In piazza a difendere gli industriali

http://lospiffero.com/ls_article.php?id=42534&fbclid=IwAR3ysgMkplzQQP56yhEpgso4B1g1Aq8mrbzXcAYjxBh8WWd465m45AFeNZs

Lo Spiffero

La reazione del gruppo consiliare di Fassino, di fronte all’approvazione dell’ordine del giorno comunale “No Tav”, è certamente la miglior sintesi del travaglio ideologico e politico che strazia la compagine democratica. Il sunto di una lunga navigazione del Pdverso oceani ignoti e cupi: gli effetti di una tempesta perfetta che ha sconvolto le basi ideologiche stesse del partito erede di Berlinguer e Gramsci.

La risposta della compagine democratica torinese, al voto espresso dalla maggioranza in consiglio, è stata tesa, scomposta, quasi una chiamata alle armi della propria base a difesa della grande opera valsusina. Da tempo oramai immemore il Tav riveste un ruolo pari a quello di Gerusalemme durante l’interminabile Guerra Santa: oggetto di contesa senza quartiere, la Torino-Lione è intrisa di dogmi assoluti, irrinunciabili. Assiomi fatti propri da gran parte della politica nostrana, seppur risulti regolarmente impossibile (specialmente a deputati e consiglieri regionali) dimostrare concretamente le fondatezza delle tante verità assolute inerenti i benefici, di varia natura, derivanti dalla realizzazione dell’alta velocità alpina.

Soprattutto dall’anno 2001 nel nome della Torino-Lione si fanno alleanze, si escludono partiti scomodi e si attua regolarmente la “Caccia alle streghe” nei confronti di coloro che ne osteggiano il progetto. Intorno alla grande infrastruttura ferroviaria internazionale, sin dagli anni ‘90 si sono manifestati eventi oscuri, contornati da una fitta e impenetrabile cortina di misteri (come in passato il ruolo ambiguo tra un sottoufficiale dell’Arma e i fantomatici terroristi “Lupi Grigi”). Periodicamente, oramai da anni, vengono recapitati proiettili presso le abitazioni sia di deputati pro Tav che di detrattori dell’opera stessa, e inviate minacce inquietanti (la lettera minatoria giunta pochi giorni fa alla sindaca di Torino Chiara Appendino è purtroppo rituale) a chiunque abbia tentato di fermare il cantiere. Gli incendi appiccati ad alcuni presidi No Tav sono un’ulteriore conferma degli interessi, non sempre leciti, che guardano al cantiere della Torino-Lione.

La “madre di tutte le battaglie” sembra avvicinarsi giorno dopo giorno. Il Consiglio comunale torinese ha di fatto azionato il conto alla rovescia dell’avvio delle nuove ostilità, la redde rationem, approvando un ordine del giorno che di fatto mette in un angolo il Tav, a partire dal tunnel di base lungo oltre 50 Km.

L’ira funesta del Partito democratico non ha tardato a manifestarsi. Guidati dall’ex sindaco Fassino, i consiglieri democratici hanno sin da subito inscenato una fragorosa protesta tra i banchi della sala Rossa, il cui epilogo ha coinciso con l’espulsione dei Dem dall’aula consiliare.

Il treno veloce assomiglia alla Fenice, ogniqualvolta è dato per morto regolarmente risorge, ma è anche simile a un crudele imperatore che gioca a suo piacimento con la politica torinese. Tutto diventa secondario se parametrato all’alta velocità, nulla potrebbe mai strapparle il primato dell’attenzione. A Torino non esiste un altro tema del dibattito pubblico che abbia un potere evocativo pari a quello dell’alta velocità.

Sanità, scuola, lavoro e welfare non presentano argomentazioni all’altezza della tratta ferrata diretta a Lione. Questi settori non muovono le acque della politica, se non all’indomani di sciagure e vittime, e neppure richiamano alla mobilitazione generale i militanti del Pd: solamente il super treno, insieme alla sua mega galleria, ha il potere taumaturgico di animare pure i morti.

L’alta velocità si appresta quindi a spaccare nuovamente in due la città. Siamo prossimi alla riproposizione dello scenario che 38 anni fa contrappose i quadri della Fiat agli operai in lotta, e da circa un mese impegnati a impedire l’accesso allo stabilimento. Fassino annuncia infatti una nuova “Marcia dei 40.000”, eliminando in tal modo ogni dubbio su chi voglia a tutti i costi l’avvio del mega scavo in Valle Susa.

La marcia, organizzata il 14 ottobre 1980 dai vertici della fabbrica automobilistica, inaugurò una stagione di pesanti sconfitte in capo ai sindacati e ai lavoratori stessi. La manifestazione dei cosiddetti 40.000 (in realtà non più di 15.000 ma La Stampa preferì contarne più del doppio) atterrì la Sinistra e avviò l’inesorabile opera di riduzione dei diritti del Lavoro. Rappresentò nei fatti una marcia padronale organizzata contro la classe operaia: una manifestazione verso cui il Pci non risparmiò critiche anche tramite i suoi dirigenti cittadini, tra cui proprio Piero Fassino.

Oggi l’ex sindaco di Torino non solo risparmia da qualsiasi appunto negativo l’evento (voluto all’epoca dall’Amministratore delegato Fiat Cesare Romiti) che decretò cassa integrazione per migliaia di dipendenti e la fine della Fiat a Torino, ma addirittura lo cita quale esempio da imitare al fine di assecondare gli industriali nella loro voglia incontenibile di Tav.

Un paradosso agghiacciante per coloro che ancora si definiscono gli eredi di Enrico Berlinguer, da una parte, e di Carlo Donat Cattin dall’altra, sul fronte dell’ex Dc, reso ancor più assurdo dal Pd che convoca una manifestazione Si Tav (ma senza bandiere di partito, forse per non mescolarle con quelle di Forza Italia) per il 10 novembre prossimo, con lo slogan “L’industria vuole infrastrutture”. Un grande sforzo organizzativo, un considerevole impegno militante che mai in passato è stato speso per i tagli all’assistenza, la disoccupazione o contro la privatizzazione della Sanità.

Nel frattempo l’operazione “Arka di Noè”, condotta dagli inquirenti contro la corruzione sul suolo italico, porta alla custodia cautelare il figlio di Monorchio (ex Ragioniere Generale dello Stato) e quello di Lunardi (ex Ministro dei Trasporti del governo Berlusconi) per atti illeciti inerenti le grandi opere (tra cui la linea TAV Milano-Genova-Terzo Valico). Fermi eseguiti, sfortunatamente per i promotori, a pochi giorni dalla marcia dei 40.000 bis indetta dai democratici per riaffermare il valore essenziale dell’alta velocità.

Una profonda crisi identitaria per un Pd che scende in piazza solamente a favore degli industriali e dei trasporti per ricchi, alla faccia dei pendolari e dei lavoratori, e che ci consegna la certezza di una voragine a Sinistra che qualcuno presto dovrà prendersi la briga di colmare.

In piazza a difendere gli industrialiultima modifica: 2018-11-11T10:03:06+01:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo