DETENTE ENTRE MALABO ET PARIS ?

 

* Voir sur ECUATORIAL.GUINEA-TV/

LUC MICHEL:

DETENTE ENTRE MALABO ET PARIS ?

(‘ZOOM AFRIQUE’ SUR PRESS TV, IRAN, 6 MARS 2019)

sur https://vimeo.com/322038969

EGTV - LM détente paris-malabo (2019 03 06) FR

* La présentation de PRESS TV :

« Guinée équatoriale.

En moins d’une semaine, deux rencontres décisives entre la France et la Guinée Équatoriale ont permis de décrisper les relations entre les deux pays qui ne se parlaient plus.

Où en est la relation entre les deux pays ?

Voici, l’analyse du géopoliticien Luc Michel. »

* La thématique de Luc MICHEL :

Après avoir rappelé ce qui avait fâché Malabo – les procès liés à l’affaire des « Biens dis Mal Acquis à Paris et à La Haye devant la Cour Internationale de Justice (CIJ, la « Cour mondiale », rien à voir avec la CPI …), mais aussi les tentatives de coup d’Etat de 2004 et décembre 2017 contre le Président Obiang Nguema Mbasogo (où sont impliqués et poursuivis à Malabo Le milliardaire Georges Sorös et l’avocat français Bourdon) -, le géopoliticien explique pourquoi les deux capitales se reparlent.

L’exigence du respect de la souveraineté de la Guinée Equatoriale étant placée au plus haut niveau par Malabo. Le Quai d’Orsay, où certains diplomates ne partagent pas l’hostilité contre Malabo, serait-il, enfin, revenu à la raison ?

# L’ACTUALITE DES RELATIONS ENTRE MALABO ET PARIS :

« FRANCE-GUINÉE EQUATORIALE : L’HEURE DU DÉGEL ? »

(‘MONDAFRIQUE’, 1er MARS 2019)

Le site ‘Mondafrique’ expose la détente diplomatique entre Malabo et Paris (que commente Luc MICHEL, expert du Dossier, dans notre video) :

« En moins d’une semaine, deux rencontres décisives entre la France et la Guinée Equatoriale ont permis de décrisper les relations entre les deux pays qui ne se parlaient plus. La cause de la brouille franco-guinéenne qui a duré une décennie est le dossier des Biens mal acquis où le Vice-Président de Guinée Equatoriale a été condamné en première instance en France en 2017. Sous François Hollande, le dossier avait largement dépassé le cadre judiciaire et pris une tournure diplomatique.

Le 20 février dernier, c’est l’ambassadeur de Guinée Equatoriale en France, Miguel Oyono Ndong Mifumu qui, à sa demande, était reçu par le directeur général Afrique du Quai d’Orsay, Rémi Maréchaux. Et la surprise la voilà : les deux parties conviennent, pour la première fois, qu’en vertu de l’indépendance de la Justice, le dossier des Biens mal acquis devait suivre son cours judiciaire sans entamer les relations diplomatiques. Les deux hommes conviennent en outre de réanimer la coopération dans tous les domaines concernés par les accords bilatéraux existant entre les deux pays (économie, francophonie, militaire, culture…).

Il est à noter qu’aucun intermédiaire sulfureux de la Françafrique n’a joué un rôle dans la reprise de ce dialogue diplomatique.

Six jours plus tard, le 26 février, le Président de Guinée Equatoriale, Teodoro Obiang, recevait en audience l’ambassadeur de France sur place, Fred Constant. Les deux hommes parlent du “renforcement des relations d’amitié et de coopération entre les deux nations”. Et arrêtent deux actions concrètes : l’inauguration d’une école militaire, ainsi que l’inauguration de la Semaine de la Langue française et de la Francophonie en Guinée Equatoriale.

Les droits de l’homme figurent également au menu des discussions entre le Président équato-guinéen et l’ambassadeur de France. Le diplomate a en effet demandé si le Prix franco-allemand des droits de l’Homme – un prix créé par la France et l’Allemagne – pourrait être remis à l’un des lauréats de l’année 2018, l’Equato-guinéen Alfredo Okenve, en Guinée Equatoriale. Ce que le Président Obiang a accepté. »

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* WebTV

LA VOIX DE LA GUINEE EQUATORIALE

(Editée par PANAFRICOM) :

http://www.lavoixdelaguineeequatoriale.tv/

* ECUATORIAL GUINEA TV

https://vimeo.com/ecuatorialguineatv

* Page officielle

THE VOICE OF ECUATORIAL GUINEA

https://www.facebook.com/ecuatorial.guinea/

* PRESIDENT OBIANG NGUEMA MBASOGO

Official Panafrican Fan Club

https://www.facebook.com/groups/obiangnguemambasogo.fanclub/

SIGNORA MIA, I GOLPE NON SONO PIÙ QUELLI DI UNA VOLTA… VENEZUELA-IRAN-ALTRI : POPOLO VINCE, POPOLO PERDE

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/03/signora-mia-i-golpe-non-sono-piu-quelli.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 7 MARZO 2019

La nostra società è governata da dementi per obiettivi demenziali. Credo che siamo governati da maniaci per scopi maniacali e penso che rischio di essere rinchiuso come pazzo per aver detto questo” (John Lennon)

La notte dei morti viventi neocon

A Piazza Santi Apostoli in Roma, il 23 febbraio, ci siamo trovati in un centinaio a manifestare per il Venezuela bolivariano e contro l’ennesima aggressione Usa tramite golpe, terrorismo e fantocci. PRC, PaP, Militant. NoNato, cani sciolti… Cento meschinelli che avevano, però, più buone e giuste ragioni dei 200mila di Milano in marcia appresso a Ong, Boldrini, Zingaretti e Bersani, impegnati a coprire, sotto il lenzuolo iride della pace e dell’antirazzismi, i più efferati crimini di sanzioni, di guerra e contro l’umanità, cioè di vero razzismo ricco, bianco, cristiano, dalla Siria al Venezuela, dallo Yemen all’Afghanistan, alla Somalia, alla Corea del Nord, all’Iran, a mezza latinoamerica, a tutta l’Africa.

In compenso constatiamo con soddisfazione un dato che ai 200mila di Milano e loro guide spirituali non ha fatto per nulla piacere: il colpo di Stato lanciato dagli Usa contro il legittimo e democratico governo bolivariano di Nicola Maduro, utilizzando un teppista da guarimbas, ai primi di marzo, oltre un mese dopo risulta fallito. Il fantoccio  che pare la controfigura di un modello di Dolce e Gabbana, percorre invano le Americhe, cercando conforto da altri compari nel lupanare del neoliberismo colonialista. Invano, perché nessuno vuole corroborare una mannaia che, domani, la banda neocon che fa ballare Trump, potrebbe far calare su lui stesso. La False Flag dell’incendio di un camion di soccorsi sul ponte in Colombia è stato risolto nel suo contrario, quando dei video hanno dimostrato che ad appiccare il fuoco erano stati gli scagnozzi di Guaidò. Il rientro del teppista, riconosciuto presidente dalle cancellerie del settore più vergognoso del pianeta (europei e qualche cliente afrolatino, per un totale di 40 su 190 paesi) non ha suscitato oceanici affollamenti che, invece, in queste ore festeggiano la resistenza bolivariana che ha bucato il pallone  con cui Trump e i suoi guardiani neocon avevano pensato di vincere la partita.

Rubio? Un modello!

