Tav e lavoro, i numeri reali sugli operai nel cantiere italiano: oggi sono una decina. E se partisse l’opera? 470 per 10 anni

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/01/24/tav-e-lavoro-i-numeri-reali-i-4mila-occupati-che-sono-400-per-10-anni-lo-scenario-formidabile-di-50mila-posti-indiretti/4912302/

Tav e lavoro, i numeri reali sugli operai nel cantiere italiano: oggi sono una decina. E se partisse l’opera? 470 per 10 anni

La battaglia sulla Torino-Lione si gioca anche sulla ricaduta occupazionale. Gli “800 operai attualmente impegnati” raccontati dai giornali? 530 sono in Francia, oltre 250 sono impiegati di Telt, 10 soltanto sono a Chiomonte. Industriali, sindacati e opposizioni lanciano però l’allarme su “4mila posti a rischio”: in prospettiva saranno massimo 720 l’anno con una media di 470 nei dieci previsti. Sull’occupazione indiretta, invece, molti numeri (Confindustria parla di “50mila”) ma nessuna certezza. Ecco il punto

“I numeri degli occupati nei cantieri della Tav già ora e di quelli che saranno impegnati a regime, dicono chiaramente qual è l’impatto positivo sull’occupazione della realizzazione della Tav e le sue importanti ricadute sul Pil nazionale”. Lo dice Sergio Chiamparino al fattoquotidiano.it mettendosi sulla scia dei politici, degli industriali e dei sindacalisti impegnati a salvare l’Alta Velocità sulla tratta Torino-Lione, dopo la bocciatura annunciata dell’opera da parte del team scelto dal governo guidato dal professor Marco Ponti. L’anticipazione ha incendiato il clima politico tra manifestazioni di piazza, mozioni urgenti, ipotesi referendarie e tentativi di formare maggioranze alternative in Parlamento. L’esecutivo giallo-verde viene accusato di essere “irresponsabile” perché, insieme ai treni merci, getterebbe al vento “migliaia di posti di lavoro”: 4mila solo per il “cantiere”, almeno altrettanto per gli indiretti. Addirittura 50mila per il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. La questione occupazionale però resta controversa, al di là delle cifre annunciate, sbandierate e citate sui giornali: per sapere quanti siano gli occupati diretti, impiegati cioè nella realizzazione, bisogna sentire l’azienda che costruisce l’opera mentre su quelli indiretti (il famoso “indotto”) ogni prefigurazione è invece teorica e scivolosa, al punto da essere stata accantonata nell’ultima analisi. Proviamo a fare ordine.

La società italo-francese Telt incaricata di realizzare l’opera spiega che attualmente “sul cantiere italiano si contano una decina di lavoratori, operai perlopiù”. E gli ottocento posti? E i futuri quattromila? “A Chiomonte è tutto bloccato, l’effetto Toninelli è stato questo”, dice al fattoquotidiano.it il presidente dell’Osservatorio sulla Tav Paolo Foietta. “Proprio quando dovevano partire le gare per il lotto grosso – spiega – è arrivata la sospensione e 150 persone che stavano lavorando sono rimaste ferme per sei mesi. Una parte di questo personale è stata spostata sull’altro lato, al cantiere di Saint-Martin-La-Portein Francia, un’altra è in cassa integrazione”. Quanti ne beneficino non si sa, il dettaglio non è noto a Telt, la società italo francese incaricata di realizzare l’opera perché ad attivarla sono le sue aziende fornitrici.

 

Gli 800 “nel cantiere”? 530 in Francia, altri 280 in ufficio
Vediamo di capire però quali posti. Telt spiega che dei circa 800 lavoratori attualmente impiegati 530sono all’opera nel cantiere francese, dove la fresa ha scavato 26 kmUna decina, come detto, sono al cantiere di Chiomonte, dove “lo scavo deve ancora partire e al momento sono impiegati operai per la manutenzione e transizione del cantiere a quello del cunicolo esplorativo, nell’opera di studio del terreno della zona e lo scavo vero e proprio del tunnel di base”. Altre 280 persone sono impiegate tra società di servizi e di ingegneria nella stessa società pubblica che si occupa della realizzazione della Torino-Lione. “A pieno regime i cantieri daranno però impiego diretto a 4.761 lavoratori e altrettanti nell’indotto”. Da dove viene fuori questo dato? La società spiega che è la risultante di studi-parametro effettuati sui dati relativi a cinque opere geognostiche terminate in Francia da Ltf, che l’ha preceduta.

I “4mila posti di lavoro”? Sono 476 in media per 10 anni (poi si chiude)
Va precisato però, giacché quasi nessuno lo fa, che i 4mila posti sono in realtà spalmati in dieci anni con un picco nel 2022-2023 rispettivamente di 756 e 722 addetti e poi il calo fino ai 104 del 2029 (
scarica la tabella con andamento occupazionale). La media per anno è di 476 posti e questo dato – più correttamente rappresentato che nelle semplificazioni da titolo di giornale o nelle dichiarazioni dei politici – rende meglio il peso reale della “questione occupazionale” diretta: vista così, la Tav è l’equivalente di una media azienda di riguardo, importante sicuramente, ma analoga alle 3.787 con più di 250 addetti attive in Italia (dato Istat estratto il 19 gennaio 2019). Semmai con una differenza importante che non depone a favore: la “azienda Tav”, come tutte quelle di cantiere, vive solo per dieci anni. Alla fine lavori, prevista per il 2029, chiude e il 99% delle maestranze mobilitate torna a casa. “Certo – dicono dagli uffici Telt di Torino – alla fine resteranno essenzialmente i responsabili di esercizio e manutenzione dell’opera”.

L’indotto dei “50mila posti”…
Per ammissione degli stessi promotori l’effetto occupazionale della messa in esercizio della linea “non è mai stato incentrato sull’obiettivo di creare qualche centinaio di posti di lavoro”. E’ scritto nelle contro-deduzioni del governo alla Comunità montata ormai sette anni fa: 
quei posti di  lavoro  – si legge nel documento datato 2012 – sono  “un  importante  effetto  indiretto  della  messa  in  esercizio, ma sono solo una piccola parte dei benefici attesi per l’intero sistema economico Piemontese, a seguito della realizzazione della nuova linea”. Per le associazioni datoriali, a partire da Confindustria, la Tav è diventata essenziale alla crescita del Paese: è il simbolo stesso del braccio di ferro con il governo sul destino delle grandi opere in Italia, quella che idealmente spegne o accende ogni speranza di rimettere in moto l’edilizia e smuovere il Pil (“Infrastrutture: Boccia, governo apra cantieri a partire da Tav”, “La Tav porterebbe a regime 50mila posti di lavoro, l’analisi d’impatto deve tenerne conto”). La Cisl è dello stesso parere e parla di “indubbie ricadute occupazionali” a rischio. Per l’opposizione la Tav oggi è anche il cantiere dove scavare tra le divisioni all’interno del governo, tra la Lega pro Tav e i Cinque Stelle da sempre contrari. Il 15 gennaio scorso, il Pd ha presentato in Senato la mozione di Mauro Laus che cerca di unire tutte le forze attorno al “sì Tav” isolando i Cinque Stelle e spaccando il governo. Non mancano accuse esplicite al governo, come quella del deputato piemontese Giacomo Portas che ribadisce: “Con la Tav fa perdere migliaia di posti di lavoro” (28 dicembre 2018). Gli effetti reali, su contratti da attivare, sono quelli visti poco sopra.

C’è poi un effetto indiretto e indotto sul lungo periodo da considerare. Su questo terreno però la previsione occupazionale si fa più sfuggente che mai, prestandosi a semplificazioni e usi impropri da parte di sostenitori e detrattori dell’opera. I numeri fanno per lo più riferimento a stime, la cui incertezza è dovuta alla difficoltà di calcolare con precisione i settori produttivi che beneficeranno della nuova linea ferroviaria. Iniziamo col dire che è noto come l’analisi costi-benefici sul tavolo del governo realizzata dal team del professor Ponti non si avventuri per scelta in questo campo. La ragione è teorica e metodologica, spiega lo stesso Ponti al fattoquotidiano.it: “Analisi e modelli economici sul valore aggiunto applicati alle grandi opere assumono come sempre nullo il costo/opportunità sia del capitale che del lavoro e quindi danno sempre valore positivo. Hanno senso solo nella comparazione tra opzioni diverse per capire la più favorevole, non in assoluto. E dunque non sono un criterio utile per una decisione politica basata su numeri”. Proprio su questo punto si prepara una delle dispute tra economisti più accese di sempre, appena il “dossier” che ha bocciato la Tav diverrà pubblico

…ma l’effetto indiretto non è definibile (ci hanno provato 7 studi in 22 anni)
Del resto, non meno controversi sono gli studi che presentano scenari formidabili per l’occupazione. Le analisi sugli impatti economici dell’opera, ha ricordato lo stesso Chiamparino, sono state ben sette in 22 anni. Nessuna però, evidentemente, ha fornito risposte decisive anche perché si tratta per definizione di studi teorici, basati su calcoli e modelli astratti applicati di volta in volta a scenari specifici.

