FRANCIA, IL REGIME MACRONISTA ALLA PROVA DELLA PIAZZA

i miei sindacati sono differenti….. 

Non è trascorso neppure un anno dall’insediamento all’Eliseo di Emmanuel Macron e già si avvertono sinistri scricchiolii. Il “regime macronista”, espressione come le presidenze di Pompidou, Giscard e Mitterand, dell’alta finanza parigina, si è lanciato in una serie di riforme neoliberiste che consentano alla Francia rimanere “agganciata” alla Germania: il settore pubblico, colonna portante dell’economia transalpino, è finito nel mirino delle classiche politiche di svalutazione interna. L’immediata reazione dei sindacati, già scesi in piazza con l’imponente manifestazione del 22 marzo, lascia presagire una primavera bollente. Dalle indagini su Sarkozy al rigurgito del terrorismo, il regime macronista risponde con la stessa strategia già adottata da Hollande: distogliere l’attenzione dalle tensioni sociali con crisi alimentate ad hoc.
“Ça va très mal finir”
Con una certa lungimiranza, nell’ottobre 2017, Nicolas Sarkozy aveva già lanciato un monito al neo-inquilino dell’Eliseo: “Ça va très mal finir1”. Finirà molto male, notava pessimista l’ex-presidente della Repubblica, perché Emmanuel Macron è sconnesso dal Paese, rappresenta soltanto l’élite del denaro, è sordo alle grida che si alzano dalla società in ebollizione. C’è rischio di una “éruption politique”. Ciò che Sarkò ignorava è che lui stesso sarebbe finito male, dato in pasto alla magistratura e all’opinione pubblica, proprio per distogliere le attenzioni dalle crescenti difficoltà che sta incontrando la presidenza Macron.
Appena conosciuto l’esito delle elezioni francesi, nel maggio dello scorso anno, avevamo anticipato l’evoluzione della presidenza di Macron, dall’alto dell’esperienza maturata in Italia: forti erano, infatti, le analogie tra la stella di “En Marche” e l’ex-presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi. Entrambi giovani, entrambi “rottamatori”, entrambi “modernizzatori”, entrambi dotati di un illimitato capitale politico appena entrati nella stanza dei bottoni: come Renzi l’aveva dilapidato in mille giorni, impiccandosi al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, così, dicevamo, sarebbe successo a Macron. Quanto sta accadendo in Francia sembra confermare le nostre previsioni.
È un regime, quello macronista, simile alle presidenze di Georges Pompidou e di Valéry Giscard d’Estaing (cui si deve la legge del 1973 che separò il Tesoro dalla Banca di Francia, con effetti simili a quelli prodotti in Italia con l’analogo provvedimento di Beniamino Andreatta) o al regno di François Mitterrand (cui si devono le grandi privatizzazioni di fine anni ‘80 ed il nulla osta alla nascita dell’euro): è il regime dell’alta finanza parigina, dei Rothschild, dei ricchi notabili cosmopoliti. Creato dal nulla pochi mesi prima delle elezioni, “En Marche” è studiato per subentrare ai socialisti di François Hollande, ormai esausto dopo cinque anni all’Eliseo: a colpi di scandali mediatico-giudiziari (l’eliminazione di Fraçois Fillon) e di demonizzazione degli avversari (la minaccia “nera” di Marine Le Pen), Macron è fortunosamente paracadutato ai vertici della Francia, perché portanti avanti “le riforme” di cui la Francia ha bisogno.
Sono le classiche ricette di svalutazioni interna, con cui la Francia deve smettere di “vivere al di sopra delle proprie possibilità” (si veda la voragine nella bilancia commerciale), cosicché possa rimanere agganciata alla Germania e all’euro-marco. È un compito titanico perché, come testimoniano i diversi andamenti del debito pubblico (esploso in Francia dopo l’introduzione dell’euro e oramai vicino al 100% del PIL, sotto il 70% in Germania e in calo da anni) e i diversi tassi di disoccupazione (9% contro 3,5%2) il motore franco-tedesco è sbiellato. Ciononostante, il giovane e ambizioso Macron si cimenta nell’impresa, prendendo ovviamente di mira la bestia più odiata dagli ambienti dell’alta finanza: lo Stato, che irradiandosi da Parigi all’ultimo dei dipartimenti, rappresenta l’orgoglio della Francia sin dai tempi di Luigi XIV. È lo Stato che con le partecipazioni statali consente di presidiare tutti settori strategici dell’economia, che consente alla Francia di avere il più alto tasso di fecondità d’Europa grazie ai generosi servizi elargiti alle famiglie, che garantisce opportunità di lavoro anche nelle zone più disagiate.
