PER I 5 STELLE UN MINUTO A MEZZANOTTE……. FOIBE, TAV, MIGRANTI, VACCINI, SCIENZA, ITALIA IN FRANTUMI, VENEZUELA… NEGAZIONISTI ALLA COLONNA INFAME !

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/02/per-i-5-stelle-un-minuto-mezzanotte.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 14 FEBBRAIO 2019

 
Negazionisti brutti, affermazionisti belli
Viaggiamo nei paradossi. A ogni negazionista corrispondono inevitabilmente uno o più affermazionisti. A loro volta questi, a dispetto loro, risultano negazionisti  riguardo a quanto affermano i negazionisti, divenuti a loro volta affermazionisti. Ma lo Zeitgeist imperante fa sì che agli affermazionisti che si confrontano con i negazionisti vengono attribuiti a priori la ragione, il vero e il giusto, così come vengono assicurati consenso e buona ragione ai negazionisti delle affermazioni dei negazionisti. E’ tutto questione di prospettive. Ma di una cosa possiamo tutti essere certi: che dei negazionisti gli affermazionisti hanno una paura fottuta. La caccia alle streghe negazioniste si spiega solo con il terrore che degli affermazionisti si possa scoprire cose gravissime. Ricordate che cosa succedeva a certi nostri temerari antenati che, con ancora granelli di libertà classica nelle vene, mettevano in discussione, che so, la transustanziazione dal corpo di Cristo nell’ostia, o, al Concilio di Nicea I, che padre e figlio fossero della stessa sostanza, in senso aristotelico, o non piuttosto due distinti esseri divini? Anche lì la paura dei dogmatici in fieri si estrinsecava in “eretici” bruciati o sepolti vivi da imperatori cristiani o vescovi. Oggi al negazionista, in sempre più paesi, ci si limita col carcere. Cosa si teme?
 
Giornata del ricordo…strabico
Confusione? Passiamo a un esempio, uno di tendenza: le foibe. Chi nega che in quei buchi sul Carso siano stati gettati, solo dai feroci partigiani titini, solo innocenti cittadini, solo perchè italiani e, magari, non comunisti, è un negazionista messo alla gogna dall’affermazionista che invece sancisce quella narrativa e, inesorabilmente diventa a sua volta negazionista della versione affermata dalla controparte. La quale versione  potrebbe, per modo di dire, essere fondata su documenti che, grazie alla ricerche di storiche eminenti come Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan, mai contraddette e non contraddicibili perché documentate, che nelle foibe finirono per primi sloveni e croati rastrellati dai fascisti nelle loro terre. O che tra il 1941 e il 1943 il regime di Mussolini invase e si annettè vasti territori di questi due popoli, che i fascisti condussero in Istria e Dalmazia sanguinarie pulizie etniche, che i campi di concentramento in cui chiusero chi, per esempio, non rinunciava a parlare la sua lingua, non avevano niente da invidiare a quelli tedeschi, o a quelli di Graziani in Libia che dettero un cospicuo contributo, insieme a pozzi avvelenati e villaggi inceneriti, all’eliminazione di un terzo della popolazione di quel paese. O che i partigiani slavi, o anche solo i civili di quelle nazioni in lotta di liberazione dai nazifascisti sotto la guida del maresciallo Tito, catturati dagli oppressori fascisti, venivano sommariamente passati per le armi.
 
E che, in risposta a tutto ciò e del dato storico che nessuna rivoluzione, o guerra di liberazione può essere un pranzo di gala, quella di Tito e degli jugoslavi, per la loro parte delle foibe, fu reazione, risposta, contrapasso rispetto a un immenso torto subito. Cosa che i patriottardi a corrente alternata, a partire dal loro capo istituzionale supremo, animato dal Sacro Fuoco di Vesta, preferiscono ignorare, occultare, sottacere. Un conto è sdraiarsi ai piedi di Trump, Macron e addirittura di un tagliagole delle guarimbas venezuelane, sostenere una tratta di merce umana sottratta alla sua terra, messa da potenti operatori a servizio di mafie e grandi distribuzioni (di cui i caporali sono i terminali) a scapito degli autoctoni; e un conto è raddrizzarsi ed ergersi fieri contro la barbarie slava, in nome della civiltà “dell’Istria e della Dalmazia italiane”.
 
Chi partì, chi rimase: la mia Istria
Di questa storia delle terre ex-irridente, me ne intendo un po’. Ci sono stato e ristato. Ci ho girato servizi e scritto articoli (che, se fossero usciti oggi nel TG3, avreste avuto modo di sentire rabbrividire l’intero Quirinale). Sono rimasti in circa trentamila, nei centri lungo le coste. In alcuni paesi, come San Gallicano, sono addirittura la maggioranza ed esprimono il sindaco. In altri, Parenzo, Rovigno, Pola, Fiume, sono ridotti al lumicino e si battono per l’identità, specie se erano rimasti perché comunisti e Tito gli andava meglio di De Gasperi o Andreotti. Anche perché Tito, con i serbi che da soli si erano liberati dal nazifascismo, andava costruendo una nazione fieramente indipendente dai vassallaggi mafio-atlantici a cui veniva destinata l’Italia. Nel rispetto di tutte le minoranze. Erano i tempi della bella Jugoslavia. Dopo Tito, Milosevic. Al Centro Italiano di Rovigno ho conosciuto due bravissimi deputati italiani, comunisti. Nella Croazia di oggi non sono più ammessi. Gli chiudono i circoli, gli devastano i cimiteri, gli proibiscono eventi culturali, fosse anche solo un coro di vecchie canzoni. Sotto Tito e Milosevic non succedeva.
Sono quelli che sono rimasti, quando altri 300mila sono partiti, un po’ per paura del comunismo, ad arte indotta da voci della madrepatria che poi di loro, spiaggiati in Italia, nei campi, abbandonati alla cattiva o buona sorte, se ne sono fregati due volte. Un po’ per non diventare stranieri a casa loro. Non lasciavano terre italiane, quelle erano perlopiù abitate da slavi, contadini; lasciavano città italiane, quelle dove s’erano impiantate prima Roma e poi Venezia per garantire le proprie rotte. Nessun ricordo della vergogna di come fossero stati indotti all’esodo, vicenda sempre straziante, tragica, degna della massima solidarietà, cura, del massimo rimedio e della massima ricompensa all’amor patrio. Fu diversa l’accoglienza, l’assistenza riservata dalla Germania ai suoi 12 milioni (dodici)  di espulsi da terre tedesche, Slesia, Pomerania, Prussia Orientale, Brandeburgo….
 
