Trump e Starbucks tra il bene e il male

slaverySe prendiamo un minimo di distanza critica da quanto sta avvenendo negli Usa e osserviamo il braccio di ferro tra Donald Trump e i suoi avversari, dobbiamo riconoscere che gli schieramenti sono delineati a perfezione e disposti secondo una logica assoluta.
Prima, però, sgombriamo il campo da un equivoco. L’opinione pubblica americana non è quella marea di buoni sentimenti e di braccia aperte ai migranti che i giornali che non amano Trump (cioè, quasi tutti) si impegnano a raccontarci. In un sondaggio del Pew Research Center svolto nell’ottobre 2016, in piena campagna per le presidenziali, il 54% degli elettori registrati (quelli davvero intenzionati a votare, i più impegnati) disse di non sentire alcun dovere morale nei confronti dei profughi siriani, mentre solo il 41% affermò il contrario.
E la stessa percentuale di elettori disse che gli Usa dovevano badare ai propri problemi e lasciare che gli altri Paesi risolvessero i loro da soli, contro un 42% che pensava il contrario. Quindi è assai probabile che, a proposito delle decisioni di Donald Trump, stiamo assistendo al solito fenomeno dei diversi rumori: l’albero che cade produce più fragore della foresta che cresce.
Questo serve anche a spiegare perché vi sia una precisa geometria nel contrasto tra il Presidente e vasti strati della società Usa, contrasto che mette in scena culture ma anche interessi ben contrapposti. Guardiamo le aziende più celebri tra quelle che, in un modo o nell’altro, hanno preso posizione contro The Donald, ovvero Starbucks, Airbnb, Google, Nike.
Emblematiche le parole di Mark Parker, amministratore delegato di Nike: «Crediamo in un mondo dove tutti possono celebrare il potere della diversità». Bello, ma falso. Se così fosse, perché queste aziende vogliono vendere a tutti, in ogni parte del mondo, lo stesso prodotto? Le stesse scarpe, gli stessi caffè, in India come in Sudafrica, a Milano come a Timbuktu? Queste aziende rappresentano storie di successo della globalizzazione che, come il termine stesso indica, vuole appiattire le differenze, non esaltarle.
Vuole creare un unico consumatore globale, che ha gli stessi gusti e le stesse esigenze in qualunque Paese si trovi. Uniformità, altro che diversità.
Tutto questo lo diciamo con spirito laico, senza alcun intento demonizzatore. E intimi alla globalizzazione sono aziende come Google e Airbnb, che vendono un bene materiale e immateriale allo stesso tempo, uguale per tutti. Che sarebbe di queste grandi imprese se la Rete non fosse globale, se spostarsi per il globo non fosse facile, se la Rete non permettesse di comunicare con chi vogliamo quando vogliamo?
È, appunto, la globalizzazione nelle sue espressioni più dinamiche, innovative e creative. Un fenomeno che critichiamo e apprezziamo nello stesso tempo. Ma Trump e i suoi 59,8 milioni di elettori non è a questo mondo che guardano. Davvero nessuno ha notato che i primi manager e imprenditori da lui ricevuti alla Casa Bianca sono stati quelli di un’industria tradizionale come quella dell’automobile?
Trump ha in testa l’operaio, l’agricoltore, il piccolo imprenditore, il bottegaio, l’industriale che produce beni solidi, categorie per cui la globalizzazione è un problema più che un’opportunità. Gente che vede nello straniero in arrivo un fastidio da gestire più che un fratello da abbracciare. I Millennials, la «generazione Erasmus», per dirla con categorie nostre, che sono il riferimento di Nike e Starbucks, per Trump sono solo i figli dei suoi elettori. E basta dare un’occhiata ai flussi elettorali per rendersene conto: l’elettore-tipo di Trump è un maschio bianco che ha più di 40 anni, un reddito medio e vive in centri medi o piccoli, quando non addirittura rurali. Ed è stato impoverito dallo sprofondo della finanza globalizzata per il quale nessuno ha poi davvero pagato.
In tutto questo, molti vedono la lotta tra nuovo e vecchio, bene e male, futuro e passato, progresso e conservazione. È una lettura possibile, forse anche giustificata ma semplicistica. Starbucks dice di voler assumere iracheni che abbiano collaborato con le forze armate americane, ma non spiega dov’era quando nel 2004 i profughi iracheni, travolti dall’invasione Usa, erano agli ultimi posti nella graduatoria dei rifugiati accolti dagli Usa. Né Trump chiarisce quanto petrolio si debba estrarre in un Paese che è già il primo produttore del mondo, né quante automobili possano ancora circolare. Quando si scontrano gli interessi, anche il bene e il male diventano più difficili da riconoscere.
di Fulvio Scaglione – 31/01/2017
Fonte: Fulvio Scaglione

