Trivelle. Quanto costa il no. Il rischio arbitrati. E nascono i «caschi gialli»

L’articolo del solito Ciliberto anticipa i venti di guerra dell’asse Caschi Gialli, Lega, PD, FI, Fratelli d’Italia, sindacati confederali, “responsabili vari, già attivati in una grande nuova union sacree anti No Triv.

Dopo le “madamin” Sì Tav ora il fronte grandi opere impattanti e dannose la grande armata filopadronale si sta apertamente adoperando per una campagna provocatoria e dura nel nome del Sì Triv (la fantasia è tra l’altro scarsa…).
Chi avrà la passione e la pazienza di leggere fino in fondo e con attenzione potrà scoprire varie amenità, tra cui l’impossibilità (e l’inutilità) di immaginare una qualsivoglia linea di difesa di salute e territorio restando arroccati nello specifico del proprio paese, nonchè una pletora di contraddizioni più o meno pelose”. 
Chi è in realtà il presidente del consiglio dei ministri Conte, già disposto a bastonare i No Triv?
Prepariamoci, una fase più dura ed insidiosa è già qui!

https://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2019-01-14/trivelle-quanto-costa-no-rischio-arbitrati-e-nascono-caschi-gialli-163735.shtml?uuid=AE9mGgEH

Mentre nascono i “caschi gialli”, che vogliono protestare a tutela delle risorse nazionali, e si fanno i conti di quanto può costarci la manovra no triv del Governo, nel frattempo comincia al Senato l’iter parlamentare del decreto Semplificazioni nel quale sono attesi tre emendamenti no triv. I parlamentari vogliono verificare se la battaglia contro l’uso dei giacimenti nazionali è ammissibile all’interno del decreto Semplificazioni oppure se fermare le attività di estrazione di metano e petrolio in Italia non ha niente a che fare con il tema delle semplificazioni burocratiche al centro del decreto. La maggioranza si divide. È passata l’ammissibilità e ora il testo va all’esame della quinta commissione Bilancio del Senato, in vista di un possibile esame al Consiglio dei ministri.

Obiettivo di questi emendamenti, due dei quali proposti dal Movimento Cinque Stelle che spinge con Di Maio ma poco apprezzati dalla Lega con gli interventi di Salvini, è bloccare le attività di ricerca e di sfruttamento dei giacimenti nazionali. 

Medioevo prossimo venturo
Entrambe le parti accusano l’altra di voler riportare l’Italia al medioevo, inteso come passatismo del petrolio per Luigi Di Maio e per il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, inteso come medioevo oscurato dalle candele per Matteo Salvini e per la sottosegretaria all’Ambiente Vannia Gava.

La motivazione del no in apparenza è ambientale: spostare altrove, lontano, le attività di ricerca e di estrazione del gas e del petrolio in modo da non avere conseguenze a casa nostra. Le emissioni aumenterebbero, il rischio di naufragi di petroliere crescerebbe e l’inquinamento non scenderebbe, ma per fortuna accadrebbe più lontano: e tutto ciò mentre gli italiani, ecologisti con le trivelle degli altribruciano sempre più furiosamente i prodotti petroliferi.

I costi di un divieto di usare le risorse italiane potrebbero essere altissimi oppure no. L’Assomineraria (che è parte in causa) ha cercato di fare alcune stime. Ma una parte non ancora chiara di costi potrebbe venire dai contenziosi internazionali su ciascuna delle aziende petrolifere colpite da un eventuale blocco, ciascuna delle quali potrebbe fare cause di arbitraggio da centinaia di milioni.

Nascono i caschi gialli
Su questo tema si stanno muovendo molti fronti. Si stanno organizzando i “caschi gialli”, cioè i più di 10mila addetti del settore (ogni parte in gioco attribuisce un numero di convenienza: chi dice 12mila addetti, chi 18mila, chi ne stima 20mila), che attraverso un dibattito fitto sui social network da giorni discutono come rendere evidente la loro protesta di “lavoratori invisibili” a favore dell’utilizzo delle risorse nazionali invece di quelle di Paesi remoti.