L’Italia si volta dall’altra parte, Simone Cristicchi no.
Del risentimento tramutatosi, nei lunghi anni dell’imbarazzo e della trascuratezza di regime, in tristezza e poi in rassegnata ma mai sopita malinconia, dell’amara dolcezza della nostalgia, qualcosa traspira nelle bellissime canzoni del polano Sergio Endrigo.  Ma chi ne ha tratto il racconto più vero, tragico e di condanna nei confronti dell’ignavia italiota, è stato Simone Cristicchi con lo spettacolo “Magazzino 18”: un accorato, sensibile, sacrosanto itinerario nelle vite dimenticate di questo esodo, mediato dagli oggetti, carte, mobili, fotografie, ammassati in un deposito triestino e mai più recuperati. Forse per evitare altro dolore.
 
Sinistre ottusità
 
Curiosamente mi è rimasto vivo nella memoria, tra tanti impalliditi, il ricordo di due manifestazioni di ottusità “sinistra”. Quanto un dotto esploratore dei testi sacri del marxismo-leninismo definì “coglione fascista” , il più intelligente e rivoluzionario  indagatore dell’animo umano della prima metà del secolo scorso, il più spietato demolitore della borghesia italiana e della sua sclerosi, Luigi Pirandello. Per il mio interlocutore contava solo che avesse indossato la camicia nera. Il resto, cioè il tutto, non lo capiva. E poi quando, pubblicato in Facebook e nel blog il mio apprezzamento per il lavoro di Cristicchi, una canea “sinistra” mi investì con indignato biasimo per non avere denunciato la sostanziale omertà dell’autore perché non aveva detto dei crimini fascisti. Come se la tragedia di un esodo potesse essere in qualche modo inquinata, forse addirittura ridimensionata dal fatto che tra gli esuli e in chi li accompagnava narrandoli, potevano  esserci connivenze, vicinanze con le atrocità nazifasciste. Erano 300mila sradicati e dispersi, porco mondo! Come i palestinesi. Cristicchi, benevolo e paziente, aggiunse al copione una sequenza su quelle colpe.
 
Politeismo della libertà, monoteismo del dogma
Torniamo al fenomeno del negazionismo, anatema dei tempi che corrono. Non crimine in sé, ovviamente,  dato che è una scienza inoppugnabile come la storiografia che lo giustifica. Ma crimine per colui che afferma, sostiene e impone il dogma, pensiero unico, in ciò facilitato dal pensiero unico globale partito qualche millennio fa dalla Palestina, lì poi ribadito e infine sussunto anche da altre fedi monoteiste. Colonna portante del capitalismo. Parliamo della catastrofe umana che ha posto fine alla civiltà greco-romana, quando alla molteplicità delle religioni e degli dei, tutti reciprocamente tollerati, anzi cooptati in un pluralismo che, anziché annullare le identità, le esaltava nel rispetto e nello scambio, senza livellare nulla in quello che oggi demenzialmente si auspica nel cosiddetto meticciato multiculturale. Alla filosofia sostituirono la teologica, all’ umano si impose il metafisico,  al corpo di terra il divino del cielo, alla dialettica il dogma.
 
E i negazionisti? Già allora al rogo. Massacri inauditi per secoli. Per ora a negare qualcosa, i vaccini, le foibe, si viene seppelliti dal discredito. Ma anche solo ad avanzare il dubbio, connaturato alla storiografia e alla scienza, in molti paesi si rischia l’esclusione, il dimensionamento, il carcere, la morte civile. La storiografia, o è compatibile con chi dirige l’orchestra, o è cacofonia da sopprimere. La scienza, ontologicamente ricerca tra opzioni diverse, è diventata tavola della legge quando favorisce un sentire comune indotto da pubblicità e consensi comprati o imposti. E’ discutibile, opponibile, addirittura rigettabile quando non lo fa. Tipo quando delude e blocca i mazzettari e speculatori del TAV. O incide con le rivelazioni nel blocco mafie-Stato.
 
Con uno sforzo immane di poche intelligenze eravamo riusciti, in felici momenti storici, a rompere il dogma e a recuperare la dignità del confronto insegnatoci dai classici. E fu l’umanesimo e il rinascimento in Italia, l’età dei lumi  e della rivoluzione in Francia, quella dei filosofi in Germania, le lotte di liberazione laiche e socialiste dei colonizzati nel nome dell’unica verità e dell’unica civiltà, tutti i momenti alti di laicità e secolarismo. Momenti in cui, disobbedendo al dogma, sottraendoci a quanto altri pretendevano da noi, avevamo ritrovato l’anima. Esattamente come Vitangelo Moscarda nel Pirandello dell’ “Uno, nessuno, centomila”, quando si libera della “verità” costruitagli addosso da coloro a cui conveniva.
 