Marco Rubio, senatore Repubblicano spuntato da sotto qualcosa  sparando agghiaccianti fascisterie alle primarie Usa, ideologo dei gusanos cubani e guida “morale” dell’assalto neocon ai paesi progressisti del subcontinente, ha postato una foto di Gheddafi vivo e una di Gheddafi morente, mentre veniva linciato dai sicari di Hillary Clinton. Ci ha aggiunto la promessa a Maduro che avrebbe fatto quella fine. Non basta per capire di che pasta siano fatti coloro, che, ai vertici nostri ed europei, danno retta a uno come Rubio? E, si parva licet componere magnis, non vi troviamo la stessa evidenza della vera natura di un giornale come il “manifesto”, che si riflette in tutto ciò che di politico si oppone al primo provvedimento per 5 milioni di poveri assoluti mai visto e, al contempo, suona le trombe imperiali della russofobia, della sinofobia e della difesa delle donne afghane da parte dei marines e dei nostri alpini?

Frenata alla ricolonizzazione USA-UE dell’America Latina

Gli è andata bene con i dollari, le Ong, i media ascari e USAID. A volte, come in Honduras e Paraguay con colpi di Stato, a volte con giudici assoldati, come in Brasile, o con presidenti in saio, ma proni al neoliberismo e al Pentagono, come in Uruguay (Pepe Mujica), o con i narcos in Colombia, Messico e Afghanistan. Il primo gioco l’avevano vinto. Nel secondo, tuttavia, visto che né la Bolivia, né, a dispetto del “manifesto”, il Nicaragua, cedevano, che la sempre indomita Haiti si rivoltava a sostegno di Caracas e che in Messico, svaporata l’arma di distrazione di massa zapatista, si imponeva Obrador e, or ora, che il Venezuela imponeva una battuta d’arresto alle ingerenze golpiste più massicce mai tentate dopo Kiev, tutto si riapriva. Chi alla fine si assicurerà game, set e partita resta da vedere.

La Russia ha fatto sapere che un’invasione di truppe Usa non gli sta bene per niente e questo, siccome qualsiasi nequizia siano disposti a commettere i neocon, salvo confrontarsi sul terreno con i russi, lascia spazio solo a due opzioni. Spedizione di mercenari latinoamericani sul modello Isis-Al Qaida in Libia, Siria e Iraq, che in men che non si  dica verrebbero appesi ai propri pantaloni da una popolazione e un esercito dimostratisi tuttora compatti dietro al loro legittimo governo, a dispetto dei 20mila dollari offerti a ogni militare che passasse ai golpisti e che hanno ottenuto la colossale defezione di circa 60 soldati e di un alto ufficiale. Oppure guerra civile strisciante sul modello del 2014 e 2017 con, di nuovo, un rapporto di forze tale da assicurare caos prolungato, ma non vittoria definitiva. Che il Venezuela, per ora in piedi in virtù dell’evoluzione morale e politica del suo popolo e della determinata guida dei suoi leader, al netto di errori e ritardi (diversificazione produttiva, corruttele), abbia davanti tempio durissimi non è dubbio. 

Il Venezuela caro al Colle e quello caro ai venezuelani

L’Iran rappresenta una minaccia straordinaria e inusuale alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati Uniti” (Barack Obama, Ordine Esecutivo, 2015)

Dubbio però è che il complotto prevalga alla luce dei dati che vantano gli uni e gli altri. Dalla parte di chi, dal Colle fino all’Hulk padano, anzi, al suo cartonato, dal biumvirato europeo Merkel-Macron ai loro garzoni di bottega a Bruxelles, dall’arrapato dal martirio di Gheddafi ai mastini da guerra Bolton, Pompeo, Abrams, sta molta roba. Un secolo di colonia Usa, sotto dittatori sanguinari o autocrati ladroni e, dunque, il paese più ricco e la più spaventosa diseguaglianza sociale delle Americhe. Tutto il petrolio agli Usa, con una cresta ai feudatari locali, spesso italiani. Dalla parte, invece, di coloro cui sfrigola in testa ancora qualche barlume di diritto, risulta: milioni di dollari e armi all’opposizione terrorista, sanzioni genocide, serie di golpe, tentativi di assassinare Chavez e Maduro, contro il paese della minore diseguaglianza sociale del continente, la più bassa mortalità infantile, le elezioni più frequenti e corrette, istruzione e sanità per tutti, sostegno alimentare ai bisognosi per mille tonnellate al giorno, il 70% del bilancio alle spese sociali, povertà ridotta dal 40 al 7%, malnutrizione calata dal 21 al 5%, analfabetismo debellato al 100%, petrolio nazionalizzato e concesso a condizioni di favore ai paesi in difficoltà, compresi cittadini Usa privi di riscaldamento. Roba da inquietare profondamente tutti i colli e tutti i Viminali d’Europa.

Una partita tra armi e sentimenti. Occhio a schierarsi, 5Stelle!

All’operazione Condor degli anni ’70-’80, con dittature feroci disseminate da Kissinger &Co in tutto il subcontinente per soffocare gli aneliti  di liberazione anticoloniale e antifeudale, ha fatto seguito un generale risveglio di massa, coronato in molti paesi da scatti di emancipazione sociale e geopolitica. Ora siamo alla risacca. Ma i tempi della Storia si vanno accorciandosi quanto quelli della comunicazione e degli spostamenti nello spazio. Si provi a fare un’indagine onesta sui sentimenti dei latinoamericani nei confronti degli Usa. Anzi, non solo dei latinoamericani, dei popoli del mondo. Nei tempi del neoliberismo dei 40 energumeni capitalisti che posseggono quanto 3,5 miliardi di poveri e della violenza imperiale appena ti dissoci, i risultati di quell’indagine sono scontati. Puoi aprire quanti fronti vuoi. Più ne apri, e più dimostri la tua debolezza. Corri in giro come un pazzo a tappare buchi.

Ci pensino quelli gialli, del nostro governo, quando, anziché mantenere un lungimirante riserbo, si mettono sull’attenti davanti a Nato e UE, comprano gli F35, traccheggiano sul Venezuela, permettono al cartonato di Hulk di dare del terrorista a Hezbollah e cercano di arrivare primi a Washington.

Pensino alla protezione di chi si affidano, quando vedono che i risultati elettorali di un voto presidenziale in Venezuela vengono validati da osservatori internazionali di ogni colore e di cui il Centro Carter dice che è il sistema migliore del mondo, per poi accorgersi che l’ennesimo prodotto di un colpo di Stato Usa, Poroshenko, in Ucraina, rifiuta osservatori internazionali tedeschi, russi e di qualunque paese che non appartenga alla Nato. Alla faccia della pretesa di imparzialità di quella vetrina dell’Atlantic Council e del Dipartimento di Stato che è l’OCSE.

Perso l’Afghanistan, prendersela con il Pakistan “cinese”

Netaniahu, Modi

A proposito di sempre nuovi fronti aperti dagli Usa, non gli bastano i loro: si precipitano anche su quelli degli altri. Nel 1946, i britannici, tanto per non smentirsi e preparare futuri bagni di sangue, proficui per industrie d’armi e recuperi coloniali, divisero il Kashmir islamico tra zona sotto il Pakistan, islamico e, impropriamente, zona sotto l’India, eminentemente indù e fortemente antislamica. Le due zone sono divise dalla “LoC”, Linea di Controllo. Inevitabilmente ne vennero tre guerre. Ora lampeggia la quarta. Tra due potenze nucleari. Un attentato nella zona occupata e ferocemente repressa dagli indiani, ha causato la morte di 40 soldati di Delhi. Viene rivendicato da Jaish e-Mohammed, dubbia organizzazione islamista basata in Pakistan, ma puzza molto di False Flag.

Un fetore alimentato sia da Bolton, Consigliere per la Sicurezza, che da Pompeo, Segretario di Stato: entrambi si sono precipitati ad appoggiare “il diritto dell’India all’autodifesa contro il terrorismo”. Adagio nato e collaudato in Palestina, quando si fa fuoco su ragazzi che minacciano lo Stato ebraico muniti di copertoni i cui fumi gli evitino di morire. Israele che, guarda caso, non fornisce armi al Pakistan, ma tante all’India, tra cui l’avanzatissimo sistema antiaereo “Barak 8”. India, Usa e Israele hanno tutti un sogno: che l’India si prenda tutto il Kashmir, elimini così la frontiera tra Cina e Pakistan e la comunicazione vitale dalla Cina al Mare Arabico che eliminerebbe i problemi dell’insidioso Stretto di Malacca, costellato di basi e navi Usa.  

Come sapete, sono seguite incursioni aeree indiane all’interno del Pakistan, per punire i “terroristi” (bombe su rocce e arbusti, un jet abbattuto, pilota riconsegnato) e altre pachistane, più caute, sul Kashmir “indiano”. Poi scambi di colpi di artiglieria lungo la LoC. Il premier indiano, Narendra Modi, a capo di un partito indù fortemente integralista, fra poco deve affrontare le elezioni. La galvanizzazione nazionalista e antislamica serve. 

Imran Khan, giovane presidente e popolarissimio ex-campione di cricket, ha commesso due errori: ha chiesto agli Usa di smetterla di bombardare indiscriminatamente le aree pachistane di frontiera, facendo stragi di civili col pretesto di colpire forze vicine ai Taliban afghani; e ha avvicinato drasticamente il suo paese alla Cina, che gli ha offerto grandi investimenti infrastrutturali e un proficuo coinvolgimento in quella Via della Seta che, al mondialismo  della prepotenza neoliberista e militare Occidentale, oppone un mondialismo degli scambi e delle comunicazioni. OneBelt One Road intollerabili per gli Usa, al punto che hanno incominciato a fare pressioni  sul governo italiano perché si astenga dal partecipare in qualsiasi misura alla colossale impresa.

Poi, visto che si sa come all’Occidente siano graditi più gli estremisti, i radicali, dell’Islam, al punto da farsene fucina contro i laicismi (Libia, Iraq, Siria, Egitto, Algeria), ecco che Imran Khan ha fatto un altro faux pas. Ha difeso e protetto Asia Bibi, la donna cristiana condannata  e poi assolta dall’accusa di blasfemia e che gli integralisti volevano giustiziata, facendola espatriare e garantendone la sicurezza.

Iran,  si riapre la partita tra “moderati” e “radicali”?

Ultimo capitoletto, l’Iran. Grande turbolenza interna, per quanto poco notata, vista la grancassa con cui la propaganda occidentale ci assorda sulle nefandezze dell’Iran integralista, misogeno e terrorista. Noi, con il documentario “Target Iran”, abbiamo provato a intaccare quel cumulo di falsità. Ma falso non è il rinnovato scontro tra quelli che la nostra dotta stampa distingue tra moderati, o innovatori, o riformisti, e conservatori, o radicali, o estremisti”. Si legga la prima categoria come la classe benestante, favorevole all’apertura economica e politica all’Occidente; la seconda, come la popolazione lavoratrice nella produzione industriale e agricola. Con i commercianti del Bazar ondeggianti in mezzo. I primi hanno vinto le ultime elezioni presidenziali con Rouhani, un prete, i secondi si sono affermati grazie alla voce politica e un rilevante progresso sociale, guadagnati nei due mandati dell’amico di Chavez, Ahmadinejad, un laico.

Il botto l’ha fatto il ministro degli esteri Javad Zarif, dimettendosi dopo “l’offesa” di un incontro tra Khamenei, Guida Suprema, il generale Qassem Soleimani, mitico capo dei Pasdaran e Bashar Assad, per la prima volta a Tehran, senza che ne fosse stata data notizia e tanto meno invito a Zarif, ministro degli esteri. Uno sgarbo. Uno schiaffone. Preoccupazione per la sicurezza di Assad, secondo i sostenitori dell’intervento iraniano in Siria, non garantita dal personale di  un ambiguo Zarif, e consapevolezza che  a questo ministro la Siria e Assad stanno pesantemente sulle gonadi. Poi lo scontro è rientrato, apparentemente e per il momento, con il ritiro delle dimissioni su richiesta dell’amico Rouhani.

Rouhani e più ancora Zarif (educato negli Usa e con due figli tuttora lì), oltre a non aver mai visto di buon occhio l’impegno di Soleimani in Iran e Iraq, sono stati gli artefici della più grande debacle nazionale dall’epoca della rivoluzione khomeinista: l’accordo che ha smantellato un’avanzatissima industria nucleare che, per energia e medicina, arricchendo l’uranio al 20% (per la bomba ci vuole il 90%), avrebbe liberato il paese dalla dipendenza dal petrolio. Un ricatto in cambio della cancellazione delle sanzioni. L’Iran ha mantenuto il suo impegno e, contrariamente alla Corea del Nord, nucleare, può essere minacciato e aggredito quanto pare a Israele e agli Usa. Gli Usa, manco per niente: le sanzioni rimangono, si aggravano e il paese, minacciato di armageddon un giorno sì e l’altro pure, deve essere ridotto alla fame. In attesa che a Netaniahu parta il dito sul pulsante. Fallimento totale della linea Rouhani-Zarif. Arretramento sociale e civile.

Da qui il ritorno possente sulla scena dei sostenitori di Ahmadinejad e della dignità nazionale. Quando l’Iran si faceva rispettare. L’umanità ne ha bisogno, quanto del Venezuela, della Siria, della Libia, della Russia e della Via della Seta, piuttosto che di supereroi tipo bar di Guerre Stellari. Se son rose…..

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:35

Governo in stallo nella decisione sul futuro della Torino-Lione

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

7 marzo 2019

www.presidioeuropa.net/blog/?p=19277

Governo in stallo nella decisione sul futuro della Torino-Lione

I bandi devono essere fermati

 La Francia deve assumersi le sue responsabilità

La Commissione europea non può minacciare l’Italia

Un portavoce di Palazzo Chigi ha dichiarato stamattina: “ieri si è convenuto che l’analisi costi-benefici pone ora all’attenzione del Governo il tema della ripartizione dei finanziamenti del progetto tra Italia, Francia e Unione Europea.”

Il Contratto giallo-verde impegna il Governo a “ridiscutere integralmente il progetto nell’applicazione dell’Accordo tra Italia e Francia”, dunque questo tema deve essere affrontato anche alla luce delle modifiche di fatto già annunziate da anni dalla Francia e dall’Italia agli Accordi.

Il principio della ripartizione asimmetrica del finanziamento tra Italia e Francia fu deciso nel 2004, le percentuali furono introdotte nell’Accordo di Roma del 2012. L’Italia deve pagare il 57,9% del costo di tutto il tunnel, la Francia il 42,1%.

Questa asimmetria fu giustificata con la diversa lunghezza delle linee di accesso al tunnel in Francia (33 km) e in Italia (19,5).

Nel 2016 il primo ministro di allora, Manuell Valls, dichiarò “La Francia contribuirà alla Torino-Lione con 2,2 miliardi di euro, ovvero il 25% del costo delle opere, si tratta di un costo significativo di circa 200 milioni di euro all’anno per la durata del progetto”.

Ma dopo tre anni questa frase è rimasta una promessa, la Francia ha ampiamente dimostrato di essere inaffidabile. Oggi sarebbe azzardato per il Governo italiano di accontentarsi di una promessa da parte di Macron o del suo primo ministro.

