Inceneritori, quello di Copenaghen non produce solo vapore acqueo. Lo dice la stessa azienda: “Emissioni al minimo”

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Inceneritori, quello di Copenaghen non produce solo vapore acqueo. Lo dice la stessa azienda: “Emissioni al minimo”

I fumi saranno ottimizzati, ma non è vero che l’impianto nella capitale danese emetterà solo vapore acqueo. La Babcock & Wilcox Vølund, azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione, assicura sulle “prestazioni avanzate” e sulla qualità dell’aria ma precisa che comunque emetterà un minimo di monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto

L’inceneritore di Copenaghen produce solo vapore acqueo? No, non è vero. Lo dice la stessa azienda che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi. Che non saranno solo di vapore acqueo, come scrivono diversi media italiani tra i quali il Corriere della Sera. Certo, le emissioni sono ottimizzate, ma comunque dal camino usciranno monossido di carbonio, ammoniaca, carbonio organico e ossidi di azoto. L’inceneritore potrebbe diventare una delle maggiori attrazioni turistiche di Copenaghen e molti, in questi giorni di polemica su quel tipo di impianti, citano la struttura della città danese in fase di ultimazione come un modello da seguire. Famoso perché ospiterà sul suo tetto una pista da sci e percorsi di trekking e per le sue tecnologie all’avanguardia, l’impianto emette però qualcosa in più oltre al semplice vapore acqueo e per funzionare guarda all’immondizia in arrivo da altri Paesi. Ecco come funziona.

Energia dai rifiuti
Amager Bakke, rinominato anche Copenhill perché ambisce a rappresentare una collina verde, dentro la città danese, è stato costruito da una società di cinque Comuni. Ha iniziato a funzionare a settembre 2017 in sostituzione di un altro inceneritore arrivato a 45 anni di anzianità. Con due linee di combustione, brucia in totale 70 tonnellate di rifiuti all’ora: in un anno, può trattare circa 400mila tonnellate di spazzatura, prodotta da 550-700mila cittadini e 46mila imprese. L’energia sprigionata dalla combustione torna alle famiglie sotto forma di elettricità per 50mila utenze e calore per 120mila. Per avere un termine di paragone, l’impianto di Brescia, il più grande d’Italia con oltre 700mila tonnellate incenerite nel 2017 ma una tecnologia più datata, produce energia elettrica pari al fabbisogno di oltre 200mila famiglie e calore per oltre 60mila appartamenti.

Non proprio vapore acqueo
“Gli amanti dello sci hanno bisogno di non preoccuparsi per la qualità dell’aria sul versante dello stabilimento”, si legge in una brochure della Babcock & Wilcox Vølund, azienda danese che ha fornito il sistema di alimentazione del forno e le tecnologie di depurazione dei fumi, per ridurre le emissioni inquinanti dell’impianto. L’azienda assicura che l’inceneritore di Amager Bakke “rispetto al vecchio impianto riduce del 99,5 per cento leemissioni sulfuree e minimizza quello degli ossidi di azoto a un decimo”. Prestazioni avanzate, è vero, anche se nel fumo che esce dall’altissimo camino non c’è solo vapore acqueo, come qualcuno arriva a dire in questi giorni. La Vølund assicura che l’impianto manterrà le emissioni degli ossidi di azoto entro i 15 mg/Nm3, il monossido di carbonio sotto i 50, ammoniacanon oltre i 3, così come il carbonio organico totale. Se si osservano i dati delle emissioni di forni italiani (anch’essi frutto di autodichiarazioni da parte degli impianti), si osserva che i vantaggi dell’impianto di Copenaghen riguardano soprattutto gli ossidi di azoto, composti associati alla combustione (compresa quella da traffico) molto dannosi per l’apparato respiratorio. Per fare un confronto con l’inceneritore del Gerbido di Torino, entrato in funzione nel 2013, in media nel mese di settembre 218 la linea 1 dell’impianto ha emesso 2 mg/Nm3 di ossido di carbonio, 0,1 di carbonio organico totale, 0,7 ammoniaca, ma quasi 26 mg/Nm3 di ossidi azoto.

Sciare sull’inceneritore
A far parlare molto dell’impianto prima ancora della sua apertura al pubblico prevista per la primavera 2019 sono però, oltre alle prestazioni ambientali, le attività che si possono fare sul tetto e su uno dei lati. Copenhill ospiterà una pista da sci, percorsi su cui correre e passeggiare, un’area verde per il pic nic, una parete di arrampicata alta 80 metri, oltre che un ristorante e un bar. Costato circa 500 milioni di euro, di grosse dimensioni per raggiungere alti livelli di efficienza, adesso Amager Bakke conta sui turisti e sui rifiuti in arrivo da fuori confine per ripagare il cospicuo investimento.