Pochi mesi fa il primo ministro Giuseppe Conte aveva ricevuto gli amministratori delegati delle aziende partecipate per sollecitarli a investire in Italia. Fra essi c’era anche Claudio Descalzi (Eni), il quale aveva annunciato un piano da 2 miliardi per i giacimenti in Adriatico.

I sindacati cominciano a elaborare il progetto di una manifestazione sì triv.

La Confindustria

Ne ha parlato il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, il quale ha ricordato che l’Italia «non ha fonti energetiche e materie prime. Se vogliamo accettare le sfide con i grandi colossi come Cina e Stati Uniti e vogliamo mettere al centro il lavoro, non dobbiamo lavorare su dogmi ma cercare di essere pragmatici».

Le stime dell’Assomineraria

E a fianco dei “caschi gialli” si è attivata anche l’Assomineraria (Confindustria) con un documento che fa i conti in tasca alla proposta no triv.
Ovviamente sono stime di parte industriale.
Ne emerge che nei prossimi due anni il blocco delle attività sui giacimenti italiani potrebbe tagliare gli investimenti per circa 400 milioni, mentre dal calo dell’estrazione di metano e petrolio potrebbe conseguire «e conseguente diminuzione delle entrate per le casse dello Stato (tra tasse, contributi e royalties) per circa 110 milioni di euro per anno» ma se le norme fossero ancora più severe «verrebbero a mancare investimenti per circa 2 miliardi di euro e si registrerebbe una diminuzione delle entrate per le casse dello Stato per circa 500 milioni per anno», oltre alla perdita di 20mila posti di lavoro (tanti ne stima l’Assomineraria) e un aumento delle importazioni attraverso i contestati metanodotti e con le petroliere.

Il rischio arbitraggi

Tre anni fa il Governo Renzi, nel tentativo di acquisire consensi di fronte al referendum no triv dell’aprile 2016, tentò la carta antitrivelle: e stoppò la compagnia petrolifera Rockhopper che voleva sfruttare il giacimento Ombrina nell’Adriatico di fronte a un riottoso Abruzzo.
Come finì la vicenda? Finì che Matteo Renzi non riuscì a riacquisire consensi (pochi mesi dopo il referendum costituzionale sancì il risentimento di molti italiani verso il politico fiorentino) e finì che la Rockhopper si rivolse, come da regole, a un arbitraggio internazionale a Stoccolma e chiese che l’Italia le pagasse un ristorno di centinaia di milioni per l’investimento saltato e per gli incassi non avuti. Insomma, qualcosa nello stile del danno emergente e del lucro cessante.
Ebbene, la moratoria proposta per i giacimenti prevede che vengano bloccate non solamente le prospezioni future ma anche le autorizzazioni già concesse. Cioè i diritti già conseguiti.
Stando ai testi ora proposti, si salverebbero dalla chiusura totale di “baracca e burattini” solamente i giacimenti ora in piena attività.
In questo caso sarebbe contato l’esito davanti a qualsiasi magistrato internazionale: contro l’Italia potrebbe arrivare una sequenza di condanne a raffica, per centinaia di milioni l’una.

I contenuti della moratoria

Le misure prospettate nello schema di emendamento impongono una moratoria di tre anni sulle attività upstream, subordinando le procedure di rilascio dei titoli minerari alla definizione di un Piano delle aree idonee allo svolgimento delle attività.
Inoltre, la misura dispone un significativo aumento dei canoni: circa 350 volte rispetto ai valori attuali.
L’emendamento, infine, mira anche a sopprimere il riconoscimento delle attività upstream come attività di interesse strategico nazionale e di pubblica utilità, come attualmente disposto dall’art. 38 del DL 133/2014. In altre parole, non sarebbe possibile posare condotte o perforare il sottosuolo.

Altre norme intendono bloccare l’attività di prospezione geologica, cioè le “ecografie” della crosta terrestre attraverso tecniche come l’air gun.

Quali i motivi? Il primo motivo è allontanare da “casa” e far condurre altrove, in Paesi remoti, le attività di sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio e far subire ad altri l’impatto dei nostri consumi.
Viene addotto cioè un motivo ambientale.

