine anti-djihadiste. Et comment il louvoie entre l’interventionnisme occidental et sa volonté panafricaniste d’émancipation africaine, notamment vers la constitution d’une force transnationale, noyau d’une future Armée africaine …

# VOIR LE DOSSIER « GEOPOLITIQUE DU TCHAD

SUR LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY :

* LA GEOPOLITIQUE DU TCHAD (I).

VUE DE NDJAMENA

Sur https://vimeo.com/308291929

* LA GEOPOLITIQUE DU TCHAD (II).

VUE DE PARIS

Sur http://www.lucmichel.net/2018/12/29/luc-michels-geopolitical-daily-la-geopolitique-du-tchad-ii-vue-de-paris/

* LA VISITE DE MACRON AU TCHAD ET SES OBJECTIFS (II) :

LES VÉRIABLES ENJEUX AU-DELA DES RIDEAUX DE FUMEE DE LA GUERRE MÉDIATIQUE ?

Sur http://www.lucmichel.net/2018/12/23/luc-michels-geopolitical-daily-la-visite-de-macron-au-tchad-et-ses-objectifs-ii-les-veriables-enjeux-au-dela-des-rideaux-de-fumee-de-la-guerre-mediatique/

(Sources : Afrique Media – Press TV – EODE-TV – PANAFRICOM-TV – AFP – EODE Think Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

Tav, ora abbiamo sei mesi per decidere davvero. Da dove cominciamo?

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/11/tav-ora-abbiamo-sei-mesi-per-decidere-davvero-da-dove-cominciamo/5028502/

Tav, ora abbiamo sei mesi per decidere davvero. Da dove cominciamo?

Profilo blogger

Co-Presidente del Partito Verde Europeo

Allora, popolo dei No al Tunnel in Valsusa e Sì a un sacco di cose utili: che fare adesso?

Per noi che rifiutiamo di credere che tutti i problemi di Torino e del Piemonte passino per un tunnel che sarà pronto se va bene nel 2035, per il quale esistono adesso alternative più veloci e meno dispendiose. Per noi che ce ne infischiamo di sapere chi vince tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio dato che cerchiamo di costruire un’alternativa ai due: quali sono le prossime tappe dopo la disputa su cavilli e bandi e l’apertura di una possibilità complicata, ma reale di ridiscutere questo progetto nei prossimi sei mesi?

È chiaro che la lettera di Giuseppe Conte, al di là del cavillo sugli avis de marché – sono lanciati ma possono essere revocati – rappresenti un messaggio politico esplicito alla Francia e all’Ue. Non è escluso che magari alla fine decideremo di fare ‘sto tunnel. Ma per la prima volta a livello ufficiale non è più escluso neanche il contrario. E ci sono sei mesi per decidere davvero.

E allora usiamoli, questi sei mesi, per aprire un dibattito di merito, non soltanto in Italia ma anche in Francia e a Bruxelles, sulle alternative che esistono e in particolare sul fatto che migliorando il tunnel del Frejus e la linea attuale si possono creare le condizioni per ottenere gli stessi risultati. Il M5S ha buttato via un sacco di tempo dietro a un’analisi costi benefici che ha portato a risultati questionabili, che non ha fatto alcuna comparazione fra le diverse alternative in campo e ha lavorato a partire da una sostanziale neutralità fra autostrada e treno. Sbagliato.

Noi dobbiamo invece insistere sul fatto che è falso pensare che l’infrastruttura porti necessariamente nuovo allegro traffico, in assenza di politiche sulle tariffe dell’autotrasporto, sul miglioramento del nodo di Torino e sul chiarimento del ruolo di Orbassano. Va fatta una riflessione seria sul rapporto di questo valico rispetto al Brennero, al Terzo Valico e al tunnel del Gottardo, fatto dagli svizzeri ma che non ha nessuna particolare via di accesso in Italia; e naturalmente sul fatto che non si può parlare oggi di trasporto merci nello stesso modo in cui lo si faceva 30 anni fa. Questa discussione deve essere portata anche a livello Ue e in Francia. E lo sarà, almeno dai Verdi europei.

Ieri la Presidente della commissione Trasporti del Parlamento europeo, la Verde francese Karima Delli, ha annunciato che proporrà di fare un’audizione pubblica chiamando tutte le parti in causa nella sua commissione. Aveva già in passato sostenuto che non è vero che ci saranno sanzioni miliardarie da pagare se si decide di non fare il tunnel, anche perché nessuna decisione finale è stata presa in sede europea sul suo finanziamento finale, dato che questa decisione dipende dalla decisione sul bilancio 2020/2027, ancora in altro mare. Poiché sono in ballo anche i finanziamenti Ue per Brennero e (purtroppo) Terzo Valico, nonostante la Commissione Juncker abbia scelto di accompagnare la narrativa del tunnel come panacea di tutti i mali, non sarebbe impossibile mettersi intorno a un tavolo e ridiscutere in ambito europeo una ripartizione diversa che includa il contributo per il miglioramento della linea di valico.

D’altra parte, sappiamo che la dichiarazione della ministra francese secondo la quale in Francia i soldi ci sono non risponde al vero. E non è una questione tecnica, come si dice in Italia, secondo la quale loro non hanno una pianificazione multi-annuale e decidono anno per anno che fare. Non è proprio così. Semplicemente, il tunnel transfrontaliero non fa parte dei progetti di finanziamentoselezionati dal Consiglio di orientamento delle infrastrutture (Coi) e nessuna disposizione della legge stabilisce il finanziamento della sezione transfrontaliera del progetto Torino-Lione, come si può leggere documenti alla mano in una nota sul sito del movimento noTav.

Ma dietro la disputa specifica sul tunnel, il nostro obiettivo deve essere quello di ribaltare la logica dominante – ahinoi pienamente sposata dal Pd – secondo la quale il progetto di tunnel sotto le montagne su una linea usata a un sesto del suo attuale potenziale – e che sarà pronto se va bene nel 2035 – viene eletto a simbolo di operosa attività e dinamismo, al punto che chi è contrario passa per un fannullone che ci vuole riportare a caverne e candeline.

La nostra ambizione deve essere quella di sottolineare che non si può essere a favore del tunnel e sostenere Greta Thunberg e i ragazzi che si battono per un’azione urgente e dirompente per fermare i cambiamenti climatici. E che ricorda che se vogliamo salvarci tutte le scelte su sviluppo economico, formazioneistruzione, nuovi lavori e infrastrutture deve essere fatta alla luce della priorità di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Cosa che significa cambiare radicalmente le priorità di investimento – per andare verso un modello energetico 100%rinnovabili ed efficienza -, scegliere pratiche di economia circolare che riducano spreco di risorse (e traffico inutile), puntare su un sistema di trasporti che privilegi treni pendolari, trasporti pubblici, mobilità dolce, digitalizzazione e green jobs, per uscire dal modello ancora dominante fossile e antiquato di cui il tunnel della Valsusa fa pienamente parte.

KABILA ET TSHISEKEDI. LA NOUVELLE DYARCHIE CONGOLAISE A L’EPREUVE DES MANŒUVRES AMERICAINES

* Voir la video sur PANAFRICOM-TV/

LUC MICHEL:

KABILA ET TSHISEKEDI.