Modello danese?
Mentre la Lega propone un inceneritore per provincia e il Movimento 5 stelle non ne vuole neanche uno, gli operatori del settore rifiuti ricordano che per chiudere il ciclo ad oggi serve anche l’incenerimento. Per far diventare realtà l’economia circolare bisognerà puntare su riduzione dei rifiuti e di imballaggi non riciclabili, riuso, riciclo, affrontando però di pari passo il problema della parte della spazzatura impossibile da rigenerare. Oggi nelle regioni del Sud senza inceneritori questi scartiraggiungono il Nord o vanno in discarica con punte dell’80 per cento in Sicilia e del 58 in Calabria. Ma di fronte alle richieste dell’Europa di non superare il 10 per cento di rifiuti interratientro il 2035 diventa molto difficile fare a meno degli altri impianti di smaltimento, seppur brutti e inquinanti.

In questo quadro, la Danimarca può davvero essere un modello da replicare? Non più di tanto. Copenaghen ha sì un impianto di combustione considerato all’avanguardia, ma ha avviato solo di recente la raccolta dei rifiuti organici, che da soli rappresentano circa un terzo degli urbani e sono una risorsa per produrre biometano e biogas. Non solo.

Nel Paese che vuole raggiungere il 50 per cento di riciclo entro il 2022 e la cui capitale sogna di diventare a emissioni zero entro il 2025, c’è il problema opposto a quello italiano: una sovraccapacità di incenerimento, con 28 impianti attivi per meno di 6 milioni di abitanti. L’incenerimento, seppur a ridotte emissioni e alti livelli di accettazione da parte dei cittadini, qui non si ferma alla gestione dei rifiuti ma è anche una strategia di sviluppo industriale. Lo stesso Copenhill, ha spiegato il direttore Clima della città di Copenaghen Jorgen Abildgaard, è stato sovradimensionato per ottenere dei benefici in termini di efficienza e ora come gli altri 27 cercherà rifiuti sui mercati stranieri. Tra il 2013 e il 2015, si legge nel rapporto annuale sul tema del ministero dell’Ambiente danese, l’importazione di rifiuti per l’incenerimento è passata da 160mila a 350mila tonnellate: oggi rappresentano l’11 per cento della spazzatura bruciata nel Paese e arrivano soprattutto dalla Gran Bretagna. Ma lo spazio nei forni c’è e la Danimarca guarda a tutta l’Europa, Italia compresa. Così, mentre da noi si litiga, chissà che qualcuno a Copenaghen già non pensi ai treni di immondizia che potrebbero arrivare dalla penisola per far marciare gli impianti danesi.

Torino, la sindaca cede: alla marcia No Tav andrà il vice con la fascia tricolore

https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/11/19/news/torino_alla_marcia_no_tav_il_vicesindaco_con_la_fascia_tricolore-212079492/?fbclid=IwAR1uzKP9sXqZfdUwDZnBQnpf9skYMTfRDtBImLcOflpVCLFVRRlWxDzp6-M

No al gonfalone della Città, sì al numero due della giunta Montanari in rappresentanza del Comune

di DIEGO LONGHIN

19 novembre 2018

No al gonfalone, sì al vicesindaco con la fascia tricolore che parteciperà alla manifestazione No Tav dell’8 dicembre per rappresentare il Comune di Torino. Alla fine, dopo essersi spaccati sulla presenza del gonfalone della città alla marcia contro la linea ad alta velocità tra Torino e Lione, il Movimento 5 Stelle e la sindaca Chiara Appendino ritrovano l’armonia. Niente gonfalone, come avrebbe voluto l’ala più estremista del gruppo M5S in Sala Rossa e il consigliere Damiano Carretto, ma sì al vicesindaco Guido Montanari con fascia. Formalmente, come dicono la norma e le sue interpretazioni, è come se andasse in piazza la stessa sindaca. La disciplina dell’uso della fascia infatti, spiega il dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali del ministero dell’Interno “è legata alla natura delle funzioni del sindaco quale capo dell’Amministrazione comunale ed ufficiale di Governo. Allorquando il sindaco sia assente o impedito temporaneamente spetta solo al vice sindaco fregiarsene”. Fanno eccezione i delegati del sindaco incaricati di svolgere funzioni di ufficiali di stato civile come per esempio i consiglieri comunali che celebrano i matrimoni. E infine, in base alla prerogativa di autonomia dei Comuni, ogni amministrazione ne stabilisce l’uso con diverse modalità, anche se il dettato della norma è un altro. Ma un fatto resta: la fascia rappresenta la funzione del sindaco.
Appendino: “Al corteo No Tav nessun simbolo ufficiale della Città”
La decisione di mandare Montanari in piazza è stata maturata nel corso della giornata e discussa anche in una riunione di maggioranza dopo il Consiglio comunale. Già in passato il vicesindaco ha marciato con la fascia a manifestazioni No Tav, ma la partecipazione al corteo dell’Immacolata tra piazza Statuto e piazza Castello viene dopo il sit-in “Si Tav” con circa 40 mila che pacificamente si sono riversati nel cuore di Torino. Cosa che non è sfuggita alla sindaca Appendino che, pur non rinnegando le sue posizioni No Tav, dopo il post di Carretto che chiedeva una presenza istituzionale di Torino, ha sottolineato che “Non ritengo, oggi, di coinvolgere nella manifestazione dell’8 dicembre simboli istituzionali che, per la loro stessa natura, rappresentano la sensibilità di un’intera comunità”.

Passate 24 ore, la soluzione trovata per riportare la pace tra sindaca e gruppo, è quella di lasciare nella teca in Municipio il gonfalone e di mandare il vice in versione ufficiale. Anche la fascia tricolore, però, è uno dei simboli istituzionali più alti per un Comune. Il simbolo stesso con cui al sindaco viene conferito l’incarico nella cerimonia di insediamento. Alla fine della riunione Valentina Sganga sottolinea che “Il M5S prenderà parte alla manifestazione dell’8 dicembre, come ha sempre fatto, senza bandiere. Saranno presenti consiglieri, assessori e, come di consueto, il Vicesindaco Montanari con fascia tricolore, delegato dalla Sindaca Appendino. Non saranno invece presenti i simboli della Città di Torino: stemma, gonfalone e bandiera”.

Zerocalcare e il manifesto per i No Tav: “L’ho sempre pensata così, mi dispiace aver deluso qualche lettore”

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L’artista romano, che ha disegnato il poster per la manifestazione dell’8 dicembre, risponde su Facebook alle critiche

di JACOPO RICCA

19 novembre 2018

Le critiche e i messaggi di delusione per aver disegnato il manifesto per il corteo No Tav dell’8 dicembre hanno colpito Zerocalcare. Il fumettista è intervenuto dal suo profilo Facebook per chiarire la vicenda, precisando di non voler convincere nessuno ma per manifestare il suo stupore per lo scadimento del dibattito pubblico.

“Sono No Tav da sempre, e mi dispiace se le scaramucce tra il PD e il M5S hanno trasformato una questione ventennale, profonda e complessa, in un referendum pro o contro questo governo, che ovviamente mi fa schifo con o senza Tav – scrive l’artista romano – Questo è il risultato di aver espulso dal dibattito pubblico mainstream tutte le voci di intellettuali, democratici e persone più o meno autorevoli che negli anni hanno spiegato e continuano a spiegare le ragioni di quella contestazione: quello che rimane nella narrazione di questo paese è il SITAV come unico modo di intendere la sinistra, il progressismo e il buon senso, e il NOTAV come oscurantismo medievale, difesa dei 5 stelle e di questo governo”.

Il lungo intervento arriva perché al fumettista sono arrivati “milioni di mail e messaggi e tag più o meno tutti di questo tenore, di grande delusione e stupore per il manifesto del corteo No Tav”. In sostanza una parte dei suoi fan non avrebbe gradito la scelta di schierarsi con chi si oppone alla linea ad alta velocità Torino-Lione, una scelta che però non è affatto nuova: “Mi dispiace se questa cosa ha fatto rimanere male tante persone, ma evidentemente vi è arrivata finora solo una parte della mia produzione degli ultimi 20 anni – scrive nel lungo post – Ho iniziato a interessarmi di quello che mi stava intorno e delle cose fuori dagli stretti affari miei nel 1998, a 14 anni, colpito dalle vicende dell’arresto e del conseguente suicidio in carcere in attesa di processo di Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas, nel quadro di un’inchiesta contro i primi fuochi di contestazione al TAV. Sono andato cento volte in valle, parlando allo sfinimento, in privato come in assemblee pubbliche, con quella parte di popolazione che quel tunnel non lo voleva”.

Zerocalcare ha voluto ribadire ancora una volta la sua vicinanza ai valsusini: “Per me in questi anni lì si è aperta una questione di democrazia che va anche aldilà del merito di quel tunnel – aggiunge – La questione è di rispetto di una comunità che da 20 anni ha espresso una serie di criticità, e l’ha fatto in tutti i modi, da quelli più pacifici a quelli meno pacifici, che hanno avuto la medesima risposta: quella di andare avanti fino a farne un braccio di ferro di principio, militarizzando un territorio, schierando l’esercito e negando qualsiasi legittimità alla posizione di chi quel tunnel non lo voleva, con dati, argomentazioni e un modello di sviluppo per me condivisibile, che è un’altra delle cose fanno la differenza”.

Terzo valico, Iolanda Romano non è più il commissario di governo.

http://www.giornale7.it/terzo-valico-iolanda-romano-non-e-piu-il-commissario-di-governo/?fbclid=IwAR2kRwvnvCkb_lfqmAx4FhcQDVEYVNGL09tHtYR0Uzb0vDaiYAMXJv4G2C8

Si è dimessa ieri come annunciato dal ministero delle Infrastrutture. A breve il successore.

 

Come anticipato ieri da Giornale7 (Il governo: “Rettighieri resti nel Cociv”. La Romano invece a breve sarà sostituita), il commissario di governo del Terzo valico dei Giovi, Iolanda Romano, si è dimessa. La decisione era nell’aria visto che i rapporti con il governo gialloverde erano tutt’altro che idilliaci, in particolare con il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli (M5s). L’incarico della Romano è durato circa tre anni. Ieri l’annuncio da parte del ministero, che parla di tempi brevi per il successore. Oggi il comunicato della Romano: “Lascio una macchina che funziona, che ora può guidare qualcun altro. Questo il senso della mia decisione di dimettermi dall’incarico di Commissario per il Terzo Valico.

Si tratta di una scelta professionale dettata dal desiderio di intraprendere nuove sfide e che è stata condivisa con il Ministero. Dopo tre anni sento di aver raggiunto il mio obiettivo, che era quello di porre l’accento sul ‘come accompagnare la realizzazione di un’opera’ esclusivamente nell’interesse pubblico, qualunque sia il progetto. I metodi applicati, con la grande collaborazione di tutti gli enti – basati su partecipazione, ascolto del territorio, mediazione dei conflitti e trasparenza – hanno dimostrato di funzionare, anche alla scala di una grande infrastruttura. Ma d’ora in poi, per partire con il piede giusto, bisognerebbe applicare la nuova legge sul Dibattito pubblico”.

Grazie, Tajani!

http://contropiano.org/interventi/2018/11/20/grazie-tajani-0109680?fbclid=IwAR3T6fNSSzrA4kDJdggcJfMJjyrCyjDz9SqdMy7cvPTrjPP6V5y-af0mnVI

Come spesso ci tocca ripetere, lo spazio “interventi” di un giornale ospita contributi e prese di posizione che la redazione ritiene interessanti, stimolanti, provocatori q.b. Non sono “farina del nostro sacco” e dunque, chi vuole interloquire con l’Autore, deve misurarsi su quel che viene scritto. Senza dietrologie, che hanno in effetti rotto parecchio gli zebedei…

Chi vuol sapere come la pensiamo noi, magari sugli stessi argomenti, non ha che da leggersi gli editoriali e altri articoli, firmati o meno.

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L’eurodeputato democristiano Antonio Tajani ha così commentato l’incontro fra Berlusconi e Salvini a Palazzo Grazioli avvenuto oggi, 19 novembre: “Governo Lega-FI dopo le Europee”.

Aggiungiamo noi, nella nostra semplicità contadina, che forse capiamo poco di politica: con appoggio esterno di Fratelli d’Italia, PD e Bonino.

Credo che questa dichiarazione di Tajani sia la migliore indicazione di voto, oltre che alle Europee, anche alle Regionali Piemontesi. Chi è di sinistra deve continuare a votare Potere al Popolo o M5S, dato che LEU si è – come si temeva – dissolta.

Non c’è alternativa. Lo si scrive da queste bande da mesi.

O meglio, compagni: la sinistra, purché non rientrante nel PD come Bersani, D’Alema, Boldrini, etc., dovrebbe abbandonare i piccoli rispettivi orticelli e presentare una sola lista unita, che includa addirittura Civatiani, De Magistris e i Verdi decenti, persino Pizzarotti. Poi PAP, Rifondazione, PCI, PC, i Trozkisti vari, in modo da avere qualche speranza di superare il quorum (per le Europee) e mandare una pattuglia di rappresentanti nei due Parlamenti, Europeo e Regionale, degna.

Certo, senza affidarsi a personaggi come Ingroia, Bertinotti, Boato, Pecoraro Scanio, Zagrebelsky, e Serra, e senza eleggere gente come Barbara Spinelli, D’Alema, Bersani, Curzio Maltese, Boldrini, etc. È l’unica strada.

