La sinistra vorrebbe esami per votare, e lo ripropone ogni volta che perde alle elezioni

Ci risiamo: la sinistra perde le elezioni da qualche parte nel mondo e di riflesso si scaglia contro il sistema democratico delle elezioni, perché non essendo “meritocratico” permette a chiunque di esprimersi, a detta loro.

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Questa volta è toccato all’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano usare duri toni contro il risultato delle elezioni americane: in un commento neanche troppo a caldo a seguito della vittoria di Trump il Senatore a vita propone che gli ignoranti non votino.

A ben vedere le sue esatte parole sono state “La vittoria di Donald Trump è intrisa di molta demagogia, irragionevolezza, carica distruttiva e disgregativa“, e “nasce come reazione di tutti i colpiti e gli insoddisfatti dal processo di globalizzazione e dal ruolo, semplicisticamente demonizzato, di ogni tipo di establishment e di ogni assetto di potere”.

In buona sostanza la vittoria di Trump è dovuta alla reazione di pancia, istintiva, non basata sulla ragione e sulla razionalità, una reazione ignorante quindi. Come lui si sono allineati tutti quanti appartengono a quella che impropriamente si definisce come “sinistra”: da Massimo Gramellini che su La Stampa tuona contro “l’ignoranza al potere” e sul presunto odio che gli ignoranti provano verso coloro che hanno studiato conducendoli così a votare “a destra”, sino a Fabrizio Rondolino, editorialista de L’Unità, che in un tweet afferma, testuali parole, che “Il suffragio universale comincia a rappresentare un serio pericolo per la civiltà occidentale”.

Non è una novità nel panorama della sinistra italiana, e mondiale, visto che anche oltre Manica e oltre Oceano la solfa è sempre la stessa, anche se, nel loro caso, forse ha più un valore provocatorio. Chi non ricorda, infatti, gli strali di Umberto Eco contro il popolo “ignorante” quando Silvio Berlusconi vinse le elezioni nel 1994? Oppure il professor Asor Rosa che invocava addirittura un golpe per spodestare quello che definiva “un gruppo affaristico-delinquenziale” regolarmente eletto? E’ davvero strana la doppia visione di questa sinistra salottiera ormai scollata totalmente dal mondo reale: quando il popolo vota e la pensa come loro, allora essi lottano col popolo, parafrasando lo stesso Eco, e quindi le masse sono colte, vanno ascoltate e soprattutto rispettate; se invece le stesse si pongono in antitesi con la loro visione allora giocoforza sono populiste, becere, ignoranti e soprattutto vanno rieducate. E’ proprio questo ultimo punto ad essere preponderante nella loro visione: la necessità di una rieducazione delle masse, o di una maggiore educazione (forse in un Laogai). Come se l’esito del voto elettorale avesse istantaneamente cancellato decenni di istruzione obbligatoria con progressivo innalzamento dell’età scolastica, come se, improvvisamente, questo Paese fosse popolato da una massa di analfabeti funzionali, parole che accoppiate piacciono molto alla nostra sinistra, incapaci di farsi un’idea propria.

Strana questa sinistra che ha sempre avuto tra i propri cavalli di battaglia, giustamente anche, un ampliamento dell’istruzione e poi improvvisamente si scopre circondata da ignoranti. Forse meno strano vederla ragionare in termini di “ignoranza” e non di “intelligenza”, dato che ammettere che alcune persone semplicemente non abbiano la capacità di raggiungere certi obiettivi per natura, non è assolutamente ammissibile nella loro concezione del mondo. Un mondo dove tutti possono raggiungere qualsiasi risultato, o diventare chiunque vogliano essere indipendentemente dalle proprie capacità intrinseche.

Con questo non vogliamo dire che certe preferenze elettorali denotino un quoziente intellettivo più basso, anzi, se c’è una cosa assolutamente trasversale politicamente parlando è l’intelligenza (o l’idiozia), però per la sinistra nostrana, dal parlamentare sino all’elettore, se uno vota “a destra” o è “fascista” allora si può spiegare solo attraverso la poca intelligenza o l’ignoranza, come dimostra il loro famoso slogan trito e ritrito “Il fascismo si cura leggendo e il razzismo si cura viaggiando”, un concentrato di banalità assoluta: basti pensare a quei personaggi del Fascismo che ancora oggi hanno un peso culturale enorme come Giovanni Gentile, Giuseppe Solaro o Niccolò Giani, giusto per citarne alcuni.

Insomma alla sinistra italiana questo popolo va stretto quando non fa quello che vogliono loro; così dopo la proposta di vietare le piazze ai fascisti o a chi è sprovvisto di certificato di “sinceramente democratico”, ora vorrebbero rilasciare anche “patenti di voto” che certifichino un adeguato livello culturale: quale sia e come sia possibile stabilirlo è un mistero che non intendono svelare però. Questa volta, a differenza della grottesca diatriba sul diritto di manifestare, il rischio è che si giunga ad una oligarchia votante, o per meglio dire ad un “suffragio onorifico”; idea che magari potrebbe anche affascinarci, per certi versi, ma che ha in sé un rischio molto serio: la formulazione di regole via via più limitanti per l’accesso al voto con la finalità di cristallizzare chi detiene il potere, e a questo gioco, con le loro regole, non vogliamo certo giocare.

di Vittorio Sasso – 13/11/2016

Fonte: Il Primato Nazionale

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57664

Elezione Trump, Monti shockato: “mette a rischio la globalizzazione”

mannaggia, povero banchiere despota Monti…questi popoli ignoranti che sbagliano a votare…si dovrebbe fare ovunque come in Italia, come quando fu imposto lui.Che tragedia, si rischia di perdere la globalizzazione che ha reso tanti popoli ricchi e felici no?

