«In questo mondo veloce come il vento, dovremmo correre anche noi»: la lezione politica dei No Tav

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Antonio Iannaccone è un giovane avellinese ricercatore in sociologia. “Come il vento: il capitale sociale online dei No Tav” è un libro che nasce dai suoi studi sul movimento che, per oltre un quarto di secolo, si è opposto allo sviluppo dell’alta velocità. Un percorso che, lungo i binari dell’antagonismo, conduce al più ampio orizzonte dei temi connessi alla trasformazione dello spazio democratico. «La chiave è il dialogo, soprattutto tra le generazioni: gli adulti diano ai giovani lo spazio promesso e i giovani scelgano di sporcarsi le mani. Solo così il cambiamento sarà possibile»

«Prendere contatto e guadagnare la fiducia dei membri del Movimento NoTav non è cosa semplice, ma non certo perché siano persone cattive, no. Nella lettura di fenomeni quali sono i movimenti di protesta e contestazione dal basso, in questi anni cresciuti in termini di consistenza e diffusione, è sempre necessario ed opportuno rifuggire le semplificazioni. In realtà, la loro grande cautela nell’entrare in relazione con persone sconosciute nasce da passate esperienze di tentate infiltrazioni da parte di persone magari favorevoli alla TAV oppure uomini delle forze dell’ordine che cercavano di carpire informazioni sull’organizzazione interna al gruppo o sulle azioni in programma».

Da Avellino alla Val di Susa passando per Verona: Antonio Iannaccone è un giovane avellinese, dottore in Sociologia e Ricerca Sociale. Ha conseguito il suo dottorato di ricerca all’Università degli Studi di Verona: è stata quella esperienza ad averlo messo sulle tracce del movimento che, da oltre 25 anni, opponendosi alla realizzazione dell’Alta Velocità Torino-Lione esprime, in un certo qual modo, il proprio antagonismo ad un determinato modo di vedere il mondo ed il suo avvenire. È stato da questo incontro, accademico e umano, che è nata la pubblicazione “Come il vento: il capitale sociale online dei No Tav”. Un lavoro che, lungo i binari del treno ad alta velocità e dei suoi oppositori, conduce all’assai più ampio orizzonte della complessità di questo tempo, della delicatezza delle sfide che le sue trasformazioni pongono al nostro vivere, non solo sul fronte dell’organizzazione politica.

«Per il movimento No Tav la rete è uno strumento fondamentale: non solo per la comunicazione interna ma anche per poter accrescere la propria base e, cosa non meno importate, per entrare in connessione con altri movimenti di protesta che partono, analogamente dal basso, come quello No Triv. Il filo conduttore che tiene unite tutte queste esperienze, del resto, è la rivendicazione di una maggiore apertura dei processi decisionali: l’idea è che le istituzioni non possano decidere autonomamente, prescindendo dalle volontà dei cittadini, che chiedono, invece, di essere coinvolti in nome dei valori della democrazia partecipata o deliberativa».

Insomma, quella dei No Tav è stata per oltre un quarto di secolo una sfida al sistema passata attraverso forme di pressione e deviazione dei processi decisionali, con l’effetto ultimo, più o meno consapevole e dichiarato, di agire sullo spazio stesso della democrazia e le dinamiche di partecipazione e rappresentanza. «Al movimento che per quasi trent’anni s’è opposto all’alta velocità, e che ha avuto il suo nucleo originario per ovvi motivi in Val di Susa, vanno riconosciuti dei risultati, nel senso che è stato in grado di, in qualche modo, rallentare, deviare, influenzare l’incedere del processo. Ma si è trattato di risultati parziali per l’assenza di un elemento di fondo e secondo me fondamentale: il dialogo. Un limite che, però, non è solo del movimento. In questo senso responsabilità si rintracciano anche sul versante istituzionale. Il dialogo, in generale, ritengo che in questo tempo in cui le forme di contestazioni si fanno, appunto, sempre più numerose sia un elemento imprescindibile e necessario alla costruzione di un orizzonte diverso».

Ecco cosa insegna lo studio dell’antagonismo No Tav diffuso attraverso il web, quest’ultimo inteso come strumento di comunicazione e di diffusione libera di informazioni, per mezzo del quale diviene altresì possibile restituire un quadro rovesciato della rappresentazione dominante della realtà: il non più rinviabile bisogno di ridefinire lo spazio politico-istituzionale “tradizionale”. In un mondo sempre più veloce, stare al passo coi cambiamenti vuol dire rifuggire dalle semplificazioni, senza mai temere le contaminazioni.