Applicare gli Accordi con la Francia significa verificare oggi la volontà politica dei nostri vicini. Il prossimo passo non potrà essere che un incontro con il Governo francese per esaminare i reciproci impegni su questo dossier.

C’è da tenere presente che nella realtà sono già state da tempo annunziate modifiche all’Accordo del 2012: la Francia ha comunicato pubblicamente di voler rinviare a dopo il 2038 l’esame della necessità delle linee di accesso al tunnel di 33 chilometri, l’Italia ha nel frattempo deciso che il tunnel dell’Orsiera di 19,5 chilometri non sarà fatto per risparmiare.

Gli accordi sono quindi nei fatti già modificati, ora i due governi dovrebbero ritrovarsi per certificare che la geografia del tracciato è cambiata e per determinare una nuova chiave di ripartizione dei reciproci investimenti.

Questa verifica, sei due Stati la faranno, consentirà di stendere un nuovo accordo per continuare o sospendere il progetto che dovrà essere approvato e ratificato dai rispettivi parlamenti.

Se i due Stati decideranno di proseguire, il passo successivo sarà quello dello stanziamento da parte dell’Italia e della Francia di tutte le risorse economiche per realizzare tutto il tunnel, come previsto all’art. 16 oggi in vigore.

Ciò detto, il Governo intanto non dovrà permettere a TELT di lanciare dei bandi di gara lunedì 13 marzo per un progetto che potrà essere realizzato solo nel rispetto degli Accordi, per i quali per essenziali aspetti geografici sono già state da tempo annunciate delle sostanziali modifiche.

Al di là di ogni questione, TELT non può lanciare bandi se i suoi proprietari Francia e Italia non dimostrano “carte alla mano”, e non con promesse, la disponibilità di tutte le risorse di 9,6 miliardi stanziati attraverso l’approvazione dei rispettivi parlamenti.

Per quanto riguarda i fondi europei, la Commissione europea non deve minacciare o imporre un calendario, ma essere solo “spettatrice” delle volontà degli Stati Membri perché l’Art. 17 del Regolamento CEF stabilisce che “la realizzazione di questo progetto non è vincolante per gli Stati membri nelle loro decisioni di programmazione e la decisione di attuarlo dipende dalle capacità di finanziamento e dalla loro fattibilità socioeconomica”.

Al termine di questo processo di confronto tra i due Stati, la Francia e l’Italia potranno comunicare separatamente a tempo debito alla Commissione la loro decisione se proseguire il progetto.

La favola del rischio di perdere 300 milioni di fondi UE già persi

I residui fondi UE (CEF) attualmente a disposizione per la Torino Lione sono già persi anche in presenza di proroga del Grant Agreement al 2020.

Le attività finanziate sono in ritardo da anni a causa di comprovate inefficienze di TELT. La Commissione Europea e l’INEA sono perfettamente a conoscenza della situazione.

Anche lanciando ora le gare TELT, saranno comunque obbligati a decurtare oltre 300 milioni di sovvenzioni assegnate.

Tale situazione è l’esatta replica di quanto già visto nel 2013 (cfr. la Decisione della Commissione C_2013_1376 – durante il Governo Monti): TELT (allora Ltf) perse circa 300 milioni di euro per la sua incapacità a completare le attività promesse.

QUI VEUT UN NOUVEAU « PRINTEMPS ARABE » A ALGER ? (PARTIE II). L’ALGERIE DANS LA NOUVELLE GEOPOLITIQUE AFRICAINE

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2019 03 06/
VIDEO.FLASH.GEOPOL - Algérie printemps II - presstv (2019 03 06) FR

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans le ZOOM MAGHREB du 6 mars 2019

sur PRESS TV (Iran)

Après LE DEBAT (1) sur le nouveau “printemps algérien” (2), j’ai donné pour le ZOOM MAGHREB, toujours sur PRESS TV, un complément d’analyse, centré sur le cadre géopolitique (à la fois proche-oriental et africain) qui explique le nouveau ciblage de l’Algérie et la relance de cette seconde phase du soi-disant « printemps arabe » …

Sources :

* La Video sur PANAFRICOM-TV/

LUC MICHEL:

QUI VEUT UN NOUVEAU « PRINTEMPS ARABE » A ALGER ? (PARTIE II)

L’ALGERIE DANS LA NOUVELLE GEOPOLITIQUE AFRICAINE

(SUR LE ‘ZOOM MAGHREB’, PRESS TV, IRAN, 6 MARS 2019)

sur https://vimeo.com/321798967

* L’article sur :

https://www.presstv.com/DetailFr/2019/03/06/590299/Algriens-conscients-de-ce-qui-se-passe-aux-frontires

 * La présentation de PRESS TV :

« Ce qui passe en Algérie, est-il un coup monté ou s’agit-il d’une révolte “anti-régime”?

Sujet 1.

Comment la presse israélienne aborde-t-elle les manifestations en Algérie?

Le cas de Haaretz est révélateur :  Le journal israélien a écrit que les manifestations populaires qu’ont connues la capitale algérienne et de nombreuses autres villes du pays au cours des trois dernières semaines « soulèvent naturellement la question de savoir si l’État algérien, qui avait réussi à échapper aux insurrections du printemps arabe de 2011, n’est pas au bord d’une révolution ».

Sujet 2.

Entretien avec Luc Michel qui explique ce qui se passe aux portes d’une Algérie alors que les Algériens sont dans la rue.»

NOTES ET RENVOIS :

(1) Voir sur PANAFRICOM-TV/

PRESS TV (IRAN) DEBAT AVEC LUC MICHEL:

SCENARIO A LA SYRIENNE EN ALGERIE.

QUI VEUT UN NOUVEAU « PRINTEMPS ARABE » A ALGER ?

(‘LE DEBAT’, 3 MARS 2019)

sur https://vimeo.com/321302777

(2) Voir sur LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

QUI VEUT UN NOUVEAU PRINTEMPS ARABE ? (I) : SCENARIO A LA SYRIENNE EN ALGERIE

Sur http://www.lucmichel.net/2019/03/05/luc-michels-geopolitical-daily-qui-veut-un-nouveau-printemps-arabe-i-scenario-a-la-syrienne-en-algerie/

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

DESTABILISATION DU CAMEROUN – CRISE ANGLOPHONE – SECESSION DE L’AMBAZONIE : YAOUNDE DANS LE PIEGE AMERICAIN !

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Vidéo Géopolitique/ Geopolitical Flash Video/

2019 03 05/

VIDEO.FLASH.GEOPOL - Cameroun piège américain - presstv (2019 03 05) FR

Le Flash Vidéo du jour …

Le géopoliticien Luc MICHEL dans le ZOOM AFRIQUE du 4 mars 2018

sur PRESS TV (Iran)

J’ai traité hier pour PRESS TV l’évolution de la déstabilisation du Cameroun qui s’effectue sur quatre axes : le terrorisme de Boko Haram, la crise anglophone au Southern Cameroun, la sécession de la soi-disant « Ambazonie » transformée en terrorisme, la crise post-électorale (qui suit la Présidentielle 2018) :

* Voir sur KAMERUN#1-TV & PANAFRICOM-TV/

LUC MICHEL :

LE CAMEROUN DANS LE PIEGE AMERICAIN

(ZOOM AFRIQUE DE PRESS TV, 4 MARS 2019)

sur https://vimeo.com/321325537

* La présentation de PRESS TV :

« Cameroun.

Les États-Unis ont annoncé avoir mis fin à plusieurs programmes d’aide militaire et sécuritaire au Cameroun. Washington justifie cette décision par des allégations de violations des droits humains mettant en cause l’armée camerounaise. Washington exige également de Yaoundé qu’une enquête soit menée sur ces accusations. Mais que se cache-t-il réellement derrière cette affaire ?

Luc Michel, géopoliticien nous l’explique. »

* Les thématiques de mon analyse :

Pourquoi il ne faut pas sous-estimer la sécession ambazonienne et ses puissants mentors anglo-saxons ? La sécession de l’Ambazonie n’est pas une affaire entre camerounais mais une agression extérieure américaine !

Anatomie du Lobby anti-Cameroun aux USA.

Comment les USA entendent piéger Yaoundé et internationaliser la crise anglophone et la sécession de la soi-disant Ambazonie.

Pourquoi la première étape du piège est l’ouverture de négociations avec les terroristes sécessionnistes ?

La pacification du Cameroun passe par un arrêt aux interventions étrangères, en particulier celle des USA !

LA MENACE DU « BIG STICK » AMERICAIN SUR YAOUNDE

Le secrétaire d’État adjoint des Etats-Unis pour les Affaires africaines, est attendu le 17 mars 2019 au Cameroun. Il vient y jouer les pompiers ! Le Cameroun est l’avant-dernière étape de la tournée africaine de Tibor Nagy, mais ce n’est pas la moindre de ses préoccupations. Le « monsieur Afrique » de Donald Trump y est attendu le 17 mars.

L’émissaire du président américain devrait inciter les autorités du pays à être « plus sérieuses » (sic) dans leur gestion de la crise du Cameroun anglophone. Les quelques mesures « symboliques » dit-il prises jusqu’à présent ne suffisent pas et la crise est « extrêmement grave » à ses yeux et ne cesse de s’aggraver.

Tibor Nagy devrait également plaider en faveur de l’opposant Maurice Kamto et de ses co-accusés. Toujours en prison, ils doivent être fixés ce mercredi 6 mars sur leur demande de libération provisoire. « Le gouvernement camerounais assure qu’il a été arrêté et emprisonné pour des raisons légitimes. Moi, je pense vraiment qu’il serait très sage de le libérer. Parce que ce soit vrai ou faux, il est perçu comme ayant été incarcéré pour ses activités politiques », explique Tibor Nagy.

CRISE ANGLOPHONE ET SECESSION DE L’AMBAZONIE :

UNE OPERATION MADE IN USA A TOUS LES NIVEAUX ET A TOUTES LES ETAPES

Mais le souci est que le pompier est aussi le pyromane …

Dans plusieurs de mes « Enquêtes sur la déstabilisation de l’Afrique », j’ai dévoilé tous les dessous de ce dossier et expliqué – faits, hommes et réseaux identifiés – comment tout était organisé depuis Washington, avec l’appui au plus haut niveau des administrations présidentielles d’Obama et de Trump, du Congrès et du Sénat US et du State Department US :

* Voir sur PANAFRICOM/

ENQUETES SUR LA DESTABILISATION DE L’AFRIQUE (XII) :

COMMENT WASHINGTON VEUT SE SAISIR DE LA CRISE ANGLOPHONE AU CAMEROUN ET PARRAINE LES LOBBIES SECESSIONNISTES !?

sur http://www.panafricom-tv.com/2017/11/20/panafricom-enquetes-sur-la-destabilisation-de-lafrique-xii-comment-washington-veut-se-saisir-de-la-crise-anglophone-au-cameroun-et-parraine-les-lobbies-secessionnistes/

* Voir sur PANAFRICOM/

ENQUETES SUR LA DESTABILISATION DE L’AFRIQUE (XV) :

DESTABILISATION DU CAMEROUN. LES RESEAUX ANGLO-SAXONS QUI SOUTIENNENT LA SECESSION DE ‘L’AMBAZONIE’ SE MOBILISENT POUR LA DEFENSE DES LEADERS SECESSIONNISTES ARRETES AU NIGERIA

sur http://www.panafricom-tv.com/2018/01/16/panafricom-enquetes-sur-la-destabilisation-de-lafrique-xv-destabilisation-du-cameroun-les-reseaux-anglo-saxons-qui-soutiennent-la-secession-de-lambazonie-se/

* Et voir sur PANAFRICOM/

ENQUETES SUR LA DESTABILISATION DE L’AFRIQUE (X) :

NDI AMERICAINE ET FONDATION TFF AU CAMEROUN. LE DIRECTEUR CHRISTOPHER FOMUNYOH PROCHAIN PRESIDENT DU CAMEROUN ?

sur http://www.panafricom-tv.com/2017/09/25/panafricom-enquetes-sur-la-destabilisation-de-lafrique-x-ndi-americaine-et-fondation-tff-au-cameroun-le-directeur-christopher-fomunyoh-prochain-president-du-cameroun/

ELEMENTS D’ANALYSE DU LOBBY US ANTI-CAMEROUN

Les USA et leurs alliés au sein de « l’impérialisme anglo-saxon » (Canada, mais aussi Nigeria et Afrique du Sud), une réalité géopolitique plus que jamais d’actualité, sont en effet les parrains des lobbies sécessionnistes de la soi-disant « Embazonie ». « Les groupes de la diaspora dans la banlieue américaine (de Washington) soutiennent une nation africaine dissidente (séparatiste), commente (avec une indécente jubilation) ce 7 novembre 2017 la revue d’intelligence ‘Quartz Afrique’ (USA,) !

A la tête du lobby, Nikki Haley (ex ambassadrice de Trump à l’ONU et en Afrique) :

« La crise en cours dans la partie anglophone du Cameroun inquiète les États-Unis. Interpellée par des élus de l’État de New York, Nikki Haley pourrait se saisir de la question. La représentante permanente des États-Unis aux Nations unies, Nikki Haley, va-t-elle se saisir du dossier de la crise anglophone au Cameroun ? Selon nos sources, la diplomate s’est dite « ouverte à la réflexion » après que 24 élus de l’État de New York à la Chambre des représentants l’ont interpellée par courrier le 17 octobre », commente Jeune-Afrique (25 octobre 2017), sous le titre « Cameroun anglophone la diplomatie américaine vigilante ».

Le paravent légal du Lobby, ou les « petites mains africaines », le ‘Cameroon American Council’ et ses relais au Congrès US :

« Alertés par l’association Cameroon American Council, dirigée par Sylvie Bello, ces élus – 18 démocrates et 6 républicains –, inquiets de la « détérioration des conditions de vie de la minorité anglophone », ont réclamé à la diplomatie américaine un communiqué destiné à la diaspora camerounaise. Parmi eux, le républicain Dan Donovan et le démocrate Thomas Suozzi, membres du Comité des affaires étrangères de la Chambre des représentants et de son sous-comité sur l’Afrique, les droits de l’homme et les organisations internationales.