Elezione Trump, Monti shockato: “mette a rischio la globalizzazione”

Il bocconiano Mario Monti, ad Omnibus su La7 ha confessaro alla conduttrice Sardoni di esssere «shockato» per la vittoria di Trump che è riuscito a s concentrare su di sé il monti trumppotere «che gli è stato conferito dal popolo contro la volontà di molti poteri diverso da quello democratico che hanno fatto di tutto per tenerlo fuori».
La Sardoni gli quali potrebbero le conseguenze per l’Unione europea e per l’Italia e Monti ha replicato senza esitazione: «Che si possa diciamo restringere la globalizzazione degli scambi».
domenica, 13, novembre, 2016

Ma chi avrà votato per Donald Trump?

Sulla vittoria di Donald Trump (o la sconfitta di Hillary Clinton) alle elezioni presidenziali americane grava un dubbio pesante come un macigno.
Come mai “le donne” non hanno votato in blocco per “la prima donna candidata alla Casa Bianca”? Che è successo a quelle che non l’hanno votata? Sono sottomesse ai loro mariti? Non erano convinte che la Clinton fosse una “donna”? Forse non è vero che tutte le donne si sentono “donne”? Il problema è che votano anche gli uomini? E come la mettiamo con quelli che hanno votato sperando nel “primo presidente donna”? Le donne che hanno votato Trump sono “sessiste” anche loro? Figuriamoci allora gli uomini che l’hanno votato!
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A sostenere, in percentuali bulgare, “la prima donna candidata alla Casa Bianca” dovevano essere, secondo i “sondaggi” e i detentori della Morale Universale, altre “categorie” particolarmente avverse ad uno sporco “razzista” e “sessista”,  ma particolarmente in sintonia con il curriculum di una signora che può vantare la devastazione pianificata di interi Stati come la Siria e la Libia.
Che fine ha fatto, così, il voto dei “neri” e degli “ispanici”? Porca paletta, ci dicono che a breve (se non è già successo) lo Spagnolo sarà la lingua più parlata negli States, e questi benedetti “ispanici” ignorano la Clinton e, peggio che mai, votano anche per Trump?
E i “gay”? Chi dovevano votare gli omosessualisti militanti se non una “donna” capace di comprendere le loro “rivendicazioni”? Mica possono votare un impenitente donnaiolo.
Fatti due rapidi calcoli, tolta tutta questa “gente troppo giusta”, restavano con Trump solo i bianchi maschi e per giunta benestanti. Un po’ pochino per farlo vincere, no?
Ma ci sono anche altri dati che fanno riflettere un po’: se gli elettori di sesso femminile hanno optato, in lieve maggioranza, per la candidata democratica, quelli di mezza età, maschi e femmine, per non parlare dei vecchi, hanno votato per Trump.
Eppure, secondo i suddetti monopolisti del moralmente corretto, non va bene anche questa cosa qui, perché loro – in America, non in Italia! – sono dalla parte dei “giovani” (altra “categoria” immaginaria) che ora “fanno bene” a protestare e a spaccare tutto (stavolta come in Italia, quando al governo c’è “la destra”). Qui in Italia i vecchi con pensione assicurata, già fidelizzati col PCI, votano in maggioranza per il PD, cascasse il mondo, anche se il capo del PD è un “giovanotto” che dovrebbe attrarre, con la sua “verve” leopoldiana frotte di neo-elettori.
Si potrebbe andare avanti ancora po’, rilevando le incongruenze e le contraddizioni di certi commentatori ed “esperti”, ma questo basta e avanza per rendersi conto del livello di manipolazione raggiunto da questa infame genia. Manipolazione che non gli è servita a nulla per il semplice fatto che una cosa è la realtà, un altra sono i loro desideri frustrati. Ovverosia quelli che, con una definizione che ben descrive i processi mentali di chi scambia realtà e fantasia, gl’Inglesi chiamano wishful thinking.
Essi sono, né più né meno, che gli ultimi esponenti di un filone di pensiero ben studiato da Jean Servier, che in Storia dell’utopia. Il sogno dell’Occidente da Platone ad Aldous Huxley (1967 – trad. it. Edizioni Mediterranee 2002), qualora venisse aggiornato, dovrebbe riportare in appendice – come case of study – tutto quel che è stato detto e scritto da una legione di gente che, a forza di voler costringere la realtà nelle loro fantasie, una mattina s’è svegliata non con “Bella Ciao”, ma col miliardario trionfante e la “prima donna candidata alla Casa Bianca”, pallida in viso, a passeggiare nel bosco.
Servirà questa débacle a far riprendere questi inguaribili “utopisti” dalla loro malsano abito mentale? Credo di no, perché come scrive Gianfranco De Turris nell’introduzione al suddetto libro, il passaggio dal “sogno” all’incubo (imposto tatticamente con la “democrazia”) è un processo ineluttabile per una determinata forma mentis imbevuta di odio per il Reale. Questo spiega perché, una volta che le cose non vanno come desiderato, dall’illusione si passa rapidissimamente alla delusione cocente, insopportabile ed intollerabile. Al punto che non si trova affatto contraddittorio rimangiarsi tutti i propri pretesi “principi” per attaccare e tentare di sovvertire, con altri mezzi, il risultato sgradito e dipinto, senza tema di scadere nel ridicolo, esattamente come un incubo, quando l’incubo vero (quello in cui sfocia l’utopia vittoriosa), per una volta, è stato fortunatamente sventato.
di Enrico Galoppini – 15/11/2016
Fonte: Il Discrimine

