Il culto laico della “penale” così trionfano i costruttori

Il sistema – L’arrivo dell’uomo di Casaleggio motivato col rischio di dover pagare risarcimenti. L’apriscatole delle opere inutili, dal Tav al Ponte

di Giorgio Meletti | 15 giugno 2018
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La mitica penale è l’alfa e l’omega del malaffare cementizio. È l’arma della disperazione per il costruttore Luca Parnasi, l’ultima minaccia con cui riesce ad ammorbidire il no della sindaca Virginia Raggi al suo nuovo stadio circondato da palazzi. Ed è l’apriscatole con cui l’avvocato Luca Lanzalone sventra l’interesse pubblico e in nome della ditta Grillo-Casaleggio fa del Campidoglio pentastellato il complice di Parnasi, mentre il sindaco Virginia Raggi e i due alani Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro (oggi ministri) approvano o (molto peggio) non si rendono conto.

Paolo Berdini era l’assessore all’Urbanistica scelto come icona pop, ma anche competente, del no allo stadio su cui Virginia Raggi era stata per anni irremovibile. Due settimane fa l’urbanista ha spiegato ai pm romani Paolo Ielo e Barbara Zuin com’è andata. All’inizio del 2017 “Lanzalone era stato chiamato come consulente per verificare la questione risarcitoria, ossia per valutare se, in caso di annullamento della dichiarazione di pubblico interesse del progetto stadio, il Comune sarebbe stato gravato dall’obbligo di risarcire danni alla Roma o al gruppo Parnasi. Io non compresi il perché di tale incarico, anche perché pareri sulla questione erano già stati formulati dall’Avvocatura”. L’avvocato genovese fa qui il capolavoro. Stabilisce che la Roma e Parnasi non possono avanzare pretese risarcitorie. Ma da quel momento prende in mano la situazione.

Lavora gratis. Berdini chiede al sindaco come pagherà il suo “impegno considerevole”. Raggi gli risponde che troverà il modo di “inserirlo formalmente” nel suo staff. Ma il ruolo di Lanzalone, sebbene informale, è sostanziale. In meno di un mese pilota il Campidoglio verso l’accordo per fare lo stadio. Lavorando gratis per il Comune risolve il problema del nuovo amico Parnasi. Berdini si dimette e denuncia: “Mentre le periferie sprofondano in un degrado senza fine l’unica preoccupazione sembra essere lo stadio della Roma”. L’immobiliarista è al settimo cielo e inneggia al suo nuovo amico: “Tu sei mr. Wolf!”. Ha risolto problemi con l’arma totale: la penale.

La penale è la nuova religione del partito del cemento. Si fonda su un undicesimo comandamento: “Se la sovranità popolare ferma un’opera inutile o dannosa, al costruttore spetta un risarcimento monetario che lenisca la delusione”. Corollario: prima di pretendere la penale, il costruttore deluso scatenerà lobbisti, politici e giornali amici per diffondere l’allarme sociale sul risarcimento talmente pesante da far costare più fermare l’opera che andare avanti.

È la commedia che va avanti da anni con il Tav Torino-Lione. Sul Fatto ci ha pensato il giurista Livio Pepino a chiarire che su quell’opera inutile non grava alcun rischio, anche perché non si capisce chi dovrebbe chiedere la penale, atteso che la costruzione di quell’opera tanto costosa quanto inutile non è ancora stata assegnata. Quando si fermerà il faraonico progetto lo sconforto sarà distribuito in tutto il partito del cemento.

La penale è mitica ma anche mistica, un culto pagano che si è diffuso nelle società di costruzione e negli studi legali quando ci sono stati meno soldi pubblici da rubare. L’anno zero è il 2005, quando la Impregilo, la Condotte e la Cmc vincono la gara per il ponte sullo stretto di Messina con un ribasso del 17 per cento sulla base d’asta. L’Astaldi che arriva seconda fa ricorso al Tar perché, dice, per un’opera talmente audace che non è certa neppure la stessa realizzabilità, un simile ribasso è privo di senso. Ma è noto fin dal primo giorno che l’obiettivo di Impregilo è proprio la penale: aggiudicandosi un’opera che sicuramente non sarà fatta, il colosso delle costruzioni prenota la penale per la mancata costruzione. Già 13 anni fa il conto era pronto, al centesimo: 800 milioni di euro.

È vero che nel bando di gara la penale non era prevista. Infatti solo sei mesi dopo la firma del contratto l’allora ministro dei Lavori pubblici Antonio Di Pietro decise lo stop al ponte mandando tutti al diavolo: “Perché dovremmo pagare una penale? Non gli abbiamo tolto nulla, la società Stretto di Messina sta lì, Impregilo sta lì, cosa vuole, vuole pure una penale per una cosa che non ha fatto?”. Puntualmente, tre anni dopo il successivo governo Berlusconi modificò il contratto (con clausole secretate) e introdusse la penale. E adesso Pietro Salini – nuovo padrone dell’Impregilo ma anche amico di Parnasi e candidato alla costruzione del nuovo stadio della Roma – la rivendica in tribunale. Ma ormai nel sistema degli affari di penale c’è soprattutto l’azione dei magistrati.

di Giorgio Meletti | 15 giugno 2018
Il culto laico della “penale” così trionfano i costruttoriultima modifica: 2018-06-15T22:26:12+02:00da davi-luciano
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