La centrale de coordination, le SCACUF :

Le plus grave c’est que ce sont les radicaux sécessionnistes du SCACUF qui dirigent la manoeuvre, avec une aile extrémiste partisane de la lutte armée ! A commencer par les grèves et les procès, le mouvement des avocats et des enseignants anglophones … « Le SCACUF agit comme un organe directeur pour unir les organisations luttant pour l’indépendance et, via son site web, le consortium sollicite des dons ou des « parrainages » pour les enseignants et les avocats du Sud Cameroun touchés par les grèves dans les écoles et les tribunaux », précise encore ‘Quartz Afrique’. Sous la férule de Sisiku Ayuk, le ‘Southern Cameroon National Congress’ (SCNC), la branche radicale du ‘Liberation Movement of Southern Cameroon’ (LMSC) – dont la centrale est le SCACUF aux USA –

Les lobbyistes à l’ONU, le Cabinet Foley Hoag :

« Mais la majeure partie de l’argent collecté par les Camerounais du Sud dans la diaspora cette année a servi à payer Foley Hoag, un cabinet d’avocats américain spécialisé dans le droit international qui aide la région à porter son cas devant la communauté internationale ». Le 16 octobre, le Comité des droits de l’homme des Nations Unies (déjà en pointe contre Bujumbura et Kinshasha) « a passé en revue la République du Cameroun pour voir si elle respectait le Pacte international relatif aux droits civils et politiques » (PIDCP). Les défenseurs sud-camerounais ont soumis « un document affirmant que le gouvernement camerounais a violé le droit international par la discrimination institutionnelle des Camerounais du Sud, avec les abus des forces de sécurité ainsi que la torture et les meurtres ». Les conclusions du comité seront disponibles le 09 novembre 2017.

# VOIR AUSSI LES ANALYSES DE REFERENCE :

Voir sur KAMERUN#1-TV & PANAFRICOM-TV/

LUC MICHEL:

POURQUOI IL FAUT ARRETER DE SOUS-ESTIMER LA SECESSION DE L’AMBAZONIE ?

(SUR AFRIQUE MEDIA)

sur https://vimeo.com/320285195

Voir sur PANAFRICOM-TV/

LUC MICHEL:

LE CAMEROUN EST PLUS QUE JAMAIS DANS LA ZONE DE TOUS LES DANGERS

(ZOOM AFRIQUE, PRESS TV, IRAN, 20 FEVRIER 2019)

sur https://vimeo.com/318969975

Voir sur EODE-TV & AFRIQUE MEDIA WEBTV/

LE GRAND JEU GEOPOLITIQUE AVEC LUC MICHEL

(24 JUILLET 2017) :

CAMEROUN. LE DOUBLE ENJEU DE 2018

(SAISON II – 2)

sur https://vimeo.com/227606042

(Sources : Press TV – PANAFRICOM-TV – LucMichel. Org – Quartz Africa – EODE Think Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

(Flash Vidéo Géopolitique/

Complément aux analyses quotidiennes de Luc Michel)

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

Rifare il traforo ferroviaro del Frejus al posto del maxitunnel: Tav la proposta a Palazzo Chigi di alcuni sindaci valsusini

https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/03/06/news/rifare_il_traforo_ferroviaro_del_frejus_al_posto_del_maxitunnel_tav_la_proposta_a_palazzo_chigi_di_alcuni_sindaci_valsusini-220877766/

L’idea piacerebbe anche ai Cinque Stelle che potrebbero farla loro nel vertice con la Lega

06 marzo 2019

 

 Rifare il traforo ferroviario del Frejus, con una nuova galleria di 15 km, al posto del maxi-tunnel da 57,5 km previsto nel progetto attuale della Tav Torino-Lione. E’ l’alternativa ideata dal sindaco di Venaus Nino Durbiano e condivisa da altri amministratori pubblici della Val di Susa, consegnata nei giorni scorsi al presidente del Consiglio Conte, ai vicepremier Salvini e Di Maio e al ministro dei Trasporti Toninelli. La proposta sarebbe stata condivisa anche da esponenti del movimento No Tav. Il costo si dimezzerebbe.
In realtà si tratterebbe di un raddoppio dell’attuale tunnel sulla linea storica scavato nella seconda metà dell’Ottocento. La proposta di alcuni sindaci valsusini sarebbe anche quella che i Cinque Stelle starebbero portando in queste ore al vertice di Palazzo Chigi con la Lega.

Il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, la definisce una “proposta politica, in grado di soddisfare tutti”. Il dossier, elaborato con il parere di alcuni tecnici, è stato presentato – rivela Durbiano – a parlamentari della Lega e M5s. Ma non sarebbe ancora stato illustrato in Francia. “Questo progetto ridurrebbe di almeno la metà i costi – spiega Durbiano – e accorcerebbe anche i tempi di realizzazione. Allo stesso tempo verrebbe rispettata la necessità di annullare le pendenze, portando i treni in piano, come è stato prospettato nell’attuale progetto”.

Rispetto alla galleria ferroviaria storica del Frejus, inaugurata nel 1871, il tunnel studiato dal sindaco di Venaus e dal suo gruppo di lavoro e messo a punto in alcuni mesi avrebbe un ingresso un pò più valle a Bardonecchia, in alta Valle di Susa. “Questa proposta alternativa – precisa Durbiano – avrebbe tutte le caratteristiche compatibili con l’alta velocità e con l’alta capacità. Porterebbe un risparmio di miliardi, chiudendo questo lungo periodo caratterizzato da polemiche spesso sterili”

Torino-Lione –> La Commissione europea minaccia l’Italia

Comunicato Stampa

PresidioEuropa

Movimento No TAV

6 marzo 2019

www.presidioeuropa.net/blog/?p=19268

Torino-Lione

La Commissione europea minaccia l’Italia

Con riferimento al lancio ANSA 06 marzo 2019 20:21 News la Commissione Tecnica Torino-Lione (*) risponde alla Commissione Europea considerando come estremamente scorretta la forma di comunicazione adottata dal vicepresidente della Commissione Ue Jyrki Katainen che vorrebbe inviare un promemoria annunciando, nel caso in cui il Governo italiano fermi il progetto Torino-Lione, la perdita di circa 800 milioni di cui 300 milioni entro marzo e il resto successivamente.

Tale messaggio appare piuttosto come una minaccia e un’inaccettabile interferenza nella libertà dell’Italia di compiere scelte sovrane di carattere economico e politico.

La Commissione tecnica Torino-Lione ricorda che ai sensi dell’Art. 17 comma 3 Programmi di lavoro pluriennali e/o annuali  del Regolamento (UE) N. 1316/2013 dell’11 dicembre 2013 (CEF):

”I progetti descritti nella parte I dell’allegato I (e quindi il progetto Torino-Lione, N.d.R.) non sono vincolanti per gli Stati membri nelle loro decisioni di programmazione. La decisione di attuare tali progetti spetta agli Stati membri e dipende dalle capacità di finanziamento pubblico nonché dalla loro fattibilità socioeconomica conformemente all’articolo 7 Regolamento (UE) n. 1315/2013 (TEN-T).”  

I residui fondi UE (CEF) attualmente a disposizione per la Torino Lione sono già persi anche in presenza di ogni proroga che la Commissione volesse adottare. Le attività finanziate sono in ritardo da anni a causa di comprovate inefficienze di TELT. La Commissione Europea e l’INEA sono perfettamente a conoscenza della situazione. Anche lanciando ora le gare TELT, essi saranno comunque obbligati a decurtare oltre 300 milioni di sovvenzioni già assegnate. Tale situazione è l’esatta replica di quanto già visto nel 2013 (cfr. Decisione C(2013) 1376 final – durante il Governo Monti): TELT (allora Ltf) perse circa 300 milioni di euro per la sua incapacità a completare le attività promesse.

Come ampiamente riscontrato dalle analisi chieste, volute e pubblicate dal MIT, i costi certi della Torino Lione superano ampiamente i suoi potenziali benefici, sia dal punto di vista europeo che francese o italiano. Pertanto, qualora TELT procedesse comunque al lancio delle gare, questo si tradurrebbe in una completa sconfessione dell’operato dell’attuale titolare del MIT e del suo staff. In base a quanto esplicitamente previsto dai Regolamenti CEF, Italia e Francia hanno tutte le prerogative per richiedere una revisione dei programmi di investimento sulla base di ACB che indichino il mutamento dei presupposti.