La storia si riscrive

ClintonMediaLe storiche elezioni americane si sono concluse con la vittoria di Donald Trump. Al mondo gira la testa; alle élites mondiali non basterà l’aspirina ad alleviare l’emicrania. Con la vittoria di Trump si è girato decisamente pagina, lasciando fuori dalla Casa Bianca una associazione a delinquere: la famiglia Clinton.
Dopo otto anni di Bill Clinton, dodici anni dei Bush, con l’intermezzo degli otto anni di Obama, ci si aspettava un ritorno al passato con la signora Clinton.
Un monopolio rotto solo dall’avvento di una figura estranea alla politica.
Certo che diventa sempre più difficile sfatare le teorie della cospirazione, che vedono nel sistema politico un’oligarchia a cerchio chiuso asservita a poteri sovranazionali. In retrospettiva Donald Trump ha già raggiunto la più grande delle vittorie: mettere fuori gioco e consegnare agli annali della storia due potenti dinastie, la famiglia Bush e la famiglia Clinton. I Bush e i Clinton, ma ci aggiungerei anche Obama, colpevoli di aver causato la morte di milioni di vittime innnocenti in guerre, rivoluzioni colorate, cambiamenti di regime avviati e sostenuti e attraverso l’intero globo negli ultimi trenta anni: Somalia, Serbia, Honduras, Iraq, Afghanistan, Egitto, Siria, Libia, Ucraina e via dicendo.
In questa ottica ci vuole un bel coraggio a sbandierare il pericolo dei fantasmi nazionalistici e populistici di Trump.
Con Trump gli americani hanno riaccarezzato l’idea di eleggere il primo presidente “nazionalista” dall’assassinio, nel Settembre 1901, del presidente William Mckinley. Tre cose suggellarono il destino di McKinley: la sua opposizione al primo concetto di globalismo, l’opposizione alla creazione di una banca centrale (la Federal Reserve) e la decisione di mantenere il dollaro agganciato al valore dell’oro, rifiutando l’idea di un sistema inflazionistico. Diceva McKinley: “…Sotto il libero scambio, il prodotto diventa il maestro e il lavoratore lo schiavo… Il libero scambio distrugge la dignità e l’indipendenza dei lavoratori americani…”
Due altri presidenti si sono opposti a questo sistema e tutti e due hanno fatto la fine di McKinley: Lincoln e Kennedy.
Alla morte di Mckinley assunse il potere il suo vicepresidente, Theodore Roosevelt; un interventista, globalista, anche lui vincitore, guarda caso, di un premio Nobel per la Pace (1906).
A pensare male si fa peccato, ma probabilmente Trump dovrà guardarsi molto alle spalle…
La Clinton ha basato la sua campagna elettorale su due punti fondamentali:
• eleggere la prima donna presidente alla Casa Bianca, mobilitando l’elettorato femminile contro Trump e usando l’espediente del sessismo come arma per distruggere il repubblicano
• presentare Trump come un personaggio pericoloso, amico di Putin e amante di dittatori e per questo nemico dell’America. Descritto inoltre come incapace di autocontrollo, così da squalificarlo come depositario delle chiavi dell’armamento nucleare. Un uomo pericoloso insomma, un Hitler reincarnato.
Una trovata semplice ma efficace che ha invertito le parti, rendendo la Clinton una donna accettabile e “moderata” e Trump un estremista fanatico.
Questa ultima tattica non è nuova ma è stata rispolverata dalla campagna presidenziale del 1964, tra il democratico Lyndon B. Johnson e il repubblicano Barry Goldwater. In quella famosa campagna, Goldwater viene descritto come un’estremista di destra, potenzialmente pericoloso, dal grilletto facile; un personaggio instabile, capace di innescare la minaccia nucleare. In un video famoso, pagato dai fondi della campagna di Johnson e trasmesso dalla televisione americana, si vede una bambina sfilare i petali della margherita in un conto alla rovescia che porta alla detonazione di un ordigno nucleare. Nel sottofondo si sente la voce di Johnson commentare il video con una famosa frase: “Questa è la posta in gioco…o ci amiamo a vicenda oppure periamo..” https://www.youtube.com/watch?v=dDTBnsqxZ3k
Osteggiato sia dai Rockefeller repubblicani (l’establishment di allora), sia dai Democratici per questa sua visione populista, Goldwater venne attaccato pesantemente su tutti i fronti; una battaglia impari che lo vide sconfitto, sommerso dalla valanga di voti a favore di Johnson.
Dopo le elezioni Goldwater, un uomo dal temperamento mite, ritornerà nell’anonimato come senatore in Arizona. Il suo rapporto con il partito Repubblicano rimarrà tormentato durante tutta la sua carriera politica, accusando i repubblicani, in più occasioni, di essere troppo radicati a destra, quindi posizionandosi più su una piattaforma di tipo centrista-liberale. Un politico ragionevole insomma che venne dipinto come un pericoloso guerrafondaio. Il pacifista Johnson, salvatore dell’umanità dall’altro canto mise in moto la macchina militare e politica che portò gli Stati Uniti alla guerra in Vietnam, con il sacrificio di oltre 50000 militari americani e oltre due milioni di vittime tra civili e militari vietnamiti. Se la storia insegna qualcosa, tenendo conto che la Clinton non ha mai affrontato una guerra con qualche dispiacere, se fosse stata eletta, allora il futuro del mondo sarebbe stato decisamente fosco…
La stessa tattica, è stata impiegata contro Trump. Una strategia politica brillante, già testata nella sua efficacia, talmente efficace da dipingere un uomo, senza nessun precedente politico decisionale su cui basare un giudizio, come un guerrafondaio e dall’altra parte, una donna, con anni di documentata schizofrenia geopolitica, amante delle guerre esportatrici di democrazia, come una persona calma e ponderata. L’unica cosa e che i Clinton non hanno calcolato è che, rispetto al 1964, il mondo dell’informazione e molto più aperto grazie ai social media; i crimini della Clinton sono stati esposti, non dai mass media tradizionali, ma dagli utenti Facebook, Twitter, YouTube e sopratutto WikiLeaks.
Trump entra alla Casa Bianca dopo una battaglia disumana, impari, combattuta su tutti i fronti, contro molteplici nemici sia all’interno che all’esterno del proprio schieramento. Trump ha dovuto difendersi dall’ establishment del proprio partito, dai falchi neocons i quali più volte sono usciti allo scoperto sostenendo la Clinton; da tutti i mass media, nazionali e internazionali; dalle grandi multinazionali, come Apple, General Motors, Ford, solo per menzionare alcuni; da banche e finanziarie, tipo Goldman Sachs, da investitori di hedge found come George Soros; dalla macchina Hollywoodiana, con attori e attrici famosi, musicisti e celebrità in genere; dalla segreteria dell’ONU, per finire dalla magistratura federale e statale.
Gli attacchi a Trump sono avvenuti in varie forme e modalità. Si sono inventati fantomatiche vittime di abusi sessuali (le sue accusatrici si sono tutte dileguate dopo le elezioni), hanno travisato le sue parole, costruendo una retorica al vetriolo intorno al suo personaggio, fino a reinventarlo, costruendoci intorno una figura alternativa a quella reale. Un Trump fittizio, venduto al mercato di masse semi-colte e di intellettuali elitisti, che lo hanno assorbito e regurgitato come veritiero.
Bisogna dare atto alla macchina Clintoniana. Politici navigati che hanno sfruttato al meglio il loro potere mediatico, politico e finanziario con oltre un miliardo di dollari in contributi ricevuti dai soliti globalisti, moderni oppressori di popoli, burattinai della classe politica. In un mondo sano ed equilibrato una minaccia come la Clinton non avrebbe neanche dovuto arrivare cosi vicina alle soglie della Casa Bianca
Trump ha vinto, ma i suoi nemici rimangono, le nubi all’orizzonte sono sempre cupe e si preannunciano per lui quattro anni difficili. Sono i nemici interni più di quelli esterni da cui dovrà ben guardarsi. Gli ultimi saliti sul carro saranno i primi a saltarne fuori, al primo segno di rallentamento.
di Gianfranco Campa – 12/11/2016
Fonte: italiaeilmondo