Chi non se la sente, deve votare M5S. Mica ho detto che li dobbiamo votare noi, compagni. Ma da Leninista sono anche realista: so che – per quanto si allarghi al centro una coalizione di sinistra vera, ci saranno molti che non se la sentiranno di votarla. Costoro, cui va il mio rispetto (e parlo da comunista) devono continuare a votare il partito attualmente di maggioranza relativa, anche se dato in forte calo e che ha deluso molto, e non affidarsi a razzisti, fascisti, euroentusiasti, PD ed assimilati.

Se no il destino è segnato: il paese, la mia amata Regione Piemonte in mano alle destre nazionaliste e razziste. Sta al M5S legittimare un’ultima apertura di credito dando dei segnali di speranza: TAV, MUOS, TAP, innanzitutto. E mollarla con politiche contro migranti, studenti, lavoratori e poveri. Chi adesso cavalca queste ultime lotte e si riscopre rivoluzionario, alla Renzi, non è credibile.

Possiamo dirlo noi che queste lotte le abbiamo sempre fatte. Un primo segnale: vedremo chi ci sarà o meno l’otto dicembre, alle manifestazioni nazionali NOTAV e NOMUOS.

Chi non c’è, è fuori. Per gli altri, vedremo i fatti nei prossimi mesi.

20 novembre 2018 

Torino, cricca dei favori: indagato il pm Padalino

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Torino, cricca dei favori: indagato il pm PadalinoAndrea Padalino 

L’accusa per il magistrato è di abuso d’ufficio

di OTTAVIA GIUSTETTI

20 novembre 2018
Abuso d’ufficio, perché firmando documenti formali del suo ufficio giudiziario ha consentito, di fatto, assegnazioni irregolari di casi e fascicoli che hanno favorito la cricca del Palazzo di Giustizia. Il pm Andrea Padalino è ufficialmente sotto accusa dalla procura di Milano, che lo ha formalmente iscritto nel registro degli indagati, dopo che la procura di Torino aveva inviato per competenza gli elementi che lo riguardavano emersi dalle indagini dell’estate scorsa. L’iscrizione risale all’estate scorsa quando i pm Francesco Pelosi, Paolo Toso e Livia Locci spedirono le ottomila pagine dell’inchiesta sulla cricca ai colleghi di Milano perché facessero gli accertamenti su Padalino e su un vpo, Nando Brizzi, accusato di rivelazione di atti coperti da segreto. Ma la notizia è arrivata solo in questi giorni al Csm che sta gestendo sul caso di Padalino diversi procedimenti disciplinari partiti sempre da Torino. Il sospetto era che anche lui potesse essere un pezzo importante di quel “comitato d’affari” che per anni avrebbe maneggiato i fascicoli di indagine a proprio piacimento per ottenere in cambio favori e pretende da “clienti” della giustizia. E invece Milano non si è spinta così avanti, per ora. Ha soltanto preso atto della presenza nelle carte incriminate che riportano la firma del magistrato dei grandi processi ai no tav e non gli contesta la corruzione in atti giudiziari come agli altri sei indagati tra cui il carabiniere della polizia giudiziaria, Renato Dematteis e l’avvocato Pierfranco Bertolino.

Come catturare la CO2 in atmosfera per produrre benzina, il caso di un impianto in Canada

https://www.jedanews.it/blog/co2-atmosfera-per-produrre-benzina/

Posted on ottobre 31, 2018

Come catturare la CO2 in atmosfera per produrre benzina

Dì Dario Zerbi per Lifegate

In uno stabilimento canadese si sta cercando di produrre su scala globale una benzina che non emette nuova CO2: aspira quella già presente in atmosfera. Ma resta qualche dubbio su un processo che al momento è altamente energivoro.

Un combustibile fossile che non produce nuove emissioni di gas serra perché utilizza i gas che sono stati già emessi, per poi immetterle nuovamente in atmosfera. E riciclarle di nuovo, in un ciclo che potenzialmente potrebbe durare all’infinito. Già da circa quindici anni, in diverse parti del mondo, si studia il modo di “aspirare” la CO2 dall’atmosfera per produrre combustibile attraverso particolari impianti; come fossero aspirapolvere in grado di ripulire l’aria dall’anidride carbonica in eccesso e utilizzarla per produrre un carburante a emissioni zero.

Una tecnologia più economica del previsto

Lo scoglio principale, finora, è stato di tipo economico: tutti gli studi sulla tecnologia Dac (Direct air capture, ovvero a cattura diretta dell’aria) stimavano che sarebbero occorsi ben 600 dollari (circa 519 euro) per ogni tonnellata di CO2 aspirata; un prezzo insostenibile per uno sviluppo su larga scala. Ora, però, uno studio condotto dalla Carbon engineering e pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Joule ribalta completamente le prospettive: l’impianto canadese della società riesce a estrarre una tonnellata di CO2 dall’atmosfera a un costo medio di 100 dollari a tonnellata (circa 86 euro). Lo stabilimento trasforma poi l’anidride carbonica catturata in vari tipi di combustibili liquidi, al costo di produzione di un dollaro al litro: leggermente superiore a quello dei combustibili attuali, ma certamente non proibitivo.