PANAF-TV - LM diarchie rdc (2019 03 11) FR 1

LA NOUVELLE DIARCHIE PATRIOTIQUE CONGOLAISE A L’EPREUVE DES MANŒUVRES AMERICAINES

(SUR LE ‘ZOOM AFRIQUE’ DE PRESS TV, IRAN, 9 MARS 2019)

sur https://vimeo.com/322865509

* Suivre PANAFRICOM-WEBTV :

sur http://www.panafricom-tv.com/

# I- L’ANALYSE DU GEOPOLITICIEN LUC MICHEL

LA PRÉSENTATION DE PRESS TV :

« RDC. Dans un communiqué conjoint diffusé le mercredi 6 mars, les deux coalitions Cach et FCC ont affirmé leur volonté de gouverner ensemble. Elles ont aussi acté l’existence d’une majorité absolue acquise au FCC, la coalition de Joseph Kabila, et demandé au président Tshisekedi de nommer « diligemment » la personnalité chargée de former ce gouvernement, sur suggestion de Joseph Kabila en tant qu’autorité morale du FCC.

Analyse du géopoliticien Luc Michel. »

L’ACTUALITÉ QUE COMMENTE LUC MICHEL :

Fayulu, le candidat des chancelleries occidentales et des multinationales (choisi à Genève dans une réunion organisée par la multinationale des mines ‘Glencore’, opposée au nouveau Code minier de Kabila), depuis Bruxelles (tout un programme) dénonce lors d’une interview accordée à quelques médias belges la nouvelle majorité patriotique de gouvernement congolaise FCC-PPRD-CASH-UDPS (Belga ce 9 mars) :

« Fayulu a dénoncé l’accord de partage du pouvoir pour les vingt prochaines années conclu entre M. Kabila et M. Tshisekedi, le président – depuis le décès de son père, Etienne Tshisekedi wa Mulumba, le 1er février 2016 à Bruxelles – du parti historique d’opposition, l’Union pour la Démocratie et le Progrès social (UDPS). “C’est Joseph Kabila qui dirige le pays, c’est lui qui tire les ficelles. Félix Tshisekedi n’est qu’un masque porté par M. Kabila”, a-t-il dit. Selon lui, le président honoraire n’a que quitté le pouvoir en apparence après les élections.

  1. Kabila, qui a succédé à son père assassiné en 2001, s’est donné une majorité (à l’Assemblée nationale, la chambre basse du parlement congolais, où son Front commun pour le Congo, FCC, dispose de 341 députés “élus et nommés”, selon M. Fayulu, sur les 500 sièges) “en fabriquant les chiffres”, a martelé M. Fayulu, qui se présente comme “le soldat du peuple” congolais. Grâce aux résultats des provinciales – qui serviront à désigner les sénateurs – M. Kabila va diriger au moins 23 des 26 provinces, a ajouté l’opposant. “Il va diriger le pays. Il n’y aura aucune réforme, c’est la continuité du régime Kabila”, a-t-il enfin assuré. »

UN MOT D’EXPLICATION SUR LA « DYARCHIE » :

Luc MICHEL utilise une analogie avec une institution de l’Empire romain, mais aussi répandue en Grèce antique et ailleurs.

« La diarchie (ou dyarchie) est une forme de gouvernement où deux dirigeants règnent en position égale sur une société. Sparte, Rome, Carthage, le Grand-duché de Lituanie, l’Inde et des tribus daciennes ont été des dyarchies. Les gouvernements d’Andorre et de Saint-Marin sont des exemples de dyarchies contemporaines. Dans la Rome antique, par exemple, on qualifie de dyarchie le système politique mis en place par Auguste, avec un partage du pouvoir entre le princeps et le Sénat. »

# II- COMPRENDRE LES DONNEES POLITIQUES CONGOLAISES

QUELLE EST LA NOUVELLE MAJORITE GOUVERNEMENTALE PATRIOTIQUE CONGOLAISE ?

Le président Félix Tshisekedi gouvernera la RDC dans le cadre d’une « coalition gouvernementale » avec les partisans de son prédécesseur Joseph Kabila. En RDC, les plateformes de Tshisekedi et Kabila ont opté pour une coalition gouvernementale. Des accords de majorité ont été signés entre la plate-forme politique Cap pour le Changement (CACH) et celle de l’ancien président, Front Commun pour le Congo (FCC). « Une coalition gouvernementale » ouvrant la voie à la désignation d’un formateur du gouvernement, selon un communiqué conjoint. selon un communiqué conjoint publié le 6 mars. Cette option vise à préserver « les acquis de l’historique passation pacifique du pouvoir qui a eu lieu le 24 janvier 2019, de conforter le climat de paix ainsi que la stabilité du pays (…) et de faciliter la mise en place rapide d’un gouvernement de plein exercice ».

Après des discussions entamées par les deux plateformes, « il se dégage que le Front commun pour le Congo détient de manière documentée la majorité absolue à l’Assemblée nationale » après les législatives du 30 décembre, selon le communiqué conjoint. Cap pour le changement (Cach). Les partisans de Félix Tshisekedi, proclamé vainqueur de la présidentielle de décembre, n’ont pu gagner qu’une cinquantaine de sièges à l’Assemblée nationale alors que ceux de l’ancien président Kabila revendiquent au moins « 330 députés nationaux » sur 485 élus. L’opposant Bemba en a 6.

Les sénatoriales interviendront le 15 et l’élection des gouverneurs le 26 mars 2019. En RDC, les sénateurs et gouverneurs des provinces sont élus au suffrage indirect par des députés provinciaux élus par le peuple. La majorité des élus provinciaux se réclament de la famille politique de l’ancien président congolais Joseph Kabila. Le Sénat et l’immense majorité des gouverneurs de province seront donc aux mains du FCC.

Joseph Kabila a verrouillé sa majorité et a rassemblé ses troupes le 20 février dernier. L’ancien président de la RDC avait invité ses cadres dans sa ferme de la périphérie de Kinshasa, trois jours après avoir rencontré son successeur Félix Tshisekedi. Une entrevue qui n’avait pas manqué d’alimenter les spéculations autour d’une possible future coalition gouvernementale (aujourd’hui avenue). Joseph Kabila et Félix Tshisekedi s’étaient rencontrés le 17 février pour la première fois depuis l’investiture de Félix Tshisekedi le 24 janvier. Des sources proches des deux personnalités avaient alors confirmé que les deux hommes avaient abordé la question de « la mise en place d’une coalition » politique. L’objectif était de former un gouvernement qui permettrait de gérer « ensemble » le pays, alors que la nomination d’un Premier ministre reste attendue.

PANAF-TV - LM diarchie rdc (2019 03 11) FR 2

COMMENT LES USA ENTENDENT « JOUER LA CARTE TSHISEKEDI CONTRE KABILA » (LA LIBRE AFRIQUE, BRUXELLES) ?