C’è chi per esempio per spostare altrove la ricerca di giacimenti contesta l’uso dell’air gun, cioè un dispositivo scientifico che, sparando potenti bolle d’aria contro il fondale del mare, ne ascolta l’ecografia nel sottosuolo: l’Ispra continua a studiare questa tecnologia per vedere se ha gli effetti di cui è accusata.

Altri osservano giustamente le contaminazioni prodotte dalle attività di perforazione, ma c’è perfino chi collega all’uso dei giacimenti i movimenti tellurici profondi, come quello che l’altra notte ha scosso la Romagna dalla profondità di ben 25 chilometri sotto la superficie.

Greenpeace contro gli air gun

Vietare l’air gun per impedire la scoperta di giacimenti è per esempio un obiettivo dell’associazione Greenpeace.
«Se Di Maio e Costa sono davvero contrari alle trivelle e, come dichiarato a più riprese, non vorrebbero riportare l’Italia al Medio Evo economico e ambientale, facciano subito approvare una legge che vieti per sempre l’utilizzo degli air gun. È questo il modo più immediato ed efficace per allontanare per sempre la minaccia di nuove trivelle dai nostri mari», afferma per esempio Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.
Secondo l’organizzazione, «senza air gun infatti sarebbe praticamente impossibile effettuare attività di prospezione e ricerca idrocarburi in mare».

Bruciare furiosamente più petrolio

Intanto gli italiani consumano più petrolio. In dicembre i consumipetroliferi italiani sono ammontati a 5 milioni di tonnellate, con un incremento pari al 2,3% (+113.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2017.
I consumi di carburanti autotrazione (benzina+gasolio), con un giorno lavorativo in più, sono risultati pari a quasi 2,6 milioni di tonnellate, di cui 0,6 milioni di benzina e 2 milioni di gasolio, con un incremento del 5,4% (+131.000 tonnellate) rispetto allo stesso mese del 2017.
Ma in tutto il 2018 i consumi petroliferi italiani sono stati pari a 60,8 milioni di tonnellate, con un incremento del 3,7% (+2.153 .000 tonnellate) rispetto al 2017. L’anno scorso i consumi di carburanti autotrazione (benzina + gasolio), sono stati pari a circa 31,4 milioni di tonnellate, con un incremento del 3,4% (+1.033.000 tonnellate) rispetto al 2017. Nel 2018 le immatricolazioni di autovetture nuove sono risultate in calo del 3,1% rispetto al 2017, con quelle diesel a coprire il 51,2% del totale (era il 56,5% nel 2017) e quelle a benzina il 35,5%. Le auto alimentate a Gpl hanno coperto il 6,5% delle nuove immatricolazioni, le ibride il 4,5%, quelle a metano il 2% e le elettriche lo 0,3%.

Il documento dell’Assomineratria

Secondo il documento messo a punto dall’Assomineraria, di cui si riporta il passo più importante,

«l’attuale formulazione dell’emendamento comporterà effetti molto negativi sul settore upstream:
• Importante contrazione delle attività. A causa dell’aumento dei canoni verrebbe meno la redditività minima per molte delle attività in corso e programmate, determinando una diminuzione dei canoni effettivamente percepiti, minori royalties e imposte che si traducono in una significativa riduzione di gettito per lo Stato.
• Minori investimenti per oltre 400 milioni di euro e conseguente diminuzione delle entrate per le casse dello Stato (tra tasse, contributi e royalties) per circa 110 milioni di euro per anno. Estendendo i vincoli introdotti dall’emendamento anche alle concessioni, nei prossimi anni verrebbero a mancare investimenti per circa 2 miliardi di euro e si registrerebbe una diminuzione delle entrate per le casse dello Stato per circa 500 milioni per anno.