Tutto prese il via nel 2015 a Squamish, nella provincia canadese della British Columbia, su iniziativa di David Keith, professore di fisica applicata all’università di Harvard; un investimento di 30 milioni di dollari, alcuni finanziatori di peso (uno fra tutti, il fondatore di Microsoft Bill Gates) e un orizzonte temporale di tre anni per comprendere le reali potenzialità di questa tecnologia.

I risultati sono stati migliori del previsto, al punto che l’impianto sperimentale potrebbe presto trasformarsi in uno stabilimento a tutti gli effetti, in grado di catturare un milione di tonnellate di CO2 l’anno – il doppio delle emissioni dell’Italia – e di produrre 200 barili di combustibile “riciclato” al giorno. Se tutto procederà per il meglio, entro la fine del 2021 gli automobilisti americani – a partire da quelli che vivono in stati come la California, che attraverso un mercato regolato incentivano l’utilizzo di prodotti sostenibili – potranno scegliere tra un carburante tradizionale o uno che non ha emesso gas serra nella fase di produzione, marchiato Carbon engineering.

Come viene prodotta la “benzina a emissioni zero”

La tecnologia Dac utilizza grandi batterie di ventole aspiranti per risucchiare aria: dei passaggi successivi permettono di separare la CO2 catturata e di stabilizzarla con una soluzione alcalina. Il liquido può essere pressurizzato e iniettato nel sottosuolo, dove viene stoccato e quindi trasformato in un combustibile attraverso una serie di processi chimici: il risultato è un carburante fossile sintetico che, una volta utilizzato nei motori, non produce nuova CO2 perché emette in atmosfera quelle aspirate. Si tratta di un processo decisamente energivoro che, in questa fase iniziale, la società ha arginato usando l’elettricità prodotta da alcune dighe del territorio; per un impianto su larga scala, invece, si dovranno per forza trovare soluzioni alternative: permane insomma qualche dubbio sulla reale sostenibilità di questa tecnologia dal punto di vista del bilancio energetico.

Certo è che potremmo essere di fronte a una rivoluzione: il settore dei trasporti incide per circa il 20 per cento sulle emissioni globali di gas serra, e un maggiore sviluppo della tecnologia Dac comporterebbe un doppio vantaggio. Da un lato, si potrebbe rimuovere in modo permanente l’anidride carbonica dall’atmosfera: l’impianto immaginato dalla Carbon engineering eliminerebbe da solo un quarantesimo della CO2 prodotta in un anno a livello mondiale. Dall’altro lato, prenderebbe il via la produzione di un carburante compatibile con i motori odierni, senza dover convertire all’elettrico l’intero parco auto circolante.

Il bilancio di carbonio Un altro buon motivo per il No: il tunnel danneggerà il clima

di Luca Mercalli

da Il Fatto Quotidiano del 18-11-20178

La nuova linea ferroviaria Torino-Lione viene giustificata con motivi ambientali: la cura del ferro fa bene, spostare traffico da gomma a rotaia riduce le emissioni. Il che è vero se si usano ferrovie esistenti, come l’attuale linea Torino-Modane, lo è meno quando si devono costruire nuove, meno ancora quando sono perl unga tratta in tunnel. Lo sostengono i ricercatori Jonas Westin e Per Kågeson del Royal Institute of Technology di Stoccolma nell’analisi Can high speed rail offset its embedded emissions?: affinché il bilancio di carbonio sia favorevole al clima le linee ferroviarie ad Alta velocità “non possono contemplare l’estensivo uso di tunnel”. Se il bilancio monetario costi-benefici della Torino-Lione già vacilla, del bilancio di carbonio non si parla mai. Il tunnel bisogna costruirlo, per oltre dieci anni le talpe succhieranno megawatt, il cemento assorbirà energia e produrrà emissioni, l’armamento e i dispositivi di sicurezza richiederanno tonnellate di acciaio e di cavi di rame, i camion e le ruspe per spostare migliaia dimetri cubi di roccia andranno a gasolio. Poi c’è l’impianto di raffreddamento che a opera conclusa funzionerà in permanenza, poiché all’interno del tunnel la temperatura sarà attorno a 50°C, ostile alla vita. Quando il primo treno passerà su quella linea non si vedrà alcun vantaggio ambientale, in quanto per parecchi anni, ammesso che venga effettivamente usata a pieno carico come da previsioni per ora sulla carta, il risparmio delle emissioni dovrà ripagare il debito di quelle rilasciate in fase di cantiere e di esercizio. Ammesso dunque che sia possibile, una prima riduzione netta delle emissioni potrebbe avvenire non prima del 2040. Il clima però è già in estrema crisi adesso e l’ultimo rapporto IPCC dice chiaramente che le emissioni vanno ridotte subito, altrimenti nel 2040 avremo già superato la soglia di sicurezza del riscaldamento globale di1,5°C. La cura del ferro della Torino-Lione è quindi strana, prima richiede un’intossicazione sicura del malato, poi promette di disintossicarlo quando sarà già moribondo. Non è meglio cambiare cura? Usare i miliardi di euro ad essa destinati per una riduzione delle emissioni con effetti certi e immediati, come collocare più pannelli solari sui tetti degli italiani, cambiare gli infissi alle case colabrodo, aumentare la coibentazione, installare pompe di calore, tutte azioni che danno lavoro a decine di migliaia di artigiani e non ci fanno attendere vent’anni per ottenere effetti positivi sull’ambiente.

