“Lasciateci assumere i profughi: per le imprese sono una risorsa”

sarebbe carino sapere per quale stipendio e se godono di sovvenzioni o particolari sconti, come le coop che li mantiene con i soldi dei contribuenti italiani mandò agli imprenditori del nord est. Si dai tanto gli italiani se non lavorano hanno il reddito di cittadinanza no? Se gli italiani non lavorano, le bollette vengono offerte gentilmente dallo stato italiano Hanno l’acquolina in bocca, vogliono seguire le orme di Farinetti e assumere a spese dei contribuenti, finti profughi low-cost: «Lasciateci assumere i profughi». Non chiamatelo dumping sociale però Certi che gli sgravi alle coop che assumono migranti non c’entra niente vero? Comunque siamo felici che a Torino non vi siano disoccupati bisognosi di lavorare, che a Torino vige la piena occupazione per cui chi non lavora è il fankazzista o choosy come direbbe la tecnica Fornero.

Lettera di 100 aziende a prefetto di Torino e politica: senza permesso niente contratti
 assumere profughi
Lo Stato prima li accoglie, poi li forma, in alcuni casi li aiuta a trovare un lavoro, infine li trasforma in fantasmi
«Lasciateci assumere i migranti». Suona più o meno così la richiesta avanzata da cento aziende che hanno inviato una lettera al prefetto Renato Saccone, alla sindaca Chiara Appendino e al governatore Sergio Chiamparino. A firmare l’appello sono ristoratori, agricoltori, artigiani, commercianti e cooperative, coordinati dalla rete «Senza Asilo». Si tratta di piccoli imprenditori torinesi che nel corso degli ultimi mesi hanno ospitato richiedenti asilo all’interno delle loro realtà produttive. E adesso non vogliono privarsene: «Chiediamo di poter proseguire il percorso intrapreso con questi ragazzi perché sono bravi. Hanno imparato un mestiere e sono diventati risorse fondamentali». Ma c’è un ostacolo, all’apparenza insormontabile: sul futuro dei migranti pende infatti il verdetto sulle loro domande di asilo. E per sei su dieci la risposta è negativa.
Finora hanno firmato l’appello circa trenta ristoranti, sei falegnamerie, cinque imprese di impianti elettrici e idraulici, quattro panetterie, due sartorie. E ancora: negozi, aziende metalmeccaniche, una ditta di traslochi, uno studio dentistico, un maneggio. «Negli ultimi mesi – scrivono i piccoli imprenditori – abbiamo dovuto interrompere il rapporto di tirocinio o di lavoro instaurato con il richiedente asilo a causa del rifiuto da parte delle autorità del rilascio del permesso di soggiorno». Esattamente ciò che è successo a Bucar, un ragazzo 27enne della Guinea, sbarcato in Italia su una carretta del mare ormai due anni fa. Inseguiva una vita normale e ha visto il suo sogno prendere forma tra le mura di un laboratorio di dolciumi in Barriera di Milano. «Quando è arrivato non sapeva che cosa fosse il pan di spagna», racconta Alessandro Ledda, titolare della pasticceria Dolcearea. «Perché voglio assumere Bucar? Semplice: perché è bravo. Ha lavorato sodo, ha fatto passi da gigante. Vorrei che continuasse a lavorare con me, ma lo Stato italiano non lo permette. E così facendo mi crea un grave danno economico».
Il problema è che le commissioni territoriali e i tribunali chiamati a valutare le richieste di protezione non prendono in considerazione la situazione lavorativa del migrante. Succede così che la risposta negativa alla domanda d’asilo spesso vanifichi anche i percorsi d’accoglienza più virtuosi, tra cui i progetti di formazione e d’inserimento lavorativo all’interno della rete Sprar degli enti locali. Ma Ledda, assieme a decine di altri piccoli imprenditori, ha deciso di non arrendersi e di provare a interrompere questo circuito vizioso. «Ci siamo trovati ad aver a che fare con donne e uomini motivati, corretti e desiderosi di lavorare», si legge nella lettera recapitata alle istituzioni. «Chiediamo quindi agli enti preposti di trovare soluzioni che permettano di non gettare all’aria questi percorsi, perché riteniamo che questa situazione sia un doppio danno: per le aziende, che hanno investito nella crescita e nella formazione di un nuovo lavoratore; e per il richiedente asilo, che dopo tanta fatica per inserirsi nel mondo del lavoro vede vanificati tutti i suoi sforzi».
Tra i firmatari dell’appello c’è anche Luca Dematteis, titolare del ristorante Str.eat. Nove mesi fa ha preso come tirocinante Aliu, uno spilungone gambiano di 23 anni. «Ha cominciato come lavapiatti dimostrandosi attento, puntuale e disponibile. Dopo qualche settimana è diventato aiuto cuoco. Non ha mai fatto un giorno di malattia. Vorrei offrirgli un vero contratto, ma la sua domanda d’asilo è stata respinta». Il futuro di Aliu è appeso all’ultimo ricorso, quello in appello. Le speranze sono minime. «È costretto a vivere in un limbo, ma anche in questa situazione di sfinente attesa non ha perso il sorriso», racconta Dematteis. Aliu continua a lavorare sodo. Fra qualche settimana scoprirà se la sua nuova vita potrà continuare o se anche lui sarà condannato alla clandestinità.
Pubblicato il 02/03/2017 Ultima modifica il 02/03/2017 alle ore 10:53 GABRIELE MARTINI
“Lasciateci assumere i profughi: per le imprese sono una risorsa”ultima modifica: 2018-03-13T09:02:25+01:00da davi-luciano
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