Ora le tenebre tornano. E la Chiesa non può non stare con i golpisti del pensiero unico neoliberista, diritto-umanista, globalista nel quale si avvolgono l’imperialismo, i suoi scherani, i suoi sacerdoti, i suoi sguatteri..E’ dogma, come piace ad essa e a chi ne sta fuori può essere impartito di tutto, come praticava e imponeva l’Inquisizione di Torquemada. Così il negazionismo trionfa, brandito dagli affermazionisti succedutisi da Mosè fino al processo di Norimberga e al prof. Borioni.
 
TINA, l’arma fine del mondo
I negazionismi criminosi e criminogeni assediano la società civile. Qualsiasi dubbio sull’accertato e accettato rasenta il terrorismo. Non gli si può che rispondere che con l’undicesimo comandamento, che oggi è anche il primo: TINA, There is no alternative, non esiste alternativa. Viene, come al solito, dal protagonista della commedia scritta e diretta dal grande burattinaio, gli Stati Uniti di cui l’UE si fa eco. TINA per il latte o il pomodoro pagato il costo di produzione dai grandi distributori,  a costo di schiavi africani e pastori sardi; TINA per il TAV, devastazione inutile, tanto che, per bocca della commissaria UE Violeta Bulc, la impongono anche le lobby che la tengono al guinzaglio; TINA per la democrazia nel senso di golpe, dall’Ucraina all’Honduras, dal Paraguay al Venezuela. TINA, dunque, per le nostre massime autorità, custodi della Costituzione, quando riconoscono e glorificano la disintegrazione della costituzione altrui. Bel precedente per il futuro della nostra di costituzioni. TINA per le banchi centrali in mano ai bancarottieri e speculatori di quelle private. TINA per RtP, Responsibility to Protect, la responsabilità di proteggere, come gli Usa definiscono gli interventi  che culminano nei genocidi. TINA per il gruviera ammuffito che è la versione dei mandanti dell’11 settembre.
 
TINA  per la scienza, che è solo quella quando sacralizza e impone dieci vaccini, ma è pseudoscienza quando ne sottolinea i pericoli e danni. TINA contro i  negazionisti che, in memoria e onore di Galileo, Copernico e Madame Curie, come un tempo le femministe per l’utero, osano ancora pretendere, con la Costituzione, “il corpo è mio e lo gestisco io” (alla faccia di Grillo, squinternato firmatario del manifesto Borioni, il Landini dei vaccini). TINA per le migrazioni di deportati da Ong e illusioni  per lasciare il posto a Exxon, Monsanto e dalla Legione mineraria di Macron; TINA per petrolio, trivelle, gas- e oleodotti e, dunque TINA, per la fine della vita tra 10 anni;  TINA per l’UE, che sennò si rompe il meccanismo del travaso dal basso in alto di ogni bene e, al posto dell’etero- determinazione per volere di abusivi obbedienti a lobbisti, potrebbe tornare l’autodeterminazione dei popoli; TINA per la cancellazione dell’INF, il trattato che rimuoveva i missili USA mirati dall’Europa ai russi, e i missili russi da lanciare sull’Europa. Vuol dire TINA ad Armageddon.
 
Italia rotta e regalata ai cavernicoli
TINA, e questa è la sciagura suprema, per la fine dell’Italia. Dai migranti che preludono allo schiavismo di tutti, alla secessione dei ricchi, con tre regioni in mano a rinnegati della Costituzione, dello sforzo millenario di una grande, tormentata, indomita comunità e dei suoi sacrifici per darsi un nome, un volto, un’unità, l’anima. Tre avvoltoi, con altre regioni becchine che sbavano all’idea di appropriarsi anch’esse della mostruosità di farsi più soldi, la propria sanità, cementificare il proprio suolo, sterminare la biodiversità a fucilate, inquinare il proprio ambiente, aeroporti, porti, strade e ferrovie pagate dagli italiani tutti, insegnare a scuola una subcultura da clava del neolitico, perpetuare il sogno di Cavour che relegava il Meridione a serbatoio di manodopera a basso costo per l’industria del Nord, di soldati  per le guerre del Nord, di valvola di sfogo emigratorio da una miseria che doveva restare tale. L’egoismo all’ennesima potenza come regola del vivere incivile. TINA, perciò, all’aggregazione, in funzione di cane da guardia periferico, di un pezzo d’Italia al neo-impero carolingio sancito ad Aquisgrana da Merkel e Macron. I due euro-imperatori per grazia della Banca, che oggi brindano all’uccisione del padre.
 
E così, a forza di TINA, siamo arrivati a un minuto da mezzanotte. E mi fanno ridere quelli che in questi anni mi sbertucciavano per le mie simpatie per il M5S e andavano  favoleggiando sui fili tirati da oscuri potentati, da nefaste conventicole del finanzcapitalismo mafiomassonico, ai quali sarebbero appesi i Cinque Stelle. Spesso bene, spesso male, spesso così così, i 5Stelle sono gli unici  che al TINA hanno provato a dire no, a volte ni. Sono negazionisti. Al rogo! Quelli dell’affermazionismo, invece, sono tutti gli altri, stanno tutti lì, addosso a loro, con in pugno il TINA, a mo’ di ghigliottina.
 
Amici 5Stelle, avete già accettato un miserabileTINA sul Venezuela democratico, emancipato, progressista e per questo affamato fino alla morte. Se mollate sull’Italia unita e sulla sovranità nazionale siete fritti.
 