Una ONG Turca, filiale di una organizzazione USA, è la fonte dei “bombardamenti russi sugli ospedali di Aleppo”.

La fonte delle informazioni attraverso la quale gli Stati Uniti hanno recentemente accusato la Russia di bombardare ospedali ad Aleppo, è una ONG turca, filiale della Syrian-American Medical Society con sede a Washington.

aleppoCome ha riferito l’agenzia russa Sputniknews, la fonte di informazioni sul bombardamento di ospedali nella città siriana di Aleppo da parte delle forze aerospaziali della Russia si è rivelata la filiale turca non governativa dell’organizzazione Syrian-American Medical Society (SAMS), con sede a Washington.

La fonte di queste informazioni è stata scoperta dopo Gayane Chichakyan un giornalista della catena russa RT, ha insistito e ha costretto il portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, John Kirby, a rivelare la fonte sulla quale Washington ha basato le sue accuse contro la Russia.
Le informazioni fornite dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, racconta Sputniknews, portano la firma della Health Cluster Turkey Hub, un’organizzazione che opera sotto il patrocinio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Nel frattempo, l’addetto stampa della OMS ha fornito i contatti di Mohamad Katoub, che è stato dimostrato di essere il responsabile legale della sede turca del SAMS, confermando che le informazioni sui presunti attacchi aerei russi provengono dalla organizzazione con sede a Washington.
Katoub a sua volta, ha confermato che le informazioni le riceve dalla Siria da circa 170 dipendenti che sono in loco e sono fonti primarie o citano testimoni oculari sugli eventi.
 
Tuttavia, ha chiarito che la sua ONG non accusa la Russia di bombardare gli ospedali di Aleppo e trasmette solo informazioni dei propri dipendenti inviati in Siria.
Finora, sia l’OMS che altre organizzazioni umanitarie e non governative non sono state in grado di verificare le accuse contro la Russia dal momento che nessun materiale fotografico o video che mostra in volo aerei da combattimento russo.
Allo stesso modo, l’ufficio regionale del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) a Damasco, ha confermato gli attacchi, ma ha precisato che non poteva essere sicuro da chi fossero stati effettuati i bombardamenti.
“Non abbiamo ulteriori informazioni su questi due ospedali, salvo il fatto che sono stati completamente distrutti. Non possiamo stabilire se essi sono stati distrutti a causa di un attacco aereo o no “, ha sottolineato il segretario stampa del CICR a Damasco, Inji Sidki.
Notizia del: 20/11/2016