Contro questo “kombinat tecnico-burocratico che assorbe il 57% del pil, della ricchezza nazionale”3 (che “assorbe” e non “produce”, si noti), l’ex-banchiere della Rothschild & Ciepromette di agire con sega e bisturi: 120.000 licenziati tra i dipendenti pubblici in cinque anni4, blocco degli stipendi, sospensione del turnover, lotta ai “regimi speciali” di cui godono una trentina di categorie di lavoratori pubblici. La lotta ai “privilegiati dello Stato”, in particolare, porta Macron in rotta di collisione con il potente sindacato dei ferrovieri, quei “cheminots” che possono vantare un regime previdenziale molto generoso (età pensionabile a 52 anni, contro i 62 delle altre categorie) e che garantiscano ogni anno lo spostamento di 1,4 miliardi di persone5. Attaccare il sindacato dei ferrovieri significa correre il rischio di paralizzare letteralmente la Francia, isolando Parigi dal resto del Paese e le comunicazioni dentro la stessa Ile-de-France.
Il 22 marzo, Macron affronta così la prima prova di piazza: dipendenti di ferrovie, scuole, ospedali e aeroporti incrociano le braccia. Si tratta peraltro soltanto di un “avvertimento”, perché lo sciopero dei ferrovieri si estenderà da inizio aprile a fine giugno, al ritmo di due giorni di sciopero ogni cinque.
Si prospetta quindi una primavera bollente per il regime macronista, che guarda con terrore il saldarsi delle diverse proteste (SNCF, Air France, sanità, educazione pubblica, etc.): come nel caso di Hollande, la stagione degli scioperi rischia di affondare una presidenza già oggi compromessa, che raccoglie il giudizio negativo della maggioranza dei francesi (57% di insoddisfatti secondo un recente sondaggio6).
Dopo Macron, è però quasi impossibile che l’establishment francese riesca a trovare un candidato per frenare l’onda nazional-populista: il suo quinquennio è l’ultima occasione per attuare con successo quelle riforme indispensabili per tenere la Francia al passo con la Germania. Tutto deve essere fatto per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla manifestazioni di piazza e dalle montanti tensioni sociali: come la Francia ha eletto Macron in pieno “stato d’emergenza”, così è facile il Paese, man mano che il regime macronista incontra resistenza, precipiti di nuovo in quella condizione.
Il primo a essere immolato è stato Nicolas Sarkozy: il 20 marzo, due giorni prima del “giovedì nero” dei trasporti, la stampa annuncia che l’ex-presidente della Repubblica è in stato di fermo, sottoposto a interrogatorio per i finanziamenti illeciti ricevuti da Muammur Gheddafi per la campagna elettorale del 2007. Nonostante ci siano pochi dubbi sull’effettiva ricezione dei fondi e sulla bassezza morale di Sarkozy, mandante dell’omicidio del rais libico (ucciso da agenti francesi7), è ormai chiaro che “l’affare libico”, aperto dalla magistratura nel 2013, torna a galla quando è più comodo all’establishment: successe così nell’autunno 20178, alla vigilia delle primarie del centrodestra, e succede così nel marzo 2018. L’annuncio sulla messa sotto indagine dell’ex-presidente della Repubblica è dato alla vigilia dello sciopero del 22 marzo e consente, così, di calamitare l’attenzione dei media lontano dalla mobilitazione dei sindacati.
Più grave e sfacciato ancora è l’immediato rigurgito del terrorismo “islamico” che, dalla strage di Charlie Hebdo in avanti, ha accompagnato la declinante presidenza di Hollande sino a culminare con la mattanza del Bataclan e la proclamazione dello stato d’emergenza: non trascorrono neppure 24 ore dalla conclusione delle grandi manifestazioni sindacali che l’ISIS, “dormiente” per buona parte del 2017, torna a colpire la Francia. Un 26enne di origine marocchina, già noto ai servizi e schedato per radicalizzazione, ruba una macchina, ferendo il conducente e uccidendo un passeggero, colpisce alcuni agenti e si barrica in supermercato di Trebes, sud-est della Francia, dove uccide altre due persone prima di essere liquidato dalle teste di cuoio. Macron è avvisato della situazione davanti alla telecamere, quando si trova a fianco di Angela Merkel per la conferenza congiunta al termine del Consiglio Europeo9.
Si rifà viva anche la solita Rita Katz, che non si dice sorpresa perché, dopo la bonaccia del 2017, c’erano segnali di una ripresa di attività dell’ISIS: è sufficiente infatti che i servizi occidentali liberino qualche terrorista allevato ad hoc.
Se per l’Italia sono in serbo altri piani (un governo M5S, l’ultimo saccheggio dei risparmi pubblici e dei beni statali, l’uscita caotica dall’euro ed un possibile default), nel caso francese c’è, invece, la volontà di tenere Parigi agganciata a Berlino: ecco perché, man mano che il regime macronista procede con “le riforme”, affondando parallelamente negli indici di gradimento, è pressoché certo che si assista ad una nuova recrudescenza del terrorismo, distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica dalle tensioni sociali in rapido aumento. Allo scellerato Sarkozy si può rinfacciare tutto, ma bisogna riconoscergli di aver azzeccato almeno una previsione: “Ça va très mal finir”.

Marine Le Pen: C’è Una Guerra Fredda Contro La Russia Da Parte Dell’UE

ma cosa dice questa qua, l’amabile dolce tenera, solidale europa mai farebbe una cattiveria simile vero?

Le ultime azioni di Londra e dell’Unione Europea sul caso Skripal dimostrano l’esistenza di questa guerra fredda, secondo la leader del partito nazionale francese.
“Credo che gli eventi attuali possano avere implicazioni molto più significative”, ha detto Le Pen.
È una strategia per costruire un muro che separa la Russia e l’Unione europea. So per esperienza personale di lavoro al Parlamento Europeo che l’Unione europea sta conducendo una vera guerra fredda contro la Russia “, ha affermato Le Pen.
La Le Pen ha sottinteso che questa guerra fredda contro la Russia è stata istigata da Washington utilizzando il suo “cagnolino britannico”, sempre disponibile per qualsiasi provocazione contro la Russia.
Il 4 marzo, l’ex colonnello del GRU Sergei Skripal, condannato in Russia per spionaggio per la Gran Bretagna, e sua figlia Yulia sono state colpite da un gas nervino a Salisbury – se si dovesse credere alla versione britannica dell’incidente.
Più tardi Londra ha affermato che la sostanza chimica era stata sviluppata in Russia e ha accusato Mosca di complicità nell’incidente “, ha spiegato il TASS.
Mosca ha rifiutato le accuse e ha negato decisamente che quella sostanza sia stata prodotta in Russia ed ha richiesto a Londra di verificare le prove delle accuse lanciate contro la Russia. Londra si è rifiutata di fornirle.
Nel frattempo alcuni ricercatori hanno verificato che il giorno 6 marzo era  iniziata  in Inghilterra una delle più grandi esercitazioni militari mai effettuate nel dopoguerra, che riguardava la simulazione di un attacco con il gas nervino. Tale esercitazione coinvolgeva 300 soldati e tecnici  e si è svolta esattamente nell’area di Salisbury, proprio dove è avvenuto l’incidente di Skripal. Una “strana” coincidenza?  Vedi: Toxic storm for Royal Marines in major chemical exercise
L’esercitazione prevedeva una interdizione aerea totale , anche per i droni, nella zona di Salisbury. nessuno doveva poter riprendere le operazioni militari e gli spostamenti delle truppe.”Per quanto incredibile possa sembrare, questa esercitazione avveniva  esattamente nella città di Salisbury.
Questa esercitazione si svolgeva esattamente dove i russi avrebbero attaccato il loro ex agente. Ad un paio di chilometri con  tecnici, strumenti, tute, tutto già pronto ed in funzione. Sarà un caso?
Un’altra “strana” coincidenza vuole che, alla periferia di Salisbury, sorga  Porton Down, il più importante laboratorio militare delle armi chimico–batteriologico-nucleari,  in particolare per formare le forze speciali britanniche che poi si recano segretamente in Siria.
Nota: Sembra francamente incredibile che agenti segreti russi siano adati ad avvelenare un loro ex collega vicino ad un laboratorio militare e questo proprio mentre sono in corso esercitazioni contro i gas nervini…Il tutto ad una settimana dallo svolgimento delle elezioni presidenziali in Russia.
La Marine Le Pen non crede alla versione fornita da Londra così come alcuni leader europei (ad esempio quello austriaco) dimostrano un qualche scetticismo nei confronti della versione data da Londra.
Non  così il governo (provvisorio) italiano  in carica che, tramite il conte Gentiloni, ha dimostrato (come sempre)  di credere in toto alle accuse della Theresa May contro Putin e  ha confermato la condanna del gravissimo atto di Salisbury, manifestando “la piena solidarietà italiana alle autorità britanniche nella fiducia che sapranno individuare e punire i colpevoli di un atto nel quale si è fatto addirittura uso di armi chimiche”.
 