« RDC : Les Etats-Unis jouent la carte Tshisekedi contre Kabila » titrait ce 22 février ‘La Libre Afrique’ (édition africaine néocolnialiste du quotidien bele ‘La Libre Belgique’) :

« Les Etats-Unis ont pris les premières sanctions contre des responsables du processus électoral en République démocratique du Congo. Les deux têtes de la Commission électorale nationale indépendante (Corneille Nangaa et Norbert Bashengezi) et leurs familles proches sont sanctionnées et privées d’entrer sur le sol américain. Marcellin Mukolo Basengezi, conseiller du président de la CENI, et grand ordonateur de la négociation sur l’achat des machines à voter à la société sud-coréenne Miru Systems, est également touché. Il en va de même pour le président de l’Assemblée nationale Aubin Minaku, et le président de la Cour constitutionnelle de la RDC, Benoît Lwamba Bindu (…) Les affaires étrangères américaines annoncent aussi, mais sans donner de noms cette fois que certains « fonctionnaires électoraux, ainsi que des responsables militaires et gouvernementaux soupçonnés d’être responsables, complices ou auteurs de violations des droits humains ou d’atteintes au processus démocratique en RDC » sont également sanctionnés (…) Dans la suite de leur communiqué, les Affaires étrangères américaines annoncent que ces sanctions ne remettent pas en question leur future collaboration avec le « nouveau gouvernement élu » pour qu’il tienne ses promesses de lutter contre la corruption et pour la défense du respect des droits de l’homme. Le texte ne parle pas de « président » mais bien de « gouvernement élu ». Ce nouveau gouvernement n’étant pas encore sur les rails, il est évident que c’est en pensant aux belles paroles de Félix Tshisekedi que ce dernier paragraphe est écrit. Les Etats-Unis confirment ainsi qu’ils veulent travailler à une amélioration en profondeur du fonctionnement du pays. Ils savent pertinemment que, seul, le président ne peut y parvenir car la constitution congolaise ne lui en donne pas les moyens. »

Le quotidien belge ajoute : « En substance, les Etats-Unis mettent donc en garde le nouveau gouvernement à venir, issu des rangs de la majorité au parlement et donc de la plateforme de l’ancien président Kabila (FCC), qu’ils attendent des changements substantiels de sa part. En sanctionnant les cinq individus issus de la Ceni, du Parlement et de la Cour constitutionnelle, les Etats-Unis pointent un doigt accusateur sur les principaux échelons qui ont permis d’aboutir à la fraude életorale massive en RDC. Les Etats-Unis démontrent ainsi qu’ils ne sont évidemment pas dupes des résultats annoncés. Mais ils laissent entendre à la Kabilie qu’ils peuvent fermer les yeux si le nouveau gouvernement s’engage à travailler sur la route esquissée par Félix Tshisekedi. Pas certain que c’est ce qu’envisagent les membres du FCC qui se sont octroyés une substantielle majorité au parlement congolais. Le nouveau gouvernement n’aura donc pas carte blanche. Ce communiqué est tombé quelques heures après que la présidence de la république congolaise ait diffusé des images de Félix Tshisekedi recevant, tout sourire; l’envoyé spécial des Etats-Unis pour les Grands Lacs, Peter Pham, ce qui accrédite la lecture du « nous sommes derrière Félix et nous attendons que le futur  gouvernement respecte les belles paroles de ce Monsieur… « même si les membres du gouvernement ont fait allégeance deux jours plus tôt à  Joseph Kabila. Washington joue donc Tshsekedi contre Kabila. On prend les paris que Félix Tshisekedi sera bientôt invité à la Maison-Blanche ? ».

A noter que Peter Pham est le vice-président de « l’Atlantic Council », présidé par le général hon. Jones, ex conseiller à la sécurité nationale d’Obama … Mais aussi administrateur de l’Ong américaine de Katumbi (le favori du State Department … Mais encore dirigeant de « l’International Jones Group », firme « de sécurité » qui avait fourni à Katumbi les mercenaires qu’il avait introduit en RDC (et pour les faits dont il y est poursuivi) !

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L’ALGERIE ENTRE DANS LA ZONE DE TOUS LES DANGERS : ABDELAZIZ BOUTEFLIKA RENONCE A BRIGUER UN CINQUIÈME MANDAT …

QUI VEUT UN NOUVEAU « PRINTEMPS ARABE » A ALGER ?

(PARTIE III)

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LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Quotidien géopolitique – Geopolitical Daily/

2019 03 11 (19h)/

« Triomphe éclatant pour une révolution pacifique »

– Rahaël Glucksman (Paris, ce soir).

Après vingt années au pouvoir, le président algérien, extrêmement affaibli par un AVC, a déclaré qu’il renonçait à briguer un cinquième mandat !

Tous les médias français, réjouis, saluent « le nouveau printemps arabe » et appellent la foule à la seconde phase « de la révolution » (sic) …

Le sixième président de l’Algérie indépendante prend sa retraite. Atteint depuis 2005 d’un cancer de l’estomac, Abdelaziz Bouteflika, extrêmement affaibli par un AVC qui l’a cloué dans un fauteur roulant depuis 2013, a annoncé qu’il ne briguerait pas pour un cinquième mandat consécutif. Il aura profondément marqué l’histoire de l’Algérie.

SON HERITAGE :

LE PRÉSIDENT DE LA RÉCONCILIATION

Après dix ans d’une guerre civile qui a fait quelque 200 000 morts, c’est un pays traumatisé que récupère Abdelaziz Bouteflika lorsqu’il accède à la présidence algérienne en 1999. Sa mission, réconcilier la nation avec elle-même. Si la pacification du pays est à mettre à l’actif de son prédécesseur Liamine Zeroual, le nouveau président va entreprendre deux mesures fortes pour tourner définitivement la page de ce qu’on a appelé la « décennie noire ». En septembre 1999, il soumet par référendum un projet de loi dite de « concorde civile » qui prévoit une amnistie partielle des militants islamistes n’ayant pas de sang sur les mains, à condition qu’ils renoncent à la lutte armée.

Avec 90 % de suffrages positifs, le vote populaire est un véritable plébiscite. Peu à peu, les maquis se vident et plus 6 000 hommes déposent les armes. La loi d’amnistie sera finalisée en septembre 2005 avec l’adoption d’un second texte, la « charte pour la paix et la réconciliation nationale » prévoyant des indemnisations pour les familles de disparus ainsi des aides pour celles des terroristes. Dès l’année suivante, près de 1 500 islamistes condamnés pour terrorisme sont libérés de prison. Massivement approuvée par référendum (97 % de votes favorables), la charte garantie l’acquittement de toutes les forces de sécurité algériennes, peu importe les exactions commises. Si ces mesures assoient la popularité du président algérien, elles ne permettent pas de déterminer les responsabilités des nombreux massacres, en l’absence d’enquête. Au contraire, elles laissent grande ouverte la question des dizaines de milliers de disparus, qui pèse toujours sur la conscience des Algériens.

SON HÉRITAGE (2) :

UN ACTEUR RÉGIONAL ET AFRICAIN INCONTOURNABLE

Victoire militaire sur les islamistes algériens, soutien armé au Front Polisario, dans le Sahara Occidental, face au rival marocain, coopération avec l’Occident en matière de lutte anti-terroriste, ou encore gestion autonome de la prise d’otage du site gazier d’In Amenas, l’Algérie de Bouteflika s’est affirmée au cours de la dernière décennie comme une puissance régionale incontournable, marquant notamment son refus de toute ingérence étrangère sur son sol.

L’Algérie a le malheur d’être riche. Elle est le 3ème producteur de brut d’Afrique et le 9e producteur de gaz au monde. Les hydrocarbures représentent plus de 95 % des recettes extérieures du pays et contribuent à 60 % du budget de l’Etat. Ainsi, la rente pétrolière subventionne aussi bien le carburant et l’eau et les produits de première nécessité, que les secteurs de la santé et des logements. Fort des prix élevés du baril de brut durant la décennie 2004-2014, Abdelaziz Bouteflika s’est lancé dans de vastes chantiers publiques (métro d’Alger, autoroute est-ouest, ou barrage de Beni Haroun) et a réussi à désendetter le pays (la dette extérieure est inférieure à 2 % du PIB, NDLR). Le président algérien a également fait le pari de l’ouverture du pays aux entreprises étrangères. Or, l’économie du pays, qui reste marquée par une forte intervention étatique, a été frappée de plein fouet depuis 2014 par la chute des cours du baril de pétrole.

L’ECHEC DU PREMIER « PRINTEMPS ARABE » EN ALGERIE

L’Algérie n’a pas été épargnée par le soi-disant « Printemps arabe », en fait une opération de remodelage géopolitique du monde arabe par les USA. Fin 2010 (Alger est la première ciclle de l’opération américaine) et début 2011, à l’image de leurs voisins tunisiens, les Algériens, manipulés, descendent eux-aussi dans la rue pour réclamer avantage de justice sociale. En réponse, le président Bouteflika injecte quelque 24 milliards de dollars pour mieux indemniser les fonctionnaires et aider la jeunesse. S’il réussit à acheter la paix sociale, le président algérien bénéficie aussi de traumatisme toujours vif au sein de la population de la « décennie noire » du terrorisme.

Voici l’Algérie dans le trou noir de la seconde phase du « printemps algérien » …

Attention c’est le printemps de tous les dangers !

# COMPRENDRE :

* Révolutions de couleur – Printemps arabe – Printemps africain :

Lire sur PANAFRICOM/ ENQUETES SUR LA DESTABILISATION DE L’AFRIQUE (I) : DE LA YOUGOSLAVIE (2000) AU ‘PRINTEMPS AFRICAIN’ (2015-1018) : COMMENT S’ORGANISENT LES « REVOLUTIONS DE COULEUR » ?

Sur http://www.lucmichel.net/2017/09/03/panafricom-enquetes-sur-la-destabilisation-de-lafrique-i-de-la-yougoslavie-2000-au-printemps-africain-2015-1018-comment-sorganisent-les-revoluti/

* Voir sur sur AFRIQUE MEDIA WEBTV/

LUC MICHEL:

CE QUI SE PASSE VRAIMENT EN ALGERIE ?

NOUS ASSISTONS A LA SECONDE PHASE DU SOI-DISANT PRINTEMPS ARABE …

Sur https://vimeo.com/321803308

(Sources : AFP – Le Point – Afrique Media Webtv – LucMichelk. Net – EODE Think Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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LA NOUVELLE DONNE GEOPOLITIQUE EN IRAK OU COMMENT LES USA ONT PERDU LA MAIN A BAGDAD …

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2019 03 09/

VIDEO.FLASH.GEOPOL - Irak iran - presstv (2019 03 09) FR

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans LE DEBAT du 6 mars 2018

sur PRESS TV (Iran)

« Il est important de garder notre présence militaire en Irak afin que Washington puisse surveiller de près l’Iran parce que l’Iran est un réel problème »

– Donald Trump (sur CBS, 6 février 2019).

J’ai débattu ce 6 mars sur PRESS TV de l’évolution du dossier irakien, à l’occasion de la visite du président iranien Rohani en Irak. J’y confirmais mes analyses précédentes de novembre 2018 et février 2019 : oui, les USA sont bien en train de perdre la main en Irak et le contrôle du pays …

Sources :

La Video sur PCN-TV/

PRESS TV (IRAN, 6 MARS 2019) DEBAT AVEC LUC MICHEL:

LA NOUVELLE DONNE GEOPOLITIQUE EN IRAK OU COMMENT LES USA ONT PERDU LA MAIN A BAGDAD …

sur https://vimeo.com/322046088

L’article sur :

https://www.presstv.com/DetailFr/2019/03/06/590328/IranIrak-une-union-qui-fait-peur-aux-USA

* La présentation de PRESS TV :

« Iran/Irak: une union qui fait peur aux USA.

À deux jours de la visite du président iranien en Irak, pays que les États-Unis et Israël menacent de frappes militaires à cause de ses relations avec l’Iran et l’axe de la Résistance, le président irakien vient de faire une déclaration particulièrement importante. En effet, pour M. Barham Saleh, « ce sont les relations avec l’Iran qui décident des relations entre Bagdad et les autres capitales de la région ». Le président Saleh a rappelé aussi que les liens irano-irakiens n’étaient néfastes à aucun autre État du Moyen-Orient. Les propos de M. Saleh devraient faire réfléchir Washington et Tel-Aviv, eux qui, croyant pouvoir revivre les années de l’occupation, exigent la dissolution des Hachd al-Chaabi (Ndlr : milices gouvernementales de Défense populaire).

Le président irakien, Barham Saleh, a déclaré en effet que la prochaine visite du président Hassan Rohani à Bagdad revêtait « une importance de premier plan ». « La visite de M. Rohani en Irak est très importante et nous entamerons des discussions très approfondies avec les dirigeants iraniens. Ces discussions ont déjà été amorcées quand j’étais en visite en Iran. J’ai visité toutes les capitales de la région et je tiens à dire que nous tenons à avoir d’excellentes relations avec l’Iran puisque cela va dans le sens de nos intérêts », a souligné Barham Saleh en réponse à un journaliste qui évoquait une possible médiation irakienne entre l’Iran et l’Arabie saoudite. Et le président irakien a ajouté : « Nous avons payé par le passé le prix fort des tensions (guerre Irak-Iran, NDLR). Nos relations avec l’Iran devront être régies suivant le principe du respect de la souveraineté de chacun des deux pays et de nos intérêts communs. Quelques 1 400 kilomètres de frontières conjointes nous lient à l’Iran et à cela s’ajoutent nos siècles d’affinités culturelles, historiques, sociales.»

Bernard Cornut et Luc Michel, géopoliticiens s’expriment sur le sujet. »

# SUR L’EVOLUTION DU DOSSIER IRAKIEN DEPUIS L’INVASION AMERICAINE VOIR AUSSI

* Voir sur PCN-TV/

FABRICE BEAUR & LUC MICHEL SUR PRESS TV (IRAN)/

DANS ‘LE DEBAT’ (18.10.2017):

GEOPOLITIQUE. KIRKOUK & LA QUESTION DU KURDISTAN

sur https://vimeo.com/238967613

* Voir sur EODE-TV/

LUC MICHEL :

IRAK – DEPUIS 2003, QUELLE PLACE DANS LA GEOPOLITIQUE MONDIALE ?

(SUR ‘GEOPOLITIQUE INTERNATIONALE’, 8 JUIN 2018)

sur https://vimeo.com/279359108

* Voir aussi sur PCN-TV/

PRESS TV (IRAN) INTERROGE LUC MICHEL :

IRAK. LA FAILLITE DE LA STRATEGIE AMERICAINE

(SUR ‘REPORTAGE’ DU 29 NOVEMBRE 2018)

sur https://vimeo.com/304002588

* Et voir sur PCN-TV/

PRESS TV DEBAT AVEC LUC MICHEL :

LES USA ONT-ILS DEFINITIVEMENT PERDU LA MAIN EN IRAK ?

(PRESS TV, IRAN, 6 FEVRIER 2019)

sur https://vimeo.com/316392512

(Sources : Press TV – PCN-TV – Afrique Media – EODE-TV – EODE Think Tank

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

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“BUCHI NERI DELLA SIRIA”. O BUCHI NERI DEL GRANDE GIORNALISTA?

