DISTRUZIONE-DEPORTAZIONE-INVASIONE JUS SOLI CONTRO JUS PATRIAE

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2018/03/distruzione-deportazione-invasione-jus.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 14 MARZO 2018

https://www.facebook.com/lacasa.rossa.3/videos/1670870933000786/ 

Una gentile mano ha girato questa clip, estratta da un intervento che, sabato 10 marzo, ho fatto alla presentazione a Milano, Casa Rossa, del mio film O la Troika o la vita – epicentro Sud, non si uccidono così anche i paesi”. Aggiungo alcune riflessioni a quelle che cercavano di illustrare il parallelo che corre tra la sistematica distruzione dei patrimoni di civiltà dei popoli aggrediti dall’Uccidente e le cosiddette migrazioni. Che è improprio definire migrazioni, perché di spostamenti coatti di genti si tratta.

Le forze del vero male assoluto, oggi del mondialismo neoliberista e totalitario, da sempre sterminatrici, saccheggiatrici, belliciste, colonialiste, sperimentarono il massimo del loro potenziale di morte prima con le crociate (Goffredo da Buglione in “Terra Santa” ad Acri passò a fil di spada tutti gli abitanti musulmani; Saladinonon ha torto un capello  neanche a uno dei successivi cristiani; era già “scontro di civiltà”) e, poi, olocausto di tutti gli olocausti, con l’eliminazione delle popolazioni native delle Americhe.e dell’Africa (20 milioni di morti ammazzati in Congo per grazia di Leopoldo del Belgio, tra 50 e 100 nel genocidio degli amerindi). Lo fecero nel nome e con la benedizione della Chiesa che, da tale taglio di messi si aspettava un concomitante allargamento del proprio dominio su beni e anime. 

Nome e benedizione della Chiesa che anche oggi, col Bergoglio indefesso raccoglitore di “migranti” per conto terzi e suo, concorre a validare le imprese ancora e sempre di quelle che da qualche secolo si confermano le potenze del male assoluto. La clip allegata si limita a riferire alcuni episodi che hanno segnato la marcia devastatrice delle armate uccidentali e dei  loro mercenari jihadisti nella stagione delle guerre contro gli arabi. Arabi protagonisti di una delle più grandi civiltà della Storia, oggi in macerie. Arabi che potremmo chiamare gli zii della nostra civiltà, in quanto fratelli dei nostri padri latini, figli dei greci, insieme ai quali dell’Ellade ci hanno fatto arrivare le parole di Euripide, Aristofane, Euclide, Pitagora, Aristotele e tanti altri. Senza i quali non saremmo quelli che siamo. Quelli che eravamo prima del “meticciato” prossimo venturo. Per quei poteri colpa grave loro, difetto ormai quasi genetico nostro. Occorre provvedere: si tratta di elementi identitari incompatibili con l’architettura della globalizzazione, dove ogni elemento strutturale deve rispondere al requisito della decostruzione di identità specifiche, dell’uniformità funzionale a produzione, consumi, assetti politici, economici, sociali, culturali (per dire anticulturali).

Così, come ricordo nella clip, distruzioni (ma anche predazioni di quanto può produrre profitto nei caveau bancari e museali) di ogni segno del percorso storico di un gruppo umano, della comunità costituitasi attorno a territorio, lingua, opere, civiltà. Subito, aprile 2003, appena arrivati a Baghdad, distruzione e saccheggio del Museo Nazionale iracheno, cui ho assistito, e della Biblioteca Nazionale: polverizzati 4000 anni di quanto le genti di quei luoghi avevano contribuito ai più alti valori del genere umano e dell’ambiente in cui si sono perpetuati, fedeli e profondamente consapevoli di un progetto collettivo proiettato ai limiti del tempo. A seguire i cingoli e gli artigli dell’invasore e dei suoi briganti di passo sui siti con le opere della passione, dello sforzo evolutivo di generazioni  in sfida con l’oblio. Cingoli e missili anche sulle opere contribuite da ospiti e invasori, greci, persiani, romani, bizantini, ottomani. Opere divenute tanto carne e ossa e spirito della nazione, quanto i suoi neuroni, le sue vertebre, il suo cuore.

Stessa procedura in Libia e in Siria, tra Leptis Magna e Palmira. Stessa procedura in Africa dove, mancando le bombe, il deserto naturale e civile viene esteso e incrementato dai cambi climatici, nostri, dai terroristi di una artefatta Jihad, nostri, dalle multinazionali della devastazione mineraria, agraria, urbana, morale, nostre.

E il momento in cui vengono attivate luci verdi che lumeggino da lontano e promettono a chi non se lo mangia il deserto, non se lo scarnifica il trafficante, o non se lo beve il mare, la salvezza sotto padrone e prete bianco. Promessa di mantenerlo in vita, magari a pace e acqua, di integrarlo, assimilarlo, meticciarlo. Alienarlo per sempre, elevandolo al proprio rango di  occidentale. Ma privato definitivamente di nome e cognome. Di un sostegno, un retroterra a cui appoggiarsi, da cui prendere la rincorsa. Una volta che milioni di costruttori del futuro della propria comunità, di quella comunità abbiano perso la memoria, la speranza, il filo conduttore e il senso, tra macerie da bombe e fiumi disseccati da dighe, la preda è spoglia, inerme, inerte. Pronta a concorrere con chi lo dovrà ospitare per chi si vende al prezzo più basso.

Una comunità umana generizzata, uniformizzata, de-destinizzata, con un futuro, un progetto, squallidamente individuali, senza il conforto, il coraggio, il calore della collettività. Una comunità plebizzata, inconsapevole di sé perché inconsapevole di origini e futuro. Prostrata al verbo falso  di un progresso senza la sua impronta. Costretta a rinnegare, tradire la missione che i padri hanno realizzato e trasmesso e i figli dei figli aspettavano che gli venisse affidata.

Qualcuno a Babilonia si chiederà  da dove mai venissero quei frammenti di smalto con una zampa, o una testa di antilope.  Qualcuno di Timbuctu, occupata dalla Legione Straniera e i cui mausolei millenari i mercenari al soldo del colonialismo hanno raso al suolo, sotto una coperta alla Stazione Centrale, o in corsa affannata in un magazzino Amazon, si vedrà apparire in sogno la Grande Moschea di Djenne, alla cui ombra sostava con i padri. Suo figlio, nella scuola multietnica e multiculturale, sosterà tra le luci dell’Outlet finto moresco. Forse qui avrà avuto lo jus soli. In cambio gli hanno preso lo Jus Patriae.

Com’è che della catena della “migrazione” nessuno veda mai il primo anello? Forse perchè il manifesto non gliene parla? Forse perchè Soros glielo nasconde?  Forse perchè colonialisti inveterati e razzisti sono quelli che accolgono senza se e senza ma? Appunto senza se e senza ma. 

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:36

DISTRUZIONE-DEPORTAZIONE-INVASIONE JUS SOLI CONTRO JUS PATRIAEultima modifica: 2018-03-15T09:16:39+01:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo