Il governo dia la prelazione ai privati cittadini italiani per l’acquisto del patrimonio immobiliare dismesso per volere EU!

 novembre 14, 2018 posted by 

Molto bene la risposta italiana all’EU, che voleva privatizzazioni ed austerità: appunto, a Bruxelles volevano privatizzazioni e privatizzazioni hanno avuto, “peccato” abbiano ottenuto solo immobili di stato, magari di provincia, di cui discuteremo sotto.

Certamente l’EU si incazzerà come un puma. Motivo? Loro, i franco-tedeschi, volevano mettere le mani sulla spiagge italiane [da sempre il sogno degli investitori tedeschi abituati a fare le vacanze sul Mar Baltico], su ENEL, su ENI, su Leonardo-Finmeccanica…. Ed invece nisba, nada, nicht, nulla! Solo immobili vecchi magari nel centro di Canicattì. Certo, i tedeschi da quando è partito l’euro vogliono viaggiare in prima (classe), non si accontentano più.

Detto questo ritengo giusta la mossa governativa – ossia la strategia – ma sbagliata la tattica: infatti secondo chi scrive  E’ ASSOLUTAMENTE NECESSARIO CHE NELL’ALIENAZIONE DEL PATRIMONIO IMMOBILIARE ITALIANO CI SIA LA CLAUSOLA DI PRELAZIONE PER I CITTADINI ITALIANI!

Ossia, visto che tali immobili sono stati pagati con le tasse dei padri e dei nonni, se lo Stato vende deve permettere agli italiani di comprare – ossia dare la prelazione agli italiani – in modo che se c’è da fare un affarone lo facciano i nostri. E NON gli stranieri, soprattutto francesi e tedeschi che negli ultimi mesi hanno cristallinamente dimostrato di essere dei veri avvoltoi, essendo interessati a che l’Italia NON esca dalla crisi, anzi vada in recessione. Per poi poterci strangolare col debito e comprare a termine – qualche annetto – per un tozzo di pane i nostri asset (che un governo invece venduto certamente metterebbe in vendita per pochi spiccioli, ndr; notasi che non ho detto Gentiloni, Monti, Renzi o Letta, no, non l’ho detto…).

Insomma, trattasi della tragica ricetta greca, ricetta che era già belle che pronta prima delle elezioni (che nei desiderata della sinistra europeista e di Berlusconi non dovevano permettere alcuna maggioranza); se non fosse che i gialloverdi hanno poi deciso – con sostegno americano – di cambiare strada evitando il suicidio economico l’Italia sarebbe già in svendita. Per inciso la cd. ricetta greca sarebbe stata la stessa che il mite Cottarelli impose alla Grecia (si, è stato proprio lui, fatto salvo poi incolpare il suo capo, Blanchard, giuro, vedasi i suoi tweet) e che oggi Bruxelles vorrebbe anche per l’Italia. Anche se, nel mentre, lo stesso FMI ha dovuto riconoscere che è stato fatto un errore in Grecia, che le ipotesi erano sbagliate e per questa ragione le misure austere volute da Francia e Germania invece di far scendere il debito lo hanno fatto salire! Solo per poi scusarsi dicendo, ci spiace ma ormai il danno è fatto, non possiamo farci più nulla….

Da manicomio (anzi, forse addirittura da galera, che dite?)

Combattre pour l’Europe…. (traduzione della locandina in francese: “Con i tuoi camerati europei sotto il segno delle SS tu vincerai!”)

Come vedete la dose di malafede di cui è intrisa questa sporca faccenda – e che puzza tanto di neocolonialismo intraeuropeo – è fuori dal comune. In tutto questo ancora non riesco ancora a capacitarmi come soggetti che si definiscono italiani (parlo di giornalisti, giudici, politici, opinion makers, borghesia vendidora ecc.) e che comunque, in caso di vittoria degli europeisti sarebbero comunque chiamati a pagare pesantemente di tasca loro – e dei rispettivi figli – per restare nell’euro da schiavi del debito, possano supportare questa EUropa asimmetrica che ogni giorno di più sta implementando il disegno di egemonia economica sul vecchio continente di cui al regime di Vichy. A cui il duo Merkel-Macron sembrano fare il verso.