Gli interventi di miglioramento e potenziamento della linea esistente sono urgenti e ineludibili. Dovranno essere realizzati in ogni caso. Il grave ritardo cui assistiamo è diretta responsabilità di chi doveva agire per tempo e non ha agito, a cominciare dai Commissari di Governo. L’attuazione di tali interventi è decisamente più rapida, cantierabile e a basso costo del Tunnel di Base. Una risposta immediata e pratica ai bisogni del mondo produttivo.

Il lancio delle gare TELT (con o senza clausole, notoriamente inapplicabili) sarà interpretato dal territorio come atto politicamente ostile e con conseguenze politiche irreversibili.

(*) Commissione Tecnica Torino-Lione

La Commissione è stata nominata dall’Unione Montana Valle Susa (già Comunità Montana Valle Susa e Val Sangone e precedentemente Comunità Montana Bassa Valle di Susa e Val Cenischia), dalla Città di Torino e dal Comune di Venaria Reale. Nel territorio amministrato da questi enti vive la maggior parte delle popolazioni (circa 1 milione di persone) interessate dai progetti della Torino Lione in Italia.

ANSA 06 marzo 2019 20:21 News – La Commissione europea è pronta a inviare una nuova lettera all’Italia per ricordargli che l’eventuale ‘no’ alla Tav comporterà la violazione di due regolamenti Ue del 2013 e la perdita di circa 800 milioni di cui 300 milioni entro marzo e il resto successivamente: è quanto si apprende a Bruxelles. Di Tav ieri avrebbero parlato al telefono il vice premier Matteo Salvini e il vicepresidente della Commissione Ue Jyrki Katainen.

Grandi opere inutili, il ventennio perduto

6 Marzo 19 FQ :

di Marco Ponti

Le Grandi Opere nascono trionfalmente nel 2001 con Berlusconi, ovviamente senza bisogno di alcuna analisi di alcun tipo: le ha decise lui e tanto basta. Il Pd strilla fortissimo. Poi un po’ meno forte, alla fine contro una sola su 19, il ponte sullo Stretto di Messina. Nei governi successivi emergono voci dissonanti dal “nuovo che avanza”: Matteo Renzi e il suo ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio esprimono perplessità su questo uso dei soldi pubblici.

Delrio, appena diventato ministro, con molto coraggio dichiara che occorrono accurate valutazioni per decidere, e mette a punto delle linee-guida, basate sull’analisi costi-benefici. Anche lo scrivente, entusiasta, collabora, insieme a molti altri studiosi.

Improvvisamente arriva la Grande Svolta Operistica di Renzi: deve raccogliere consensi, e cosa c’è di meglio delle Grandi Opere? Anche se risultassero inutili, si saprà tra un decennio, intanto si fanno contenti i costruttori, i sindacati (allora la Fiom di Maurizio Landini era contraria…), i politici locali e gli utenti che, indipendentemente da quanti saranno, non pagano. I contribuenti non sanno e non protestano.

Delrio si adegua e rinuncia a ogni analisi, persino alle previsioni di traffico. C’è grande costernazione tra molti studiosi, ma non tutti. Anche l’introduzione di un po’ di concorrenza nei trasporti, che era nel programma iniziale renziano cui lo scrivente collaborò, si ferma (vedi la fusione tra Ferrovie e Anas per creare un colosso pubblico senza molto senso se non anti-concorrenziale).

Con questo nuovo governo il programma iniziale di Delrio riprende la marcia, certo in modo in po’ affrettato: molti cantieri sono stati incautamente avviati o resi difficilmente reversibili. E fare analisi costi-benefici, per la prima volta, potrebbe servire a dire anche dei “No” motivati.

Nere nuvole si addensano su alcune opere pubbliche di dubbia utilità, o almeno priorità. Mai era successo prima: giustamente gli interessati, che a vario titolo si aspettavano i 133 miliardi promessi dal governo precedente, reagiscono attraverso i media. Il sistema delle grandi opere pubbliche in tutto il modo è poco aperto alla concorrenza, per ragioni tecniche sulle quali qui non possiamo dilungarci. La riprova è che quelli delle maggiori imprese nazionali sono sempre in prima linea in queste battaglie: se ci fosse anche una remota possibilità di gare vinte da perfidi stranieri forse si agiterebbero meno.

Anche il mondo accademico si mobilita per la causa: studiosi che mai hanno pubblicato qualcosa sul tema, ma soprattutto che mai hanno fatto realmente analisi costi-benefici, si trovano espertissimi della materia, criticando severamente la metodologia che rischia di dire dei “No”.

A questi ovviamente si aggiungono studiosi che analisi ne hanno davvero fatte, ma che per ragioni stranissime non hanno mai (mai!) avuto risultati negativi.

“Tutto va ben, madamina la marchesa”, perché dubitare dell’avvedutezza dei nostri saggi governanti? Certo le metodologie che dicono dei “No” devono essere sbagliate. Che il settore abbia una fenomenale storia di corruzione e di penetrazione della malavita organizzata è un altro dettaglio del tutto trascurabile.

Ora, val la pena di ricordare qualche aspetto macroeconomico che caratterizza il settore delle grandi opere civili: creano molta poca occupazione per euro speso (sono capital-intensive), tale occupazione è temporanea, ci vogliono dieci anni a finirle (cioè non sono anticicliche), rispetto ad altri settori hanno un modesto contenuto di innovazione tecnologica, sono alquanto impattanti sul territorio, e, come abbiamo già visto, non sono molto apribili alla concorrenza (mentre sono più apribili ad altri attori meno simpatici…).

Se hanno un rapporto benefici-costi negativo, fanno diminuire il Pil, non lo aumentano (in realtà la faccenda è più complicata di così, ma non ci si può dilungare qui). Tutto il contrario di investimenti in tecnologia e in manutenzione dell’esistente, soprattutto nel settore dei trasporti.

Guardiamo il futuro: lo sviluppo del Mezzogiorno sembra a chi scrive una priorità certo ancora maggiore che intervenire nel Nord sviluppato.

E non sono certo opere civili o di trasporto di dubbia utilità che lo faranno crescere. Secondo molti studiosi anzi queste sono un “gelato al veleno”, dati i rischi che, per ragioni geografiche e demografiche, rimangano fortemente sottoutilizzate.

Qui davvero la tecnologia e la manutenzione sembrano scelte irrinunciabili, e le analisi economiche e finanziarie possono essere un fondamentale strumento per migliorare le decisioni, piuttosto che la secolare tradizione dell’“arbitrio del principe”.

Le ultime bufale dei fan francesi sui fondi mancanti

6 marzo 19 FQ :

ZEROEURO Le dichiarazioni a ‘Radio anch’io’ 

Gianni Barbacetto

In quello che doveva essere il giorno della verità sul Tav, fa sentire la sua voce Louis Besson, presidente della commissione intergovernativa franco-italiana per la Torino-Lione.

“È totalmente falso che la Francia non abbia stanziato i fondi. I soldi ci sono, sono pronti”, ha dichiarato a Radio anch’io, il programma di Rai Radio 1.

Che non ci fossero lo aveva scritto il Fatto Quotidiano ieri, ricordando che l’Accordo tra Italia e Francia del 2012 che stabilisce le regole per la realizzazione della Torino-Lione, all’articolo 16 dice che“ la disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori delle varie fasi della parte comune italo-francese della sezione internazionale”.
Questa “condizione preliminare” non è soddisfatta – sostiene anche la Commissione tecnica Torino-Lione –perché la Francia non ha reso finora “di s p on i b il e ”neppure un euro per la fase che dovrebbe iniziare l’11 marzo a Parigi, con il lancio, da parte del consiglio d’amministrazione di Telt (la società italo-francese che deve realizzare la Torino-Lione), dei primi due bandi –valore 2,3 miliardi di euro –per la realizzazione del tunnel di base (costo totale 9,63 miliardi).

