In morte di Michele, cronaca di un suicidio di Stato

michele Polettinessuna fiaccolata per te, per i suicidi in Italia niente solidarietà, solo CENSURA. Guai a pensare non sia una democrazia tutta diritti e solidarietà.


La lettera che Michele ha lasciato ai suoi genitori non è soltanto triste, ma è agghiacciante e giustamente colpevolizza anche coloro che, come chi scrive, hanno fatto il ’68 perché desideravano che queste cose non succedessero. Evidentemente è stato commesso qualcosa di sbagliato e la buona fede non è più una scusante valida.

Oggi ci si è abituati al precariato, alla disoccupazione, oggi si cede a qualunque compromesso per avere un lavoro, provvisorio, malpagato e bisogna anche assuefarsi a essere sottostimati. Questa è la tragedia, abituarsi all’indifferenza, alla disistima, lasciare che i giovani adulti non raggiungano, se non molto raramente, l’obiettivo che si erano prefissati e per il quale si sono preparati.

Si diventa semplicemente spettatori. Spettatori di quanto si vede, spettatori di quello che fa chi governa, che promette e non mantiene, che cerca di coltivare in maniera intensiva il suo orto e punta ad avere sempre l’erba più verde di quella del vicino. E i giovani adulti muoiono, anche quando non si suicidano. Michele è andato fino in fondo, stanco di “fare del malessere un’arte”. In questa tragica sintesi c’è quanto oggi si propone a chi cerca un lavoro consono alle sue capacità.
Michele si è trovato a vivere in un mondo che “non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità”.

Ma che cosa vuol dire oggi normalità? Nessuno se lo chiede più perché oggi normalità è un concetto molto simile ad assuefazione, è ciò che capita tutti i giorni e lascia indifferenti, perché non c’è più lo spazio intellettuale per una sana protesta, perché tanto non porta da nessuna parte. Poi arriva Michele, che non si è assuefatto, non ci sta al gioco in cui l’hanno inserito contro la sua volontà e prima di portare a termine la sua personale e tragica protesta scrive che “il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare”.

Morire è stata una scelta fatta in piena lucidità, qui non si tratta di un momento di disperazione emotiva, qui la disperazione è nuda, è stata esaminata, soppesata, indagata, vagliata e ha condotto a un’unica via: il suicidio.

Viene alla mente Seneca, nessuno è stato più acuto e coerente di lui nell’affrontare il suicidio, ma, a differenza di Seneca che ha potuto arrivare a questo epilogo dopo una vita di pensiero compiuta, a Michele è stata impedita ogni realizzazione.
“Penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo”. La libertà ha coinciso con lo smettere di soffrire, quindi con la morte.
È una lezione molto dura quella che Michele impartisce.

Oggi siamo obbligati ad ascoltare la voce di Michele soltanto in questo maledetto attimo di emotività e soltanto perché lui è morto. Perché i suoi genitori hanno voluto pubblicare l’ultima lettera, ma questa voce viene dall’oltretomba. Quando era vivo non trovava ascolto. Quando era vivo, “vivere non” era “un piacere”, e per questo c’è una responsabilità collettiva.
Questo non è un suicidio né letterario, né poetico, è un suicidio politico, perché la polis non ha avuto chance da offrire a questo giovane adulto, come non ne offre a tanti altri, e lui non si è rassegnato al fallimento. Chi è fallito non è Michele, è chi non ha saputo costruire una società in grado di dare lavoro ai giovani, di dare un futuro a chi ne ha ogni diritto.

È fallito chi ha sperato ma non ha costruito, perché immerso e sommerso dalle sue piccole realtà di guadagno, da piccole voglie di emergere a qualunque costo. E il costo lo stanno pagando i disoccupati, i precari, gli umiliati, lo sta pagando chi ha creduto di potersi costruire una vita.
E questa lettera, che dovrebbe turbare il sonno di tutti, passerà sotto silenzio, dopo una breve scossa emotiva, sarà inghiottita dalle considerazioni banali che tutelano le coscienze addormentate.
Tutto il gelo che questa morte porta con sé sarà esorcizzato ancora una volta da inutili buone parole.
Chi ha ancora una coscienza sa di doversi, inutilmente ormai, scusare con Michele, per avergli rubato la vita.

febbraio 10, 2017 di Maria Teresa Busca

In morte di Michele, cronaca di un suicidio di Stato

In morte di Michele, cronaca di un suicidio di Statoultima modifica: 2017-03-09T15:26:03+01:00da davi-luciano
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