Attenti, arriva la censura: Google punisce il blog di Messora

messoraQuanto sta avvenendo in queste ore a Claudio Messora, autore del blog ByoBlu, è grave. Google AdSense gli ha comunicato l’interruzione immediata e irrevocabile del proprio servizio.
Cos’è Google AdSense? Semplifico al massimo per i non addetti ai lavori: è la pubblicazione automatica di inserzioni pubblicitarie  che garantisce un introito a chiunque sia disposto ad ospitarle. Più traffico, più pubblicità: gli importi sono minimi ma servono a garantire un po’ di redditività sia ai singoli utenti sia ai gruppi editoriali, che a loro volta ne fanno uso.
Claudio Messora, qualche ora fa, ha annunciato di aver ricevuto un’email da Google in cui viene accusato di aver pubblicato una “fake news” e in cui si annuncia la cancellazione immediata e non contestabile di AdSense. Naturalmente Google non dice a quale titolo si arroghi il diritto di discriminare tra notizie false e vere.
E sapete qual è la “fake news” imputata a ByoBlu? Il filmato di un intervento dell’onorevole Lupi tratto dal sito della Camera dei deputati italiani e pubblicato senza commenti sul blog!
Voi direte? Messora scherza e Foa ci è cascato.
Niente affatto: tutto vero. L’arbitrarietà della decisione di Google è scandalosa ma non sorprendente. I blog, i siti alternativi e i social media hanno svolto un ruolo decisivo nelle campagne referendarie sulla Brexit nel Regno Unito e sulla riforma costituzionale in Italia; e soprattutto  alle presidenziali statunitensi contribuendo alla vittoria di Trump.
Come ebbi modo di spiegare qualche mese fa, l’influenza della cosiddetta informazione alternativa ha assunto proporzioni straordinarie, approfittando della disillusione popolare nei confronti di troppe grandi testate tradizionali, che col passare degli anni hanno perso la capacità interpretare le necessità di una società in continua evoluzione, ammansendo il proprio ruolo di cane da guardia della democrazia, per eccessiva vicinanza al governo e alle istituzioni.
Non tutte le testate, sia chiaro e non in tutti i Paesi: ma in misura tale da generare una frattura fra sé e il pubblico, come dimostra il fatto che la grande maggioranza dei media inglesi era favorevole al Remain e che la totalità dei media sosteneva Hillary ed è stata incapace di prevedere la vittoria di Trump .
Un’onda si è alzata e spinge milioni di lettori a cercare fonti alternative sul web; alcune di qualità, altre meno, alcune credibili altre no, come peraltro è naturale e legittimo in democrazia.
Un’onda che l’establishment, soprattutto quello anglosassone, che è il più influente nella nostra epoca ora cerca di fermare. E nel peggiore dei modi.  La crociata avviata negli Usa e in Gran Bretagna contro fake news  e post verità è chiaramente strumentale ed è stata solertemente recepita in Europa (la risoluzione approvata dal Parlamento Ue contro la propaganda russa rientra in questa corrente) e in alcuni Paesi europei tra cui l’Italia, dove il presidente della Camera dei deputati  Laura Boldrini recentemente ha annunciato l’avvio di una campagna contro le bufale sul web.
Annunci che sono serviti a preparare l’opinione pubblica. Ora si passa dalle minacce ai fatti, attraverso i due Grandi Fratelli del web. Facebook, che ha già cominciato a segnalare come “pericolosi” alcuni blog (ad esempio, ma non è l’unico, quello di Maurizio Blondet), e Google che toglie ai siti anticonformisti la possibilità di finanziarsi, prendendo a pretesto , con sprezzo del ridicolo, proprio un post in cui viene diffuso un frammento di un dibattito del Parlamento presieduto dalla stessa Boldrini, quanto di più innocente e di ovvio ci sia in democrazia.
Resta il fatto che Google si arroga il diritto di giudicare e di censurare un sito libero, per ora solo finanziariamente. Domani, chissà.
Vi invito a guardare questo video di Messora, sono sei minuti di ottimo giornalismo. Giudicate voi.
E’ in pericolo la libertà di pensiero e di espressione. Io esprimo a Claudio Messora tutta la mia solidarietà. E la mia indignazione.
di Marcello Foa – 29/01/2017
Fonte: Marcello Foa
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=58208

Contestano Trump anche quando fa come Obama

all immigrantsIl primo strepito della giornata di ieri arriva quando i media americani ed europei annunciano che Donald Trump ha rimosso dall’incarico il ministro della giustizia, Sally Yates, per il suo rifiuto di applicare il bando restrittivo sull’immigrazione ai sette paesi arabi indicati nell’ordine esecutivo del Presidente. Prima di commentare il merito del provvedimento e di come esso non sia in realtà senza precedenti nella storia recente americana, è opportuno ricordare che la Yates è un ministro uscente nominato da Obama – il ministro della giustizia indicato da Trump, Jeff Sessions, è in attesa della ratifica della sua nomina dal Senato – ed è andata espressamente contro un ordine presidenziale perfettamente legale dal punto di vista giuridico.
Stupiscono anche in questo senso le ingerenze dell’Onu che è arrivata a dichiarare l’illegalità del bando, in un’intromissione quantomeno anomala se si pensa che in passato essa ha taciuto di fronte alle vere violazioni del diritto internazionale commesse dagli Stati Uniti, ma all’epoca evidentemente i diritti umani non erano così prioritari come lo sono ora con Trump.
SICUREZZA INTERNA
Ma tornando al merito della questione, è corretto affermare che la decisione del Presidente sia senza precedenti nella storia americana? La prima cosa importante da dire su questo punto è che l’idea di porre delle restrizioni sull’immigrazione per i sette Paesi interessati dal bando restrittivo (Iraq, Iran, Siria, Yemen, Somalia, Libia e Sudan) non è una idea di Trump, ma del suo predecessore, Barack Obama.
Nel 2015 Obama infatti firma la legge sul programma di miglioramento per il rilascio dei visti (Visa Waiver Program Improvement), e la legge sulla prevenzione del terrorismo per i viaggi negli Usa (Terrorist Travel Prevention Act).
Nel sito del dipartimento della sicurezza interna (Department of Homeland Security) si legge che «il dipartimento per la sicurezza interna rimane preoccupato per la situazione in Siria e in Iraq, così instabili da attirare migliaia di combattenti stranieri, inclusi molti interessati dalla legge in questione (il Vwp). Questi soggetti potrebbero viaggiare negli Stati Uniti per compiere delle operazioni sia per proprio conto sia sotto la direzione di gruppi estremisti violenti». Quindi come si vede la restrizione posta da Trump era in parte già stata anticipata dall’amministrazione Obama che aveva individuato nell’immigrazione da questi paesi una fonte di rischio per la sicurezza nazionale.
La critica legittima che si può fare al provvedimento è semmai l’inclusione dell’Iran nella lista, considerato che l’Iran sta contribuendo attivamente in Siria e in Iraq nella lotta al terrorismo islamico, e l’esclusione dell’Arabia Saudita, uno dei Paesi che ha sfornato più terroristi negli ultimi anni, compresi i responsabili dell’11 settembre.
Ad ogni modo parlare di un atto discriminatorio rivolto contro le persone di religione musulmana è del tutto fuorviante. I media, come al solito, stanno raccontando falsità.
Veniamo ora all’aspetto più strettamente legale del provvedimento. Alcuni osservatori hanno rilevato l’illegalità dell’ordine esecutivo del Presidente, contestando la sua incostituzionalità e il suo carattere discriminatorio dal momento che restringe l’immigrazione solamente per i paesi citati sopra. Come detto, il provvedimento non è motivato da motivi religiosi e se si dà uno sguardo alla legge sull’immigrazione federale statunitense (legge 1182 sezione f), viene specificato che «qualora il Presidente ritenga che l’ingresso di stranieri di ogni tipo e classe sia dannoso per gli interessi degli Stati Uniti può, con un atto esecutivo e per il periodo che riterrà necessario, sospendere l’ingresso di tutti gli stranieri di qualsiasi tipo sia che siano immigrati o non immigrati, o imporre sull’ingresso di stranieri qualsiasi altra restrizione che ritenga appropriata». Come si vede, tutto quello fatto da Trump è perfettamente legale e non viola in alcun modo la Costituzione americana.
ORDINE ESECUTIVO
Nonostante questo il giudice federale di New York, Ann Donnelly, ha accolto il ricorso dell’Aclu (American Civil Liberties Union) l’associazione per i diritti civili americana, riguardo all’espulsione di immigrati provenienti dai paesi che riguardano l’ordine esecutivo di Trump. Il giudice Donnelly è stato nominato da Obama, e fino ad ora né le associazioni dei diritti civili americane né la magistratura avevano mai sollevato obiezioni sul fatto che le pratiche per ottenere lo status di rifugiato andassero avanti per anni. Ad ogni modo l’ordine esecutivo di Trump resta in vigore, e parlare di proteste spontanee è piuttosto grottesco dal momento che l’Aclu risulta essere stata finanziata da Soros con 50 milioni di dollari nel 2014.
A questo punto sembra legittimo chiedersi, come mai dietro queste associazioni umanitarie si annidano sempre i rappresentanti della peggiore finanza speculativa?
di Paolo Becchi e Cesare Sacchetti – 01/02/2017