La Vittoria di Trump preoccupa i ribelli siriani

I cosiddetti “ribelli moderati”in Siria, sostenuti da Washington, non riceveranno sostegno militare da parte dell’amministrazione degli Stati Uniti Presidente eletto Donald Trump, rivela la Reuters.
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L’agenzia di stampa britannica Reuters ha riferito, oggi, che alla vigilia della vittoria del repubblicano presidenziale Donald Trump negli Stati Uniti, i membri dell’opposizione armata in Siria si sono incontrati con funzionari degli Stati Uniti per conoscere le prospettive circa le spedizioni di armi per combattere contro il governo di Damasco.
Tuttavia, ha assicurato la fonte, citando funzionari Usa, l&#
39;aiuto degli Stati Uniti ai ribelli continuerà fino alla fine dell’anno, ma quando Trump arriverà al potere ufficialmente, il 20 gennaio 2017, le spedizioni potrebbero terminare.
Un alto funzionario dei ribelli, nel frattempo, ha riconosciuto che non vi è stato contatto con i funzionari degli Stati Uniti dopo la vittoria di Trump.
Ha aggiunto che se gli Stati Uniti abbandonassero i ribelli, il futuro militare dipenderebbe dal sostegno dei paesi della regione come l’Arabia Saudita, Qatar e Turchia.
Fonte: Reuters
Notizia del: 20/11/2016

Il presidente Barack Obama, prima di terminare il suo mandato, riesce a far prorogare le sanzioni alla Russia

Leaders-europei-con-ObamaA seguito di un vertice (l’ultimo con Obama) svoltosi a Berlino, il presidente Barak Obama ha ottenuto dai leaders europei la conferma per il rinnovo delle sanzioni verso la Russia con la motivazione di obbligare Mosca a rispettare integralmente gli accordi di Minsk che, secondo la Casa Bianca, non sarebbero stati rispettati dalla Russia (nessuna menzione sulle violazioni degli accordi effettuata dal Governo di Kiev).
Allo stesso modo i leaders europei, assieme ad Obama hanno espresso “profonda preoccupazione” per la situazione umanitaria nella città di Aleppo ed hanno concordato che bisogna spingere la Russia e la Siria a fermare gli attacchi contro i “ribelli” ( i miliziani jihadisti appoggiati da USA e da Arabia Saudita) che la Russia considera terroristi e la NATO considera “ribelli moderati”.
Nessuna menzione da parte dei leaders europei sul fatto che questi “ribelli moderati” tengono in ostaggio la popolazione dei quartieri est di Aleppo e che hanno trucidato quanti volevano fuggire dalle zone sotto il loro controllo.
Da notare che i leaders europei esprimono preoccupazione per la “situazione umanitaria ” causata dai bombardamenti russi e siriani ma non accennano a preoccuparsi per i pesanti bombardamenti eseguiti dalla coalizione a guida USA che in Siria hanno prodotto, fino ad oggi, circa 17.000 vittime civili e distruzione di infrastrutture quali centrali idroelettriche e ponti sull’Eufrate. Le preoccupazioni “umanitarie”dei leaders occidentali sono evidentemente a senso unico.
Sulla riunione aleggia tuttavia una diffusa inquietudine ed incertezza circa la direzione che il nuovo presidente eletto, Donald Trump, vorrà dare alla NATO ed ai rapporti con l’Europa, visto che Trump non ha degnato nè di una telefonata nè di un incontro i leaders europei mentre si è premurato di mettersi in comunicazione con il presidente russo Valdimir Putin e con il suo omologo cinese.
La Merkel in particolare è stata “snobbata” da Trump, il quale, ignorandola totalemnte, non le ha voluto riconoscere l’importanza che le veniva attribuita dal “premio Nobel” Barak Obama.
I leaders europei naturalmente hanno confermato la loro volontà di proseguire la loro cooperazione al’interno della NATO e nelle altre isituzioni multilaterali.
Nell’ultimo vertice europeo promosso da Obama, prima di abbandonare la Casa Bianca, questi si è riunito con la cancelliera tedesca, Angela Merkel e, oltre a lei, con il presidente francese Francosis Hollande, con i primi ministri del Regno Unito Theresa May, dell’ Italia, Mateo Renzi; e con il presidente del Goverrno spagnolo, Mariano Rajoy.
Una riunione che molti osservatori giudicano “di cortesia” in attesa di verificare quali saranno i rapporti che vorrà instaurare il nuovo presidente USA, Donald  Trump e quali saranno le sue decisioni in relazione al duro confronto con la Russia, che è stato instaurato dall’Amministrazione di Obama e che quest’ultimo ha invitato a mantenere.
In particolare Obama,nel corso della riunione,  ha riservato lodi ed encomi alla Merkel augurandole di avere successo nelle prossime elezioni che si svolgeranno in Germania. Gli auguri di Obama non hanno portato fortuna nel caso di Davis Cameron, per il referendum nel Regno Unito (prima del Brexit) e per candidata democratica alla Casa Bianca, Hillary Clinton, entrambi sonoramente bocciati dagli elettori. Questo spiega perchè la Merkel sia improvvisamente impallidita quando ha sentito il Barak Obama fargli gli auguri personalmente.
Nessuna obiezione naturalmente da parte dei leaders europei, tutti come sempre perfettamente allineati alle posizioni di Washington e pronti a rinnovare le sanzioni a Mosca, nonostante che queste siano estremamente pregiudizievoli per le economie dei paesi europei ed abbiano comportato parecchi miliardi di perdita per ogni paese.
Il contenzioso con Mosca riguarda in particolare l’Ucraina dove le posizioni intransigenti del Governo di Kiev impediscono la conclusione di qualsiasi accordo per arrivare ad un ordinamento federativo con autonomia per le province orientali del Donbass, quelle con popolazione russofona. Al contrario nelle ultime settimane sono state denunciate oltre un centinaio di violazioni della tregua da parte dell’esercito ucraino che ha ripreso i tiri di artiglieria contro la provincia di Donetsk e lo spostamento di truppe e mezzi pesanti sulla linea del fronte.
L’altro contenzioso con la Russia riguarda la Siria dove gli USA e la NATO appoggiano scopertamente i gruppi di miliziani jihadisti dominati da Al-Nusra, un gruppo terrorista responsabile di efferatezze contro la popolazione civile, mentre la Russia, intervenuta a sostegno del governo di Damasco, è decisa ad annientare e liberare la parte est di Aleppo e le altre zone ancora sotto il controllo dei terroristi. Le posizioni sono inconciliabili visto che la Russia considera i gruppi terroristi una minaccia alla propria sicurezza nazionale ed è decisa a combatterli fino al loro annientamento mentre gli USA e l’Europa considerano questi gruppi utili e necessari per ottenere il rovesciamento del Governo di Damasco, di Bashar al-Assad.
La posizione della Russia è sostenuta anche dall’Iran e dalla Cina e si considera necessario che sia la popolazione siriana a doversi esprimere sul proprio destino piuttosto che le grandi potenze che da oltre 5 anni sono intervenute con truppe mercenarie infiltrate nel paese per perseguire un obiettivo di smembramento del paese arabo.
La Siria resiste nonostante tutto ai tentativi degli USA e dell’Arabia Saudita di imporre un califfato salafita nel paese sotto il controllo saudita ed americano.
L’Europa sostiene la posizione degli USA e dell’Arabia Saudita, convinta che smembrare il paese ed imporre un califfato salafita sia la migliore soluzione, nonostante che l’esperienza della Libia e dell’Iraq avrebbero dovuto aprire gli occhi ai responsabili della politica europea. D’altra parte gli Hollande, i Renzi e la Merkel privilegiano i lauti affari che i loro governi gestiscono con la monarchia saudita e sono del tutto insensibili alle aspirazioni della popolazione siriana, che si è espressa per non dover subire la Saharia e la dittatura islamica imposta dai gruppi jihadisti filo sauditi,  sostenuti dall’Occidente.
Fonti: Hispan Tv
——–Diario.es
Nov 18, 2016

