Ha scoperto il bruco mangia-plastica, ma ora la ricercatrice italiana è senza lavoro

In Italia con i CIP6 che vanno ad inceneritori figuriamoci se interessa a qualcuno.

dedicato ai pennivendoli marchettari che ripetono in continuazione i lacché europeisti che ci vuole tanta formazione, che gli italiani sono choosy e non studiano A CHE SERVE??? Risparmiateci i soliti panegirici che è sempre colpa della gente se l’economia va male e non di chi fa le leggi in modo abusivo ed anticostituzionale. Secondo, cari pennivendoli (a voi la laurea non serve per fare il passacarte) che fate credere che in Italia viga chissà quali sostegni al reddito…si certo tremila nomi diversi MA altrettanti PALETTI ATTI AD ESCLUDERE sempre più disoccupati da quella miseria che chiamate assegno di disoccupazione ora REI
Federica Bertocchini è l’artefice della scoperta che potrebbe essere decisiva in settori come lo smaltimento dei rifiuti. Il suo contratto a Santander è scaduto: «Resto in Spagna, qui c’è un decoroso assegno di disoccupazione»
diuntitled Paolo Decrestina
Federica Bertocchini
È cosa nota la teoria secondo cui i migliori cervelli italiani all’estero trovino spazio per crescere e affermarsi a livello internazionale. Perché in Italia la ricerca non viene supportata dai fondi che meriterebbe mentre all’estero si punta sulle menti dei giovani. In realtà non è così, o quantomeno non è sempre così. E lo dimostra la storia della biologa Federica Bertocchini. La ricercatrice, 49 anni, nei mesi scorsi aveva notato che la tarma della cera in realtà era ghiotta anche di polietilene, il materiale utilizzato per buste, pellicole alimentari o tappi di bottiglia. Insomma è la principale artefice della scoperta di quello che poi è stato nominato il bruco mangia-plastica.
Il contratto scaduto
La biologa però, dopo una vita passata a lavorare all’estero, 20 anni tra Inghilterra, Stati Uniti e Spagna, ora è disoccupata. Senza lavoro. Il contratto all’Istituto di biomedicina di Cantabria, a Santander, come spiega il Resto del Carlino, è scaduto e ora la 49enne originaria di Piombino è alla ricerca di una nuova occupazione. Nell’intervista al quotidiano racconta come è arrivata la scoperta del bruco mangia-plastica, un lavoro «di squadra» con suo amico biochimico (Paolo Bombelli) che insieme a un collega (Chris Howe) lavora all’Università di Cambridge. I tre hanno studiato i meccanismi di degradazione della plastica (che ha una struttura molecolare simile alla cera) e hanno pubblicato il 24 aprile il loro lavoro sulla prestigiosa rivista Current Biology.
L’attesa di un nuovo incarico
Federica Bertocchini spiega anche però che, come in tutta Europa, i tagli ai fondi per le università hanno messo in difficoltà anche gli atenei iberici e quindi anche il suo contratto non è stato per il momento rinnovato. Resterà comunque in Spagna per godere del «dignitoso assegno di disoccupazione» previsto nell’attesa dell’arrivo di un nuovo incarico e intanto proseguirà i suoi studi sulla digestione del polietilene della tarma della cera.
22 maggio 2017 (modifica il 22 maggio 2017 | 12:45)

MILITARIZZAZIONE FARMACEUTICA DELLA SOCIETA’

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/05/militarizzazione-farmaceutica-della.html

MONDOCANE

LUNEDÌ 22 MAGGIO 2017

LIBERO ARBITRIO, DIRITTO A OGNI NEGAZIONISMO, SOVRANITA’ POPOLARE E INDIVIDUALE

Siamo all’eugenetica da far invidia a Mengele, a Malthus e agli Usa dei grandi esperimenti eugenetici (tossicità sperimentate sulla folla, sui detenuti, su volontari inconsapevoli, su popolazioni colonizzate). Con la legge sul fine-vita hanno dovuto mollare il controllo sulla nostra morte, ora si sono presi il controllo sui corpi dei nostri figli. E QUI NON E’ IN DISCUSSIONE SE I VACCINI FACCIANO BENE O FACCIANO MALE. Probabilmente dipende.  