• Perdita di posti di lavoro, in un settore che occupa nei soli siti operativi circa 20.000 addetti fra diretto e indotto. Soltanto in Emilia-Romagna lavorano più di dieci mila operatori riconducibili all’industria upstream e sono presenti quasi mille aziende che generano un indotto che supera i centomila lavoratori.
• Impatto negativo sulla bilancia commerciale dello Stato a seguito della riduzione della produzione nazionale di idrocarburi a favore delle importazioni dall’estero. A tale proposito nel 2018 la fattura energetica per l’Italia è stata di circa 40 miliardi di euro. Nello stesso anno la produzione domestica ha contribuito al miglioramento della bilancia commerciale con un risparmio complessivo sulla bolletta energetica di circa 3,1 miliardi di euro che andrebbero in gran parte perduti nel momento in cui venisse approvato l’emendamento.
• Aumento della dipendenza energetica dell’esterno e minore sicurezza degli approvvigionamenti. Per soddisfare il proprio fabbisogno domestico l’Italia importa dai mercati esteri una quota di energia pari a circa il 75% (per gli idrocarburi si raggiunge il 90%), una dipendenza energetica molto superiore alla media dei Paesi europei, che si attesta intorno al 54%.
• Maggior impatto ambientale: per importare il gas dall’estero è necessario bruciarne una percentuale importante per poterlo comprimere e trasportare, con il conseguente aumento delle emissioni del 25% circa rispetto al gas prodotto in Italia
».

Il parere di Gianni Bessi

Ecco Gianni Bessi, uno dei più attivi esponenti del Pd romagnolo: «L’economia italiana e europea sta dando segnali preoccupanti: molti analisti stanno già pronunciando la parola recessione. Per contrastare la recessione credo che il metodo più efficace sia creare lavoro, sicurezza e difendere quello che già esiste. Questo chiedono i cittadini e vanno tenuti in considerazione. Mi impegnerò, nel limite dei miei compiti e delle mie possibilità, perché venga ascoltata la voce di chi vuole il benessere dell’Italia».

Le imprese del distretto di Ravenna

Dice Franco Nanni, presidente del Roca (associazione ravennate contrattisti offshore): «Rappresentiamo il principale distretto energetico del Paese. Così come ci siamo strenuamente battuti contro i no triv che sostenevano, attraverso il referendum della primavera del 2016, la chiusura delle attività estrattive, ora torniamo a chiedere fortemente lo sviluppo delle attività in Adriatico, nell’interesse innanzitutto del Paese”.

I dati sui giacimenti

Su 71 miliardi di metri cubi di gas consumati ogni anno in Italia la produzione ormai è dimezzata a 5,7 miliardi di metri cubi.
Secondo le stime dell’Ufficio minerario, le riserve accertate di gas in territorio italiano ammontano a 130 miliardi di metri cubi con un potenziale aggiuntivo pari al doppio, per un valore tra 75 e 100 miliardi di euro.
Da queste somme lo Stato o le Regioni potrebbero incassare almeno il 7% di royalties e il 40% di tasse.
Per i giacimenti nell’Adriatico l’Eni ha impegnato 2 miliardi di investimento per estrarre 4 nuovi miliardi di metri cubi l’anno di metano scoperti di recente.

Come funziona in Italia: i giacimenti, i canoni e le royalty

A differenza di altri Paesi, in cui il sottosuolo appartiene a chi possiede la superficie, in Italia il sottosuolo appartiene allo Stato.
Lo Stato si astiene dallo sfruttare le risorse minerarie. Il criterio adottato da sempre è il seguente:
• chiunque può chiedere di studiare il sottosuolo alla ricerca di minerali, giacimenti, acqua irrigua, ghiaia per costruzioni e così via. Il canone per cercare è molto modesto, in modo da indurre la scoperta di risorse.
• il mare non è di competenza di alcuna amministrazione locale e quindi i pareri espressi da Comuni e Regioni, seppure ascoltati e sebbene importanti, non hanno alcun valore giuridico.
• scoperta la risorsa (minerali, metano, acqua potabile e così via) a quel punto lo Stato si prende la sua quota, commisurata con il valore di mercato del bene e commisurata con la quantità di bene che viene estratto.
• La royalty sugli idrocarburi (metano, petrolio o altri idrocarburi) varia tra il 7 e il 10% del valore di mercato secondo il tipo di giacimento e secondo la sua collocazione (se in terra o in mare).
• La royalty viene divisa tra diverse istituzioni: lo Stato, la Regione, i Comuni in cui si trovano i pozzi.
• Una quota va al ministero dell’Ambiente per pagare le eventuali spese di intervento in caso di inquinamento del mare.