Media: Obama chiede alla Grecia di chiudere i suoi porti alla Russia

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si recherà in visita ad Atene e richiederà al Primo Ministro della Grecia Alexis Tsipras di chiudere i porti alle navi della marina russa, di votare nuove sanzioni e di cancellare il veto “illegale” per l’adesione della repubblica di Macedonia alla NATO, ha detto in un articolo sul sito militaire.g.

Gli obiettivi dell’improL'altra europavvisa visita dell’uscente presidente Obama sono stati determinati dalla Heritage Foundation, una fondazione dei bellicosi “neoconservatori” dirigenti di politica estera americana e piattaforma per il reintegro dei posti ministeriali”, scrive il sito, in riferimento all’articolo della fondazione di Luke Coffey e Daniel Cochis. Obama durante la sua visita in Grecia porterà avanti tre questioni principali.

“La prima sarà di fare pressione sulla Grecia, affinché voti per il rinnovo di sanzioni europee contro la Russia a dicembre, quando la proposta sarà messa ai voti nella UE”, si legge nell’articolo. “La seconda sarà che la Grecia chiuda i suoi porti alle navi da guerra russe, finché la Russia continuerà a sostenere il dittatore siriano e ad occupare la Crimea. Il presidente Obama dovrà chiaramente stabilire che il sostegno greco alla flotta russa è completamente inappropriato per un alleato della NATO e che sarà necessario raccomandare ai greci di seguire l’esempio recente della Spagna e di annullare le visite future della flotta russa”, dice l’articolo. In terzo luogo, la fondazione richiede di “sostenere la causa della Macedonia”. Atene fa pressioni per fare cambiare il nome dell’ex repubblica jugoslava, per non essere confusa con la regione greca di Macedonia, e blocca l’ingresso di Skopje nell’UE e nella NATO.

“La Grecia dovrebbe consentire alla Macedonia di aderire alla NATO, come previsto dall’accordo temporaneo del 1995”, dice l’articolo. Il governo della Grecia spera che durante la visita di Obama, il 15-16 novembre, riesca ad ottenere il sostegno degli Stati Uniti per quanto riguarda un alleggerimento del debito pubblico, pari a circa 320 miliardi di euro.
13.11.2016(aggiornato 14:47 13.11.2016)
https://it.sputniknews.com/politica/201611133626275-Media-Obama-chiede-Grecia-chiudere-suoi-porti-Russia/

La grande frana a Occidente

di Giulietto Chiesa

clinton isisÈ franata l’America dei WASP (White Anglo-Saxon Protestant), quella delle élites benestanti, quella dei “liberali” che spasimano per i “diritti umani”, mentre lasciano bombardare i poveri del mondo senza muovere un dito.

Sta franando l’Europa del denaro, neo-liberista allo spasimo, anche qui popolata di benpensanti, che si credono “progressisti” perché hanno tifato per il “nero”, per i gay e per gli uteri in affitto, ma non sanno cos’è il popolo. Figuriamoci fino a che punto stanno franando.
Le elezioni in Moldova e in Bulgaria dicono, anzi urlano, che questa Europa non piace più.
Non sono bastate le centinaia di milioni di dollari e di euro, regalati per comprare i popoli.
Non sono bastate le auto di lusso per gli straricchi, le famose “libertà civili”.
Bulgari e moldavi, in grande maggioranza, vogliono ristabilire rapporti con la Russia.
La frana sta producendo panico e sconcerto da queste parti.
Come mai? Non si erano accorti di niente.
E la ragione è semplice: il mainstream bugiardo ha raccontato loro la favola bugiarda. E loro, i benpensanti bombaroli, gli hanno creduto.

– 15/11/2016

Fonte: Megachip

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57687

La vittoria di Trump evidenzia il flop della espertocrazia dei media mondialisti

L’ntervista ad Alain de Benoist: il filosofo francese, qui tradotto da Manlio Triggiani, evidenzia come la vittoria di Trump sia il successo del popolo contro il politicamente scorretto; puntualizza la parzialità della visione dei media mainstream e soprattutto invita gli europei a considerare come la rinuncia all’interventismo del presidente Usa comporterà un impegno maggiore e considerevole per sicurezza e difesa nel continente

1. Breizh-info.com: Signor de Benoist, qual è la sua sensazione dopo l’annuncio dell’elezione di Donald Trump?trump1

Alain de Benoist: “9 novembre 1989: caduta del muro di Berlino. 9 novembre 2016: elezione di Donald Trump. In entrambi i casi, la fine di un mondo. Il nostro ultimo premio Nobel per la letteratura, Bob Dylan, si è finalmente rivelato un buon profeta: i tempi stanno cambiando! E’ in ogni caso un avvenimento storico cui abbiamo assistito. Dopo decenni, le elezioni presidenziali degli Stati Uniti non si sono presentate come un duello a fioretto tra due candidati dell’establishment. Quest’anno, per la prima volta, è un candidato contro l’establishment che si è presentato e ha vinto. “Malgrando i suoi eccessi”, ha detto un giornalista. Piuttosto, per loro merito, avrebbe dovuto dire, tanto l’elettorato di Trump non ne poteva più del “politicamente corretto”!

Infatti, in questa elezione, non è importante il personaggio Trump. E’ il fenomeno Trump. Un fenomeno che, come la Brexit cinque mesi fa, ma con una potenza superiore, illustra in maniera spettacolare l’irresistibile ondata di populismo nel mondo. Natacha Polony l’ha giustamente detto: questo fenomeno “non è che la traduzione di un movimento di fondo che scuote tutte le società occidentali: la rivolta delle piccole classi medie destabilizzate nella loro identità dalla ondata di globalizzazione che aveva già vinto le classi operaie”. Il fatto dominante, attualmente, infatti è nella crescente diffidenza mostrata dal popolo verso le élite politiche, economiche, finanziarie e mediatiche. Coloro che hanno votato per Trump hanno votato contro un sistema del quale Hillary Clinton, simbolo un po’ decrepito di corruzione istituzionalizzata, ha dato una rappresentazione esemplare. Hanno votato contro il “ristagno di Washington” contro il politicamente corretto, contro George Soros e Goldman Sachs, contro l’arroganza dei politici di carriera che cercano di confiscare la democrazia a proprio profitto, contro lo show business che i Clinton hanno chiamato in aiuto. E’ questa ondata di collera che si è rivelata irresistibile”.

Breizh-info.com: Al di là della vittoria, la differenza voto è considerevole. Come la spiega? Si tratta dell’ultimo sussulto dei bianchi e degli indiani d’America, minacciati demograficamente dai neri e dai latini?

Alain de Benoist: “Negli Stati Uniti, il voto popolare è una cosa, quello dei grandi elettori (il “collegio elettorale”) è un altro. Il fatto più straordinario e più inatteso, è che Trump ha prevalso tra i grandi elettori. Beninteso, si può stimare che ha fatto il pieno soprattutto fra la classe operaia bianca, di cui un certo numero di voti sono stati precedentemente dati a Bernie Sanders (in questo senso, il voto in suo favore è anche un voto di classe). Ma, così interessante come è, un’analisi del voto in termini etnici sarebbe del tutto riduttiva. Le analisi che sicuramente non mancheranno nelle prossime settimane mostreranno che Trump ha anche ricevuto voti tra i Latinos e anche tra i neri. Il vero spartiacque è altrove. E’ tra coloro che vedono l’America come un paese popolato da persone che si definiscono prima di tutto come americani, e quelli che vogliono un campo politico segmentato in categorie e gruppi di pressione tutti desiderosi di far prevalere i propri interessi particolari a scapito gli uni degli altri. Hillary Clinton si rivolgeva ai secondi, Trump ai primi”.

Breizh-info.com: La linea politica di Donald Trump potrebbe essere descritta piuttosto liberale all’interno dei confini e piuttosto protezionista all’esterno. Non è questo liberalismo “interno” che manca al Fronte Nazionale per sfondare in Francia?

Alain de Benoist: “La situazione dei due paesi non sono comparabili, e la forma che può (o dovrebbe) assumere il populismo non lo è neppure. Negli Stati Uniti, il risentimento anti-establishment è inseparabile dalla idea propria degli americani che il miglior governo è sempre quello che governa meno. Questa aspirazione liberale al “sempre meno Stato” fa parte del Dna statunitense, non di quello dei francesi che, nella crisi attuale, chiedono al contrario maggiore protezione che mai. Contrariamente a ciò che voi dite, il Fronte Nazionale, a mio parere, avrebbe dunque tutto l’interesse a radicalizzare ancor più la sua critica del liberalismo.

Quanto a sostenere il liberalismo “all’interno” e il “protezionismo” all’esterno, ciò mi sembra mettere in evidenza un approccio contorto. Non c’è da una parte un liberalismo che dice una cosa e dall’altra un liberalismo che dice il contrario. Partendo dai suoi postulati fondamentali, il liberalismo implica sia il libero scambio e sia la libera circolazione delle persone e dei capitali. Si può certamente derogare a questa regola, ma allora si esce dal gioco liberale. E’ ben chiaro che con Donald Trump, gli Stati Uniti non intendono smettere di essere una delle ruote motrici del sistema capitalista in ciò che ha di più brutalmente predatore. Anche se non è una figura di Wall Street, Trump corrisponde d’altronde anche abbastanza bene all’immagine d’un capitalismo sfrenato”.