E’ in ballo un principio assoluto di civiltà e di integrità sanitaria: il principio di precauzione. Con diversità di valutazione anche in campo scientifico, ogni dogma è abuso. E’ in discussione la sovranità sul proprio corpo e gli ultimi a potersene appropriare sono i farmaceutici e i loro commessi viaggiatori ministeriali, con la storia criminale che hanno alle spalle.

Si ammanta di “scienza” una che ha la maturità classica, ma decide, senza discussione parlamentare e consultazione popolare, di omaggiare i farmaceutici passando da 4 a 12 vaccini obbligatori. In 15 paesi europei, quelli detti più progrediti, civili, democratici, non esiste obbligo di vaccinazione. E quelli che predicano l’accoglienza a milioni di immigrati, mai vaccinati, cosa fanno: un altro megaregalo a Big Pharma con la vaccinazione forzata di 5 milioni di immigrati?

Ogni libero arbitrio, ogni diritto di libera espressione, ogni scelta alternativa sono diventati delitti di negazionismo. Dove il pensiero diverso è negazionismo siamo all’ultra-nazismo, alla Chiesa di Torquemada e dei roghi. Museruola per tutto e per tutti. Firmate!

https://www.change.org/p/alla-corte-costituzionale-italiana-firma-contro-obbligatorieta-dei-vaccini-prevista-dal-disegno-di-legge-2679-del-pd

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 16:00

Strade e viadotti, per metterli in sicurezza servono 2,5 miliardi l’anno: ne mancano 1,4. E c’è un ventennio da recuperare

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05/22/strade-e-viadotti-per-metterli-in-sicurezza-servono-25-miliardi-lanno-ne-mancano-14-e-ce-un-ventennio-da-recuperare/3595779/

Strade e viadotti, per metterli in sicurezza servono 2,5 miliardi l’anno: ne mancano 1,4. E c’è un ventennio da recuperare

LOBBY

Il nuovo piano di investimenti dell’Anas stanzia 1,1 miliardi all’anno. Il responsabile dell’assetto della rete: “Non è ancora sufficiente”. Anche perché c’è un enorme arretrato da smaltire: tra 2007 e 2013 si sono spesi solo 200 milioni l’anno. In più Pier Giorgio Malerba, docente al Politecnico, avverte: “La maggior parte dei ponti italiani è vicina alla fine del ciclo di vita in sicurezza”

Nel 2015 toccò al viadotto Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento. Poi al ponte Himera sulla A19 e ancora ai cavalcavia di Annone in provincia di Lecco e a quello di Camerano vicino ad Ancona, venuto giù pochi mesi fa causando la morte di due coniugi. Fino al viadotto La Reale della tangenziale di Fossano, crollato lo scorso 18 aprile e per il quale sono sotto inchiesta 8 persone. “In tutti i casi non è lo stato di manutenzione la prima causa del crollo, anche se in alcuni è la concausa”, ha detto durante l’ultima audizione in commissione Ambiente il presidente di Anas, Gianni Vittorio Armani. Ovviamente pesano anche i vizi in fase di costruzione, gli errori di cantiere e, nel caso di Annone, i ripetuti trasporti eccezionali con carichi molto superiori alla portata della struttura. Ma la manutenzione insufficiente un ruolo lo ha. Soprattutto perché i soldi per farla non bastano: servirebbero 2,5 miliardi l’anno, ma gli ultimi stanziamenti si fermano a 1,1 miliardi l’anno fino al 2019. Questo in un Paese in cui, secondo gli esperti, la maggior parte dei ponti sta per arrivare alla fine del suo ciclo di “vita in sicurezza“.

Fondi su, ma per la rete mancano 1,4 miliardi all’anno
Il 2 maggio lo stesso Armani parlando davanti a un’altra commissione, quella dei Lavori pubblici, ha ammesso che al primo posto tra “le priorità aziendali” dell’ente nazionale strade c’è il recupero del “rilevante gap manutentivo accumulato negli anni”. Ma per gli oltre 26mila chilometri di strade gestite da Anas, sulle quali insistono 11.744 viadotti, servono soldi, tanti. E nonostante il sensibile aumento degli stanziamenti nel 2016 e un piano per il futuro che si preannuncia ancora più corposo, i fondi continuano a non bastare. L’Italia spende assai meno di quanto sarebbe necessario: “C’è ancora una distanza molto elevata tra il fabbisogno e quanto abbiamo a disposizione per la manutenzione straordinaria – spiega a ilfattoquotidiano.it l’ingegnere Fulvio Soccodato, responsabile dell’assetto rete di Anas – Rileviamo un fabbisogno medio di 2,5 miliardi all’anno per la messa in sicurezza e il miglioramento della rete stradale, mentre il nuovo piano degli investimenti ne ha stanziati 1,1 (l’anno, ndr) per il triennio 2017-19“. Cifra “due anni fa inimmaginabile” ma che “non basta per coprire le necessità”.