Tav, «Italia soggetta a penali solo se si dimostra il dolo»

https://ilmanifesto.it/tav-italia-soggetta-a-penali-solo-se-si-dimostra-il-dolo/

Intervista. Sergio Foà, docente di diritto amministrativo a Torino: «Il finanziamento dell’Unione Europea può essere rinegoziato»

Sergio Foà, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, ha recentemente redatto un rapporto giuridico ove descriveva i possibili scenari in caso di mancato avvio dei lavori relativi alla fase definitiva del Progetto Torino-Lione, ossia lo scavo del tunnel di base di 57,5 km.

Professore, come valuta la relazione giuridica pubblicata dal ministero delle Infrastrutture?

La relazione tecnico giuridica lascia molti dubbi, soprattutto nelle considerazioni conclusive. I dubbi riguardano i rapporti con la Commissione Europea e con la Francia: con la prima è da chiarire in che misura, in caso di recesso o di comune accordo, possano essere avanzate delle richieste di penali. La relazione su questo punto non è per nulla precisa perché non tiene conto che la Commissione Europea non può vincolare gli Stati nell’utilizzo delle risorse. Per quanto riguarda la Francia, gli accordi tra Italia e Francia non prevedono automaticamente penali a fronte dell’interruzione dei lavori. Nella relazione si ipotizza che l’interruzione dei lavori in Francia possa integrare un fatto illecito e ciò alimenta possibili richieste risarcitorie in danno dell’Italia, mentre il Codice francese contempla ipotesi di «opera senza seguito» per motivi di interesse pubblico e in tal caso non vi sarebbero i presupposti per un risarcimento. Inoltre, il risarcimento del danno presupporrebbe dolo o colpa nell’interruzione dei lavori: il che è tutto da dimostrare.

In quale caso si va verso il risarcimento?

Sarà necessario dimostrare un inadempimento degli obblighi assunti. Al massimo l’Unione Europea potrà richiedere la restituzione del finanziamento per la parte non utilizzata. Ma non si tiene conto degli accordi italo francesi che prevedono che l’avvio di ogni fase dei lavori richieda la copertura finanziaria da parte degli Stati per le opere di rispettiva competenza.

Cosa potrebbe accadere in realtà?

L’Italia potrebbe accordarsi con la Francia per rinunciare alla prosecuzione dell’opera. Ciò comporterebbe una restituzione del finanziamento nella parte non utilizzata o la possibilità di rinegoziare con l’Unione Europea l’utilizzo dei finanziamenti concessi. Secondo scenario: l’Italia recede unilateralmente. Il dubbio è inerente al possibile risarcimento nei confronti della Francia, che potrebbe vantare pretese risarcitorie per le opere già realizzate sul suo territorio, salvo poterne dimostrare una diversa destinazione. La Francia però ha un istituto giuridico che consente di dichiarare procedure d’appalto senza seguito. L’avvocato che ha redatto la valutazione giuridica richiama questa disciplina ma sospetta che, nel nostro caso, si possa trattare di un fatto illecito.

Penali verso le imprese appaltatrici?

Noi abbiamo in Italia una normativa, pensata apposta per evitare pretese risarcitorie, che prevede la rinuncia dell’aggiudicatario dell’appalto a qualunque pretesa anche futura concessa a eventuali o mancati finanziamenti dell’opera. L’idea scritta nella Legge del 2009 era di prevenire eventuali contenziosi dovuti a mancanza di finanziamento. In opere come il Tav, che sono costituite da molti lotti, la legge prevede che, fin dall’avvio dei lavori, vi debba essere una copertura finanziaria dell’intera opera e quindi di tutti i lotti.

Questo finanziamento c’è?

La delibera del Cipe in Italia, che ha autorizzato i lotti costruttivi, dimostra che, per i lotti successivi al secondo, non esiste attualmente una copertura finanziaria, ma soltanto un «impegno programmatico». Risulta parimenti che in Francia non vi sia la integrale copertura per la parte di competenza. Questo viola l’articolo 16 dell’accordo del 2012, che invece prevede che per l’avvio di ogni fase dei lavori vi sia la totale disponibilità finanziaria.

Ci sarebbero ingenti fondi europei perduti.

Il finanziamento dell’Unione Europea può essere rinegoziato: dipende dalla valutazione che farà la Commissione. Nel caso in cui non riscontri un inadempimento doloso o colposo, per carenza di sostenibilità economico-sociale, come peraltro risulta dall’analisi costi – benefici, l’Ue può concedere diverse modalità di utilizzo dei finanziamenti.

Perché la valutazione giuridica è così negativa?

Di sicuro c’è una grande confusione che può essere alimentata forzosamente: la disciplina europea in materia di finanziamenti lascia agli Stati la scelta finale sulla sostenibilità delle opere e sulle modalità di realizzazione .

Lyon-Turin, la fin d’un mythe

https://www.agoravox.fr/actualites/environnement/article/lyon-turin-la-fin-d-un-mythe-212608

 Ce projet pharaonique, lancé il y a près de trente ans, est en train de finir en eau de boudin, malgré les pressions des milliardaires du BTP, malgré les politiciens aveugles, ou intéressés, et malgré les pressions maffieuses…

Quand, en 1990, suite à la découverte d’une petite plaquette savoyarde qui évoquait le projet Lyon Turin, je m’amusais à agrandir le document, puis à le superposer à un plan IGN, montrant les communes touchées par le projet, puis contactais un journaliste du Nord-Isère, lequel fit publier le document dans son journal, je n’imaginais pas la mobilisation que cela allait provoquer.