Breizh-info.com: Il FN si felicita per la vittoria di Trump. La destra francese sembra caduta. Chi raccoglierà i frutti qui?

Alain de Benoist: “Non molti, probabilmente. Marine Le Pen è stata la prima (con Putin) a congratularsi con Trump, e questo è naturale. Ciò che è piuttosto comico è vedere tutti gli uomini politici di destra e di sinistra, che avevano rumorosamente gioito in anticipo per la vittoria di Clinton, che a loro pareva “evidente”, l’indomani far buon viso a cattivo gioco con Donald Trump, accoglierlo in vertici internazionali, riceverlo senza dubbio un giorno all’Eliseo, dopo aver versato su di lui insulti e disprezzo. La classe dirigente è l’immagine dei maestri del circo mediatico. L’elezione di Trump è così “incomprensibile” per loro come lo è stata la Brexit nel giugno scorso, il “no” dei francesi nel referendum del 2005, la crescita del FN, ecc. E’ per loro incomprensibile, perché per comprenderla avrebbero dovuto rimettersi in discussione in maniera suicida. Questo è il motivo per il quale non trovano altro da fare che recitare i loro mantra sui “discorsi di odio”, la “demagogia” e l’”incultura”, e si compiacciono. I loro strumenti concettuali sono obsoleti. Non vogliono vedere la realtà, non vogliono sapere che la gente è stanca della democrazia rappresentativa che non rappresenta più niente e di una espertocrazia che ignora sistematicamente i problemi con i quali si scontrano nella loro vita quotidiana. Lenin diceva che le rivoluzioni si verificano quando la base non ne vuole più e la testa non ne può più. Ma le élite non sono in grado di rendersene conto, anche se il terreno cede sotto i loro piedi. Ascoltarli tentare di “spiegare” cosa è successo. Vedere i loro volti scomposti, storditi. Dopo aver dato Clinton vinto fino all’ultimo minuto, non vogliono a nessun costo individuare le cause dei loro errori. Non capiscono nulla di nulla. Queste persone sono incorreggibili”.

Breizh-info.com: Marine Le Pen cambierà posizione, lei che parla di “Francia placata” con un discorso molto moderato, laddove Trump ha giocato la carta aggressiva e determinata?

Alain de Benoist: “E’ un errore credere che ciò che ha ben funzionato nel contesto particolare di un paese funzionerà automaticamente in un altro. Trump, il “clown miliardario”, ha tenuto durante la sua campagna elettorale frasi di una violenza sconcertante che sarebbero impensabili in Francia. La determinazione, inoltre, non implica, necessariamente l’aggressività. Lo slogan di “Francia placata” si giustificava molto bene alcuni mesi. Non vi sarà sfuggito che all’avvicinarsi delle elezioni elettorali, la direzione del FN l’ha abbandonato”.

Breizh-info.com: La candidatura di Donald Trump è stata in particolare sostenuta dalla Destra e da un esercito di giovani attivisti virtuali che hanno utilizzato appieno montaggi video, fotografie o disegni umoristici per sostenere Donald Trump con humour. E’ questa la fine dell’attivismo tradizionale? È questa l’inizio di una nuova era, quella dell’attivismo digitale e dell’uso dell’umorismo?

Alain de Benoist: “E’ evidente che Internet e le reti sociali giocano ormai un ruolo decisivo nella vita politica, ma i sostenitori Trump non sono gli unici ad averli usati. I sostenitori di Hillary Clinton non sono stati da meno. Ma se si parla di “attivismo digitale”, è soprattutto alle rivelazioni di Wikileaks che bisogna pensare. Hanno avuto, come sapete, un ruolo decisivo nella campagna elettorale statunitense. Accanto a Donald Trump il grande vincitore si chiama Julian Assange”.

Breizh-info.com: Quali conseguenze si aspetta in Europa? Nel mondo?

Alain de Benoist: “Ci sono tutte le ragioni per pensare che le conseguenze saranno numerose e considerevoli, ma è troppo presto per speculare su questo. Tanto Hillary Clinton era prevedibile (con lei ci sarebbe stata la guerra con la Russia quasi certamente), come le intenzioni di Donald Trump rimangono relativamente opache. Dedurre le grandi linee di ciò che sarà la sua politica alla Casa Bianca dalle sue dichiarazioni roboanti della campagna elettorale sarebbe per lo meno audace, se non ingenuo. Trump non è un ideologo, ma un pragmatico. Egli non ha dimenticato (il parallelo tra la Francia e gli Stati Uniti è anche là ingannevole) che il presidente degli Stati Uniti, bloccato tra Congresso e Corte suprema, è ben lungi dall’avere tutti i poteri che gli si attribuiscono da questa parte dell’Atlantico. Tanto più che il complesso militare-industriale è ancora vigente.

Penso, peraltro, che i “trumpisti” europeii non avranno necessariamente buone sorprese. Che Donald Trump si preoccupi principalmente degli interessi del suo paese è abbastanza normale, ma non ne consegue che ciò favorisca o si colleghi ai nostri. “Prima l’America” significa anche: “l’Europa a molta distanza”! Dopo decenni di interventismo a tutte le latitudini e di imperialismo neocon, il ritorno a un certo isolazionismo sarebbe una buona cosa, ma che può anche avere i suoi lati negativi. Non dimentichiamo che nessun governo Usa, interventista o isolazionista, è mai stato pro-europeo!”.

Yann Vallerie sul sito Breizh-info.com  [Traduzione dal francese di Manlio Triggiani]

di Alain de Benoist – 14/11/2016

Fonte: Barbadillo

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