“Cresca anche il know-how”
Più soldi per la rete stradale vogliono dire, di riflesso, maggiori interventi sui ponti. Ma lo stesso aumento dei fondi, che tra 2007 e 2013 erano rimasti inchiodati a 200 milioni annui, rappresenta una sfida dal punto di vista tecnico. “Maggiori investimenti richiedono l’impegno di Anas ma anche del ‘sistema Paese’, nel senso che bisogna sviluppare progettualità adeguate e snellire le procedure. Deve crescere l’intera filiera – ragiona Soccodato – Ci vogliono imprese preparate, una normativa che ci aiuta e un know-how che va costruito anche nel mondo accademico, visto che le università insegnano a costruire i ponti, non a ripararli”. Oltre agli investimenti, quindi, serve un cambio di prospettiva. Anche perché l’Italia si sta avvicinando a un momento di rottura: buona parte della rete infrastrutturale di valenza nazionale è infatti stata concepita tra gli anni Settanta e Ottanta e il ritardo accumulato nella manutenzione non è smaltibile in breve tempo.

Gap ventennale da recuperare. E si avvicina il “fine ciclo”
Da un lato, Soccodato parla di “gap ventennale che, nonostante il piano pluriennale degli investimenti preveda un recupero dell’arretrato, è impossibile da smaltire in tre anni”, anche se stanno aumentando “gli interventi tesi a individuare con precisione le criticità sulle quali intervenire”. Insomma, si cerca di uscire dalla fase di emergenza e di entrare in quella di prevenzione, a costo di sacrificare i miglioramenti. Un modus operandi che ha permesso lavori straordinari su 600 ponti negli ultimi anni. D’altro canto, però, Pier Giorgio Malerba, docente di Teoria e progetto dei ponti al Politecnico di Milano riassume così la questione: “Tutte le opere hanno un ciclo di vita. Quello dei ponti viene generalmente definito in 100 anni, se soggetti a regolari attività di ispezione e manutenzione. Di fatto, nei maggiori Paesi industrializzati si è rilevato – spiega al Fatto.it – che, a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici, dell’aumento dei transiti e di manutenzioni carenti o inefficaci, la vita media in piena sicurezza è di circa 60 anni. Questo non vuol dire che al 61esimo anno il ponte crolla, ma che è meno affidabile. La maggior parte dei ponti italiani è stata costruita negli anni Settanta, quindi sono ora ad un’età critica che induce ad attente ispezioni e alle manutenzioni che si rendessero necessarie”. Mentre i ponti ferroviari e autostradali sono oggetto di ispezioni e manutenzioni dallo standard che Malerba definisce “molto elevato”, il problema maggiore riguarda i ponti ‘sorvegliati’ da Province e Comuni: “Non hanno i soldi, né il personale per queste attività. In molti casi non si dispone neppure di un catalogo aggiornato delle opere – aggiunge il docente – Ancora una volta è un problema di fondi, ma è anche dimostrato che, per ponti di collegamento importanti, la perdita economica dovuta all’interruzione dei transiti di alcuni mesi può superare il costo del ponte stesso”.

Qualità? “Stop al massimo ribasso nelle aste”
C’è chi, anche tra gli stessi costruttori, ha fatto un passo indietro. È il caso di Massimo Ferrarese che con la sua Prefabbricati Pugliesi continua ad operare in altri settori, ma non partecipa più alle gare d’appalto per la costruzione di ponti e viadotti. “Non si può pensare di affidare lavori pubblici con il 40% di ribasso d’asta, perché questo determina un effetto a cascata su tutta la filiera, dall’impresa appaltante ai subappaltatori, fino ai fornitori”, spiega l’imprenditore, che è stato anche presidente della Provincia di Brindisi e attualmente presiede Invimit, società di gestione del risparmio del ministero dell’Economia. “Così ci sono imprese che non svolgono i lavori come dovrebbero. Non si può lesinare sui materiali, io non l’ho mai fatto e non sono disponibile a fare cose del genere, ecco perché non costruisco più ponti con le mie aziende”. Si ritorna così a quei “vizi di costruzione” ed “errori di cantiere” delineati come “principale causa del cedimento” dal presidente di Anas. “Il discorso del massimo ribasso è reale. Il costo va pensato sul ciclo di vita – conferma Malerba – se si spende bene prima, si risparmia dopo per la manutenzione”. L’Italia al momento è stretta tra queste due morse. I suoi ponti attendono. E di tanto in tanto ballano.