Sur tout le territoire, de la Savoie, à la région lyonnaise, les associations d’opposants se multiplièrent, générant 3 coordinationsSavoieavant pays savoyard, et nord Isère Ain.

Les années passant, une certaine lassitude s’installait, mais nous n’avions pas baissé les bras pour autant, multipliant les actions, à la mesure de nos moyens…

Faire le tour de la question depuis le départ du projet est une tâche complexe, mais il faut se souvenir que, pour justifier ce projet, Louis Besson, ex-ministre des transports de Mitterrand, et personnage influent de Savoie, avait tenté mille subterfuges pour promouvoir le projet, comme par exemple inclure ce projet dans une banane.

Cette banane symbolique reliait Londres à Turin, en passant par Lyon, et ce TGV, devait transporter des millions de voyageurs… et plus tard des marchandises.

En effet, au départ, il ne s’agissait que d’une ligne TGV de plus, cataloguée par les opposants dans la liste des G.P.I.I. (grands projets inutiles et imposés). lien

Manque de chance, les opposants de la CADS (Coordination Ain Dauphiné Savoie) interrogèrent Eurotunnel, lequel gère le trafic fret entre Londres et l’Italie, et fit savoir qu’ils avaient retenu un itinéraire par le Nord, à savoir, par CalaisMetz, Bale, et Milanlien

Du coup les promoteurs du LT changèrent leur fusil d’épaule, inventant un nouveau concept, Kiev-Lisbonne, passant bien sûr par Lyon et Turin

Pour faire passer la pilule, le coût en avait été minoré… 7 milliards pour l’ensemble, y compris un tunnel long de 57,5 km.

Aujourd’hui, on sait que, le tunnel de base envisagé coûte déjà plus cher (près de 9 milliards d’euros)… tunnel auquel il faut ajouter près de 80 km de tunnels supplémentaires.

De nombreux rapports se succédèrent, critiquant le projet. lien

La commission européenne jugea même qu’il était surdimensionné. lien

Les opposants demandèrent et obtinrent une expertise indépendante qui confirma leurs craintes : la rentabilité du projet n’était pas prouvée, le cout était largement sous-estimé, et l’environnement était loin d’être respecté, prélevant 1500 hectares de terres agricoles riches, des zones à protéger, et surtout, les experts mirent en évidence les contradictions des promoteurs du projet. lien

Le seul intérêt qu’aurait pu avoir le projet étant, d’après les experts, de le remplacer par un projet de fret ferroviaire.

Les promoteurs saisirent alors l’occasion, en doublant le projet voyageur, par un projet fret, sauf que, pour respecter les pentes, (les marchandises ne pouvant franchir des pentes de plus de 3 pour 100), l’environnement s’en trouvait encore plus dévasté, puisque c’était désormais deux sillons qu’il fallait imaginer…

Les opposants eurent beau faire savoir qu’une ligne ferroviaire existait déjà, qu’elle faisait passer des voyageurs et des marchandises, et qu’elle n’est exploitée qu’à 18% de ses possibilités, les promoteurs s’entêtèrent. lien

Incompréhensible attitude puisqu’un milliard environ a été dépensé pour mettre aux normes l’ancien tunnel.

Coté élus écologistes, il ne fallut pas moins de 15 ans pour les convaincre de l’inutilité du projet, et de l’importance d’étudier une alternative recevable. lien

Et puis récemment, Grenoble s’est retiré du projet, au grand dam des promoteurs. lien

La CADS obtint finalement une subvention, offerte par le ministère de l’environnement, permettant d’étudier un projet alternatif.

Pour les marchandises, il va d’Ambérieu à la vallée de Maurienne, et pour les voyageurs, il utilise la voie historique, en la modernisant, suivant une technique développée en Autriche, supprimant toutes les nuisances liées à l’activité ferroviaire. lien

Ce projet permet une liaison rapide, tant pour les marchandises que pour les voyageurs, et permet d’économiser 20 milliards d’euros

Pour l’instant, sans réactions du gouvernement.

Si la mobilisation en France fut assez modeste, elle ne cessa de contester ce projet, d’autant que nos voisins italiens avaient mobilisé beaucoup plus de militants contre ce projet… ces militants, sous l’appellation de NOTAV, réunirent à plusieurs reprises plus de 70 000 manifestants, ce qui donna naissance au mouvement 5 étoiles, sous la houlette d’un certain Beppe Grillo. lien

On sait que ce mouvement est aujourd’hui aux manettes du pays, avec une alliance incongrue, avec l’extrême droite.

Or dans le contrat de gouvernement Salvini, et Di Maio, (la ligue et les 5 étoiles), figurait en bonne et due place l’abandon pur et simple du projet, et suite au rapport italien récent, confirmant la non rentabilité du projet, Di Maio a enfoncé le clou : « le Lyon Turin ne se fera pas  ». lien

Si Salvini persistait à vouloir ce projet, malgré l’accord qu’il a signé, il provoquerait l’éclatement du gouvernement italien…

En France, il y eut plusieurs renoncements, des pauses, dont la dernière, a été décidée par le président français actuel, en automne dernier. lien

S’il est vrai que l’Europe avait consenti à prendre en charge une partie du financement du projet, et s’était impliqué pour 500 millions dans les études, l’implication européenne ne portait que sur 40% du tunnel de base, soit  3 milliards…alors que, nous l’avons vu, le projet couterait au minimum 30 milliards...lien

De plus, l’organisme qui gérait ce projet avait pour nom TELT… et le mandat de celui qui présidait cet organisme finissait le 31 décembre 2018.