Certo quando mai non credere ai britannici, visto che il loro Tony Blair, assieme al governo di George Bush, a suo tempo ci avevano assicurato delle presenza di armi di distruzioni di massa in Iraq per scatenare la guerra. Come non credere ai discendenti dell’Impero britannico, considerato che sono stati loro, assieme ai francesi di Sarkozy, a convincere il Governo italiano della “cattiveria” del leader libico Gheddafi che “stava bombardando il suo popolo” ed era necessario intevenire.
salisbury
SALISBURY, ENGLAND – Scientifica al lavoro
Si è visto, ai britannici bisogna sempre credere, loro sanno sempre tutto in anticipo.
I due leader (Gentiloni e la Theresa May)  hanno convenuto, infine, sulla importanza che su questa vicenda si manifesti solidarietà sia in sede Nato sia in sede europea, anche in vista del Consiglio Europeo di giovedì prossimo”, secondo il comunicato del Governo.
Se la Gran Bretagna è “il cagnolino” di Washington, vuoi vedere che il conte Gentiloni svolge il ruolo del “cameriere” agli ordini di Londra e Washington? Considerando la “libidine di servilismo” dei governanti italiani verso i poteri atlantisti, nulla può ormai meravigliare.
Fonte: Fort Russ
Traduzione e nota: Luciano Lago

Costole, vertebre e un cranio: riemergono resti umani dal cimitero degli invisibili all’hotel house

no zone franche Minniti vero? 2000 persone che vivono di/in mezzo allo spaccio e sono protagonisti di criminalità varia, ma guai controllarli sarebbe razzismo. Un’altra ragazzina vittima, pure lei straniera ma deve vigere il silenzio. Cosa si deve proteggere?