BETTER THAN DISCUSS OF FRENCH POLITICIANS AND POLITICS: THE INFO THAT REALLY INTERESTS AFRICANS, THE REAL FUTURE OF AFRICA!

PANAFRICOM/ 2017 05 21/
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Kenyan President Uhuru Kenyatta said on Monday that the Belt and Road Initiative is “the best model for Africa’s desired progress”:
“THE BELT AND ROAD INITIATIVE GIVES OUR CONTINENT THE OPPORTUNITY TO MAKE A PARADIGM SHIFT. POST-COLONIAL AFRICA HAS BEEN STUCK IN A RUT (…) BEING PART OF ONE BELT ALLOWS THE CONTINENT TO MOVE TO A NEW PLATFORM, THROUGH WHICH GLOBAL COLLABORATION WILL ALLOW FOR VALUE-ADDITION, INNOVATION AND INCREASED PROSPERITY,” KENYATTA SAID IN A STATEMENT ISSUED BY THE KENYAN PRESIDENCY IN NAIROBI.
* See also  :
ON AFRIQUE MEDIA (IN FRENCH)
DANS LE « DEBAT PANAFRICAIN » (21 MAI 2017)/
LES CORRESPONDANTS INTERNATIONAUX :
RETOUR SUR LE SOMMET ‘DES NOUVELLES ROUTES DE LA SOIE’ A PEKIN CES 14-15 MAI 2017. VERS « L’AXE EURASIE-AFRIQUE » …
(video bientôt disponible sur EODE-TV)
The Kenyan leader, who has been in Beijing for the “Belt and Road Forum for International Cooperation” (*), said that the “Silk Road initiative fits well into the African Union agenda to create more infrastructure links within the continent”. He added that “the continent must move from being a mere consumer of imports of finished goods to become an exporter itself”.
Kenyatta was among the 29 foreign heads of state and government as well as the delegates from some 130 countries who attended the forum held in Beijing on May 14-15.
“ROADS, ELECTRICITY, TELECOMMUNICATION AND WATER EMPOWER OUR PEOPLE, AND BRING PROSPERITY AND FREEDOM. CHINA HAS LEARNED THIS LESSON WELL AND SO HAS AFRICA” (KENYATTA)
“It will be a win-win situation when our people have the skills, assets and financing necessary to participate in the development of the infrastructure corridors that will enhance connectivity, support trade and reduce the cost of doing business between our countries,” Kenyatta said.
He added that “everyone wins when people have the technology to add value to Africa’s wealth of resources as it is key to the fair and unimpeded trade that benefits all”. “We will all win when the economic corridors we develop hasten industrialization; and when they hasten the development of domestic private-sector capabilities,” Kenyatta said.
FRORGET FRENCH BOORLO PROJECTS!
In his keynote speech at the forum, President Xi Jinping said “China will provide relevant international organizations with 1 billion U.S. dollars to implement cooperation projects that will benefit the countries on the Belt and Road”. Kenyatta, who also inked various agreements with China during his visit, said that “the Belt and Road Initiative will secure good jobs and protect Kenyans from the burden of imprudent debt”. He lauded China for “the role it is playing in improving the infrastructure connectivity in East Africa, saying infrastructure brings prosperity and African governments are working hard to strengthen connectivity on the continent”. “Roads, electricity, telecommunication and water empower our people, and bring prosperity and freedom. China has learned this lesson well and so has Africa,” he said.
(*) The Belt and Road Initiative was proposed by Xi in 2013 with an aim to build trade and infrastructure networks connecting Asia with Europe and Africa along the ancient Silk Road routes. It comprises the Silk Road Economic Belt and the 21st Century Maritime Silk Road.
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