Or le gouvernement français a décidé de ne pas le renouveler, donnant le signe évident d’un manque d’enthousiasme pour ce projet.

Des millions furent tout de même engagés par la région Rhône-Alpes, par Charles Millionet par ses successeurs, alors que le financement n’était pas acté, en contournant ce problème, qualifiant les travaux comme étant partie des études.

(Rappelons que le contrat gouvernemental qui acte le projet ne permet de démarrer le chantier que lorsque la totalité des financements aura été trouvée…)

Alors que des sondages verticaux auraient pu être réalisés à moindre coût, les promoteurs mirent en chantier des « galeries de reconnaissance », galeries dans lesquelles le tunnelier ne cessa de rencontrer des problèmes, tombant régulièrement en panne, et avançant à la vitesse d’un escargot.

Il était censé avancer de 600 mètres par mois, or 5 mois après le début des travaux, on en est à 2 mètres par jour, soit 10 fois moins vite que prévu. lien

Plus tard, le tunnelier ralentit encore sa cadence, se trouvant dans une zone carbonifère, difficile à creuser, avec une cadence de creusement d’un mètre par jour.

A ce rythme, pour creuser un seul tube (pour un tunnel qui en compte deux), il faudrait 78 ans pour aboutir. lien

Aujourd’hui, l’Europe menace de récupérer les 500 millions versés, (lien) et la France évoque des sanctions, oubliant au passage qu’un autre projet transalpin avait été signé, il y a des dizaines d’années : la traversée ferroviaire de Montgenèvre, censée relier la France etl’Italie, sauf que ce projet n’a jamais été réalisé, et que personne n’a réclamé suite à son abandon.

En toute logique, si les deux pays persistaient à imaginer cette liaison franco italienne, c’est donc le projet de Montgenèvre qui serait prioritaire.

Et puis, si le projet se réalisait malgré tout, vu sa non rentabilité, et malgré le rapport Italien qui le juge non rentable, évoquant un « gâchis d’argent public », une rapide faillite serait probable, qui obligerait l’état à combler le déficit, et à payer pour des années, la dette, et les intérêts de la dette...lien

C’est d’ailleurs ce qui s’est passé il n’y a pas si longtemps dans les Pyrénées, pour la LGV Perpignan-Figueras, provoquant la aussi, la fin d’un mythe. lien

Comme dit mon vieil ami africain : « c’est à force de se planter qu’on devient cultivé ».

Le dessin illustrant l’article est de l’auteur

Merci aux internautes pour leur aide précieuse

Olivier Cabanel

Articles anciens

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Le malheur est dans les prés

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Ils n’arrêteront pas le printemps

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100 000 à dire NON !

Un enfer au Paradis

Un débat qui déraille

Vite et bien ne sont pas compatibles

Des trains sans entrain

Fret, la nouvelle bataille du rail

Une autoroute sans camions

Le blog des opposants est sur ce lien

Il Tav costa troppo e non serve a nulla: 7 miliardi di motivi

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/02/12/il-tav-costa-troppo-e-non-serve-a-nulla-7-miliardi-di-motivi/4965961/?fbclid=IwAR3ywRN4twNVgDk0Od6UENqZEOXgj0Zeo5n0iZD3FYQpvCInV3eLIRshUwg

Il dossier costi/benefici stronca l’opera: i primi sono altissimi, i secondi quasi inesistenti
Il Tav costa troppo e non serve a nulla: 7 miliardi di motivi

Uno spreco di soldi pubblici con pochi precedenti nella storia italiana. Nel migliore dei casi si arriva a un effetto negativo (sbilancio tra costi-benefici) di 5,7 miliardi; nel peggiore si sfiorano gli 8 miliardi; in quello “realistico” si arriva a 7 miliardi tondi. L’analisi costi-benefici – prevista dal contratto di governo – sul Tav Torino-Lione è ormai completata. Il dossier affidato dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli (M5S) a una squadra di cinque esperti capitanati dall’economista Marco Ponti è stata consegnata a Matteo Salvini e Luigi Di Maio e verrà pubblicata oggi. Il Fatto può anticiparne i contenuti. Il risultato è una stroncatura, anche considerando i costi necessari per fermare l’opera. I benefici, per dire, si fermano a 800 milioni.
Da settimane la Lega, da sempre favorevole, e il M5S, da sempre contrario, litigano su un documento a cui entrambi hanno deciso di sottoporre l’opera. Il Tav si è ormai di fatto ridotto al solo tunnel di base tra le stazioni di Bussoleno e Saint Jean de Maurienne – 9,6 miliardi, di cui 3 a carico dell’Italia, il 35% dei lavori per un tunnel per due terzi in territorio francese A questi si aggiungono gli 1,7 miliardi del collegamento italiano al tunnel. In totale: poco meno di 12 miliardi.

L’analisi ha un punto di forza notevole. Ponti e colleghi utilizzano due scenari: nel primo si basano sulle stime di traffico, merci e passeggeri, stilate a partire dal 2011 dall’Osservatorio sul Tav di Palazzo Chigi, i cui vertici sono favorevoli all’opera; nel secondo le stime, assai ottimistiche, sono riviste alla luce di scenari “più realistici”. Il risultato è negativo in entrambi. Basta legge i dati per capire un bluff lungo 25 anni.