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/03/buchi-neri-della-siria-o-buchi-neri-del.html

DOMENICA 10 MARZO 2019

 

Pubblico un mio commento ai due articoli sulla Siria inviatimi da un amico di provata competenza.

Non ho mai capito come esperti di geopolitica e attenti osservatori delle questioni mediorientali, di cui si occupa il giornalista citato nei due commenti che riporto, abbiano potuto dare a esso credito di indipendenza e alterità rispetto alla stampa main stream.Sempre interno ai media di regime, prima al “Sole24Ore” e ora al “manifesto”, questo esperto di politica estera è un autentico campione della rappresentazione della realtà in chiave di vero/falso, di quelli particolarmente abili, ma anche trasparenti all’occhio collaudato. Il credito viene dal saper mescolare verità scontate con elementi spuri. A questi  si è portati a credere perchè, appunto, affiancate da verità riconosciute.

Nel pezzo sul “manifesto”, richiamato dall’amico Jure, solito campionario di ambiguità e di rappresentazioni in chiave di vulgata ufficiale, i passaggi rivelatori sono parecchi. Non per nulla il vicedirettore del quotidiano, Tommaso Di Francesco, riprende ed esalta il pezzo di Negri nella prima pagina del numero successivo. Atto dovuto per uno che ha rappresentato il meglio del “manifesto” al tempo della Jugoslavia, quando  lacrimava sui bombardamenti Nato e, al tempo stesso, gli spianava la strada parlando, alla tedesca e americana, di “Milosevic despota” e di “ultranazionalismo serbo”, accentuando poi la mistificazione con l’accredito offerto all’infame menzogna di Srebrenica.

Curdi? I bravi ragazzi della pulizia etnica

Si inizia con riferimento alle FDS (Forze Democratiche Siriane), mercenariato degli Usa al 90% curdo, con irrilevanti presenze assoldate da minoranze della zona. A definirle “curdo-arabe” gli si vorrebbe dare una legittimazione inter-nazionale e occultarne il ruolo, vuoi di ascari degli invasori occidentali, incaricati di rimpiazzare l’Isis nello squartamento della Siria, vuoi di unici buoni sulla scena, in quanto, rispetto al “regime”, “progressisti”,  “femministi”, “federalisti”, “ecologici”, “democratici” (nulla di più delle caratteristiche proprie, ma vere, delle forze patriottiche siriane). Nulla è detto della pratica di queste formazioni di espellere  dai centri abitati arabi coloro che non si piegano al loro potere, all’occupazione di case ed edifici pubblici, alla presa in possesso e allo sfruttamento degli impianti petroliferi e delle coltivazioni di Stato siriano e privati.

Si prosegue con la notizia di “6 miliziani delle forze scite” fatte fuori dall’Isis nella vicina Makmour, in Iraq, quando si tratta delle “Forze di Mobilitazione Popolare” irachene, a composizione totalmente inter-etnica, che sono state decisive nell’affiancare l’esercito di Baghdad nella disfatta dell’Isis (a dispetto del costante, documentato aiuto in materiali e armi fornito ai jihadisti dagli Usa e denunciato ripetutamente dalle FMP e dagli stessi parlamentari di Bagdad). Questi “miliziani” (termine che li dovrebbe apparentare ai terroristi) sono definiti “sciti” nell’intento propagandistico che vuole ridurre l’intero tentativo di ridisegnare il Medioriente in chiave colonialista a uno scontro religioso tra sfera scita e sfera sunnita.

L’aviazione della coalizione a guida Usa prepara il terreno ai curdi bombardando senza posa la zona ad est dell’Eufrate, come aveva fatto radendo al suolo Raqqa, provocando migliaia di vittime civili e distruggendo ogni vestigia storica, civile, infrastrutturale, con lo stesso scopo di ridurre all’inoffensività dell’età della pietra e allo spopolamento umano perseguito da Churchill sulla Germania della Seconda Guerra Mondiale. Di queste stragi degne, secondo l’ONU, della definizione di genocidio, non v’è parola nel pezzo dell’illustre analista. In compenso si evidenzia un’ “aviazione siriana che da giorni martella a Khan Shaykhun e Jisr Shughur, a sud e a ovest di Idlib”.  Brutti e cattivi bombaroli i siriani che lottano per far sloggiare il terrorismo turco-jihadista dal proprio territorio; taciuti  e dunque degni di silenzio, comprensione e attenuanti, gli invasori imperiali che spazzano via, più che i mercenari obsoleti, per insediare quelli moderni e presentabili, intere parti umane e materiali della Siria.

I curdi, ci informa Negri, alla luce delle incertezze sul restare o partire dei prosseneti americani, chiedono una forza internazionale di interposizione. Effettuata la pulizia etnica degli arabi siriani e allargato di cento volte il proprio territorio iniziale, sapendo che non saprebbero resistere nemmeno 24 ore allo scontro con l’Esercito Arabo Siriano, invocano i caschi blù, o qualcosa di simile, magari ascari del Golfo, per garantirsi la conquista e la frammentazione della Siria, progetto iniziale del colonialismo, mai abbandonato

Kurdistan siriano ieri e oggi

Non poteva mancare, nel racconto di Negri, la ribadita natura di “rivolta popolare contro il regime alauita” (notare: “popolare” e “regime”), che poi si sarebbe “trasformata in una guerra di procura contro l’influenza dell’Iran, vero motivo strategico del conflitto”. Ecco così purificata in rivolta popolare contro il regime una cospirazione imperial-colonialista, progettata da decenni, contro un paese laico, progressista, bastione antisionista e antimperialista, sopravvissuto alla distruzione di Libia e Iraq. Macchè, si trattava, per Negri, oltrechè di giusta rivolta popolare, di contenere l’espansionismo, detto “influenza”, dell’Iran. Un Iran assediato e minacciato da anni, in crisi umanitaria grave per via di sanzioni sociocide, che in Siria è intervenuto legittimamente, su richiesta di un paese aggredito da mezzo mondo, e solo dopo tre anni dall’inizio dell’assalto.

In tutto questo quadro non vi è una sillaba, neanche un pensierino nascosto tra le righe,sul fattarello che fin dal primo giorno della crisi, in Siria operava la marmaglia jihadista di Al Qaida, poi al Nusra, poi Isis, rastrellata in Libia, Marocco, Tunisia, Cecenia, Xinjang, repubbliche asiatiche, finanziata dagli illuminati governanti democratici di Saudia e Golfo, addestrata in Turchia e Giordania da turchi e marines, fornita di armi e assistenza sanitaria da Israele, arricchita dal furto di petrolio siro-iracheno tramite intermediari di Erdogan. E, naturalmente, spaventato il colto e l’inclita con l’affermazione, del tutto priva di fondamento, che oramai hanno vinto l’autocrate Putin, il regime di Assad insieme all’Iran, e ulteriormente terrorizzatolo con la denuncia che l’ideologia e le affiliazioni dell’Isis si sono diffuse ben oltre i confini del Medioriente, dall’Asia all’Africa, competenza, esperienza, e deontologia vietano ad Alberto Negri di ricordare che si tratta pur sempre di una fauna fiorita nelle serre seminate, coltivate dall’Occidente, da questo innaffiate, potate e portate a nuove fioriture. In caso contrario, che ne sarebbe mai dalla “guerra al terrorismo”, strumento indispensabile per la realizzazione del Nuovo Ordine Mondiale?