La cura del ferro Torino-Lione potrebbe essere peggiore del male che vorrebbe curare. Per fare valide previsioni e stabilire se la pubblicità verde della grande opera sia ingannevole o meno, occorre un bilancio di carbonio certificato da un ente terzo, come l’Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale che mantiene il catasto nazionale delle emissioni climalteranti e potrebbe verificare se nell’ambito dell’Accordo di Parigi siglato anche dall’Italia il super tunnel Torino-Lione sia coerente o perdente. C’è poi quell’ora di viaggio sul Tgv Milano-Parigi che si potrebbe recuperare subito grazie a un accordo tra ferrovie francesi e italiane.Per ragioni di incompatibilità tra dispositivi di sicurezza, il treno francese, una volta arrivato a Torino via tunnel del Frejus, invece di instradarsi sulla linea ad Alta velocità per Milano continua da anni a transitare sulla vecchia linea regionale via Vercelli e Novara. Se i francesi sostituissero il loro vecchio Tgv con un treno più moderno la tratta Parigi-Milano si abbrevierebbe subito di quasi un’ora. Come mai la gente non scende in piazza per questo significativo risultato che non incide sulle casse dello stato e non deve attendere decenni per entrare in servizio? E infine,dopo le iniezioni di retorica a buon mercato inneggianti a progresso, crescita, investimenti, lavoro che passeranno tutti e solo da questo buco sotto il massiccio dell’Ambin, proviamo a fare un passo più analitico verso gli scenari futuri. Che piaccia o no, le risorse naturali planetarie diminuiscono e i rifiuti aumentano, così l’Unione Europea ha saggiamente scelto la strategia dell’economia circolare, per minimizzare l’uso di materie prime, costruire oggetti più durevoli e riparabili, contrastare l’usa-e-getta, riciclare i materiali a fine vita. In un tale contesto, l’idea di una continua espansione del trasporto merci invocata dai promotori della Torino-Lione e da un’altra parte della burocrazia europea appare in aperto conflitto con i limiti fisici planetari. Occorre uscire dal tunnel per aprire lo sguardo alla realtà, molto più complessa, problematica e inedita, e le cui soluzioni sono immensamente più articolate di un buco nella roccia, ostinatamente perseguito per ragioni che non appaiono razionalmente difendibili.