MD

A volte ritornano. I cosiddetti 40 mila del Sì-Tav

http://temi.repubblica.it/micromega-online/a-volte-ritornano-i-cosiddetti-40-mila-del-si-tav/?fbclid=IwAR0QkO6-Oua1MkfUSBCo5RI6rJ2YCJyAp10y_eI85QPJRW0Kf8ljn8kvMKM

di Angelo d’Orsi

Ritornano i 40 mila? Ma quali 40 mila? Non erano in quarantamila il 14 ottobre 1980, non erano in quarantamila il 10 novembre 2018. Al di là delle cifre, su cui come sempre si assiste a una un po’ risibile battaglia, il fatto più grave della recente esibizione del “popolo Sì-Tav”, è stato precisamente l’avere evocato quel precedente (che tale non era), che segnò la fine dell’ondata progressiva della società italiana, e l’inizio dell’arretramento del movimento operaio e studentesco. 

La marcia dei capi e capetti Fiat che chiedevano di “poter lavorare” contro la “scioperomania”, fu un duro colpo al sindacato di classe, e in generale alla classe operaia, e, per conseguenza, ad ogni idea di cambiamento sociale, nell’interesse dei ceti subalterni, deprivilegiati.
Ora, dopo il successo (innegabile, sia pur con numeri decisamente inferiori: un calcolo attendibile non supera le 10.000 presenze) della chiamata alle armi fatta da un gruppetto di signore bene di una Torino inguaribilmente provinciale, richiamare quel lontano episodio di lotta di classe dall’alto appare un atto di totale irresponsabilità politica. Che lo faccia una destra becera che, fiutato il vento, è pronta ad azioni di revanscismo, lo si può capire; ma che il Pd, per bocca di leader locali e nazionali, abbocchi, è sconcertante: o meglio, è una ennesima riprova che quel partito non solo è in stato comatoso, ma che al suo interno si annida uno straordinario “cupio dissolvi”: il desiderio, quasi la bramosia di scomparire, inghiottito, per quel pochissimo che ne rimane, nelle spalancate fauci della destra. 
E in effetti chi sostiene la linea Tav Torino-Lione, se non la destra? L’entusiasmo con cui il giornale della Fiat, La Stampa, ha sponsorizzato la cosiddetta “nuova marcia dei 40 mila” è una inquietante controprova in tal senso. L’indomani il quotidiano ha dedicato all’episodio una sovracoperta con tanto di fotocolor, dal titolo impegnativo quanto dèjà vu: “L’altra Italia”, mentre l’editoriale del direttore, temerariamente, richiama “Una sfida per la modernità”. Ancora una volta, seguendo un vero e proprio canone definito precisamente nel decennio iniziato dalla Marcia (quella del 1980), il dualismo destra/sinistra viene ridisegnato come modernità/conservazione, e l’etichetta della conservazione viene applicata sulla sinistra, quella che si ostina a distinguere un conservatorismo dei valori (la Costituzione e i suoi princìpi, il patrimonio culturale, la salvaguardia del territorio e dell’ambiente…) dal conservatorismo degli interessi (il profitto che prevale su tutto, in sintesi). Il punto più alto di siffatta ideologia fu toccato da Matteo Renzi quando in una prefazione ad una nuova edizione del celebre libretto di Norberto Bobbio Destra e sinistra ebbe ad affermare che Bobbio oggi sarebbe d’accordo con lui nel sostenere che la sfida non è più fra destra e sinistra, ma, appunto, fra “innovazione” e conservazione.  Dove per innovazione si intendevano i cambiamenti: della Costituzione, delle leggi sul lavoro, dell’ordinamento scolastico, e così via, tutto all’insegna di un sciagurato senso del “progresso” inteso come “sviluppo”, cioè, in sintesi estrema, privatizzazione, vista come segreto dell’efficienza e della meritocrazia. 
La marcia delle orgogliose “madamine” torinesi (che pena! Hanno persino lanciato l’hashtag: #madamintoo…), in realtà, prima e più che rivendicare una linea ferroviaria, di cui nulla sanno, esprimeva una speranza, illusoria, a dire il vero: che quel treno dei sogni impedisse il declino di Torino, declino attribuito, scorrettamente, all’Amministrazione 5 Stelle, mentre quel declino viene da molto lontano, da quando la Fiat, assai prima di Marchionne, decise di lasciare la città. Una città ostinatamente rimasta sul modello della one-company-town, di cui tutte le forze politiche e sindacali con minime variazioni avevano condiviso la logica, semplicemente scontrandosi, magari, su salari e orari di lavoro per i dipendenti della azienda automobilistica e delle fabbriche e fabbrichette (le “boite”) il cui destino era inesorabilmente legato a quello di “Corso Marconi”, come si diceva al tempo.