Nel 2011 la Commissione Europea doveva decidere se finanziare l’opera e ne ha commissionato uno che resta forse il più corposo di tutti. Per ammissione dello stesso commissario Foietta, però, “le analisi costi benefici invecchiano come lo yogurt. Nel caso specifico, lo studio era durato un anno e mezzo e aveva dato risultati più che positivi sui vantaggi del Tav. Purtroppo era basato su dati pre-crisi, uno scenario di riferimento totalmente diverso dall’attuale e da rivedere”.

Nel 2015 la Commissione Ue ha poi commissionato un rapporto al prestigioso Fraunhofer Institut für System und Innovationsforschung. L’analisi (scarica il documento) non stima i posti di lavoro creati ma quelli che si andrebbero a perdere in caso di mancato completamento del programma. Alla base del calcolo, un’equazione per cui – nel settore dei progetti transfrontalieri – ogni miliardo di euro non investito causerebbe la perdita di 44.500 potenziali posti di lavoro.

Tra gli studi  più recenti spicca poi quello realizzato sempre su dati Telt in collaborazione tra Osservatorio Tav e il gruppo Clas, con la supervisione del professore della Bocconi Roberto Zucchetti (leggi sintesi e tavole). Applicando modelli predittivi su catene di valore indiretto lo studio ipotizza negli 11anni di lavoro previsti  l’impiego di 125mila “unità di lavoro” tra Italia e Francia, cioè addetti a tempo pieno”, così divisi: 30mila diretti, 53.144 indiretti, 42mila per indotto. Da questa stima molti dei sostenitori dell’effetto occupazionale, con Vincenzo Boccia in prima fila, hanno tratto la semplificazione sui “50mila posti a rischio”.

Il derby tra analisi e cantiere
“Non dico che le analisi lasciano il tempo che trovano”, conclude il commissario Foietta, “ma qui siamo a un bivio: o scegliamo la logica perversa del gioco dell’oca, per cui il contesto cambia in continuazione e tutte le volte che ho finito un’analisi costi benefici non faccio l’opera ma un’altra analisi, con avvitamento sugli studi, oppure in questo momento uso l’analisi che ho nel momento in cui assumo la decisione; e poi uso altri strumenti che esistono per monitorare le situazioni di contesto, ma senza rimettere in discussione tutto, al limite aggiustandola perché io sennò non farò mai un’opera ma una nuova analisi costi e benefici. Non si può dire che non esiste nulla, esistono tante cose ma non piacciono a Toninelli“.

Naturalmente su queste previsioni non sono mancate le contestazioni di metodo e di merito, non ultima sull’imparzialità del dato che proviene pur sempre dal soggetto promotore e dall’esecutore, dunque meno attendibile sul piano della terzietà e indipendenza. Se siano numeri realistici si vedrà. Negli ultimi giorni ha preso quota l’ipotesi di una mediazione tra la posizione dei Cinque Stelle e della Lega per una sorta di “mini-Tav”, che prevede la realizzazione solo del tunnel di base al confine tra Italia e Francia, senza completare la nuova linea sul versante italiano ma limitandosi ad ammodernare quella esistente con un risparmio di 1,7 miliardi. Se mai dovesse passare questa linea, tutti i numeri scritti e urlati finora sarebbero da resettare.

interessante il documento del 2012 che viene riportato nell’articolo, soprattutto nella parte osservazioni della Comunità montana valle di susa e val sangone

Documento del governo italiano “Tav Torino-Lione domande e risposte”

(http://presidenza.governo.it/osservatorio_torino_lione/PDF/DOC_controd_CMVSS16_4_2012.pdf#page=41

“LA CGIL RITROVA L’UNITÀ E ELEGGE LANDINI SEGRETARIO

https://ilmanifesto.it/la-cgil-ritrova-lunita-e-elegge-landini-segretario/

25 genn 19 Manifesto :

Il congresso di Bari. All’ex leader della Fiom il 92,7% dei voti: «Sento una grande responsabilità». Primo problema da affrontare, quello della «rappresentanza dei giovani»

Massimo Franchi

Negativo il giudizio sul reddito di cittadinanza: «Il problema è la confusione che sta facendo questo governo che comunque non ha mai ripristinato l’articolo 18 come annunciato. La povertà c’è ma non si può pensare di affrontarla mescolandola con le politiche del lavoro. Fai solo una grande confusione e non affronti né l’una né l’altro».

SULLA TAV (Landini ha appoggiato la lotta No tav negli anni scorsi) la risposta è articolata: «La scelta di andare verso un blocco generalizzato di tutti i cantieri non è intelligente, c’è un problema di piano straordinario delle infrastrutture, materiali ma anche sociali, non solo di grandi opere. Di sicuro serve potenziare le ferrovie anche da altre parti, come la linea adriatica: serve un piano straordinario di investimenti e per il Mezzogiorno»….”

“CGIL, LANDINI, IL 9 FEBBRAIO IN PIAZZA CONTRO MANOVRA, SERVONO ALTRE POLITICHE

25 genn 19 Sky tg24 :

Il nuovo segretario generale attacca la manovra: “Non c’è l’evasione fiscale, non si modifica la Fornero, non si combatte la povertà”.

“La Cgil dice sì alla Tav”, aggiunge, chiedendo maggiore attenzione alla manutenzione di tutto il territorio, soprattutto il Sud

…..“La Tav va portata avanti, ma anche la manutenzione del territorio”

In risposta a una domanda sulla posizione del sindacato sull’Alta velocità Torino-Lione, uno dei temi motivo di scontro all’interno dell’esecutivo, Landini risponde: “La posizione della Cgil dice in modo molto esplicito che è un errore aver bloccato tutte le grandi opere e tutti cantieri così come è stato fatto. Quindi noi diciamo che deve esserci uno sblocco dei cantieri”, chiarisce.

“Ma al tempo stesso – prosegue l’ex segretario della Fiom – diciamo anche che il problema del nostro Paese non sono solo le grandi opere, ma anche la manutenzione e cura del territorio”. Landini porta l’esempio del Sud, dove “non ci sono le ferrovie adatte, le strade adatte, c’è un problema di estensione delle tecnologie digitali, siamo di fronte a un arretramento del Paese. Dentro questa legge di stabilità sono stati tagliati soldi che dovevano essere investiti dallo Stato anche per le cosiddette ferrovie secondarie che trasportano molte persone”.

“Quello che noi critichiamo – attacca Landini – è che non c’è un piano, una visione di quello che dovrebbe essere il Paese nei prossimi anni. E tra l’altro definire un piano di investimenti consistenti avrebbe anche il pregio di andare in Europa e fare una battaglia vera per chiedere che questi investimenti vengano scontati dal debito e dal deficit”….”

VIDEO: https://tg24.sky.it/economia/2019/01/25/cgil-maurizio-landini-intervista.html

La Patagonia sarà il nuovo Israele?

http://parstoday.com/it/news/world-i179958-la_patagonia_sar%C3%A0_il_nuovo_israele?fbclid=IwAR05AQWTYILRFtl8bJ6c-FMRB7Zdx_Pmr-2VmzXe1anS768bWAMnhcyKvNs

Jan 23, 2019 18:49 Europe/Rome
  • La Patagonia sarà il nuovo Israele?

Nella zona poco abitata della Patagonia, tra l’Argentina ed il Cile, famosa per i campi fertili, Israele, negli ultimi anni, ha comprato estesi terreni, lasciando pensare che si pensi alla fondazione di un nuovo “Stato ebraico” in questa zona del mondo.

Fonti argentine riferiscono con preoccupazione che l’opera di “acquisto” degli israeliani è stata sostenuta dai servizi britannici e soprattutto da un miliardario ebreo inglese: Joe Lewis. Partner d’affari di George Soros e padrone della squadra di calcio del Tottenham, ha cominciato anni fa “ad acquistare immensi territori nel Sud argentino, ed anche nel vicino Cile. Le sue proprietà coprono più volte l’estensione d’Israele. Sono situate in Tierra del Fuego, all’estremo meridione,  zona che dà accesso alle ricchezze minerarie del continente antartico”.

Il miliardario può farlo in base al trattato di pace che Londra impose all’Argentina sconfitta nella guerra della Falkland (o Malvinas): lo spazio aereo del territorio meridionale è  stato tolto a Buenos Aires. E’ alla Royal Air Force che oggi le linee aeree argentine devono chiedere il permesso di sorvolo sulla loro patria.

Le terre di Lewis fra l’altro “circondano  il Lago Escondido [proprietà demaniale] impedendo ad esso l’accesso, nonostante una sentenza di giustizia. Un aeroporto privato con pista di 2 chilometri gestito dal miliardario che accoglie aerei civili e militari”.

Militari? “Dalla guerra delle Malvine, l’esercito israeliano organizza “campi di vacanza” per i suoi soldati in Patagonia.  Ogni anno, 8-10 mila vengono a passare due settimane nelle terre di Joe Lewis.

Sono stati costruiti là “migliaia di edifici” , ma “è impossibile constatare lo stato dei lavori, perché essendo quei territori privati, Gooogle Earth oscura le foto satellitari dell’area, come fa per le istallazioni militari dell’Alleanza Atlantica.  Il vicino Cile  ha ceduto ad Israele una base per  sottomarini. Vi si sono scavati tunnel per sopravvivere all’inverno polare.

“Gli indiani Mapuche, che popolano la Patagonia argentina come quella cilena, hanno avuto la sorpresa di apprendere che a Londra si è  riattivata l’organizzazione Resistencia Ancestral Mapuche (RAM), misteriosa organizzazione indipendentista. Un tempo ritenuta una organizzazione strumentalizzata dai servizi segreti argentini, adesso la sinistra la considera un legittimo movimento secessionista; ma i capi Mapuche la considerano un iniziativa finanziata da Soros”.  Anche per l’affondamento, il 17 novembre  scorso, del sottomarino San Juan,  in una missione segreta (ma di cui Londra era stata avvertita)  nel mare antistante ai territori del miliardario sionista, “la stampa argentina è  convinta che abbia urtato una mina oppure sia stata distrutta da un siluro nemico”.

Torna il Plan Andinia

Negli ultimi anni anche il premier Netanyahu ha visitato più volte la zona incoraggiando gli ebrei a visitare questa zona, e a comprare terreni. Si pensa quindi ad una revival del Plan Andinia, anche perchè i fondatori dell’ideologia pericolosa del Sionismo, individuarono oltre alla Palestina pure questa zona dell’Argentina, oltre all’Uganda, come possibili luoghi per creare un focolare ebraico. Oggi non si comprende se i piani israeliani mirino a creare una base militare, o più probabilmente “un secondo Israele”.

Una parte degli osservatori mondiali, infatti, tra cui la guida spirituale iraniana, l’ayatollah Khamenei, ritengono che vista la fine del regime dell’Apartheid in Sudafrica, il più simile a quello attuale di Israele, il regime di Tel Aviv non resisterà a lungo, perlomeno nella sua forma attuale; pertanto alcuni ipotizzano che Israele stia tenendo la Patagonia come eventuale luogo per poter formare un nuovo Stato.

Questa volta, i nuovi “palestinesi”, sarebbero gli indiani Mapuche.

Fonte: IRNA

Articolo originale in persiano di: Mohsen Pak Ain, esperto di relazioni internazionali

I 5 STELLE DENUDANO RE MACRON, MERKEL LO RIVESTE—– AQUISGRANA: RISORGE CARLO MAGNO E MUORE L’UE

http://fulviogrimaldi.blogspot.com/2019/01/i-5-stelle-denudano-re-macron-merkel-lo.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 24 GENNAIO 2019

 

Carlo Magno contro i 5 Stelle

Supercoppa europea: 5Stelle vs Carlo Magno. Dove per il sanguinario sterminatore dei sassoni pagani, e dunque santo, che riunì Germani e Franchi sulle ceneri dell’impero romano e della civiltà classica, si deve intendere l’Asse franco-tedesco, antieuropeo, un po’ anti-Usa e soprattutto anti-italiano (finche non torna uno come Prodi o Renzi), sancito ad Aquisgrana, città dell’imperatore, sede del primo trattato De Gaulle-Adenauer, per l’egemonia nel continente, simbolo dalla potenza simbolica deflagrante. Sede anche dell’insigne Premio Carlo Magno, forse il più reazionario di tutti i premi, se si trascura qualche Nobel, conferito, et pour cause, a Bergoglio e Woytila papi.

Di Maio, al quale il rientro di Alessandro Di Battista ha fatto l’effetto di un caffèdoppio, l’ha detta grossa: “Alcuni paesi europei, con in testa la Francia, non hanno mai smesso di colonizzare decine di Stati africani. Se la Francia non avesse le colonie africane, che sta impoverendo, sarebbe la 15esima forza economica internazionale e invece è tra le prima per quello che sta combinando in Africa. L’UE dovrebbe sanzionare queste nazioni che stanno impoverendo quei paesi. E necessario affrontare il problema anche all’ONU”. E, mi permetto, anche davanti alla Corte Penale Internazionale, per crimini contro l’umanità, non fosse che quel tribunale-canguro, dal quale finora sono stati inquisiti soltanto persone da Lampedusa in giù, ricorda quell’altro dell’Aja che condannò a morire Milosevic, dopo non averne trovato la minima prova di colpevolezza.

Luigi Di Maio e con lui i Di Battista, Di Stefano, tanti altri e la gran parte della rappresentanza 5Stelle, sbertucciati come incompetenti e sfottuti come sovranisti, nazionalisti, cialtroni, dalla più inetta, asservita e corrotta classe dirigente e dai suoi media euro- primatisti in propaganda e fake news, hanno fatto qualcosa mai visto prima. Qualcosa, in casa e fuori, tra reddito di Cittadinanza, decreto dignità, anti-trivelle, prossimo decreto acqua e disvelamento del colonialismo (non solo) francese alla base della tratta degli schiavi, che ci riaccredita davanti ai tanti che ci hanno dato dei “follower”, illusi o dementi, dei 5 Stelle. E hanno fatto svettare verso l’alto il grafico di una prestazione governativa che passi falsi, arretramenti, cedimenti alla Lega (piano B del Capitale), cazzate (anche di Grillo: la firma ai feldmarescialli dei vaccini), stavano definitivamente appiattendo.

Colonialisti francesi e ascari italioti

Con il che non si concede la benché minima attenuante a gente come certi sinistri “sinistri”, o presunti “sinistri”, tipo il sindacato confederale, la CGIL al congresso, lo schiammazzone Landini della rivoluzionaria “Coalizione Sociale”, soufflé sgonfiato subito, che, dopo aver ingoiato ogni rospo anti-operaio prodiano, berlusconiano, renziano, condito da prebende e vezzeggiativi padronali, non hanno perso un secondo per inveire contro i populisti e i loro decreti “elettorali” (che gli rubavano il mestiere, da decenni mai praticato). E, superato lo stantio problema dei precari, ora giurano che  lotteranno “per l’Europa”.Il che, alla luce del rapporto Oxfam dei 26 satrapi che hanno in mano la stessa ricchezza di 4 miliardi di persone (e ne azzerano i cervelli col digitale) e alla luce dei Gilet Gialli che chiedono una sacrosanta patrimoniale, aborrita invece dal sindacato e dai sinistri, fa venire una leggera nausea. Che poi, in questi giorni, si evolve in ripugnanza alla vista di questi satrapi e rispettivi cicisbei e cortigiane, citati e riveriti come oracoli a Davos, mentre programmano altri prelievi.

Al Mukhtar

Il re scoperto privo di vestiti dal bimbetto nella favola di Hans Christian Andersen, rispetto alle nudità di Macron, rivelate da Di Maio-Di Battista, era vestito più di un lappone sulla slitta dei suoi cani Lapinkoia. Ma la reazione di colui che ci aveva dato dei “lebbrosi”, insieme a tanti altri complimenti di suoi accoliti come Moscovici (“Piccoli Mussolini” ), che ha guidato le soldataglie di terra e aria alla polverizzazione della Libia e tuttora conduce assalti armati (Mali, Ciad, Niger) e colpi di Stato (Costa d’Avorio) contro paesi (Siria e Africa) che le sue multinazionali depredano, una reazione intrisa di arroganza e ottusità, viene applaudita calorosamente dall’intero comparto della nostra regale servitù. Stalle, cucine, fienili, canili, sottoscala, cantine, dormitori, risuonano di plausi.  A suo tempo, e anche oggi, nei paesi francofoni e non, si andava per le spicce con quelli che ci provavano a dimostrare le cose dette da Di Maio:: Patrice Lumumba, Sekour Touré, Thomas Sankara, il nostro Al Mukhtar, Gheddafi…

Alle spiegazioni di come il CFA, il franco coloniale inflitto con ricatti e corruzione a 14 nazioni africane, spogli quelle nazioni, favorendo lo sradicamento delle sue popolazioni produttive e facendo ingrassare, col cambio fisso tra CFA e il tossico euro, le società francesi di uranio, coltan, petrolio, oro, costoro pigolano: “Ma se da quei 14 paesi arriva appena il 10% del flusso migrante!”. E si scordano i milioni sia della Siria, dove la Legione assiste i curdi nelle pulizie etniche di un futuribile “Kurdistan”, di Senegal, Camerun, RCA, Congo…

Colonialisti tra PCI e “manifesto”

Sono tornati

Non dovremmo stupirci. I servi sono stati sempre una maggioranza da noi, e i patrioti una minoranza. Epperò hanno fatto la meglio Storia. Anzi, dovremmo rallegrarci di certe conferme efferate che, quanto meno, fanno chiarezza. Il PCI, al tempo della decolonizzazione, appoggiata dall’URSS, stava con i popolo in lotta di liberazione. Ricordate la “Battaglia di Algeri” di Pontecorvo, capolavoro dell’anticolonialismo? Venne proiettato e dibattuto in ogni sezione. Si direbbe che, oltreché in odio all’URSS, poi perpetuatosi in odio amerikano alla Russia, quelli del “manifesto” abbiano messo su un giornaletto anche per mettere una sigla (“quotidiano comunista”), non sull’anticolonialismo, ma proprio sul colonialismo. Sennò non si capirebbe il parossismo livoroso che questo giornale secerne contro i 5 Stelle e la loro denuncia del colonialismo, specie in firme titolate come quella di Tommaso De Francesco, già affermatosi come piagnucolone sulle bombe contro la Serbia e, al tempo stesso, affossatore di quel paese in quanto demonizzatore, tipo Albright, del suo presidente. E poi le loro Boldrini e Bonino si strappano le vesti sui “discorsi dell’odio”!