La guerra di Hezbollah in Siria

Hezbollah siriaNel sanguinoso groviglio della guerra civile che da oltre cinque anni sconvolge la Siria, l’organizzazione militante libanese di Hezbollah è riuscita progressivamente a ritagliarsi un ruolo importante. Il “Partito di Dio” guidato da Hassan Nasrallah ha infatti intensificato nel corso dei mesi una presenza attiva sul campo dispiegata a partire dalla seconda metà del 2012 nell’ambito della coalizione sciita, diretta conseguenza del supporto accordato al governo di Damasco e al suo alleato iraniano sin dall’inizio delle ostilità.
Hezbollah ha mantenuto costantemente dispiegata una forza militare compresa tra i 6000 e gli 8000 uomini nel governatorato di Rif Dimashq, prossimo ai confini con il Libano, che è stata coinvolta in sanguinose battaglie come quella del distretto di Al Qusayr nel 2013, nel corso della quale il “Partito di Dio” ha patito oltre 140 perdite. Ulteriori uomini sono stati garantiti in supporto alle forze lealiste ed iraniane schierate nel Nord della Siria ed impegnate nella battaglia di Aleppo.
Dubai e il mercato del sesso
Le forze di Hezbollah sono state addestrate ed armate dalle Guardie della Rivoluzione iraniane e irreggimentate in strutture tattiche più all’avanguardia rispetto al passato grazie all’operato di comandati delle forze della Repubblica Islamica come Qasem Soleimani, che ha inquadrato più volte i combattenti libanesi nella sua Quds Force.
Nel corso della sua partecipazione al conflitto, Hezbollah ha pagato un sanguinoso tributo di sangue: il corrispondente dell’agenzia Reuters Luke Baker ha riferito infatti che gli uomini del “Partito di Dio” uccisi in Siria sarebbero stati oltre 1600. Numerosi importanti comandanti del gruppo hanno perso la vita nel corso delle operazioni: tra questi si segnalano Samir Kuntar, comandante di etnia drusa ucciso a Damasco nel dicembre 2015, che Hezbollah accusa esser stato vittima di un raid israeliano, e il leader militare Mustafa Badreddine, vittima di un raid di artiglieria dei ribelli nei pressi dell’aeroporto della capitale siriana lo scorso 14 maggio.
Le cifre riguardanti gli effettivi dispiegati e le perdite patite da Hezbollah in Siria vanno confrontate con quelle concernenti l’organizzazione nel suo complesso, i cui militati ammontano complessivamente a circa 45.000 unità; inoltre, buona parte delle truppe dispiegate nel teatro siriano sono state selezionate tra le unità più efficienti ed organizzate di Hezbollah, ed affiancate da unità costituite da combattenti meno addestrati inviati in Siria per compiere il servizio del murabata, ovverosia l’obbligo per ogni militante del “Partito di Dio” di trascorrere almeno quindici giorni all’anno su un fronte di combattimento.
La partecipazione alla guerra civile in Siria ha sinora portato Hezbollah ad impegnarsi nello sforzo militare di maggior ampiezza della sua storia; i risultati sinora ottenuti sono stati in ogni caso significativi e numerosi analisti e studiosi di geopolitica si sono interrogati sulle conseguenze di lungo termine che la campagna in supporto del Presidente siriano Bashar Al Assad produrrà sul “Partito di Dio”.
Ampio e degno di nota è senz’altro il resoconto di Nadav Pollak, fellow al Washington Institute for Near East Policy (WINEP). Egli ha descritto dettagliatamente come la campagna siriana abbia portato all’evoluzione della tattica militare di Hezbollah, sino a pochi anni fa incentrata essenzialmente sulla dottrina del muquawa (“resistenza”) applicata nel corso dei passati conflitti contro Israele e basata su tattiche di guerriglia e su azioni “mordi e fuggi” condotte con il supporto di batterie di obici mobili. Più volte le forze di Hezbollah hanno combattuto a viso aperto sul terreno, dimostrando un’elevata capacità di integrazione con le truppe siriane ed iraniane e acquisendo rapidamente dimestichezza con la coordinazione degli attacchi terrestri coi raid delle forze aeree russe. La qualità del braccio armato del “Partito di Dio” come forza combattente è complessivamente migliorata, e come sottolineato da Pollak ciò non è sfuggito ai vertici militari israeliani, che riconoscono in Hezbollah uno dei principali nemici strategici di Tel Aviv nella regione.
I risultati politici conseguiti da Hezbollah negli ultimi anni sono degni di nota, seppure contraddittori. Di certo vi è un dato di primaria importanza: il coinvolgimento nella guerra civile siriana ha indotto un salto di qualità nelle prospettive geopolitiche di Hezbollah, passato in pochi anni dallo status di organizzazione militante di natura paramilitare a quello di gruppo rodato e temprato da esperienze sul campo, nonché al tempo stesso forte del supporto di un attore regionale dinamico come l’Iran e del sostegno diretto della Russia alla coalizione in cui esso è inquadrato.
Pollak ritiene notevole la capacità dimostrata da Hezbollah nel ritagliarsi una sua specifica nicchia di interessi e nel proteggerli in maniera prolungata, e sostiene che il supporto accordato ad Assad abbia messo al sicuro per gli anni a venire la continuità del sostegno iraniano all’organizzazione.
Il coinvolgimento di Hezbollah nella lotta del fronte sciita in Siria, inoltre, ha pagato lauti dividendi sul piano interno al Libano. Le dichiarazioni di sostegno al governo e al popolo siriano pronunciate dal Sayyid Nasrallah hanno infatti sottointeso in continuazione un messaggio implicito diretto ai cittadini libanesi: l’impegno di prima linea di Hezbollah in Siria è stato presentato come un coinvolgimento necessario a tenere la guerra lontana dal Libano, oggetto nel corso degli anni di diversi scontri dovuti a sconfinamenti da parte di unità dello Stato islamico o del gruppo Al Nusra. L’esercito regolare libanese e gli uomini di Hezbollah hanno collaborato per eliminare le enclave jihadiste costituitesi all’interno del Paese, e Nasrallah ha pubblicamente dichiarato la volontà di Hezbollah di procedere al completo debellamento del sedicente Califfato in un infuocato discorso trasmesso dalla televisione libanese l’11 giugno 2015.
Al tempo stesso, tuttavia, non mancano criticità di primo piano connesse al coinvolgimento crescente di Hezbollah in Siria: innanzitutto, esiste il rischio che sul lungo periodo l’elevato guadagno in termini di consensi e popolarità conquistato dal “Partito di Dio” per il suo forte impegno contro le organizzazioni terroristiche possa venire eroso dall’insorgenza di un sentimento di stanchezza dovuto al prolungarsi del conflitto, all’aumento dei costi umani ed economici dell’intervento in Siria e alla perdita del supporto della popolazione civile causato dalla diminuzione degli interventi “sociali” di Hezbollah. Non bisogna infatti dimenticare come la piattaforma di consenso del “Partito di Dio” sia stata edificata grazie alla capacità dimostrata dal gruppo nel sopperire alle carenze dell’autorità centrale libanese operando un programma di assistenza sociale ed economica oltre che di protezione militare alle comunità, soprattutto sciite, del Libano sud-orientale.
Un’ulteriore problematica concerne le reali capacità di Hezbollah di sostenere il ruolo geopolitico di maggior rilievo che sta arrivando progressivamente a ricoprire negli anni a venire: il complesso sistema di relazioni internazionali del “Partito di Dio”, in un contesto frammentato come quello del Medio Oriente contemporaneo, non aiuta certamente a fare chiarezza. Se infatti Stati Uniti, Israele, Canada, Francia, Paesi Bassi, Australia e la Lega Araba riconoscono Hezbollah come un’organizzazione terroristica a tutti gli effetti, la Russia ha dimostrato tanto sotto il profilo diplomatico quanto sul piano operativo di riconoscere un legittimo interlocutore nella formazione guidata da Hassan Nasrallah, mentre la Cina, pur non sbilanciandosi né in un senso né nell’altro, mantiene contatti formali attraverso il corpo diplomatico in Libano. Allo stato attuale delle cose, la rilevanza strategica nello scenario internazionale di Hezbollah è superiore a quella delle legittime istituzioni libanesi, ma ciò è legato all’andamento del conflitto siriano e all’elevata variabilità della geometria delle alleanze, che favorisce un sistema “liquido” e offre spazi di manovra a organizzazioni parastatali come Hezbollah.
Il “Partito di Dio” si trova dunque nella condizione di dover gestire in maniera equilibrata i cospicui risultati di portata organizzativa, politica e strategica conseguiti nel corso dell’intervento diretto in Siria in supporto alle forze lealiste. Sul lungo periodo, sarà probabilmente l’andamento del conflitto nei prossimi mesi a determinare le capacità di capitalizzazione di Hezbollah: la tenuta della posizione peculiare che il gruppo è venuto a occupare, infatti, sarà sicuramente connessa alla capacità della coalizione sciita di sfruttare a proprio vantaggio l’inerzia favorevole venutasi a creare nel teatro bellico siriano e di addivenire a una conclusione favorevole del conflitto. La partita successiva riguarderà il Libano: Hezbollah dovrà essere in grado di adattare la sua mutata struttura al nuovo contesto socio-politico interno, contribuendo a garantire stabilità a una nazione travagliata continuando a lavorare sulla sintonia col governo centrale di Beirut sviluppatasi a partire dal comune impegno nel contrasto alle infiltrazioni jihadiste avviato nel 2014.
Fonte: Gli occhi della guerra
di Andrea Muratore – 11/01/2017