Tav, tutte le inesattezze nei numeri del commissario

di Virginia Della Sala e Andrea Giambartolomei

da Il Fatto Quotidiano del 15-11-2018 |

Un dossier per il governo sul Tav, in attesa dell’analisi costi-benefici: Paolo Foietta, commissario straordinario alla Torino-Lione (che in passato ha scritto un libro di propaganda Sì-Tav col pasdaran dell’alta velocità Stefano Esposito, ex senatore Pd) ha inviato martedì il Quaderno 11, che contiene osservazioni tecniche sull’opera, realizzato dall’Osservatorio sulla Torino-Lione. E ieri lo ha presentato a Torino. Il tassametro. Prima dichiarazione: “Se a dicembre non partiranno le gare di appalto per la Torino-Lione, si perdono 75 milioni di euro al mese e si configura un problema di danno erariale”. Foietta non chiarisce quale sia l’origine di questo calcolo. Probabilmente, il riferimento è agli 813 milioni di finanziamento europeo che non arriverebbero. Non una spesa, dunque. Per il resto, va considerato che: gli accordi bilaterali non prevedono clausole che compensino le spese per lavori fatti dalla Francia; nei trattati non sono previste penali; se la Francia dovesse chiederle per un eventuale blocco, dovrebbe farlo per un’opera giudicata inutile; andare avanti costerebbe all’Italia almeno cinque miliardi. Gli esperti. Foietta ha poi detto che gli esperti del ministero che stanno lavorando all’analisi costi-benefici non sono stati nominati ufficialmente. In verità il gruppo ha firmato ad agosto un contratto che attualmente è all’analisi della Corte dei Conti. Non sono quindi degli abusivi. Intermodalità. Ad Avvenire Foietta ieri ha poi detto che “il rapporto costi-benefici cambia in relazione ai presupposti politici. Se decido che l’intermodalità è una scelta strategica, perché toglie traffico dalle autostrade, dovrò valutare i benefici in un certo modo. Se non le assegno valore, l’analisi avrà un risultato diverso”. In realtà esiste uno studio della Commissione Europea (Handbook on External Costs of Transport) che fissa i parametri per stimare i costi esterni del trasporto sia a livello Ue che nazionale. E che è un riferimento numerico pensato per i decisori politici. Servizi. Nonostante il trasporto passeggeri sia sempre stato accennato, la linea Torino-Lione nasce per il trasporto merci (tant’è che interessa di più agli industriali e che si parla di treno ad “alta capacità” per questo). Ai passeggeri, però, è dedicato un intero capitolo dello studio, in cui si legge anche che “negli ultimi 20 anni il trasporto ferroviario ha perso il 70% dei volumi di merce trasportata” salvo poi attribuire il problema alla qualità della linea, definita “obsoleta, insicura e inadeguata”. Si tira in ballo una osservazione di Rfi, secondo cui il tunnel storico “non è in grado di soddisfare gli standard delle gallerie attuali”. Che la pendenza implichi l’utilizzo di treni corti e pesanti è vero, così come che da qualche anno è stato imposto – per motivi di sicurezza – il passaggio di un treno alla volta nel tunnel del Fréjus. Ma anche in questo caso, bisogna valutare il rapporto tri i costi e i benefici nel complesso, non il singolo dato. Inoltre, in base all’obiettivo riferito da Foietta (di raggiungere 20-25 milioni di tonnellate di merci ogni anno) dovrebbero partire in ciascuna direzione una settantina di treni da 60 vagoni al giorno, uno ogni venti minuti, e in mezzo aggiungersi almeno 25 coppie di treni passeggeri. Impossibile se si considera che un treno merci viaggia a meno della metà della velocità di uno passeggeri.

Merci.Tra Francia e Italia passano poi circa 42 milioni di tonnellate di merci ogni anno, solo 3,4 via treno. Le previsioni di Sì Tav, quindi, sono irrealistiche. Il solo modo per ottenere un aumento importante – come auspicava l’accordo italofrancese del 2012 – è aumentare i pedaggi sull’autostrada del Fréjus. Oppure dirottare di 200 chilometri il traffico di Ventimiglia, da dove passa il grosso del traffico merci su strada. Ma per farlo, dovrebbero salire i costi del trasporto su gomma. Si sostiene poi che già entro il 2030 si toglierebbero dalla strada, sui percorsi di attraversamento delle Alpi Occidentali, 856 mila veicoli pesanti l’anno. Circa 2 mila al giorno. Se si considera che ogni giorno sulla sola tangenziale di Torino circolano almeno 80 mila camion e poco più di 300 mila auto, la percezione del beneficio ambientale si riduce sensibilmente. L’opera. Repubblica.it ieri (oltre a precisare che Tav, acronimo di Treno Alta velocità, sia ‘femminile’ perché è una “linea”) scriveva: “Il tunnel di base della Torino-Lione esiste. Sono già stati scavati 5,5 chilometri del primo lotto di 9”. A smentire è lo stesso sito di Telt: si tratta di uno scavo geognostico “in asse” e non è ancora il tunnel di base. La ministra. Foietta dichiara poi che “la ministra dei trasporti francese Elisabeth Borne ha smentito in modo chiaro e netto, rispondendo a un’interrogazione in Senato, il comunicato stampa fatto dal ministero italiano dei Trasporti”. In realtà, riportano i media francesi, Borne ha parlato di “rispetto per il processo decisionale dei nostri vicini italiani” e ha solo ribadito la necessità “di non perdere i finanziamenti europei”. D’altronde anche in Francia vogliono fare attenzione ai costi. A inizio anno, il Consiglio di orientamento sulle infrastrutture nel rapporto Duron ha suggerito di rimandare l’onerosa costruzione della linea ferroviaria che da Lione conduce al tunnel alpino dando precedenza a interventi sulle linee esistenti.

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