«Lo studio del movimento No Tav dimostra quanto in realtà questo mondo sia variegato e talora distante dalle rappresentazioni che ne sono restituite dai media tradizionali, coi quali essi hanno un rapporto non proprio lineare. I No Tav non sono tutti delinquenti o facinorosi, per quanto sia innegabile l’esistenza di frange di violenti che abbiano cercato di strumentalizzarne la causa e l’esistenza. E poi c’è l’elemento sociale e generazionale nel senso che nel recinto del movimento, in maniera più o meno continuativa, sono racchiuse persone della più varia estrazione socio-culturale oltre a generazioni tra loro anche molto distanti anagraficamente». Una vera e propria comunità nella comunità che, tra le altre cose, insegna il valore aggiunto del confronto tra generazioni, elemento invece mancante nella politica, appunto, “tradizionale”.

«Nel discorso pubblico dominante i giovani sono una delle categorie più spesso chiamate in causa: a loro viene demandata la costruzione di un futuro che, in realtà, finisce più spesso per trasformarsi in un tempo indefinito, destinato a non arrivare mai. Il protagonismo di chi è giovane viene sempre rinviato ad un domani che non si comprende bene quando dovrebbe arrivare, negando di fatto quella centralità che, a parole e un po’ in tutti gli ambiti, viene loro attribuita. In realtà, il tempo dei giovani è qui ed ora. In alternativa, continuando a marginalizzarne le potenzialità, il valore e a mortificarne le aspettative, questo futuro non arriverà mai come non arriverà mai l’assunzione di responsabilità richiesta dal mondo adulto».

E questo vale per tutti gli ambiti dello spazio pubblico in Italia e, ancora di più, in un’Irpinia che continua, inesorabilmente, ad invecchiare. «Dovremmo smetterla con questo luogo comune che dipinge i nostri ragazzi come tutti disinteressati e disimpegnati: c’è una schiera, silenziosa e sconosciuta, di giovani e giovanissimi che s’impegna in tanti settori, senza che nessuno neanche se ne renda conto. È però normale che, in un contesto bloccato, senza possibilità di veder realizzate le proprie aspettative e soddisfatti i propri sacrifici di studio e formazione, i ragazzi sono portati a scartare a priori l’idea di restare in un territorio che sembra non aver niente da dire o da offrire alle loro esistenze».

Uno sforzo da compiere in un’ottica di dialogo corresponsabile questo cambiamento dovrebbe essere bidirezionale. «Se, da un lato, gli adulti sono chiamati ad essere più coerenti e consequenziali rispetto alle proprie dichiarazioni di principio, dall’altro i giovani dovrebbero essere più determinati nel prendersi lo spazio che viene loro attribuito solo sul piano teorico. Anche su questo fronte ci sono tanti luoghi comuni da abbattere e superare: basta dire che la politica fa schifo, che tutto è inquinato e dunque per salvaguardare la propria integrità è preferibile tenersi da parte. Senza mettersi direttamente in gioco non è possibile pretendere alcun cambiamento: c’è bisogno del contributo di tutti per invertire la tendenza di declino che abbiamo intrapreso. In questo senso ritengo emblematica la storia della mia famiglia associativa: l’Azione Cattolica. Questa decise, negli anni Settanta, di non essere più collaterale ad alcun partito. Bene: una scelta condivisibile in quanto garanzia di equidistanza e laicità nella partecipazione alla vita politica. Il vero problema è che quella scelta, negli anni, si è tradotta in una forma di pigrizia politica che oggi ci ha resi tutti spettatori inermi. Ma questo è solo uno dei tanti possibili esempi che potrebbero essere, in tal senso, addotti».

Ecco dunque una possibile chiave di lettura del futuro che trae lucidamente linfa nel presente e, perché no, dall’osservazione ravvicinata di una modalità di occupazione dello spazio pubblico antagonista dei processi di partecipazione tradizionali. «Questo mondo ha scelto la velocità: continuare a negarlo o continuare ad interrogarsi su questa dimensione è inutilmente retorico. Bisognerebbe piuttosto attrezzarsi per poter in qualche modo agguantare i cambiamenti in atto ed elaborare gli strumenti utili ad interpretarli: sarebbe un altro modo per ridurre le distanze tra le generazioni e innescare un meccanismo virtuoso di reale corresponsabilità. Perché il futuro è qui e ora: noi, anche qui in Irpinia, dovremmo avere la forza ed il coraggio di agguantare il treno veloce sul quale esso viaggia»

«In questo mondo veloce come il vento, dovremmo correre anche noi»: la lezione politica dei No Tavultima modifica: 2017-03-22T18:02:55+01:00da davi-luciano
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