I valori anti Trump: lo sfruttamento del lavoro

Nike e marchi sfruttamentoOrmai sappiamo che chi detta l’agenda alla cosiddetta società civile disgustata dal popolo (visto chi la comanda non dovrebbe destare alcuna sorpresa) è gente come Soros, un magnate speculatore, ma ora anche i “grandi marchi” o meglio, le corporate come ci insegna Repubblica sono usciti allo scoperto. Si sà, le multinazionali sono tanto tanto solidali e anti razziste, sfruttano chiunque più o meno allo stesso modo e questo è grande indice di progresso a quanto pare per i moralizzatori del mondo. Ora il dumping sociale è trasformato in “inclusione” sociale, in integrazione quindi lo sfruttamento E’ UNA COSA BUONA.

Starbucks aprirà a Milano ed in vista probabilmente dei cambiamenti climatici decide di sostituire le piante autoctone con piante tipiche di climi caldi. Un emblema, così ragiona il capitale. Plasma, modifica a piacimento il creato, inclusi GLI UMANI. Starbucks non condivide la politica migratoria di Trump, fa sapere che assumerà i “rifugiati”. Dove più che in Italia può sfruttare clandestini e manodopera a nero, se non nel regno del CAPORALATO?

Avvisate comunque Starbucks che i richiedenti asilo, in attesa di riconoscimento dello status di rifugiati, NON POSSONO LAVORARE, per legge, almeno per i primi 6 mesi. Ma per quanto importa loro delle leggi ed in Italia non siamo famosi per farle rispettare.

NIKE fa sapere di non condividere le politiche migratorie di Trump, è una questione di morale. E dato che lotta contro le discriminazioni, SFRUTTA tutti i lavoratori in modo eguale.

Immagino che risulti in linea con i loro “valori” così come i valori della cosiddetta società civile, lo sfruttamento di manodopera, inclusa quella minorile. Ne prendiamo atto trattasi di rispetto dei diritti umani da imporre in giro per il mondo onde non essere tacciati di essere retrogradi.

Rimando solo ad un link Multinazionali del dolore. Caso quattro: Nike, articolo del 2013

Riporto l’inizio:

La Nike, multinazionale americana che produce e distribuisce in tutto il mondo scarpe e palloni di calcio, sfrutta la manodopera a basso costo soprattutto nei paesi dell’Asia come la Cina, la Thailandia, l’Indonesia, la Corea del Sud, il Vietnam. Il salario medio giornaliero di un lavoratore è di 50 centesimi per circa 12 ore di lavoro e gli operai, spesso bambini, sono esposti perennemente alle malattie perché lavorano a stretto contatto con i vapori di colle, solventi e vernici.  Le ribellioni e gli scioperi sono oppressi con torture e spesso uccisioni da parte delle polizie locali.

Cara Nike, di cosa hai paura? Di dover produrre le tue scarpe e ammenicoli negli Usa se negli Usa li vuoi vendere? Sei terrorizzata a dover pagare il minimo salariale ai lavoratori americani che certo non è quello che corrispondi ad un minore del Pakistan?

La solita propaganda anti Trump-Obama promosse restrizioni di circolazione dai paesi “terroristi”

visaWaverI disinformatori di regime e servetti vari in  servizio permanente effettivo ACCURATAMENTE ED INTERESSATAMENTE OCCULTANO  IL FATTO CHE il divieto d’ingresso (negli usa) agli islamici di Somalia, Libia, Iran, Iraq, Siria, Sudan e Yemen è contenuto nella legge HR 158 “Visa Waiver Program Improvement and Terrorist Travel Prevention Act” emanata il 12.09.2015 dal sig.OBAMAAAAAAAAAAAAAA
ECCO IL TESTO
H.R.158 – Visa Waiver Program Improvement and Terrorist Travel Prevention Act of 2015
114th Congress (2015-2016)
Sponsor:
Rep. Miller, Candice S. [R-MI-10] (Introduced 01/06/2015)
Committees:
House – Judiciary; Homeland Security
Committee Reports:
Latest Action:
12/09/2015 Received in the Senate.  (All Actions)
Roll Call Votes:
There has been 1 roll call vote
Tracker:
This bill has the status Passed House
Here are the steps for Status of Legislation:
  1. Introduced
  1. Passed House
More on This Bill
Subject — Policy Area:
Text: H.R.158 — 114th Congress (2015-2016)
All Bill Information (Except Text)
There are 3 versions:

Text available as:

Shown Here:
Received in Senate (12/09/2015)