I caschi gialli (i «lavoratori invisibili»)

Loro si definiscono i lavoratori invisibili, e questo nome hanno dato a una delle pagine Facebook con cui i “caschi gialli” protestano contro i no triv.
Nei loro forum e in queste pagine Facebook i “caschi gialli” raccontano le loro ansie, le loro angosce, le speranze e le loro battaglie.
Ecco per esempio che cosa scrive una di loro, Ilaria Giorgulli:

«Ma quando anche il Governo a capo del mio Paese rema contro e si fa portatore di quella demagogia, cavalcando l’onda di NO contro cui hai passato anni a combattere, allora la tentazione di mollare è davvero forte».

«Perché non puoi consumare plastica, usare la macchina, cucinare, accendere la luce, fregandotene del fatto che quel gas e quel petrolio vengono da paesi lontani, magari meno attenti ai lavoratori e al territorio».

«Ah, dimenticavo: bello continuare a combattere, ma se il DL semplificazioni passa con l’emendamento anti idrocarburi, continuerò le mie battaglie dal divano di casa e non dall’ufficio. Perché è probabile che non avrò più un ufficio. E non avrò più un lavoro. E non sarò l’unica. E l’Italia perderà l’ennesima occasione».

Un emendamento no triv

Ecco per esempio uno degli emendamenti no triv all’esame del Senato:
Art. 11
CASTALDI, GIROTTO, ANASTASI, VACCARO, PUGLIA, PATUANELLI, SANTILLO, GRASSI

Dopo l’articolo, inserire il seguente:
«Art. 11-bis.
(Disposizioni in materia di Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee).

1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, è approvato il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PTESAI), al fine di offrire un quadro definito di riferimento per lo svolgimento delle attività di prospezione e ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale, volto a valorizzare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle stesse.
2. Il PTESAI è adottato previa valutazione ambientale strategica e, limitatamente alle aree su terraferma, di intesa con la Conferenza unificata. Qualora per le aree su terraferma l’intesa non è raggiunta entro 60 giorni dalla prima seduta, la Conferenza unificata è convocata in seconda seduta su richiesta del Ministro dello sviluppo economico entro 30 giorni ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. In caso di mancato raggiungimento dell’intesa entro il termine di 120 giorni dalla seconda seduta, ovvero in caso di espresso e motivato dissenso della Conferenza unificata, il PTESAI è adottato con riferimento alle sole aree marine.
3. Nelle more dell’adozione del Piano di cui al comma 1, ai fini della salvaguardia e del miglioramento della sostenibilità ambientale e sociale, i procedimenti amministrativi, ivi inclusi quelli di valutazione di impatto ambientale, relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione o di ricerca o concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi sono sospesi, fatti salvi i seguenti procedimenti relativi alle istanze di:
a) rinuncia dei titoli dei titoli minerari vigenti o delle relative proroghe;
b) sospensione temporale della produzione per le concessioni in essere;
c) riduzione dell’area, di variazione dei programmi lavori e delle quote di titolarità.
4. A decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, e fino all’adozione del Piano, tutti i permessi di prospezione e di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi in essere, sia per aree in terraferma che in mare, sono sospesi, con conseguente interruzione di tutte le attività di prospezione e ricerca in corso di esecuzione, fermo restando l’obbligo di messa in sicurezza dei siti interessati dalle stesse attività.
5. La sospensione di cui al comma 4 non incide sul decorso temporale dei permessi di prospezione e di ricerca; correlativamente, per lo stesso periodo di sospensione, non è dovuto il pagamento del relativo canone.
6. Successivamente alla approvazione del Piano di cui al comma 1, nelle aree in cui le attività di prospezione e di ricerca e di coltivazione risultino compatibili con le previsioni del Piano stesso, i permessi di prospezione e di ricerca sospesi ai sensi del comma 4 riprendono efficacia. Nelle aree non compatibili, il Ministero dello sviluppo economico avvia il procedimento di rigetto delle istanze di permesso di prospezione o di ricerca di idrocarburi o di concessione di coltivazione di idrocarburi e alla revoca, anche parziale, dei permessi di prospezione o di ricerca in essere. In caso di revoca, il titolare del permesso di prospezione e di ricerca è comunque obbligato al completo ripristino dei siti interessati. In caso di mancata approvazione del Piano entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, tutti i permessi di prospezione e di ricerca sospesi ai sensi del comma 4 riprendono efficacia.
7. A decorrere dal 1° gennaio 2020, i canoni annui per le concessioni di coltivazione e stoccaggio nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale italiana sono così determinati:
a) concessione di coltivazione: 2.041,00 euro per chilometro quadrato;
b) concessione di coltivazione in proroga: 3.067,00 euro per chilometro quadrato;
c) concessione di stoccaggio insistente sulla relativa concessione di coltivazione: 14,76 euro per chilometro quadrato;
d) concessione di stoccaggio in assenza di relativa concessione di coltivazione: 59,04 euro per chilometro quadrato.
Al venir meno della sospensione di cui al comma 4, i canoni annui dei permessi di prospezione e ricerca sono rideterminati come segue:
a) permesso di prospezione: 129,15 euro per chilometro quadrato;
b) permesso di ricerca: 258,3 euro per chilometro quadrato;
c) permesso di ricerca in prima proroga: 516,6 euro per chilometro quadrato;
d) permesso di ricerca in seconda proroga: 1.033,2 euro per chilometro quadrato.
Le maggiori risorse derivanti dalle disposizioni in materia di canoni di superficie di cui al presente comma sono riassegnate dal Ministero dell’economia e delle finanze ad apposito Fondo da istituire presso il Ministero dello sviluppo economico, destinato in misura pari a 1 milione di euro per gli anni 2020 e 2021 alla copertura degli oneri connessi all’attuazione della presente norma.
8. Il comma 1 dell’articolo 18 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, è abrogato.
9. Il comma 1 dell’articolo 38 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, è sostituito dal seguente: “1. Le attività di prospezione e ricerca e coltivazione di idrocarburi, le relative opere e gli impianti previsti nei programmi lavori, nonché le relative opere strumentali allo sfruttamento dei giacimenti di cui ai titoli minerari, non rivestono carattere d’interesse strategico nazionale e non sono di pubblica utilità, urgenti ed indifferibili. Resta fermo il carattere di pubblica utilità delle attività di stoccaggio di gas naturale in sotterraneo”».