L’illusione che il TAV possa interrompere quel declino è a dir poco patetica. I cartelli inalberati da qualche intraprendente marciatore che invocava la TAV per raggiungere “più in fretta” (la modernità, eccola!) Lione e Parigi, magari mostrando durate inferiori in termini di ore di viaggi analoghi in Europa, erano falsi e ingannevoli. Il TAV non è più un’opinione, e quando Sergio Chiamparino propone, incredibilmente, un referendum tra i piemontesi davvero finisce in un terreno fangoso: il TAV, innanzi tutto, dopo innumerevoli cambiamenti di percorso, di motivazione, di bilancio, oggi non è più una linea per persone ma essenzialmente per merci, e in ogni caso, tutti, dicansi tutti, gli studi indipendenti (per esempio del Politecnico di Torino) hanno inequivocabilmente dimostrato che non solo non sussiste alcuna necessità di questa “grande opera”, il cui percorso è già coperto da una linea esistente e enormemente sottoutilizzata; ma hanno dimostrato altresì che i costi dell’opera (pubblici), esosi, e i benefici (privati) minimi; che il lavoro innescato non compenserebbe gli investimenti; che il danno ambientale, paesaggistico e idrogeologico avrebbe conseguenze, tanto sulla stabilità del territorio, quanto sul turismo, gravissime. 
Ha fatto abbastanza specie vedere questo unanimismo dell’imbroglio e dell’ignoranza, per cui qualche cattedratico con pochi impegni e giornalisti pronti a scrivere ciò che il padrone comanda, hanno ripetuto, psittacisticamente, le parole della “madamine” in piazza, compreso l’elogio a quella piccola parte della magistratura locale che ha perseguitato, accanitamente, i No-Tav come “terroristi”. 
Ma lo slogan più grottesco, e quindi più reiterato, a voce e sui cartelli e sulla stampa, è stato quello richiamato nell’intitolazione della marcia e che alludeva al “Sì”: ma Sì a che cosa? Alla devastazione di una delle più belle valli d’Italia? Alla corruzione (compagna fedele di ogni “grande opera”)? Ai profitti immensi per qualcuno e agli spiccioli concessi a pochi altri? Al dispendio di denaro pubblico? E ciò accadeva nei giorni in cui larga parte del nostro territorio, dalla Sicilia al Friuli, dalla Liguria alla Calabria, pagava un prezzo, ahinoi anche in termini di vite umane, a seguito di “eventi estremi”, certo favoriti dal cambio climatico, ma davanti ai quali poco o nulla si è potuto, perché governi centrali e amministrazioni locali continuano a cianciare di “grandi opere”, mentre il territorio nazionale va a pezzi. 
Ha fatto specie davvero leggere, nel commento (sulla Stampa) di un osservatore serio come Vladimiro Zagrebelsky, l’elogio di quella piazza, che sarebbe stata formata da “cittadini con il senso del dovere”. E gli altri, no? Quelli che per un quarto di secolo si sono battuti contro il TAV avendo il sostegno di ricercatori e scienziati, studiando, raccogliendo dati? Gli altri non hanno il senso del dovere civico? Gli altri cittadini che consumavano risorse di tempo, denaro, e intelletto per studiare quell’opera arrivando appunto alla conclusione che essa era superflua e insieme dannosa, mentre una larga parte della cittadinanza, passiva e indifferente, si affidava alle decisioni degli amministratori? I No-Tav sono estranei alla polis e i Sì-Tav sono interni? Che svarione, per un giurista, per giunta. 
Al contrario, la piazza così lodata da larga parte degli ambienti politici e mediatici, e da qualche intellettuale, era precisamente la piazza di chi allora come oggi non si preoccupa di informarsi, e oggi come allora si lascia trascinare da venditori di false notizie, che l’hanno persuasa che quel treno salverà l’occupazione per loro e i loro figli (come ripetono le interviste alla “gente” in piazza Castello il 10 novembre) e che, addirittura, con il loro benessere assicurerà quello della città subalpina.
Probabilmente, la risposta che quella città darà l’8 dicembre prossimo, con la marcia dei No-Tav, in una sfida che ha dovuto per forza di cose essere raccolta, non sarà sufficiente a dire la parola fine a 25 anni e oltre di dispute, di prove, di studi e pseudo-studi, di cantieri aperti e chiusi, di lotte coraggiose, di repressioni pesanti. Certo, visto che molti osservatori invitano ad “ascoltare la piazza”, gli stessi che quando la piazza è avversa ai poteri a cui essi si ispirano (per così dire), tuonano contro il “populismo”, bisognerà mettersi a contare i partecipanti alla marcia di risposta. Aspettiamoci che quei media e quei politici che hanno garantito i 40.000 il 10 novembre, si appresteranno a contare “qualche centinaio” di partecipanti l’8 dicembre, sottolineando che si tratta di “militanti dei Centri sociali”. Ossia, coloro che a differenza dei pensionati e delle madamine in piazza il mese prima, non possono trovare spazio nella comunità e che sono animati solo dalla “voglia di dire no”.
(13 novembre 2018)