Il “manifesto”, che pure riunisce in sé la rappresentanza degli istinti belluini della Confindustria e quelli consociativi del sindacato, ha tuttavia un bacino d’utenza di nostalgici rattrappiti sullo scoglio sul quale si abbattono tutti gli ossimori di quel giornale. Tutto si tiene all’interno di quella che non è schizofrenia del “manifesto” e dei suoi finanziatori (ENI, Coop, ENEL, governi reazionari vari), ma strategia. Se, tenendoti per mano con Confindustria e Banca d’Italia, riversi olio bollente su un provvedimento che, pur tra buche e dossi, prova a dare una sopravvivenza a chi non ha niente. Se ti fa schifo far andare in pensione chi non ne può più e fa spazio ai giovani; se trovi intollerabile offendere il PD e la Fornero stabilizzando per la prima volta un bel numero di precari, se, se…. Allora c’è da stupirsi se a uno che ti svergogna scoprendoti nudo accanto al re colonialista nudo tu rispondi con catapulte di fango?

Ci vantiamo di essere stati precursori, abbastanza in solitaria, di una discorso sulle migrazioni che non partiva dai barconi e dall’accoglienza, ma dalla partenza a casa loro. Dove nessuno buttava un occhio, coperto come l’aveva dalla benda, buona sempre e per tutti, con su scritto “guerra, miseria, persecuzione”. Complice, non cretino, non doveva andare a vedere chi e come andava via a perdersi per sempre in una dimensione che mai più sarebbe stata la sua. Pur sapendo perfettamente, intimo di Soros, non doveva vedere, tanto meno dire di terre sottratte, di fiumi seccati, di coltivazioni rubate e pervertite, di agenti di viaggio con la croce e con il depliant del bel paese, della filiera, tutta privata, da Ong a Ong, che gestisce svuotamenti, da loro, e accanimenti, da noi: genocidi, sociocidi, culturicidi.

Cosa ha fatto la Merkelgermania dopochè la 5Stelleitalia aveva offeso il suo partner bellicista, colonialista e, per sopraprezzo, giustiziere di Gilet Gialli in patria? Ai cattivi italiani ha dato una bella lezione. S’è tirata fuori dall’Operazione Sophia. Quella immane fregatura in base alla quale chiunque vi partecipasse e concordasse con i colleghi trafficanti libici gli appuntamenti tra gommoni e navi, dove scaricare i passeggerei, disperati o avventurosi che fossero, su suolo italiano. Navi tedesche, spagnole, olandesi, francesi, panamensi, tutte all’arrembaggio della merce umana da impiegare come inneschi di scombussolamenti e indebolimenti sociali e arricchimenti privati. Per una volta ha detto bene Salvini: “E chi se ne frega, meglio così”.

Insomma l’Italia, per coloro che hanno messo su il baraccone eurocratico e ci hanno imposto la moneta tedesca, alla stessa stregua del CFA agli africani (e per la sua valuta unica africana, di liberazione dal giogo finanziario colonialista, a Gheddafi è stato fatto quello che Hillary Clinton ha festeggiato), ha osato l’inosabile. Quasi come quando ha offeso a morte la BCE, J.P.Morgan, Rothschild, Bilderberg e l’occhio nel triangolo per aver preteso di difendere una costituzione che a qualche sguattero italico era stato dato il compito di demolire. La risposta è stata immediata, non programmata, forse, ma ha colto l’attimo. L’attimo dell’impudico disvelamento del colonialismo matrice di migrazioni.

E’ partita all’attacco l’ONU. Quella che non ha mai neanche agitato il ditino per una qualsiasi delle guerre di Obama-Trump-Netaniahu-Sarkozy-Hollande….E neppure ha mai rampognato Israele per aver violato, solo fino al 2012, oltre 100 risoluzioni ONU, o l’UE per lasciare affogare gente in mare. Con la sua corazzata degli sradicamenti UNHCR, quella capitanata un tempo dalla Boldrini e con il cacciabombardiere del Commissario ai Diritti Umani, si è avventata sul governo giallo-verde con un annuncio, mai inflitto a nessuno in Occidente, neanche al colonialista bellico Macron, di un’”ispezione per verificare le accuse di razzismo e violazioni dei diritti umani”.

E’ stata una gran mano di vasellina per consentire ai potenti unitisi ad Aquisgrana, all’ombra del mausoleo di Carlo Magno, di infilare qualcosa di duro e doloroso nelle parti sensibili di altri paesi europei, quelli “populisti, sovranisti, razzisti, nazionalisti”, in primis alla reproba Italia. Molti hanno dato all’evento nella città sul confine tra i due megastati europei una valenza poco più che folkloristica, di buona volontà, un deja vue che rinfreschi le appassite glorie di De Gaulle e di Adenauer. Non è proprio così, anche se il solito giornaletto, comunista per burla, si lancia in difesa di Macron, di cui a suo tempo aveva già esaltato il ruolo di “leader progressista europeo” e davanti al quale si era già schierato per parare le turpi denunce 5Stelle di colonialismo in Africa, che, insieme alla povera Merkel, sarebbe il bieco bersaglio dei nazionalisti, sovranisti, populisti. Un po’ come difendere le volpi dagli attacchi delle galline.

Heiliges Römisches Reich Deutscher Nation

“Sacro Romano Impero di nazione tedesca” (SRINT), così Ottone I, erede di Carlo Magno, denominò l’aggregato di popoli dell’Europa centrale che forgiò in impero includendovi la Franconia Occidentale (Francia). Durò, alla fine simbolicamente, 1000 anni, 962-1806, quando venne beneficamente travolto dal laico Napoleone. Lì, però, iniziò una guerra civile europea che sarebbe durata quasi un secolo e mezzo e avrebbe vissuto le sue tragedie maggiori nei due conflitti mondiali. Condotta dalle aristocrazie feudali e poi dalle borghesie capitaliste, a spese di tutti noi, ha celebrato la sua rivincita, ovviamente ad Aquisgrana, con il trattato firmato da Merkel e Macron il 22 gennaio. E se gli Stati dell’Est se ne possono grandemente infischiare, tanto già vanno per conto loro sotto la ferula-protezione degli Usa, il resto, rinchiuso nella gabbia UE, può immaginarsi di sprofondare negli abissi, come un qualsiasi migrante richiamato dalle sirene Ong, o un qualsiasi patriota iracheno ai tempi dell’Isis.

Dello SRINT, impigliata tra gli artigli dell’aquila bicipite, faceva parte anche l’Italia, giù giù, fino al palazzo del papa. Italia a volte riluttante, come con i Comuni, il Rinascimento. Oggi pure rilutta, ma oggi è zavorra, come prima la Grecia, come quelli nella gabbia dell’Isis. Forse si salva il papa che sta sempre e comunque dalla parte giusta, sacra, imperiale. Noi? Da noi, ci crediate o no, dipende dalle stelle. Cinque. Che, secondo i per niente sovranisti di Francia e Germania, vanno spente subito. Che ci riescano o no, sta agli stessi 5Stelle, a quanto popolo li fa brillare e, diciamolo, anche un po’ da Trump, che quel neo-romano impero franco-germanico non lo vede di buon occhio. E, in questo caso, neppure i suoi nemici nello Stato Profondo.

Trattato di Aquisgrana, padroni d’Europa

I nostri acuti e astuti analisti di geopolitica, all’evento di Aachen (Aquisgrana) poche righe hanno dedicato. Perlopiù lo vedevano come uno zoppicante valzerino nel quale due governanti vacillanti si abbracciano per non finire in terra: uno con il fiato dei Gilet sul collo; l’altra a fine di un mandato morsicchiato da populisti di ogni risma. Un qualche sorriso lo suscitavano quei francesi ai quali bruciava la mano tedesca di nuovo su Alsazia e Lorena. Terre del resto popolate da genti germaniche da sempre. ma sottratte a Versailles, come, dall’altra parte, Prussia Orientale e Slesia un quarto di secolo dopo. Sono cose che si pagano.

Invece quel trattato suona a campana a morte per l’Unione Europea, sostituita da un direttorato tra i due paesi più grossi e forti del consorzio fabbricato con i soldi e le cattive intenzioni degli Usa. Hai voglia di puntare il dito sulla fragilità dei due firmatari. Fragili loro, ma puntellati dai ponteggi d’acciaio della grande industria e della grande finanza, loro e dei satelliti nord-europei. Con la Grecia già in discarica, restano da spolpare e poi buttare le appendici mediterranee. Per prima l’Italia, che nonostante questi abbiano fatto shopping industriale da noi, grazie a Prodi, per 70 miliardi, resta il concorrente produttore ed esportatore particolarmente fastidioso, alla faccia del surplus tedesco, il più cospicuo del mondo.

Ordine pubblico e ordine internazionale

Ciò che è sfuggito ai nostri occhiuti geopolitici sono alcune clausole che alle due figurine del ballo sono state fatte firmare da chi ne muoveva i fili: organi e meccanismi inediti per coordinare e il più possibile unificare il militare, il controllo sociale, il neoliberismo, il neocolonialismo, l’industria bellica (Francia con l’atomica, Germania con gli U-Boot e molto altro; quello che ha mandato in rovina la Grecia), i posti all’ONU e le politiche europee e visavis gli Stati Uniti. Pezzo forte, l’Africa, dove la Francia, con la Legione e il CFA, è piazzata bene, ma solo nel Sahel e Subsahara e dove alla Germania toccherà rincorrere Israele, Usa e Cina. A questo punto, l’UE va tenuta in piedi a fare da cornice, ma il quadro lo occupa un apparato di controllo  che la rende del tutto obsoleta. Con l’accelerato sviluppo delle rigogliose industrie militari dei due paesi, per un po’ ancora ancorate alla Nato, ma poi chissà, il militare diventa la politica dell’egemonia continentale e della proiezione esterna. Con l’occhio fisso sull’Africa, serbatoio di tutto quello che gli serve, tranne la gente. Che se la prendano Italia e Grecia, quelli nella gabbia.