Nel primo scenario si assume che il traffico merci ferroviario fra Torino e Lione (oggi fermo ai livelli del 2004 e inferiore a 20 anni fa) si moltiplicherebbe di 25 volte, passando dai 2,7 milioni di tonnellate annue del 2017 ai 51,8 del 2059; i passeggeri diurni sui percorsi internazionali passerebbero invece da 0,7 a 4,6 milioni e quelli regionali raddoppierebbero dagli 4,1 a 8 milioni all’anno. Questo miracolo avverrebbe grazie allo “spostamento modale” dalla strada (e dall’aereo per i passeggeri) alla ferrovia che sarebbe innescato dall’opera. Si basa su tre assunti considerati “inverosimili” da Ponti & C.: un tasso di crescita dei flussi del 2,5% annuo; che la nuova linea ferroviaria acquisisca un flusso pari al 18% di quanto oggi transita via Svizzera (Sempione e Gottardo), al 30% dei flussi stradali che transitano al confine di Ventimiglia – distante 200 chilometri – al 55% di quelli del traforo del Fréjus e al 40% di quelli del Monte Bianco.

Nonostante i numeri stellari, l’analisi di redditività dei tecnici risulta assai negativa. Con riferimento ai costi “a finire”, cioè escludendo gli 1,4 miliardi già spesi in studi, scavi geognostici e progetti, il Valore attuale netto economico dell’investimento (Vane) risulta negativo per 7.805 milioni di euro; quello a costo completo arriva a -8.760 milioni. Anche con il taglio della tratta italiana Avigliana-Orbassano, che la Lega ha provato inutilmente a proporre ai 5Stelle per dare l’ok all’opera (il “mini Tav”), si passerebbe rispettivamente a -7.212 milioni e -8.167. Il motivo è semplice: senza quel raccordo si riducono i costi (1,7 miliardi), ma anche i benefici.

Nel secondo scenario le stime vengono rese più realistiche. Il tasso di crescita dei flussi si riduce all’1,5% annuo, si assume che per le merci lo spostamento da strada a ferrovia non interessi i segmenti di percorso più lontani dal tunnel e che la domanda generata per il segmento di lunga percorrenza sia pari al 50% di quella esistente (invece del 218%) e quella dei passeggeri regionali al 25% (invece del 50%). Il risultato è nella tabella sopra: il Vane sarebbe negativo: -6.995 milioni considerando i costi “a finire” e -7.949 milioni qualora si faccia riferimento al costo intero. Senza la tratta nazionale si passa a -6.138 milioni e -7.093 milioni. Un disastro.

I fan dell’opera attaccano il lavoro di Ponti e compagnia perché considera tra i costi il mancato gettito fiscale dello Stato: le merci si spostano su rotaia, con meno pedaggi pagati ai concessionari autostradali e quindi minori tasse pagate. L’accusa è che così si truccano i conti e si ignorano i benefici ambientali. Si tratta però di una scelta perfettamente logica in una analisi economica, infatti è ormai una prassi consolidata a livello internazionale, al punto da essere incorporata anche nelle analisi dell’Osservatorio, che addirittura le sovrastima rispetto ai numeri della commissione ministeriale. Ovviamente l’analisi di Ponti e colleghi tiene conto dei benefici ambientali (sicurezza, rumore, inquinamento, effetto serra, decongestione stradale etc.) usando gli standard Ue: ogni tonnellata in meno di Co2 immessa nell’atmosfera, per dire, genera un effetto positivo (90 euro) di minori danni ambientali ma al contempo comporta una riduzione delle entrate fiscali di circa 400 euro che hanno un impatto pesante sui conti dello Stato (meno incassi, minori esercizi statali oppure incremento di altre forme di prelievo). I benefici ambientali appaiono risibili, spiegano i tecnici. Parliamo, nello scenario ottimistico, di 7-800mila tonnellate annue di Co2 in meno (500 mila in quello realistico), quando il solo traffico di Roma ne genera 4,5 milioni. Non più dello 0,5% sul totale nazionale dei trasporti.

A conti fatti il risultato è negativo, bene che vada, per 7 miliardi, praticamente inesistenti. L’analisi è spietata: anche assumendo che servano 1,5 miliardi per ripristinare i luoghi dei cantieri e ammodernare la vecchia linea del Frejus, come sostiene il costruttore italo-francese Telt ma che rappresentano in realtà l’ipotesi di gran luna più pessimistica (il conto potrebbe risultare assai più lieve), il risultato resta negativo per 5,7 miliardi. La stroncatura nasce dal fatto che una vera domanda di traffico non sembra esserci. Nel tunnel autostradale del Frejus, che secondo i fans dell’opera dovrebbe essere decongestionato, passano 2.154 mezzi pesanti al giorno, una miseria (sulla tangenziale di Torino sono 80 mila). Secondo Ponti & C. la riduzione dei costi di trasporto generata dal Tav, come ipotizzata dall’Osservatorio (7 euro per tonnellata trasportata e un’ora di tempo risparmiato) “non è sufficiente a spostare rilevantissime quantità di domanda da gomma a ferro. Perché ciò accadesse il beneficio del tunnel dovrebbe essere molto superiore” alle stime. Che si basavano su previsioni poi rivelatesi, per stessa ammissione dell’Osservatorio, “smentite dai fatti”.

Costi benefici Tav, Foietta: “Dalla farsa si è passati alla truffa”

http://www.nuovasocieta.it/costi-benefici-tav-foietta-dalla-farsa-si-e-passati-alla-truffa/?fbclid=IwAR1KptxiQ6F42F9y4f-y3HGoB6xB7pew3cyN0jkApRhYGIm4wOpHPnnXvuY

|12 febbraio 2019 – 11:57 | Scritto da P.R.|

Paolo Foietta, commissario straordinario della Torino-Lione commenta duramente il documento costi benefici sulla Tav reso pubblico oggi, che boccia l’opera.