LE “MADAMIN” CHIUDONO LA PORTA AD APPENDINO: “ANDREMO AL QUIRINALE”. LA SINDACA: “BRUTTO SEGNALE”

https://www.lastampa.it/2018/11/12/cronaca/le-madamin-chiudono-la-porta-ad-appendino-andremo-al-quirinale-zpziahwPi0OMP8ENYgWwOI/pagina.html?fbclid=IwAR3PnIyrKhuwp1WtWQr-qhGHWfs-b6JM2ycBm_m8fFm1CASbA2M7nlunw98

La sindaca chiama, le donne del comitato «Si, Torino va avanti» respingono l’invito
ANSA

Le organizzatrici della manifestazione di sabato in piazza Castello a Torino

Pubblicato il 12/11/2018
ANDREA ROSSI
TORINO

La sindaca chiama, le donne del comitato «Si, Torino va avanti» rispondono ma respingono l’invito. Come annunciato da giorni Chiara Appendino ha scritto alla sette donne che hanno dato vita alla grande manifestazione di piazza Castello per invitarle a un incontro a Palazzo Civico. Sperava in una pronta risposta, ma quella che è arrivata è una doccia fredda.  

ANSA

Il Comitato vuole percorrere una strada diversa, quella promessa dal palco di piazza Castello, e perciò portare le istanze del popolo dei Si alle massime istituzioni della Repubblica a cominciare dal presidente Mattarella. Le sette donne hanno chiesto un incontro al Quirinale e sono in attesa di una risposta. «Questa è la nostra priorità e il modo con cui vogliamo dare seguito alla mobilitazione che si è creata». Dopo il Quirinale verranno altri attori istituzionali che hanno chiesto un incontro al Comitato e, tra questi, la sindaca di Torino. «La vedremo – assicurano le sette donne, – ma prima viene il Presidente, l’unica figura di garanzia che riconosciamo»  

Non si è fatta attendere la risposta della sindaca Chiara Appendino: «Le organizzatrici della manifestazione dei 7 Sì, rispondono subito con un NO a una proposta di incontro – scrive in un tweet la prima cittadina torinese – Un brutto segnale di chiusura. Ma la mia porta rimane comunque aperta». 