Tutto questo  va in direzione ostinata e contraria a quanto si augurava Washington, cioè la Lockheed, la Boeing, la Ratheon e altre, quando esigevano che il contributo degli europei alla Nato salisse perlomeno al 2%. Forse lo gradirà l’Oggetto Misterioso Trump, che della Nato diceva di averne sopra i capelli. E forse vanno visti alla luce dell’incombente, prepotente nuovo sacro impero il flirt tra Trump-Bannon e Di Maio-Salvini e l’uno due dei 5 Stelle al Macron colonialista e il loro ingresso nei Gilet Gialli. Altro che invenzioni elettorali, come, non sapendo a che altro attaccarsi (oltreché ai migranti), le declassificano i gufi. Uccelli che vivono nel buio, tale da non far filtrare neanche un po’ della fioca luce delle stelle. Cinque.

Si congiungono una potenzia economica e un nano militare, con una potenza militare e un colosso nucleare. L’esercito europeo sarà franco-tedesco, con atomiche finalmente condivise dai tedeschi. Gli altri faranno da riserva. L’ordine pubblico, nelle cui tecnologie di controllo e repressione i due sono maestri, sarà assicurato da interventi diretti delle rispettive polizie contro insubordinati, non solo nei due paesi ma, eredi di Eurogendfor,  si occuperanno anche degli altri, sotto copertura residuale UE. Ricordate il tentativo di Fincantieri di prendersi la francese STX, andato in vacca? Succederà all’industria militare italiana, prima concorrente europea di quella francese. Avete visto le CRS contro i Gilet Gialli? Roba da fare apparire boy scout i nostri di Genova 2001.

Ad Aquisgrana muore l’UE e nasce un imperuccio non da poco. Gli altri diverranno marche imperiali, dove si va a passare le vacanze e a mettere resort cosmopolitici al posto delle città e dei territori d’arte, anche approfittando dei terremoti e, a lontananza visiva di sicurezza, discariche operose di migranti scampati a “tortura, stupro, assassinio” nei campi libici.

Sarà vero? Lo giurano i più fertili produttori di fake news della storia giornalistica europea. Vi  si torturerebbe, stuprerebbe, ucciderebbe da otto anni, senza che nessun casco blù, bombardiere Usa, corpo speciale francese abbia mai trovato il tempo per porre fine a queste nequizie, a fotografare i segni della tortura, o un bambino bianco nato da una madre nera (i libici sono bianchi). Abbiamo visto una presunta vendita di presunti schiavi e un sacco di giovani maschi che affollano cortili. Tempo trovato in un battibaleno quando si trattò di cancellare dalla faccia della Terra il paese più felice e ricco dell’Africa. Sarà vero?. Come camperebbero le Ong senza quei campi?)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:38

REGARD SUR LA CRISE UKRAINIENNE (II):

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Flash Info Géopolitique/ Geopolitical Flash News/

2019 01 22/

zzz

‘Geopolitical Futures’ (GPF), le Website de Georges Friedman (l’ex patron du Think Tank US ‘Stratfor’) consacre sa Lettre quotidienne – ‘Daily Memo – de ce 18 janvier aux « Déploiements de missiles russes » :

NOTES ET RENVOIS :

(1) Voir Jacob L. Shapiro, “The Second Partition of Ukraine?”, ‘Geopolitical Futures’, Dec. 31, 2018.

(2) Cfr. Luc MICHEL, PCN-SPO/ GEOPOLITIQUE/ C’EST QUOI LE NOUVEAU CONCEPT GEOPOLITIQUE DE « NOVOROSSIA » QUI SURGIT DANS LE SUD-EST UKRAINIEN ?

sur http://www.lucmichel.net/2014/05/14/pcn-spo-geopolitique-cest-quoi-le-nouveau-concept-geopolitique-de-novorossia-qui-surgit-dans-le-sud-est-ukrainien/

(Source : ‘Geopolitical Futures’ – PCN-SPO – EODE Tk Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* Avec le Géopoliticien de l’Axe Eurasie-Afrique :

Géopolitique – Géoéconomie – Géoidéologie – Géohistoire –

Géopolitismes – Néoeurasisme – Néopanafricanisme

(Vu de Moscou et Malabo) :

PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily

https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

________________

* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel.3.Geopolitique/

TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

LINKEDIN https://www.linkedin.com/in/luc-michel-eode-600661163/

Aggiornamenti: Pier Paolo, sospeso dal lavoro perché notav

http://www.notav.info/post/aggiornamenti-pier-paolo-sospeso-dal-lavoro-perche-notav/

notav.info

post23 Gennaio 2019 at 21:43

Si è tenuto oggi (23/01/2019) presso l’ufficio della direttrice delle risorse Umane dell’Università degli Studi di Torino l’incontro in cui Pier Paolo, il tecnico informatico No Tav sospeso il 14 dicembre scorso, poteva esprimere le proprie ragioni.

L’incontro è stato molto tecnico e su un piano prettamente formale e da subito, sia l’avvocato di diritto del lavoro presente che l’avvocato penalista che ha seguito Pier Paolo nel processo in questione,  attraverso una memoria scritta hanno messo in evidenza alcune criticità.

Non volendo scendere nei tecnicismi asettici del linguaggio da tribunale preme evidenziare alcuni aspetti fondamentali in un linguaggio più accessibile:

  1. Il reato che avrebbe consentito loro di sospendere il dipendente (anzi di esserne obbligati come ci tengono a sottolineare ad ogni occasione) secondo quando previsto dal CCNL che rimanda alla legge Severino (e cioè il trasporto, la detenzione e fabbricazione di materiale esplodente) semplicemente non c’è!. Pier Paolo, come tutti i suoi coimputati e le sue coimputate, è stato accusato dal solerte Rinaudo di un reato anche più grave che avrebbe permesso un tale esito (trasporto e fabbricazione di armi da guerra ( nonostante si trattasse solo di  petardi in libera vendita !Sigh!?)) ma tutti loro sono stati ASSOLTI da tale accusa e sulla stessa non è stato presentato ricorso da parte del pubblico ministero.
  2. Il reato principale contestato agli imputati resta quello di resistenza a pubblico ufficiale per il quale tutti/e sono stati condannati a 3 anni a cui sono stati aggiunti altri sei mesi per  reati considerati minori  nessuno dei quali (compreso la resistenza) rientra nell’ambito della legge Severino la quale comunque richiede una pena minima di un anno per essere applicata cosa non avvenuta per nessun reato oltre a quello di resistenza.

Nei prossimi giorni (massimo un mese) l’Università dovrà rispondere formalmente alle questioni poste dalla difesa.

Comunque vada a finire certo alcuni atteggiamenti nei confronti del lavoratore da parte dell’amministrazione lasciano quanto meno perplessi, Pier Paolo ha dovuto lottare per  ottenere alcuni diritti acquisiti come il semplice accesso agli atti del suo fascicolo personale (concesso solo dopo notevoli insistenze e solo dopo che la notizia è uscita a mezzo stampa)  mentre ad oggi ancora vede disattivato il suo account personale (caso unico, cosa mai successa all’interno dell’ateneo per nessuna altra sospensione in passato) e che risulta necessario per accedere alla propria busta paga, vedere lo stato delle proprie ferie residue ed altri diritti spettanti al lavoratore quale sino a prova contraria, benché sospeso, ancora è (queste cose sono state comunque possibili grazie alla collaborazione e buona volontà di molti colleghi e colleghe).

Di questa vicenda, però, occorre sopratutto cogliere  gli aspetti positivi: la solidarietà, tantissima, ricevuta  dal Dipartimento di Fisica, dalle RSU,  da moltissimi colleghi e colleghe che per lui si sono prodigati,  da tutto il movimento No Tav  e da tutti gli amici anche attraverso la raccolta firme a suo sostegno.

Sino ad ora, attraverso le scarne risposte date a mezzo stampa, continuavano a sostenere di avere esclusivamente eseguito atti dovuti (di certo non vero per gli atteggiamenti di cui sopra) ed essersi attenuti a degli obblighi di legge ed informalmente fatto intendere all’interessato di essere stati pure morbidi perché  avrebbero potuto procedere con il licenziamento senza preavviso (il richiamo è esplicito nella sospensione) .

L’incontro di oggi ha però  dimostrato loro come  non sia così, staremo a vedere come risponderanno se reintegrando  il lavoratore  a pieno titolo (magari con delle scuse che non guasterebbero) o se vorranno continuare con le sanzioni disciplinari uscendo quindi allo scoperto e mostrandosi come parte schierata in una vicenda che sta dividendo il paese dal governo alla popolazione.

Per quel che ci riguarda sapremo sempre da che parte stare!

No Tav fino alla vittoria!

seguiranno aggiornamenti….