Maggioranza divisa: Gava (Lega) incontra i «caschi gialli»

La sottosegretaria all’Ambiente Vannia Gava ha incontrato al Senato i rappresentanti di alcune aziende che si occupano dell’approvvigionamento energetico nel mare. «Ho ascoltato le aziende e le loro preoccupazioni, che sono anche le mie, per le possibili conseguenze dell’emendamento proposto al decreto Semplificazioni, attraverso il quale si vorrebbe vietare lo svolgimento di tutte le trivellazioni in mare, incluse quelle già autorizzate. La posizione che ho già espresso pubblicamente è di forte contrarietà a questa impostazione, per una lunga serie di motivi. Bloccare questo comparto porterebbe con sé dei gravi problemi di approvvigionamento di energia per un Paese come il nostro che dipende per il 90% dall’estero contro una media europea del 54%. Fermare questo comparto metterebbe poi in crisi moltissime aziende, con la conseguente perdita di posti di lavoro, altro aspetto inaccettabile. Infine, ma certo non ultimo, revocare autorizzazioni già concesse, che hanno già ottenuto i permessi previsti, significherebbe certificare che in Italia è impossibile investire, perché anche autorizzazioni già sancite possono essere messe in discussione da un giorno all’altro».
Un video di Vannia Gava è disponibile cliccando a questo link.

Maggioranza divisa: Salvini

«La tutela dei posti di lavoro per me è sacra. Di tutto il resto si può discutere ma con i soli no non si campa. Non si può dire no al carbone, no al petrolio, no al gas, no al metano, no alle trivelle», ha detto mercoledì il vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini. «Non possiamo andare in giro con la candela e accendere i legnetti; il problema dell’energia e in particolare della metanizzazione della Sardegna è una del priorità mia e di questo Governo».

Trivelle. Quanto costa il no. Il rischio arbitrati. E nascono i «caschi gialli»ultima modifica: 2019-01-25T15:32:12+01:00da davi-luciano
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