Il ritrovamento in un vecchio casolare di Porto Recanati, nei pressi di un edificio fatiscente regno di degrado e spaccio di droga.  In un pozzo sono stati trovati anche una scarpa bianca, brandelli di foulard e di maglia. Elementi, questi, che portano gli inquirenti a sospettare che parte dei resti appartenga a Cameyi Mossamet, la 15enne bengalese scomparsa da Ancona la mattina del 29 maggio 2010
ossa umane
29 marzo 2018
Un cimitero degli “invisibili”, migranti irregolari i cui corpi non sono mai stati reclamati. Tra i resti umani trovati in un casolare abbandonato a due passi dal degradato Hotel House di Porto Recanati, in provincia di Macerata, potrebbe esserci anche il cadavere di una 15enne bengalese, la cui denuncia di scomparsa risale ad otto anni fa.
Questo, in sintesi, il parziale quadro investigativo sul ritrovamento, ieri pomeriggio, di alcune ossa umane durante un controllo di routine degli uomini della Guardia di Finanza. Ulteriori scavi, condotti dai vigili del fuoco, hanno fatto emergere dal terreno ulteriori frammenti di ossa – tra cui anche un cranio – appartenenti a quattro o cinque cadaveri.
I resti sono stati rinvenuti in diversi punti nei pressi di un casolare abbandonato vicino all’enorme grattacielo in cui vivono nel più totale degrado più di duemila persone. Un “ghetto” più volte salito agli onori delle cronache per episodi di criminalità, per lo più legati allo spaccio.
Al momento la polizia, coordinata dal pm di Macerata Rosanna Buccini, non esclude che quello che sta emergendo dagli scavi possa essere appunto una sorta di “cimitero”, utilizzato per nascondere cadaveri mai reclamati da nessuno.
In un pozzo sono stati trovati anche una scarpa bianca, brandelli di foulard e di maglia. Elementi, questi, che portano gli inquirenti a sospettare che parte dei resti appartenga a Cameyi Mossamet, la 15enne bengalese scomparsa da Ancona la mattina del 29 maggio 2010, otto anni fa, quando non arrivò mai alla scuola media ‘Marconi’. All’epoca le tracce seguite dagli investigatori portarono all’Hotel House dove la stessa potrebbe essersi recata con un amico del cuore allora 19enne: la ragazzina non venne mai ritrovata e l’inchiesta non portò ad alcun esito.
Sarà ora l’esame del Dna a poter dare risposte sull’identità di quei resti esaminati dai medici legali Roberto Scendoni e Mariano Cingolani. Gli scavi, interrotti per la notte, continueranno anche nella giornata di oggi, con la speranza di chiarire quanto prima quello che in città già chiamano il giallo di Porto Recanati.

TAGLI ALLA SANITÀ, SARDEGNA: CARENZA DI FARMACI NEI REPARTI OSPEDALIERI

il governo non eletto Gentiloni, ancora in carica ad un mese inoltrato dalle elezioni, aveva deciso che ai sardi andava tolto un pezzo di mare da regalare alla Francia

ECCO COME QUESTO ORRIPILANTE GOVERNO CONSIDERA I SUOI CITTADINI, invece di garantire la sanità, i “difensori dei deboli”. Per l’europa vuoi non condannare a morte i malati che costano?
tagli sanita
three blurred figures in medical uniforms walking away in hospital corridor
Sono sempre numerose le segnalazioni che mi giungono da pazienti e operatori sulla carenza di farmaci e sui ritardi nell’approvvigionamento degli stessi, nei reparti ospedalieri, a causa dei limiti di spesa imposti sulla spesa sanitaria. E’ una situazione molto grave e preoccupante che necessita di provvedimenti immediati da parte dell’Assessorato Regionale alla Sanità.
Le limitazioni dei costi della sanità non possono passare sulla pelle dei malati. Il diritto alla salute viene prima di ogni forma di razionalizzazione e di risparmio: purtroppo la riforma regionale del sistema ospedaliero ha contribuito ad accrescere le difficoltà nei reparti sotto ogni punto di vista.
Marcello Orrù – consigliere regionale Sardegna
COMUNICATO STAMPA

riflessioni dirittoumaniste

Qualcuno mi spieghi perchè nelle Onlus e nelle varie Cooperative, ci sono manager che, a detta loro, lavorano per combattere la fame nel mondo, le guerre, per salvare vite umane e lo fanno con stipendi che vanno dai 100.000 euro l’anno fino a 600.000 euro (buonuscita dall’Amnesty International all’ ex-segretario generale, Irene Khan), ma chiedono a me 9.00 Euro al mese, asserendo tramite pubblicità di dubbio gusto (ne mandano in onda decine al giorno) che SOLO io posso salvare “Abdul” da morte certa, che è il momento di agire ORA, facendomi credere che se non sostengo la Onlus di turno, sono una persona cattiva. Insomma mi minacciano tramite spot pubblicitari, facendo presa sui miei sensi di colpa.

– …ma chiedeteli a Irene Khan, perchè a me che oltretutto sono disoccupata!!
In più se con 9.00 euro al mese riesco a salvare una vita, perchè non usano i 600.000 euro l’anno dati ai manager, per salvare milioni di vite? Non sono Associazioni umanitarie?
– Maura Alpaca Brugnoli fb