De Ferrari, solo 200 persone alla manifestazione per grandi opere e sviluppo: un minuto di silenzio per il sindaco di Danzica

https://www.genova24.it/2019/01/de-ferrari-solo-200-persone-alla-manifestazione-per-grandi-opere-e-sviluppo-un-minuto-di-silenzio-per-il-sindaco-di-danzica-211429/

Gli organizzatori: “Partecipazione scarsa, ma è sbagliato parlare di fallimento

Genova. Il momento più partecipato e stato l’applauso e il minuto di silenzio per il sindaco di Danzica, ma la manifestazione a favore di grandi opere e sviluppo organizzata da Riprendiamoci Genova, Emergente e Che l’inse è stata decisamente un flop. Vuoi per l’orario infelice (dalle 12 alle 13 di domenica) vuoi per il messaggio forse non chiarissimo, tra chi da un lato ha chiesto di non essere bollato come Sì tav mentre uno grande striscione Sì gronda, sì tav è stato collocato a un lato di piazza De Ferrari, vuoi perché forse i genovesi non amano troppo la piazza, soprattutto se dietro a questa piazza non è stato prima creato un momento ampio di confronto e dibattito.

Fatto sta che in piazza De Ferrari oggi c’erano sì o no 200 persone. C’era come annunciato il deputato e coordinatore di FI Biasotti, l’assessore Arianna Viscogliosi, c’era un po’ di gente del Pd, c’erano tre sindaci (Albenga, Vado e Serra Riccò) e un por di curiosi. Anche due delle madamine torinesi sono venute a Genova con il loro fazzoletto arancione a dare supporto, ma il risultato è stato, come hanno ammesso gli stessi organizzatori “una partecipazione scarsa, al di sotto delle aspettative”. E tuttavia Filippo Biolé, uno degli organizzatori dice al microfono: “Parlare di fallimento come molti faranno serve solo ad annientare le persone, poche, che si sono messe insieme per cercare di cambiare le cose. E comunque senza di noi questa piazza oggi sarebbe stata vuota”.

Generica

Gli altri organizzatori hanno ribadito la piattaforma da loro proposta, dalla necessità che Genova si doti di un “piano di sviluppo strategico medio-lungo termine e partecipato grazie anche alle migliori competenze locali e internazionali” alla necessità di realizzare “le infrastrutture necessarie e sostenibili che creano lavoro e rompono l’isolamento”, alla modifica infine del sistema di finanziamento delle istituzioni locali, trattenendo una quota delle imposte generate dal porto per rilanciare lo sviluppo del territorio”.

Il presidio è durato meno del previsto, chiuso alle 12.45, con un minuto di silenzio per Paweł Adamowicz, sindaco di Danzica, ucciso il 14 gennaio. “Un baluardo – ha detto Biolé – annientato da un pazzo ispirato dalle voci d’odio che si susseguono in tutta Europa”.

Trivelle. Quanto costa il no. Il rischio arbitrati. E nascono i «caschi gialli»

L’articolo del solito Ciliberto anticipa i venti di guerra dell’asse Caschi Gialli, Lega, PD, FI, Fratelli d’Italia, sindacati confederali, “responsabili vari, già attivati in una grande nuova union sacree anti No Triv.

Dopo le “madamin” Sì Tav ora il fronte grandi opere impattanti e dannose la grande armata filopadronale si sta apertamente adoperando per una campagna provocatoria e dura nel nome del Sì Triv (la fantasia è tra l’altro scarsa…).
Chi avrà la passione e la pazienza di leggere fino in fondo e con attenzione potrà scoprire varie amenità, tra cui l’impossibilità (e l’inutilità) di immaginare una qualsivoglia linea di difesa di salute e territorio restando arroccati nello specifico del proprio paese, nonchè una pletora di contraddizioni più o meno pelose”. 
Chi è in realtà il presidente del consiglio dei ministri Conte, già disposto a bastonare i No Triv?
Prepariamoci, una fase più dura ed insidiosa è già qui!

https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2019-01-14/trivelle-quanto-costa-no-rischio-arbitrati-e-nascono-caschi-gialli-163735.shtml?uuid=AE9mGgEH

Mentre nascono i “caschi gialli”, che vogliono protestare a tutela delle risorse nazionali, e si fanno i conti di quanto può costarci la manovra no triv del Governo, nel frattempo comincia al Senato l’iter parlamentare del decreto Semplificazioni nel quale sono attesi tre emendamenti no triv. I parlamentari vogliono verificare se la battaglia contro l’uso dei giacimenti nazionali è ammissibile all’interno del decreto Semplificazioni oppure se fermare le attività di estrazione di metano e petrolio in Italia non ha niente a che fare con il tema delle semplificazioni burocratiche al centro del decreto. La maggioranza si divide. È passata l’ammissibilità e ora il testo va all’esame della quinta commissione Bilancio del Senato, in vista di un possibile esame al Consiglio dei ministri.

Obiettivo di questi emendamenti, due dei quali proposti dal Movimento Cinque Stelle che spinge con Di Maio ma poco apprezzati dalla Lega con gli interventi di Salvini, è bloccare le attività di ricerca e di sfruttamento dei giacimenti nazionali. 

Medioevo prossimo venturo
Entrambe le parti accusano l’altra di voler riportare l’Italia al medioevo, inteso come passatismo del petrolio per Luigi Di Maio e per il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, inteso come medioevo oscurato dalle candele per Matteo Salvini e per la sottosegretaria all’Ambiente Vannia Gava.

La motivazione del no in apparenza è ambientale: spostare altrove, lontano, le attività di ricerca e di estrazione del gas e del petrolio in modo da non avere conseguenze a casa nostra. Le emissioni aumenterebbero, il rischio di naufragi di petroliere crescerebbe e l’inquinamento non scenderebbe, ma per fortuna accadrebbe più lontano: e tutto ciò mentre gli italiani, ecologisti con le trivelle degli altribruciano sempre più furiosamente i prodotti petroliferi.

I costi di un divieto di usare le risorse italiane potrebbero essere altissimi oppure no. L’Assomineraria (che è parte in causa) ha cercato di fare alcune stime. Ma una parte non ancora chiara di costi potrebbe venire dai contenziosi internazionali su ciascuna delle aziende petrolifere colpite da un eventuale blocco, ciascuna delle quali potrebbe fare cause di arbitraggio da centinaia di milioni.

Nascono i caschi gialli
Su questo tema si stanno muovendo molti fronti. Si stanno organizzando i “caschi gialli”, cioè i più di 10mila addetti del settore (ogni parte in gioco attribuisce un numero di convenienza: chi dice 12mila addetti, chi 18mila, chi ne stima 20mila), che attraverso un dibattito fitto sui social network da giorni discutono come rendere evidente la loro protesta di “lavoratori invisibili” a favore dell’utilizzo delle risorse nazionali invece di quelle di Paesi remoti.

Pochi mesi fa il primo ministro Giuseppe Conte aveva ricevuto gli amministratori delegati delle aziende partecipate per sollecitarli a investire in Italia. Fra essi c’era anche Claudio Descalzi (Eni), il quale aveva annunciato un piano da 2 miliardi per i giacimenti in Adriatico.

I sindacati cominciano a elaborare il progetto di una manifestazione sì triv.

La Confindustria

Ne ha parlato il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, il quale ha ricordato che l’Italia «non ha fonti energetiche e materie prime. Se vogliamo accettare le sfide con i grandi colossi come Cina e Stati Uniti e vogliamo mettere al centro il lavoro, non dobbiamo lavorare su dogmi ma cercare di essere pragmatici».

Le stime dell’Assomineraria

E a fianco dei “caschi gialli” si è attivata anche l’Assomineraria (Confindustria) con un documento che fa i conti in tasca alla proposta no triv.
Ovviamente sono stime di parte industriale.
Ne emerge che nei prossimi due anni il blocco delle attività sui giacimenti italiani potrebbe tagliare gli investimenti per circa 400 milioni, mentre dal calo dell’estrazione di metano e petrolio potrebbe conseguire «e conseguente diminuzione delle entrate per le casse dello Stato (tra tasse, contributi e royalties) per circa 110 milioni di euro per anno» ma se le norme fossero ancora più severe «verrebbero a mancare investimenti per circa 2 miliardi di euro e si registrerebbe una diminuzione delle entrate per le casse dello Stato per circa 500 milioni per anno», oltre alla perdita di 20mila posti di lavoro (tanti ne stima l’Assomineraria) e un aumento delle importazioni attraverso i contestati metanodotti e con le petroliere.

Il rischio arbitraggi

Tre anni fa il Governo Renzi, nel tentativo di acquisire consensi di fronte al referendum no triv dell’aprile 2016, tentò la carta antitrivelle: e stoppò la compagnia petrolifera Rockhopper che voleva sfruttare il giacimento Ombrina nell’Adriatico di fronte a un riottoso Abruzzo.
Come finì la vicenda? Finì che Matteo Renzi non riuscì a riacquisire consensi (pochi mesi dopo il referendum costituzionale sancì il risentimento di molti italiani verso il politico fiorentino) e finì che la Rockhopper si rivolse, come da regole, a un arbitraggio internazionale a Stoccolma e chiese che l’Italia le pagasse un ristorno di centinaia di milioni per l’investimento saltato e per gli incassi non avuti. Insomma, qualcosa nello stile del danno emergente e del lucro cessante.
Ebbene, la moratoria proposta per i giacimenti prevede che vengano bloccate non solamente le prospezioni future ma anche le autorizzazioni già concesse. Cioè i diritti già conseguiti.
Stando ai testi ora proposti, si salverebbero dalla chiusura totale di “baracca e burattini” solamente i giacimenti ora in piena attività.
In questo caso sarebbe contato l’esito davanti a qualsiasi magistrato internazionale: contro l’Italia potrebbe arrivare una sequenza di condanne a raffica, per centinaia di milioni l’una.