VALSUSA, BLOCCARONO L’AUTOSTRADA PER PROTESTA: ASSOLTI 20 NO TAV

http://www.valsusaoggi.it/valsusa-bloccarono-lautostrada-per-protesta-assolti-20-no-tav/?fbclid=IwAR1QHML-NMq_c9IliF03kAWqb6Hyrnuv3QixynaKnFiMGwyO7wGaJKf_XNw

Il tribunale ha quindi accolto la tesi difensiva degli avvocati No Tav: il blocco dell’A32, in quei giorni di tensione tra manifestanti e forze dell’ordine, non poteva essere considerata una “semplice” interruzione di pubblico servizio e quindi non si è trattato di un reato. Assolti anche dall’accusa di aver incendiato i copertoni: non ci sono prove che ad appiccare le fiamme siano stati proprio i 20 attivisti finiti sotto processo.

TAV, GRUPPO M5S: “CHIAMPARINO E CENTRODESTRA DICANO COME INTENDONO METTERE LE MANI NELLE TASCHE DEI PIEMONTESI PER FINANZIARE IL TAV”

https://www.piemonte5stelle.it/2018/11/tav-gruppo-m5s-chiamparino-e-centrodestra-dicano-come-intendono-mettere-le-mani-nelle-tasche-dei-piemontesi-per-finanziare-il-tav/?tg_rhash=f947ec6d32d3c7&fbclid=IwAR3N4JN5I9fFS0-vaozVkVWCRpgHpUvM5NDxQw568r9eWJVtRqY872rkYyw

Forza Italia e PD uniti per la TAV ad oltranza, anche a costo di tassare di più i cittadini piemontesi. E’ questa la proposta emersa oggi in Consiglio regionale dal partito trasversale delle grandi opere inutili. Chiamparino ed i suoi alleati del centrodestra abbiano il coraggio di dire chiaramente come e dove intendono mettere le mani nelle tasche dei piemontesi. 

Con lo stesso coraggio con cui noi sosteniamo la necessità di bloccare quest’opera, in attesa della costi – benefici, e di usare al meglio le risorse per le vere emergenze dei cittadini: riaprire le ferrovie soppresse dalla vecchia politica, metro 2 di Torino, migliorare i servizi sanitari, risanare le scuole….

Ogni euro speso per il TAV è un euro sottratto al futuro dei piemontesi e delle loro famiglie. A maggior ragione se Chiamparino intende introdurre la tassa sul TAV. 

Gruppo regionale M5S Piemonte

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Assolti venti No Tav che bloccarono la A32: il pm aveva chiesto 67 anni

https://torino.repubblica.it/cronaca/2018/11/13/news/assolti_ivnti_attivisti_no_tav_che_bloccarono_la_a32_il_pm_aveva_chiesto_67_anni-211525890/?ref=fbplto

A Torino, l’episodio risaliva all’agosto del 2013

13 novembre 2018

Venti attivisti No Tav processati per aver preso parte a una manifestazione che sfociò nel blocco dell’autostrada Torino-Bardonecchia sono stati assolti questa mattina dal Tribunale, nel capoluogo piemontese, a fronte di una richiesta di condanne della pubblica accusa che in totale raggiungeva i 67 anni di reclusione.
L’episodio contestato risaliva all’agosto del 2013. Gli attivisti rispondevano di interruzione di pubblico servizio, danneggiamento e, poiché durante il blocco alcuni copertoni erano stati dati alle fiamme, di incendio. Gli imputati erano quasi tutti della Valle di Susa.

“Quel blocco dell’autostrada, di per sé, non poteva essere considerato una interruzione di pubblico servizio. Abbiamo sostenuto questa tesi alla luce della giurisprudenza in materia è il tribunale ci ha dato ragione: il fatto non costituisce reato”, commenta uno dei difensori dei No Tav, l’avvocato Emanuele D’Amico. “Quanto all’incendio dei copertoni – aggiunge – non c’era nessuna prova che gli autori fossero stati gli imputati”.