Ciò che invece al nostro attentissimo analista è incredibilmente sfuggito è proprio la notiziona del giorno. Quella che da 24 ore gira sulla rete ed è stata addirittura ripresa, a volte con malcelato orgoglio, dalla stampa occidentale, questa sì di regime. Ci siamo indignati perché i britannici si sono appropriati dei miliardi depositati dalla Libia nei loro caveau?  E poi, recentemente, che gli stessi illustrissimi banchieri della City abbiano requisito tonnellate di oro del fondo sovrano venezuelano? Gangsterismo? Ma no, pratica legittima, a protezione dei dirtti umani, delle democrazie colonialiste, dai tempi della Compagnia delle Indie e dello sbarco di Cristoforo Colombo “scopritore”.

Gangster e ladri

Ciò su cui l’esperto del “manifesto” ha sorvolato è di dimensioni ancora più grosse. Un sogno di Al Capone. Gli occupanti Usa in Siria hanno sottratto a quello Stato ben 50 tonnellate di oro. Lo affermano, non smentite, fonti dell’una e dell’altra parte. Comprese quelle locali. E’ successo nella provincia di Deir Ez Zor, a est dell’Eufrate, dove imperversava l’Isis e ora imperversano basi e forze speciali Usa e mercenari curdi.10 tonnellate erano stata rastrellate qua e là, dalle banche dei centri via via occupati. Ma ben 40, insieme a milioni di dollari in banconote, erano custoditi nell’ultimo presidio Isis ad al Baghuz. Il malloppo è stato consegnato ai militari statunitensi e portato via su elicotteri. In cambio, quelli dell’Isis e le loro famiglie hanno avuto quel salvacondotto che ha portato all’evacuazione da tutti vista nei notiziari dei tg. Ai curdi delle SDF sarebbe stato concesso una mazzetta, guiderdone per i servizi prestati.

Davvero un’altra tacca sul fucile dell’YPG, unità curde, e del giornalismo alla “manifesto”.

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La guerra infinita nella Siria dei «buchi neri»

Alberto Negri Il Manifesto

EDIZIONE DEL09.03.2019

PUBBLICATO8.3.2019, 23:58

Questa è la Siria dei «buchi neri», un conflitto con un campo gravitazionale così intenso che non se ne vede la fine. La guerra siriana proprio non si esaurisce all’orizzonte del modesto villaggio di Al Baghouz, sull’Eufrate.

Dove le forze curdo-arabe hanno assediato l’ultima sacca di un Califfato che a un certo punto controllava migliaia di chilometri quadrati a cavallo tra Iraq e Siria e la vita di quasi nove milioni di persone.

Al culmine della sua potenza ho potuto vedere sventolare la bandiera nera a 15 chilometri dal centro di Damasco, a 70 da quello di Baghdad, a 40 minuti di auto dalla capitale curda irachena di Erbil, a Makmour, dove proprio ieri l’Isis ha fatto fuori 6 miliziani delle forze sciite. E nella roccaforte dei curdi siriani a Kobane, nell’ottobre 2014, il vessillo di Al Baghdadi era di fronte, dall’altra parte della strada.

Dal buco nero di Al Baghouz vediamo emergere, insieme a centinaia di cadaveri di donne e vittime yazide nelle fosse comuni, i prigionieri dell’Isis e le loro famiglie. Le mogli dei jihadisti accusano ad alta voce gli americani di essere i veri massacratori del popolo siriano.

Qualche cosa di diverso mi racconta Lamya Haji Bashar la giovane yazida, premio Sakharov, ridotta in schiavitù dai jihadisti. «Le donne dell’Isis sono state quasi peggio degli uomini che mi hanno stuprato. Sono stata venduta cinque volte – racconta Lamya – e ogni volta picchiata, violentata e torturata dai miei aguzzini: gli uomini mi stupravano, le donne mi trattavano come un animale che striscia per terra». Il volto di Lamya porta le cicatrici di una granata esplosa mentre tentava la fuga ma i segni dentro la sua anima sono ben più profondi. «Vedo che oggi escono dall’assedio e chiedono di tornare a casa, mi domando se questa sia davvero giustizia: forse dovrebbero affrontare un processo alla Corte penale internazionale».

La guerra non finisce in questo lembo di terra siriana si Al Baghouz affacciata sul governatorato iracheno di Al Anbar – dove si stima ci siano ancora 5-7mila combattenti – per i seguenti motivi che elenchiamo:

1) A Idlib e nel Nord siriano _ 2,5 milioni di abitanti – ci sono ancora decine migliaia di jihadisti affiliati di Al Qaida, con stime variabili da 20mila a 40mila. La loro resa o ricollocazione è affidata all’accordo tra Russia, Turchia e Iran, ma non c’è ancora niente di deciso neppure dopo il vertice trilaterale di Sochi del 14 febbraio. L’aviazione siriana da giorni martella a Khan Shaykhun e Jisr Shughur, rispettivamente a sud e a ovest di Idlib, dove sono asserragliate anche le milizie filo-turche.

2) Continua il conflitto tra curdi e la Turchia. I curdi, considerati da Ankara dei «terroristi», chiedono una forza internazionale di interposizione mentre Erdogan insiste per ampliare la sua «fascia di sicurezza» dopo essersi impossessato del cantone curdo di Afrin: qui nelle scuole si insegna il turco e Ankara ha imposto la sua economia.

Il presidente turco ieri ha ribadito la minaccia di invasione e al contempo ha confermato la sua sfida a Usa e Nato con l’acquisto del sistema di difesa missilistico S-400 e per gli S-500 di prossima generazione. È chiaro che vuole il via libera di Putin, il quale nicchia, mentre tiene sulla corda gli americani.

3) Permane il vero motivo strategico del conflitto che nel 2011, da rivolta popolare contro il regime alauita, si è trasformato in una guerra per procura contro l’influenza dell’Iran, l’alleato storico di Assad, con il coinvolgimento della Turchia delle monarchie del Golfo e delle potenze occidentali che pur di abbattere il regime hanno sostenuto i jihadisti, come del resto ha affermato di recente il colonnello francese François-Régis Legrier nell’intervento sulla Revue de la Défense nationale, con grande disappunto delle Forze Armate.

4) Israele, che gli Stati uniti si ritirino o meno, continuerà i raid in Siria contro i pasdaran iraniani. Azioni militari che coinvolgono inevitabilmente gli Hezbollah, alleati di Teheran in Libano. Gli israeliani sono stati investiti da Washington del ruolo di guardiani della regione mentre anche Putin, che finora ha contato sugli iraniani, deve arrivare a un accordo sia con l’Iran che con Netanyahu che ha incontrato la scorsa settimana a Mosca.

Chi «tradirà» chi? Putin è il vincitore della guerra, insieme all’Iran e al regime di Assad, ma ha anche grandi interessi politici ed economici con Israele, la Turchia e le monarchie del Golfo: deve far fruttare, con la ricostruzione, una vittoria militare di prestigio ma assai costosa.

5) La fine territoriale dell’Isis non è la fine del jihadismo: continueranno azioni di guerriglia e l’insurrezione sunnita, tra Siria e Iraq, non è sepolta perché le rivendicazioni settarie restano sia in Siria che tra la minoranza sunnita dell’Iraq. Come non è certo evaporata sull’Eufrate l’ideologia dell’Isis che si è diffusa con le sue affiliazioni ben oltre i confini del Medio Oriente, dall’Asia all’Africa.