I contenuti della moratoria

Le misure prospettate nello schema di emendamento impongono una moratoria di tre anni sulle attività upstream, subordinando le procedure di rilascio dei titoli minerari alla definizione di un Piano delle aree idonee allo svolgimento delle attività.
Inoltre, la misura dispone un significativo aumento dei canoni: circa 350 volte rispetto ai valori attuali.
L’emendamento, infine, mira anche a sopprimere il riconoscimento delle attività upstream come attività di interesse strategico nazionale e di pubblica utilità, come attualmente disposto dall’art. 38 del DL 133/2014. In altre parole, non sarebbe possibile posare condotte o perforare il sottosuolo.

Altre norme intendono bloccare l’attività di prospezione geologica, cioè le “ecografie” della crosta terrestre attraverso tecniche come l’air gun.

Quali i motivi? Il primo motivo è allontanare da “casa” e far condurre altrove, in Paesi remoti, le attività di sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio e far subire ad altri l’impatto dei nostri consumi.
Viene addotto cioè un motivo ambientale.

C’è chi per esempio per spostare altrove la ricerca di giacimenti contesta l’uso dell’air gun, cioè un dispositivo scientifico che, sparando potenti bolle d’aria contro il fondale del mare, ne ascolta l’ecografia nel sottosuolo: l’Ispra continua a studiare questa tecnologia per vedere se ha gli effetti di cui è accusata.

Altri osservano giustamente le contaminazioni prodotte dalle attività di perforazione, ma c’è perfino chi collega all’uso dei giacimenti i movimenti tellurici profondi, come quello che l’altra notte ha scosso la Romagna dalla profondità di ben 25 chilometri sotto la superficie.

Greenpeace contro gli air gun

Vietare l’air gun per impedire la scoperta di giacimenti è per esempio un obiettivo dell’associazione Greenpeace.
«Se Di Maio e Costa sono davvero contrari alle trivelle e, come dichiarato a più riprese, non vorrebbero riportare l’Italia al Medio Evo economico e ambientale, facciano subito approvare una legge che vieti per sempre l’utilizzo degli air gun. È questo il modo più immediato ed efficace per allontanare per sempre la minaccia di nuove trivelle dai nostri mari», afferma per esempio Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.
Secondo l’organizzazione, «senza air gun infatti sarebbe praticamente impossibile effettuare attività di prospezione e ricerca idrocarburi in mare».

Bruciare furiosamente più petrolio

Intanto gli italiani consumano più petrolio. In dicembre i consumipetroliferi italiani sono ammontati a 5 milioni di tonnellate, con un incremento pari al 2,3% (+113.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2017.
I consumi di carburanti autotrazione (benzina+gasolio), con un giorno lavorativo in più, sono risultati pari a quasi 2,6 milioni di tonnellate, di cui 0,6 milioni di benzina e 2 milioni di gasolio, con un incremento del 5,4% (+131.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2017.
Ma in tutto il 2018 i consumi petroliferi italiani sono stati pari a 60,8 milioni di tonnellate, con un incremento del 3,7% (+2.153 .000 tonnellate) rispetto al 2017. L’anno scorso i consumi di carburanti autotrazione (benzina + gasolio), sono stati pari a circa 31,4 milioni di tonnellate, con un incremento del 3,4% (+1.033.000 tonnellate) rispetto al 2017. Nel 2018 le immatricolazioni di autovetture nuove sono risultate in calo del 3,1% rispetto al 2017, con quelle diesel a coprire il 51,2% del totale (era il 56,5% nel 2017) e quelle a benzina il 35,5%. Le auto alimentate a Gpl hanno coperto il 6,5% delle nuove immatricolazioni, le ibride il 4,5%, quelle a metano il 2% e le elettriche lo 0,3%.

Il documento dell’Assomineratria

Secondo il documento messo a punto dall’Assomineraria, di cui si riporta il passo più importante,

«l’attuale formulazione dell’emendamento comporterà effetti molto negativi sul settore upstream:
• Importante contrazione delle attività. A causa dell’aumento dei canoni verrebbe meno la redditività minima per molte delle attività in corso e programmate, determinando una diminuzione dei canoni effettivamente percepiti, minori royalties e imposte che si traducono in una significativa riduzione di gettito per lo Stato.
• Minori investimenti per oltre 400 milioni di euro e conseguente diminuzione delle entrate per le casse dello Stato (tra tasse, contributi e royalties) per circa 110 milioni di euro per anno. Estendendo i vincoli introdotti dall’emendamento anche alle concessioni, nei prossimi anni verrebbero a mancare investimenti per circa 2 miliardi di euro e si registrerebbe una diminuzione delle entrate per le casse dello Stato per circa 500 milioni per anno.

• Perdita di posti di lavoro, in un settore che occupa nei soli siti operativi circa 20.000 addetti fra diretto e indotto. Soltanto in Emilia-Romagna lavorano più di dieci mila operatori riconducibili all’industria upstream e sono presenti quasi mille aziende che generano un indotto che supera i centomila lavoratori.
• Impatto negativo sulla bilancia commerciale dello Stato a seguito della riduzione della produzione nazionale di idrocarburi a favore delle importazioni dall’estero. A tale proposito nel 2018 la fattura energetica per l’Italia è stata di circa 40 miliardi di euro. Nello stesso anno la produzione domestica ha contribuito al miglioramento della bilancia commerciale con un risparmio complessivo sulla bolletta energetica di circa 3,1 miliardi di euro che andrebbero in gran parte perduti nel momento in cui venisse approvato l’emendamento.
• Aumento della dipendenza energetica dell’esterno e minore sicurezza degli approvvigionamenti. Per soddisfare il proprio fabbisogno domestico l’Italia importa dai mercati esteri una quota di energia pari a circa il 75% (per gli idrocarburi si raggiunge il 90%), una dipendenza energetica molto superiore alla media dei Paesi europei, che si attesta intorno al 54%.
• Maggior impatto ambientale: per importare il gas dall’estero è necessario bruciarne una percentuale importante per poterlo comprimere e trasportare, con il conseguente aumento delle emissioni del 25% circa rispetto al gas prodotto in Italia
».

Il parere di Gianni Bessi

Ecco Gianni Bessi, uno dei più attivi esponenti del Pd romagnolo: «L’economia italiana e europea sta dando segnali preoccupanti: molti analisti stanno già pronunciando la parola recessione. Per contrastare la recessione credo che il metodo più efficace sia creare lavoro, sicurezza e difendere quello che già esiste. Questo chiedono i cittadini e vanno tenuti in considerazione. Mi impegnerò, nel limite dei miei compiti e delle mie possibilità, perché venga ascoltata la voce di chi vuole il benessere dell’Italia».

Le imprese del distretto di Ravenna

Dice Franco Nanni, presidente del Roca (associazione ravennate contrattisti offshore): «Rappresentiamo il principale distretto energetico del Paese. Così come ci siamo strenuamente battuti contro i no triv che sostenevano, attraverso il referendum della primavera del 2016, la chiusura delle attività estrattive, ora torniamo a chiedere fortemente lo sviluppo delle attività in Adriatico, nell’interesse innanzitutto del Paese”.

I dati sui giacimenti

Su 71 miliardi di metri cubi di gas consumati ogni anno in Italia la produzione ormai è dimezzata a 5,7 miliardi di metri cubi.
Secondo le stime dell’Ufficio minerario, le riserve accertate di gas in territorio italiano ammontano a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo pari al doppio, per un valore tra 75 e 100 miliardi di euro.
Da queste somme lo Stato o le Regioni potrebbero incassare almeno il 7% di royalties e il 40% di tasse.
Per i giacimenti nell’Adriatico l’Eni ha impegnato 2 miliardi di investimento per estrarre 4 nuovi miliardi di metri cubi l’anno di metano scoperti di recente.

Come funziona in Italia: i giacimenti, i canoni e le royalty

A differenza di altri Paesi, in cui il sottosuolo appartiene a chi possiede la superficie, in Italia il sottosuolo appartiene allo Stato.
Lo Stato si astiene dallo sfruttare le risorse minerarie. Il criterio adottato da sempre è il seguente:
• chiunque può chiedere di studiare il sottosuolo alla ricerca di minerali, giacimenti, acqua irrigua, ghiaia per costruzioni e così via. Il canone per cercare è molto modesto, in modo da indurre la scoperta di risorse.
• il mare non è di competenza di alcuna amministrazione locale e quindi i pareri espressi da Comuni e Regioni, seppure ascoltati e sebbene importanti, non hanno alcun valore giuridico.
• scoperta la risorsa (minerali, metano, acqua potabile e così via) a quel punto lo Stato si prende la sua quota, commisurata con il valore di mercato del bene e commisurata con la quantità di bene che viene estratto.
• La royalty sugli idrocarburi (metano, petrolio o altri idrocarburi) varia tra il 7 e il 10% del valore di mercato secondo il tipo di giacimento e secondo la sua collocazione (se in terra o in mare).
• La royalty viene divisa tra diverse istituzioni: lo Stato, la Regione, i Comuni in cui si trovano i pozzi.
• Una quota va al ministero dell’Ambiente per pagare le eventuali spese di intervento in caso di inquinamento del mare.