114th CONGRESS

1st Session

H. R. 158

IN THE SENATE OF THE UNITED STATES
December 9, 2015
Received

AN ACT
To amend the Immigration and Nationality Act to provide enhanced security measures for the visa waiver program, and for other purposes.
Be it enacted by the Senate and House of Representatives of the United States of America in Congress assembled,
SECTION 1. Short title.
This Act may be cited as the “Visa Waiver Program Improvement and Terrorist Travel Prevention Act of 2015”.
SEC. 2. Electronic passport requirement.
(a) Requirement for alien To possess electronic passport.—Section 217(a)(3) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(a)(3)) is amended to read as follows:
“(3) PASSPORT REQUIREMENTS.—The alien, at the time of application for admission, is in possession of a valid unexpired passport that satisfies the following:
“(A) MACHINE READABLE.—The passport is a machine-readable passport that is tamper-resistant, incorporates document authentication identifiers, and otherwise satisfies the internationally accepted standard for machine readability.
“(B) ELECTRONIC.—Beginning on April 1, 2016, the passport is an electronic passport that is fraud-resistant, contains relevant biographic and biometric information (as determined by the Secretary of Homeland Security), and otherwise satisfies internationally accepted standards for electronic passports.”.
(b) Requirement for program country To validate passports.—Section 217(c)(2)(B) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(c)(2)(B)) is amended to read as follows:
“(B) PASSPORT PROGRAM.—
“(i) ISSUANCE OF PASSPORTS.—The government of the country certifies that it issues to its citizens passports described in subparagraph (A) of subsection (a)(3), and on or after April 1, 2016, passports described in subparagraph (B) of subsection (a)(3).
“(ii) VALIDATION OF PASSPORTS.—Not later than October 1, 2016, the government of the country certifies that it has in place mechanisms to validate passports described in subparagraphs (A) and (B) of subsection (a)(3) at each key port of entry into that country. This requirement shall not apply to travel between countries which fall within the Schengen Zone.”.
(c) Conforming amendment.—Section 303(c) of the Enhanced Border Security and Visa Entry Reform Act of 2002 is repealed (8 U.S.C. 1732(c)).
SEC. 3. Restriction on use of visa waiver program for aliens who travel to certain countries.
Section 217(a) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(a)), as amended by this Act, is further amended by adding at the end the following:
“(12) NOT PRESENT IN IRAQ, SYRIA, OR ANY OTHER COUNTRY OR AREA OF CONCERN.—
“(A) IN GENERAL.—Except as provided in subparagraphs (B) and (C)—
“(i) the alien has not been present, at any time on or after March 1, 2011—
“(I) in Iraq or Syria;
“(II) in a country that is designated by the Secretary of State under section 6(j) of the Export Administration Act of 1979 (50 U.S.C. 2405) (as continued in effect under the International Emergency Economic Powers Act (50 U.S.C. 1701 et seq.)), section 40 of the Arms Export Control Act (22 U.S.C. 2780), section 620A of the Foreign Assistance Act of 1961 (22 U.S.C. 2371), or any other provision of law, as a country, the government of which has repeatedly provided support of acts of international terrorism; or
“(III) in any other country or area of concern designated by the Secretary of Homeland Security under subparagraph (D); and
“(ii) regardless of whether the alien is a national of a program country, the alien is not a national of—
“(I) Iraq or Syria;
“(II) a country that is designated, at the time the alien applies for admission, by the Secretary of State under section 6(j) of the Export Administration Act of 1979 (50 U.S.C. 2405) (as continued in effect under the International Emergency Economic Powers Act (50 U.S.C. 1701 et seq.)), section 40 of the Arms Export Control Act (22 U.S.C. 2780), section 620A of the Foreign Assistance Act of 1961 (22 U.S.C. 2371), or any other provision of law, as a country, the government of which has repeatedly provided support of acts of international terrorism; or
“(III) any other country that is designated, at the time the alien applies for admission, by the Secretary of Homeland Security under subparagraph (D).
“(B) CERTAIN MILITARY PERSONNEL AND GOVERNMENT EMPLOYEES.—Subparagraph (A)(i) shall not apply in the case of an alien if the Secretary of Homeland Security determines that the alien was present—
“(i) in order to perform military service in the armed forces of a program country; or
“(ii) in order to carry out official duties as a full-time employee of the government of a program country.
“(C) WAIVER.—The Secretary of Homeland Security may waive the application of subparagraph (A) to an alien if the Secretary determines that such a waiver is in the law enforcement or national security interests of the United States.
“(D) COUNTRIES OR AREAS OF CONCERN.—
“(i) IN GENERAL.—Not later than 60 days after the date of the enactment of this paragraph, the Secretary of Homeland Security, in consultation with the Secretary of State and the Director of National Intelligence, shall determine whether the requirement under subparagraph (A) shall apply to any other country or area.
“(ii) CRITERIA.—In making a determination under clause (i), the Secretary shall consider—
“(I) whether the presence of an alien in the country or area increases the likelihood that the alien is a credible threat to the national security of the United States;
“(II) whether a foreign terrorist organization has a significant presence in the country or area; and
“(III) whether the country or area is a safe haven for terrorists.
“(iii) ANNUAL REVIEW.—The Secretary shall conduct a review, on an annual basis, of any determination made under clause (i).
“(E) REPORT.—Beginning not later than 1 year after the date of the enactment of this paragraph, and annually thereafter, the Secretary of Homeland Security shall submit to the Committee on Homeland Security, the Committee on Foreign Affairs, the Permanent Select Committee on Intelligence, and the Committee on the Judiciary of the House of Representatives, and the Committee on Homeland Security and Governmental Affairs, the Committee on Foreign Relations, the Select Committee on Intelligence, and the Committee on the Judiciary of the Senate a report on each instance in which the Secretary exercised the waiver authority under subparagraph (C) during the previous year.”.
SEC. 4. Designation requirements for program countries.