Una questione si lega all’altra, una guerra si lega all’altra. La fine dell’Isis, nel gioco degli specchi mediorientali, riflette il netto contorno di una sconfitta militare ma anche il destino tragico e precario di interi popoli e nazioni.

Aram Mirzaei for the Saker blog

Trump declares “victory” over ISIS but Washington’s foul plans in Syria are far from over

https://thesaker.is/trump-declares-victory-over-isis-but-washingtons-foul-plans-in-syria-are-far-from-over/

At the eve of the 8 year anniversary of the Syrian war, the battle for one of the last ISIS strongholds in Syria is still raging. The so called “caliphate” is on its last knees as US president Trump declares that “100 percent of ISIS ‘caliphate’ has been taken back.

Trump was of course only referring to the US coalitions “efforts” and didn’t even bother to mention that it is Syria and her allies that have done most of the heavy lifting. Nevertheless, he was right about ISIS losing all of the territories they occupied in Syria, but what happens now?

The US has for long declared that their presence (occupation) in Syria is mainly to fight ISIS, while sometimes also claiming to “prevent Iran from entrenching itself” in Syria. Of course any serious observer who has the slightest interest in Middle Eastern politics understands that this is a lie.

The US’ top priority has been from the beginning to save its masters in Israel from their day of reckoning. In the long run this objective is and has always been linked to the much greater plan of destroying the Islamic Republic, the only true threat to Israel’s continued existence. For years Washington has deceived and fooled a vast majority of the world’s population and “analysts” into believing that its presence in Syria is tied to “fighting ISIS”, while hiding their intentions to overthrow the Syrian government and destroying the Resistance Axis. Now, Washington’s true objective will resurface for everyone to see.

This goal has not been linked to a specific US administration but has been a very longstanding policy for decades no matter who’s the president.

Despite Trump’s bogus declaration back in December that the US is pulling out of Syria, Washington recently backtracked and declared it won’t fully withdraw its troops from Syria but will leave “400 peacekeeping forces”, making these soldiers an official occupation force as the last ISIS stronghold is about to be destroyed. This new situation leaves the US and European allies without any cloak of legality since the pretext of “counterterrorism” is no longer plausible.

But this should not come as a surprise to anyone. Only a fool would believe that the US has spent so much time and money on training and arming Kurdish militias to grab as much land as possible east of the Euphrates, just to let the Syrian government take all the land back in a deal with the Kurdish militias.

The continued US occupation makes any kind of reconciliation between the Kurdish militias and Damascus impossible. Now that the ISIS terrorists are gone, the future of the Kurdish militias remain very much at the hands of Washington. Where will they be used next?

Turkey has for long threatened to invade north eastern Syria as Turkish president Erdogan vowed to create a “safe zone” along the Syrian-Turkish border after a phone call between him and Trump. At the same time Trump has threatened Turkey to refrain from attacking its Kurdish proxies in that region. This contradictory situation became even messier when Moscow declared that it will not accept such a “safe zone” without Damascus approval, a highly unlikely outcome as relations between Damascus and Ankara remain very hostile.

To the northwest, jihadist group Hayat Tahrir Al-Sham has outmanoeuvred and taken over most of the other “rebel groups’” positions and now remains the sole powerhouse in the Idlib province. Turkey’s inability or rather lack of interest to remove these terrorists has opened up the possibility for a new Syrian Army offensive on the region. If history is to repeat itself, we should expect Washington to threaten Damascus to refrain from launching this offensive.

Meanwhile, voices are being raised in neighbouring Iraq, demanding US forces stationed near the Syrian border to leave the country. Despite the unlikelihood of US troops withdrawing from Iraq, such a scenario would give Washington even more incentive to hold on to its foothold in Syria.

Washington has recently showed a great obsession with Iran and will do its utmost to destroy the Iranian-Syrian alliance and to isolate Iran, making the Islamic Republic an easy target for Washington’s next planned “humanitarian intervention”. This is manifested through Washington’s strategic occupation of eastern Syria and the Al-Tanf region, located right next to the Iraqi border and close to the Golan Heights. This was further proven after President Assad’s surprise visit to Iran where Iranian officials revealed that Washington had offered Assad to back his presidency in exchange for him breaking ties with Tehran.

Terrorist forces in Syria may be on the verge of defeat, but their sponsors in Washington remain as dangerous as ever. The last chapter of the Syrian war is yet to be written.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 15:35

Si Tav. Flashflop del flashmob di Pd e madamine

9 marzo 19 Maverick

Meno di trecento persone tra apparato Pd, anziani borghesi e personaggi della politica. Trenini e slogan. Lega non visibile.

di Fabrizio Salmoni

Che sia stata la presa di posizione di Conte contro la Torino-Lione a far crollare il morale delle masse Si Tav o una più generale stanchezza di una massa di manovra poco avvezza a proteste di piazza reiterate, sta di fatto che il flash mob convocato ieri sui social dal Pd è stato piuttosto un flash flop: meno di trecento persone intorno al monumento di piazza Carignano e una specie di picchetto davanti al portone del Palazzo guidato col megafono da una delle madamine.

Lo stratagemma banale di convocarsi in mezzo alla folla dello shopping del sabato per sembrare di più funziona poco perchè il passeggio fluisce ininterrotto tra il Palazzo e il monumento senza mostrare particolare interesse mentre altra gente sta in attesa di entrare al teatro.

Qualche cartello, qualche bandiera assortita, ma non vedo segni evidenti di presenza di Lega, Fratelli d’Italia e fratelli fascisti (Casa Pound, Fuan, Forza Nuova) dei primi appuntamenti.

La composizione di quelle trecento scarse: in maggioranza personale di apparato del Pd, e le solite facce di anziani e commercianti.

Allineati sotto il Palazzo si fanno notare tra gli altri “prezzemolino” Silvio Viale in mezzo ai suoi quattro gatti per + Europa, Mariella Rizzotti di Forza Italia, Foietta e Chiamparino assediati dai fotografi. Poco più in là, parlotta il vecchio Fiorenzo Alfieri, ex assessore alla Cultura della giunta Fassino.

In un guizzo di vitalità collettiva , parte un girotondo al grido megafonato “Tutti intorno al Palazzo!”. Tempo di girare l’angolo di piazza Carlo Alberto e decidono di rientrare dal cortile visto il numero non sufficiente a completare il periplo.

Sbucano quindi dalla porta alle spalle del picchetto scandendo flebilmente “Bandi subito!”. 

Un anziano nel pubblico proprio vicino a me rivolgendosi alla sua signora chiede “Cos’è che gridano, “Ghandi subito”? BANDI, BANDI!!! risponde la signora.

Un po’ di calca all’arrivo di Chiamparino, un invito a ricordarsi della prossima scadenza del 17 marzo convocata dagli industriali e da La Stampa e poi tutti a mangiare il gelato.