«Mi riservo di vedere nel dettaglio i numeri, ma dalle prime indicazioni mi sembra che dalla farsa si è passati alla truffa», dice.

Foietta rincara la dose: «Si tratta di un’analisi truffa realizzata per far quadrare i conti in base a quello che vuole il padrone: i costi sono ampiamente gonfiati, mentre c’è una enorme sottovalutazione dei benefici ambientali e sociali», aggiunge.

«Dalla prima lettura rilevo anche una grave sottovalutazione dei traffici, sui quali l’analisi prende una cantonata colossale. C’è poi la questione delle accise e del mancato introito per lo spostamento dei traffici dalla gomma alla rotaia: è contro ogni logica e buon senso calcolare tutto questo come una negatività, va contro qualunque linea guida sulle analisi costi-benefici».

«I numeri “veri” – conclude Foietta – sono quelli dei Quaderni dell’Osservatorio già pubblicati e messi a disposizione del governo»

ARRIVA IL TRENO PECHINO-LIONE: LA NUOVA VIA DELLA SETA SU ROTAIE

https://www.lastampa.it/2018/09/10/cultura/arriva-il-treno-pechinolione-la-nuova-via-della-seta-su-rotaie-QWalQMmTw3oVhD1vsVgZyM/pagina.html?fbclid=IwAR3vR9j0nrUgQ0DQyII1_rrK8QCbGeH78vlz3WcQrM-xFYkDTcFeFY-xFBk

Al momento l’Italia è tagliata fuori, ma con la Tav sarà collegata

Il treno partito dalla Cina arriva a Saint-Priest (Lione)

Pubblicato il 10/09/2018
NICCOLÒ ZANCAN

Come una nuova via della seta, ma su rotaie. Questa mattina alle 8, alla stazione logistica di Saint-Priest, vicino a Lione, è in arrivo un treno molto speciale. Ci saranno politici, consoli e fotoreporter ad attenderlo. È il primo treno carico di merci partito dalla Cina: raggiunge la sua destinazione dopo 11.300 chilometri di viaggio percorsi attraverso Kazakistan, Russia, Bielorussia, Polonia e Germania, uno scalo per scaricare alcuni container a Duisburg. Ci sono voluti quindici giorni. Sono stati superati non pochi problemi tecnici. In Russia, per esempio, i binari hanno lo scartamento più largo, servono soste obbligate e cambi in corsa. Ma resta comunque un viaggio corto la metà rispetto a quello per mare. E ormai il treno è qui, sta arrivando nel cuore dell’Europa. 

L’OBIETTIVO

La notizia è che presto questo viaggio straordinario diventerà normale. La compagnia «Wuhan Asia Europe Logistics», la prima ad aver inaugurato la rotta, ha già annunciato l’intenzione di aprire un ufficio permanente a Lione. Per poi organizzare un servizio di tre convogli al mese: andata e ritorno. Con alcune razionalizzazioni lungo il percorso, l’obiettivo è riuscire a coprire la tratta da Wuhan a Lione in una settimana. Sette giorni per questo viaggio intercontinentale di terra. Così oggi, il primo arrivo viene celebrato come una grande possibilità di sviluppo.

L’Italia per adesso è tagliata fuori, ma non lo sarà in futuro. Con l’inaugurazione del tunnel del Gottardo, e poi con la Torino-Lione. Ecco perché proprio Mario Virano, il direttore generale di Telt, la società italiana che gestisce i lavori per la costruzione del tunnel per l’alta velocità fra Italia e Francia, è stato invitato alla cerimonia. «Sono molto felice di partecipare a ad un momento così altamente simbolico – dice Virano – il corridoio Est-Ovest, tanto vituperato da alcuni, che lo ritenevano solo un’illusione, sta diventando realtà. La Svizzera già collega treni dalla Spagna alla Cina. Il governo russo e quello cinese hanno realizzato un accordo per costruire l’alta velocità: un’opera da sei miliardi di dollari. Insomma: il mercato si annuncia in fortissima crescita. C’è un oggettivo grande interesse nel potenziare questa rotta. Per le merci e per i passeggeri».

E l’Italia? «Il percorso naturale sarebbe proprio il Corridoio Mediterraneo, quello che attraversa la Pianura Padana. Ma oggi non è praticabile perché sconta la penalizzazione dell’attraversamento alpino a 1300 metri di quota nel vecchio tunnel del 1871, qualcosa di incompatibile con le nuove tipologie di treni. Però è evidente: la via della seta non era una congettura poetica. Ora è il mercato stesso a segnalare la necessità di infrastrutture che connettano in modo più veloce, sicuro e pulito il nuovo mondo globalizzato. Quello che sta succedendo mette in luce ancora di più i nostri ritardi, ma è anche uno stimolo per accelerare».

LA TORINO-LIONE

Il piano di lavoro per la linea ad alta velocità Torino-Lione, almeno sulla carta, è questo: completare la prima parte entro il 2019, due miliardi di investimenti di cui 813 milioni finanziati dalla commissione europea. Dal 2020 al 2027 verrà completato lo scavo. Quindi serviranno altri due anni di opere tecniche per attrezzare la galleria. Totale: tredici anni per entrare a far parte della nuova via della seta.

È proprio con questa visione che lo scorso novembre molti sindaci delle principali città interessate dal progetto hanno firmato la «Carta di Torino». Mosca, Tirana, Norimberga, Barcellona, Siviglia, Lione e Budapest. Un impegno per aggregare gli interessi dei territori, mettere in condivisone le energie e rendere il sogno sempre più concreto.