(a) Reporting lost and stolen passports.—Section 217(c)(2)(D) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(c)(2)(D)), as amended by this Act, is further amended by striking “within a strict time limit” and inserting “not later than 24 hours after becoming aware of the theft or loss”.
(b) Interpol Screening.—Section 217(c)(2) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(c)(2)), as amended by this Act, is further amended by adding at the end the following:
“(G) INTERPOL SCREENING.—Not later than 270 days after the date of the enactment of this subparagraph, except in the case of a country in which there is not an international airport, the government of the country certifies to the Secretary of Homeland Security that, to the maximum extent allowed under the laws of the country, it is screening, for unlawful activity, each person who is not a citizen or national of that country who is admitted to or departs that country, by using relevant databases and notices maintained by Interpol, or other means designated by the Secretary of Homeland Security. This requirement shall not apply to travel between countries which fall within the Schengen Zone.”.
(c) Implementation of passenger information exchange agreement.—Section 217(c)(2)(F) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(c)(2)(F)), as amended by this Act, is further amended by inserting before the period at the end the following: “, and fully implements such agreement”.
(d) Termination of designation.—Section 217(f) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(f)) is amended by adding at the end the following:
“(6) FAILURE TO SHARE INFORMATION.—
“(A) IN GENERAL.—If the Secretary of Homeland Security and the Secretary of State jointly determine that the program country is not sharing information, as required by subsection (c)(2)(F), the Secretary of Homeland Security shall terminate the designation of the country as a program country.
“(B) REDESIGNATION.—In the case of a termination under this paragraph, the Secretary of Homeland Security shall redesignate the country as a program country, without regard to paragraph (2) or (3) of subsection (c) or paragraphs (1) through (4), when the Secretary of Homeland Security, in consultation with the Secretary of State, determines that the country is sharing information, as required by subsection (c)(2)(F).
“(7) FAILURE TO SCREEN.—
“(A) IN GENERAL.—Beginning on the date that is 270 days after the date of the enactment of this paragraph, if the Secretary of Homeland Security and the Secretary of State jointly determine that the program country is not conducting the screening required by subsection (c)(2)(G), the Secretary of Homeland Security shall terminate the designation of the country as a program country.
“(B) REDESIGNATION.—In the case of a termination under this paragraph, the Secretary of Homeland Security shall redesignate the country as a program country, without regard to paragraph (2) or (3) of subsection (c) or paragraphs (1) through (4), when the Secretary of Homeland Security, in consultation with the Secretary of State, determines that the country is conducting the screening required by subsection (c)(2)(G).”.
SEC. 5. Reporting requirements.
(a) In general.—Section 217(c) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(c)), as amended by this Act, is further amended—
(1) in paragraph (2)(C)(iii)—
(A) by striking “and the Committee on International Relations” and inserting “, the Committee on Foreign Affairs, and the Committee on Homeland Security”; and
(B) by striking “and the Committee on Foreign Relations” and inserting “, the Committee on Foreign Relations, and the Committee on Homeland Security and Governmental Affairs”; and
(2) in paragraph (5)(A)(i)—
(A) in subclause (III)—
(i) by inserting after “the Committee on Foreign Affairs,” the following: “the Permanent Select Committee on Intelligence,”;
(ii) by inserting after “the Committee on Foreign Relations,” the following: “the Select Committee on Intelligence”; and
(iii) by striking “and” at the end;
(B) in subclause (IV), by striking the period at the end and inserting the following: “; and”; and
(C) by adding at the end the following:
“(V) shall submit to the committees described in subclause (III), a report that includes an assessment of the threat to the national security of the United States of the designation of each country designated as a program country, including the compliance of the government of each such country with the requirements under subparagraphs (D) and (F) of paragraph (2), as well as each such government’s capacity to comply with such requirements.”.
(b) Date of submission of first report.—The Secretary of Homeland Security shall submit the first report described in subclause (V) of section 217(c)(5)(A)(i) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. (c)(5)(A)(i)), as added by subsection (a), not later than 90 days after the date of the enactment of this Act.
SEC. 6. High risk program countries.
Section 217(c) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(c)), as amended by this Act, is further amended by adding at the end the following:
“(12) DESIGNATION OF HIGH RISK PROGRAM COUNTRIES.—
“(A) IN GENERAL.—The Secretary of Homeland Security, in consultation with the Director of National Intelligence and the Secretary of State, shall evaluate program countries on an annual basis based on the criteria described in subparagraph (B) and shall identify any program country, the admission of nationals from which under the visa waiver program under this section, the Secretary determines presents a high risk to the national security of the United States.
“(B) CRITERIA.—In evaluating program countries under subparagraph (A), the Secretary of Homeland Security, in consultation with the Director of National Intelligence and the Secretary of State, shall consider the following criteria:
“(i) The number of nationals of the country determined to be ineligible to travel to the United States under the program during the previous year.
“(ii) The number of nationals of the country who were identified in United States Government databases related to the identities of known or suspected terrorists during the previous year.
“(iii) The estimated number of nationals of the country who have traveled to Iraq or Syria at any time on or after March 1, 2011, to engage in terrorism.
“(iv) The capacity of the country to combat passport fraud.
“(v) The level of cooperation of the country with the counter-terrorism efforts of the United States.
“(vi) The adequacy of the border and immigration control of the country.