That’s all, folks! (F.S. 9.3.2019)

FOTO

https://mavericknews.wordpress.com/2019/03/09/si-tav-flashflop-del-flashmob-di-pd-e-madamine/

La Banda del Buco: ditte fallite e i soliti noti di Tangentopoli

sabato 09/03/2019
I lavori per 1,4 miliardi. Da Cmc a Condotte a Gavio, fino ai piccoli appalti coinvolti dalle inchieste per corruzione e mafia: a chi sono finiti i soldi
La Banda del Buco: ditte fallite e i soliti noti di Tangentopoli

Lavorare per il Tav non porta benissimo, si racconta in Valle di Susa. Tutte e tre le aziende locali impegnate nella Torino-Lione sono fallite: la Geomont di Bussoleno, la Martina e la Lazzaro di Susa. Anche le imprese più grandi che hanno partecipato ai primi appalti non sono messe benissimo: la Cmc, Cooperativa muratori e cementisti di Ravenna, ha chiesto il concordato preventivo. Condotte è in amministrazione straordinaria. Sta meglio il gruppo Gavio, che controlla il 36,5 per cento di Sitaf (al 51 per cento di Anas) che ha lavorato per lo svincolo di Chiomonte (88 milioni di euro) e altre commesse (per un totale di 93 milioni). Sitaf – ironia della sorte – è la diretta concorrente del tunnel ferroviario, visto che gestisce il traforo autostradale del Fréjus.

L’impresa Pizzarotti di Parma (già tra i protagonisti di Tangentopoli, come Gavio, Cmc e Condotte) era nei consorzi che hanno realizzato le discenderie di Saint-Martin-la-Porte e di Villarodin-Bourget/Modane, in territorio francese. In quest’ultima, Pizzarotti ha sostituito Condotte, che aveva fatto una parte dei lavori. Cmc, con altre imprese, ha scavato invece le gallerie geognostiche di Saint-Martin-la-Porte, in alleanza con Cogeis, che ha poi lavorato anche alla discenderia di La Praz. Sul versante italiano, Cmc e Cogeis, insieme a Geotecna, hanno realizzato la galleria di La Maddalena, a Chiomonte, un lavoro da 126 milioni di euro. In totale, finora sono stati fatti lavori per 1,4 miliardi: 211 milioni per studi e indagini, il resto per le tre discenderie e la galleria geognostica sul lato francese (totale: 16 chilometri). Sul lato italiano, la galleria della Maddalena (7 chilometri). Dei soldi usciti finora, ben 789 milioni sono stati dati in concessione a Sncf, la società delle ferrovie francesi, per la realizzazione del tratto ferroviario all’aperto in Francia, che però è lungo meno di 4 chilometri. Infatti Sncf di quei 789 milioni ne ha spesi finora solo 2. A impegnare i soldi è stata Telt, la società dei governi italiano e francese.

Lunedì, se Telt darà il via ai bandi, ci sarà la vera partenza del Tav: saranno lanciate le due gare per l’intero tratto francese del tunnel di base, 45 dei 57,5 chilometri totali, del valore di 2,3 miliardi. Una bella fetta dei 9,6 miliardi di euro che è il costo totale del supertunnel.

I lavori della Torino-Lione eseguiti finora sono solo una piccolissima parte di quelli necessari per completare l’opera. Eppure sono riusciti ad attirare più volte l’attenzione della Procura di Torino. Indagini per fatti di corruzione e qualche infiltrazione mafiosa. Nel 2011 sono stati condannati per turbativa d’asta, in primo grado, Paolo Comastri, l’ex direttore generale della Lyon-Turin Ferroviaire (Ltf, la società poi sostituita dalla Telt), e l’allora responsabile della direzione costruzioni, Walter Benedetto. Insieme a loro era stata coinvolta anche Maria Rosaria Campitelli, di Mm Metropolitana milanese. La turbativa d’asta riguardava il tunnel che doveva essere scavato a Venaus (poi non realizzato). A scoprire gli interessi illeciti intorno allo scavo del tunnel geognostico italiano è poi arrivata l’inchiesta “San Michele” del Ros carabinieri e della Direzione distrettuale antimafia di Torino. Tra i tanti fatti emersi, l’estorsione ai danni dei proprietari di una cava a Sant’Antonino di Susa commessa da Gregorio Sisca, condannato in via definitiva per mafia, per conto di Giovanni Toro, imprenditore condannato per concorso esterno mafioso, che aveva preso in affitto la cava e voleva mantenerne il controllo: “Noi dobbiamo stare lì perché è lì dentro che nei prossimi dieci anni arrivano 200 milioni di euro di lavoro”, diceva Toro, intercettato. “La torta non me la mangio da solo. Me la divido con te e ricordati queste parole, che ce la mangiamo io e te la torta dell’alta velocità”.

Toro, preoccupato per le proteste dei No Tav, nella primavera 2011 diceva al telefono: “Se arrivano i No Tav, con l’escavatore ci giriamo e ne becchiamo qualcuno… E col rullo gli vado add… cioè salgo io sul rullo e accelero. Se non ti togli ti schiaccio”. Toro era in rapporti anche con un imprenditore di Susa, Ferdinando Lazzaro, a cui diceva, sui lavori nel cantiere di Chiomonte: “Prendiamo tutto noi”.

Lazzaro, titolare della Italcoge e della Italcostruzioni, ha poi patteggiato una pena per bancarotta fraudolenta ed è stato condannato (in primo grado) a 1 anno e mezzo per turbativa d’asta: fallita la sua Italcoge, per continuare a svolgere i lavori preliminari del cantiere di Chiomonte aveva fatto un accordo col curatore fallimentare e aveva presentato un’offerta per aggiudicarsi l’affitto di un ramo della sua azienda. Dall’inchiesta del Ros erano emersi anche i suoi contatti con la politica e con i Sì Tav. In un’informativa del 2012 si legge: “Sono emerse aderenze di Lazzaro con personaggi politici e della pubblica amministrazione”, a cui chiedeva aiuto per licenze e autorizzazioni. Tra questi, Antonio Ferrentino, consigliere regionale del Pd, ex sindaco No Tav passato al fronte dei favorevoli.

Il 17 settembre 2012, Lazzaro contatta addirittura Paolo Foietta, oggi commissario straordinario del governo per l’asse ferroviario Torino-Lione e allora dirigente dell’area territorio e trasporti della Provincia di Torino. Secondo i carabinieri, Foietta avrebbe garantito “il suo interessamento per addivenire a una soluzione della vicenda” che riguardava la ditta di Lazzaro: “Allora mi faccia una mail”, diceva Foietta a Lazzaro, “se mi mette anche il nome specifico del funzionario con cui avete avuto rapporti mi è più utile, così vedo di evitare giri”. Lazzaro ha replicato di aver sempre operato lecitamente: “Le gare del Tav le ho vinte regolarmente e senza alcun aiuto, tantomeno quello di Esposito o Rettighieri”. Si riferiva a Stefano Esposito, ex senatore del Pd, e Marco Rettighieri, ex direttore generale di Ltf.

Ci sono state anche quattro interdittive antimafia. Tra queste, una per i gestori del bar Gritty di Bardonecchia, che forniva la colazione agli operai del cantiere Tav: un bar con una storia, perché apparteneva alla sorella e ai nipoti di Rocco Lo Presti, il boss della ’ndrangheta le cui attività portarono al commissariamento del Comune nel 1995, prima amministrazione del nord sciolta per infiltrazioni mafiose. Lo Presti “utilizzava il bar Gritty per incontrare i propri interlocutori”. Interdittive anche alla Romea di Bologna, fornitore di carburante, in cui aveva lavorato un nipote di Totò Riina. E alla Torino Trasporti, il cui titolare è parente di un personaggio condannato nel processo antimafia “Minotauro”.