L’Italia è pronta da tempo: ha stanziato, per questa fase dei lavori, 2,63 miliardi, il 27 per cento della spesa totale, assegnati dalla legge di stabilità 2013 (governo Monti) e approvvigionati in quote annuali nel bilancio dello Stato tra il 2015 e il 2027. L’Unione europea per i lavori del tunnel ha messo a disposizione 0,57 miliardi, il 6 per cento. La Francia zero: non c’è traccia in alcun documento contabile dello Stato francese dell’impegno a finanziare l’opera, come richiesto dall’articolo 16 dell’A ccordo italo-francese.

Non ha messo nero su bianco alcuna programmazione futura su base pluriennale per i finanziamenti del traforo. Il Fatto Quotidiano ha chiesto al ministero dei trasporti francese quali sono le modalità di finanziamento dell’opera, quali sono le cifre e in quale documento sono indicate. Non ha ricevuto alcuna risposta. Senza una chiara indicazione di finanziamento “di s p on i b il e ”, l’Italia potrebbe ritenere violato l’articolo 16 dell’Accordo, con la conseguente impossibilità, per il cda di Telt, di lanciare i bandi.

Comunque ieri il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, dopo un incontro con i ministri Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Danilo Toninelli, ha garantito che venerdì il governo prenderà una decisione sul Tav, a partire dall’analisi costi-benefici.
Sulla mancanza dell’evidenza dei finanziamenti francesi, la spiegazione data da chi è schierato a favore della Torino-Lione è che “in Francia si fa così”.

L’Accordo tra i due Paesi li impegna a rendere disponibili i finanziamenti –prova no a spiegare –ma ciascuno secondo le modalità della propria finanza pubblica.

In Italia c’è l’intervento del Cipe e la chiara elencazione degli stanziamenti pluriennali.

In Francia niente di tutto questo.

C’è stato un voto del Parlamento che si è impegnato per l’intera opera. Poi è l’Esecutivo a erogare di volta in volta i fondi, attraverso l’a ge n z i a pubblica Afitf (Agence de financement des infrastructures de transport de rance). Che il sistema sia incerto, buono per finanziare una strada provinciale ma non certo una grande opera da 9,63 milioni di euro, è ben chiaro anche al presidente Emmanuel Macron, che infatti ha annunciato di essere impegnato a cambiarlo.

Con una nuova legge che stabilisca meccanismi più chiari e certi per i finanziamenti delle grandi opere.

La nuova legge, però, non c’è ancora: in queste condizioni, l’articolo 16 è rispettato

Tav, «I contributi Ue sono già persi ma questo nessuno lo dice»

Alberto Poggio, commissione tecnica sulla Torino-Lione. «I fondi sono a disposizione per il periodo 2014-2019 a copertura di attività da completare entro il 2019. Una condizione impossibile da rispettare» Alberto Poggio

Alberto Poggio è uno dei tecnici di riferimento del movimento da Notav. Ingegnere, fa parte della commissione tecnica sulla Torino – Lione dei comuni della Valle di Susa e del Comune di Torino.

Professore, l’Italia sta per perdere trecento milioni perché volete bloccare il Tav?
Tutta la discussione in atto si basa su un presupposto inesistente: non vi è alcuna necessità o urgenza di lanciare alcun tipo di bando. Da giorni imperversa questa storia sulla base di presunte richieste della Commissione europea che minaccerebbe la revoca di contributi. Voglio essere chiaro: i trecento milioni di cui si parla sono già di fatto persi e non potranno essere recuperati in nessun caso.

Un’affermazione impegnativa
I fondi al centro dell’attuale discussione sono stati messi a disposizione per il periodo 2014-2019. Si tratta di contributi a parziale copertura di attività da completare entro il 31 dicembre 2019, con un’eventuale proroga di un anno. Una condizione impossibile da rispettare: anche lanciando le gare oggi, i lavori non potranno essere completati entro tale data. Il governo sta facendo una corsa per salvare qualcosa che non può essere salvato. Ma questo non è l’unico elemento che viene omesso.

Dica
Non è possibile in questo momento lanciare quelle gare rispettando gli accordi internazionali. Servono passaggi preliminari che non sono stati fatti: nell’accordo siglato tra Italia e Francia il 30 gennaio 2012 articolo 16 si legge: «La condizione preliminare per l’avvio dei lavori sulla sezione transfrontaliera è la disponibilità del finanziamento». Per far partire gli scavi del tunnel è necessario avere a disposizione tutti i soldi, ovviamente su un piano pluriennale, iscritti a bilancio. Lo Stato italiano lo ha fatto almeno in parte: nella legge di stabilità del 2013, governo Monti, ha definito l’approvvigionamento necessario per il tunnel di base. Così facendo l’Italia ha messo a disposizione il 27% del costo totale opera pari a 9,63 miliardi di euro. L’altra componente di disponibilità è quella che potrebbe arrivare dall’Europa: ma di firmato, messo a disposizione è solo l’attuale programma 2014-2019, pari al 6% del costo dell’opera. Tutto il resto è un auspicio, ipotesi, e non ha un riscontro concreto. La Francia non ha mai adottato alcun provvedimento di legge atto a garantire nel suo bilancio dello Stato l’approvvigionamento per i flussi necessari, su base pluriennale, per pagare il tunnel di base. Totale 33%, manca il restante 67%: non si può procedere all’avvio dei lavori.

L’analisi costi benefici? Non ne parla più nessuno
Che piaccia o no siamo in presenza di un risultato che evidenzia uno svantaggio notevolissimo: quando ci sono di mezzo svariati miliardi euro c’è poco da discutere. Per di più è la stessa Unione europea che prevede che lo strumento dell’analisi venga utilizzato dagli Stati per rivedere i programmi di investimento.

Gli imprenditori, e il sindacato, fanno pressione affinché si faccia
Se i 300 milioni sono persi – altrettanti lo furono nel 2013 da Ltf revocati dalla Commissione europea – questo non ha impedito l’avanzamento del programma. Se continuano a pensare al tunnel di base nella migliore delle ipotesi, i famosi treni pieni di merci passeranno tra quindici anni se va bene. Oggi, i soldi persi potrebbero essere oggetto di una nuova contrattazione con l’Unione europea affinché si possano usare come potenziamento della linea esistente, dando un risultato a breve termine: credo che questo dovrebbe interessare il mondo imprenditoriale e sindacale.

Il governo potrebbe dar via libera ai bandi sostenendo che sono reversibili
Una storia priva di consistenza. Chi decide eventualmente di procedere a un diritto di non assegnamento? Dovrebbero essere entrambi i governi: ovvero impossibile, scenario irrealistico. Una favola alla quale non credono nemmeno coloro che la raccontano.

Il No al Tav potrebbe essere travolto da un referendum
Si può criticare il metodo e le ipotesi. Ma sarebbe molto curioso se uno studio di carattere tecnico venisse sottoposto a referendum. E’ come sottoporre a votazione la diagnosi di un medico.

Eppure è in corso una battaglia politica senza precedenti tra M5s e Lega, forse l’unica.
Gli Stati, Italia e Francia, non hanno i soldi per fare l’opera. Sono annunci e contro annunci che non trovano riscontro, questa è la realtà.