“(vii) Any other criteria the Secretary of Homeland Security determines to be appropriate.
“(C) SUSPENSION OF DESIGNATION.—The Secretary of Homeland Security, in consultation with the Secretary of State, may suspend the designation of a program country based on a determination that the country presents a high risk to the national security of the United States under subparagraph (A) until such time as the Secretary determines that the country no longer presents such a risk.
“(D) REPORT.—Not later than 60 days after the date of the enactment of this paragraph, and annually thereafter, the Secretary of Homeland Security, in consultation with the Director of National Intelligence and the Secretary of State, shall submit to the Committee on Homeland Security, the Committee on Foreign Affairs, the Permanent Select Committee on Intelligence, and the Committee on the Judiciary of the House of Representatives, and the Committee on Homeland Security and Governmental Affairs, the Committee on Foreign Relations, the Select Committee on Intelligence, and the Committee on the Judiciary of the Senate a report, which includes an evaluation and threat assessment of each country determined to present a high risk to the national security of the United States under subparagraph (A).”.
SEC. 7. Enhancements to the electronic system for travel authorization.
(a) In general.—Section 217(h)(3) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(h)(3)) is amended—
(1) in subparagraph (C)(i), by inserting after “any such determination” the following: “or shorten the period of eligibility under any such determination”;
(2) by striking subparagraph (D) and inserting the following:
“(D) FRAUD DETECTION.—The Secretary of Homeland Security shall research opportunities to incorporate into the System technology that will detect and prevent fraud and deception in the System.
“(E) ADDITIONAL AND PREVIOUS COUNTRIES OF CITIZENSHIP.—The Secretary of Homeland Security shall collect from an applicant for admission pursuant to this section information on any additional or previous countries of citizenship of that applicant. The Secretary shall take any information so collected into account when making determinations as to the eligibility of the alien for admission pursuant to this section.
“(F) REPORT ON CERTAIN LIMITATIONS ON TRAVEL.—Not later than 30 days after the date of the enactment of this subparagraph and annually thereafter, the Secretary of Homeland Security, in consultation with the Secretary of State, shall submit to the Committee on Homeland Security, the Committee on the Judiciary, and the Committee on Foreign Affairs of the House of Representatives, and the Committee on Homeland Security and Governmental Affairs, the Committee on the Judiciary, and the Committee on Foreign Relations of the Senate a report on the number of individuals who were denied eligibility to travel under the program, or whose eligibility for such travel was revoked during the previous year, and the number of such individuals determined, in accordance with subsection (a)(6), to represent a threat to the national security of the United States, and shall include the country or countries of citizenship of each such individual.”.
(b) Report.—Not later than 30 days after the date of the enactment of this Act, the Secretary of Homeland Security, in consultation with the Secretary of State, shall submit to the Committee on Homeland Security, the Committee on the Judiciary, and the Committee on Foreign Affairs of the House of Representatives, and the Committee on Homeland Security and Governmental Affairs, the Committee on the Judiciary, and the Committee on Foreign Relations of the Senate a report on steps to strengthen the electronic system for travel authorization authorized under section 217(h)(3) of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187(h)(3))) in order to better secure the international borders of the United States and prevent terrorists and instruments of terrorism from entering the United States.
SEC. 8. Provision of assistance to non-program countries.
The Secretary of Homeland Security, in consultation with the Secretary of State, shall provide assistance in a risk-based manner to countries that do not participate in the visa waiver program under section 217 of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187) to assist those countries in—
(1) submitting to Interpol information about the theft or loss of passports of citizens or nationals of such a country; and
(2) issuing, and validating at the ports of entry of such a country, electronic passports that are fraud-resistant, contain relevant biographic and biometric information (as determined by the Secretary of Homeland Security), and otherwise satisfy internationally accepted standards for electronic passports.
SEC. 9. Clerical amendments.
(a) Secretary of Homeland Security.—Section 217 of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187), as amended by this Act, is further amended by striking “Attorney General” each place such term appears (except in subsection (c)(11)(B)) and inserting “Secretary of Homeland Security”.
(b) Electronic system for travel authorization.—Section 217 of the Immigration and Nationality Act (8 U.S.C. 1187), as amended this Act, is further amended—
(1) by striking “electronic travel authorization system” each place it appears and inserting “electronic system for travel authorization”;
(2) in the heading in subsection (a)(11), by striking “electronic travel authorization system” and inserting “electronic system for travel authorization”; and
(3) in the heading in subsection (h)(3), by striking “electronic travel authorization system” and inserting “electronic system for travel authorization”.
SEC. 10. Sense of Congress.
It is the sense of Congress that the International Civil Aviation Organization, the specialized agency of the United Nations responsible for establishing international standards, specifications, and best practices related to the administration and governance of border controls and inspection formalities, should establish standards for the introduction of electronic passports (referred to in this section as “e-passports”), and obligate member countries to utilize such e-passports as soon as possible. Such e-passports should be a combined paper and electronic passport that contains biographic and biometric information that can be used to authenticate the identity of travelers through an embedded chip.
Passed the House of Representatives December 8, 2015.
  • Attest:karen l. haas,Clerk