I caschi gialli (i «lavoratori invisibili»)

Loro si definiscono i lavoratori invisibili, e questo nome hanno dato a una delle pagine Facebook con cui i “caschi gialli” protestano contro i no triv.
Nei loro forum e in queste pagine Facebook i “caschi gialli” raccontano le loro ansie, le loro angosce, le speranze e le loro battaglie.
Ecco per esempio che cosa scrive una di loro, Ilaria Giorgulli:

«Ma quando anche il Governo a capo del mio Paese rema contro e si fa portatore di quella demagogia, cavalcando l’onda di NO contro cui hai passato anni a combattere, allora la tentazione di mollare è davvero forte».

«Perché non puoi consumare plastica, usare la macchina, cucinare, accendere la luce, fregandotene del fatto che quel gas e quel petrolio vengono da paesi lontani, magari meno attenti ai lavoratori e al territorio».

«Ah, dimenticavo: bello continuare a combattere, ma se il DL semplificazioni passa con l’emendamento anti idrocarburi, continuerò le mie battaglie dal divano di casa e non dall’ufficio. Perché è probabile che non avrò più un ufficio. E non avrò più un lavoro. E non sarò l’unica. E l’Italia perderà l’ennesima occasione».

Un emendamento no triv

Ecco per esempio uno degli emendamenti no triv all’esame del Senato:
Art. 11
CASTALDI, GIROTTO, ANASTASI, VACCARO, PUGLIA, PATUANELLI, SANTILLO, GRASSI

Dopo l’articolo, inserire il seguente:
«Art. 11-bis.
(Disposizioni in materia di Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee).

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, è approvato il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PTESAI), al fine di offrire un quadro definito di riferimento per lo svolgimento delle attività di prospezione e ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale, volto a valorizzare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle stesse.
2. Il PTESAI è adottato previa valutazione ambientale strategica e, limitatamente alle aree su terraferma, di intesa con la Conferenza unificata. Qualora per le aree su terraferma l’intesa non è raggiunta entro 60 giorni dalla prima seduta, la Conferenza unificata è convocata in seconda seduta su richiesta del Ministro dello sviluppo economico entro 30 giorni ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro il termine di 120 giorni dalla seconda seduta, ovvero in caso di espresso e motivato dissenso della Conferenza unificata, il PTESAI è adottato con riferimento alle sole aree marine.
3. Nelle more dell’adozione del Piano di cui al comma 1, ai fini della salvaguardia e del miglioramento della sostenibilità ambientale e sociale, i procedimenti amministrativi, ivi inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca o concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono sospesi, fatti salvi i seguenti procedimenti relativi alle istanze di:
a) rinuncia dei titoli dei titoli minerari vigenti o delle relative proroghe;
b) sospensione temporale della produzione per le concessioni in essere;
c) riduzione dell’area, di variazione dei programmi lavori e delle quote di titolarità.
4. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e fino all’adozione del Piano, tutti i permessi di prospezione e di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in essere, sia per aree in terraferma che in mare, sono sospesi, con conseguente interruzione di tutte le attività di prospezione e ricerca in corso di esecuzione, fermo restando l’obbligo di messa in sicurezza dei siti interessati dalle stesse attività.
5. La sospensione di cui al comma 4 non incide sul decorso temporale dei permessi di prospezione e di ricerca; correlativamente, per lo stesso periodo di sospensione, non è dovuto il pagamento del relativo canone.
6. Successivamente alla approvazione del Piano di cui al comma 1, nelle aree in cui le attività di prospezione e di ricerca e di coltivazione risultino compatibili con le previsioni del Piano stesso, i permessi di prospezione e di ricerca sospesi ai sensi del comma 4 riprendono efficacia. Nelle aree non compatibili, il Ministero dello sviluppo economico avvia il procedimento di rigetto delle istanze di permesso di prospezione o di ricerca di idrocarburi o di concessione di coltivazione di idrocarburi e alla revoca, anche parziale, dei permessi di prospezione o di ricerca in essere. In caso di revoca, il titolare del permesso di prospezione e di ricerca è comunque obbligato al completo ripristino dei siti interessati. In caso di mancata approvazione del Piano entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, tutti i permessi di prospezione e di ricerca sospesi ai sensi del comma 4 riprendono efficacia.
7. A decorrere dal 1° gennaio 2020, i canoni annui per le concessioni di coltivazione e stoccaggio nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale italiana sono così determinati:
a) concessione di coltivazione: 2.041,00 euro per chilometro quadrato;
b) concessione di coltivazione in proroga: 3.067,00 euro per chilometro quadrato;
c) concessione di stoccaggio insistente sulla relativa concessione di coltivazione: 14,76 euro per chilometro quadrato;
d) concessione di stoccaggio in assenza di relativa concessione di coltivazione: 59,04 euro per chilometro quadrato.
Al venir meno della sospensione di cui al comma 4, i canoni annui dei permessi di prospezione e ricerca sono rideterminati come segue:
a) permesso di prospezione: 129,15 euro per chilometro quadrato;
b) permesso di ricerca: 258,3 euro per chilometro quadrato;
c) permesso di ricerca in prima proroga: 516,6 euro per chilometro quadrato;
d) permesso di ricerca in seconda proroga: 1.033,2 euro per chilometro quadrato.
Le maggiori risorse derivanti dalle disposizioni in materia di canoni di superficie di cui al presente comma sono riassegnate dal Ministero dell’economia e delle finanze ad apposito Fondo da istituire presso il Ministero dello sviluppo economico, destinato in misura pari a 1 milione di euro per gli anni 2020 e 2021 alla copertura degli oneri connessi all’attuazione della presente norma.
8. Il comma 1 dell’articolo 18 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, è abrogato.
9. Il comma 1 dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, è sostituito dal seguente: “1. Le attività di prospezione e ricerca e coltivazione di idrocarburi, le relative opere e gli impianti previsti nei programmi lavori, nonché le relative opere strumentali allo sfruttamento dei giacimenti di cui ai titoli minerari, non rivestono carattere d’interesse strategico nazionale e non sono di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili. Resta fermo il carattere di pubblica utilità delle attività di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo”».

Maggioranza divisa: Gava (Lega) incontra i «caschi gialli»

La sottosegretaria all’Ambiente Vannia Gava ha incontrato al Senato i rappresentanti di alcune aziende che si occupano dell’approvvigionamento energetico nel mare. «Ho ascoltato le aziende e le loro preoccupazioni, che sono anche le mie, per le possibili conseguenze dell’emendamento proposto al decreto Semplificazioni, attraverso il quale si vorrebbe vietare lo svolgimento di tutte le trivellazioni in mare, incluse quelle già autorizzate. La posizione che ho già espresso pubblicamente è di forte contrarietà a questa impostazione, per una lunga serie di motivi. Bloccare questo comparto porterebbe con sé dei gravi problemi di approvvigionamento di energia per un Paese come il nostro che dipende per il 90% dall’estero contro una media europea del 54%. Fermare questo comparto metterebbe poi in crisi moltissime aziende, con la conseguente perdita di posti di lavoro, altro aspetto inaccettabile. Infine, ma certo non ultimo, revocare autorizzazioni già concesse, che hanno già ottenuto i permessi previsti, significherebbe certificare che in Italia è impossibile investire, perché anche autorizzazioni già sancite possono essere messe in discussione da un giorno all’altro».
Un video di Vannia Gava è disponibile cliccando a questo link.

Maggioranza divisa: Salvini

«La tutela dei posti di lavoro per me è sacra. Di tutto il resto si può discutere ma con i soli no non si campa. Non si può dire no al carbone, no al petrolio, no al gas, no al metano, no alle trivelle», ha detto mercoledì il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini. «Non possiamo andare in giro con la candela e accendere i legnetti; il problema dell’energia e in particolare della metanizzazione della Sardegna è una del priorità mia e di questo Governo».

Il trasporto con gas fossile è dannoso per il clima quanto il diesel, la benzina e il carburante navale – il rapporto

24 ott 18 Transportenvironment :

Comunicato Stampa di Transport & Environment – Greenpeace Italia – Cittadini per l’Aria

Secondo un nuovo rapporto, l’uso del gas fossile nei trasporti è dannoso per il clima quanto quello di benzina, del gasolio o dei carburanti navali convenzionali.

La ricerca dimostra anche che bruciare gas nelle auto produce un inquinamento atmosferico uguale a quelle alimentate a benzina, mentre il limitato vantaggio rispetto alle auto diesel si elimina con le nuove norme previste…..

https://www.transportenvironment.org/press/il-trasporto-con-gas-fossile-%C3%A8-dannoso-il-clima-quanto-il-diesel-la-benzina-e-il-carburante

6 marzo 14 Aspoitalia :

Il metano dà una mano al clima?

Di Dario Faccini

https://aspoitalia.wordpress.com/2014/03/06/il-metano-da-una-mano-al-clima/

Ovviamente la Snam dice il contrario:

Utilizzo del gas naturale

Il gas naturale è un combustibile amico dell’ambiente. Infatti a parità di energia utilizzata ha un minor impatto inquinante rispetto agli altri combustibili fossili

http://www.snam.it/it/sostenibilita/responsabilita_verso_tutti/utilizzo_del_gas_naturale.html