Il colonialismo di oggi si chiama globalizzazione

global brand

Forse il primo compito di un pensiero autenticamente critico dovrebbe consistere oggi nel favorire la deglobalizzazione dell’immaginario. Impiego questa formula – “deglobalizzazione dell’immaginario” – richiamandomi a Serge Latouche, che ha parlato a più riprese di “decolonizzazione dell’immaginario”: su questo punto, condivido la sua prospettiva, precisando però che oggi il nuovo colonialismo si chiama globalizzazione.
È, per così dire, il “colonialismo 2.0”: con cui si coartano tutti i popoli del pianeta all’inclusione neutralizzante del modello unico liberal-libertario globalista. Si tratta – come ho detto – di una “inclusione neutralizzante”, giacché la mondializzazione include e insieme neutralizza: include, giacché tutto riassorbe e nulla lascia fuori di sé (ciò che ancora non è incluso è diffamato come antimoderno, reazionario, populista, totalitario, ecc.); e neutralizza, perché, nell’atto stesso con cui annette, disarticola le specificità plurali dei costumi, delle culture, delle lingue. Le sacrifica sull’altare livellante del modello unico classista e reificante del consumatore individuale e senza radici, anglofono e senza identità.
Il mondialismo si caratterizza, in effetti, anche per questo: aspira a vedere ovunque il medesimo, ossia se stesso, il piano liscio del mercato senza barriere e senza frontiere, nei cui spazi stellari tutto scorre senza impedimento nella forma della merce e dei capitali finanziari: è anche e soprattutto per questa ragione che la tarda modernità assume la forma, per citare il compianto Zygmunt Bauman, di una “società liquida” a scorrimento illimitato dei capitali, delle merci e degli esseri umani ridotti a “merci” o a “capitale umano”.
Deglobalizzare l’immaginario – sia chiaro – non significa tornare alla società di “ancien régime”: non significa, cioè, far tornare indietro la ruota della storia. Significa, al contrario, riscontare l’insufficienza e le contraddizioni del mondo globalizzato: e, di lì, articolare un pensiero che si ponga a base di una nuova fondazione del vivere comunitario, andando al di là tanto della cattiva universalità del globalismo, quanto delle forme premoderne nel frattempo tramontate. Ben sapendo, ovviamente, quant’è difficile sistematizzare ciò che ancora non c’è.
di Diego Fusaro – 22/01/2017
Fonte: Fanpage