La gaffe del governo Renzi: “Stranieri, investite in Italia. Gli stipendi sono bassi…”

Il governo svende così i giovani lavoratori italiani: “Grazie al Jobs Act li potrete licenziare facilmente”. Bufera su Renzi
Sergio RameDom, 02/10/2016 – 20:54
“Eccola la grande idea di Renzi e del governo per superare la crisi economica: svendere l’Italia e i lavoratori italiani”.
La gaffe del governo Renzi
A denunciare l’ultimo strafalcione di Matteo Renzi e compagni è Nicola Fratoianni dell’esecutivo nazionale di Sinistra Italiana. È stato lui ad accorgersi che una brochure del ministero dello Sviluppo economico, distribuita nei giorni scorsi a Milano, durante la presentazione del piano nazionale Industria 4.0, invitava gli stranieri a “investire in Italia” dove “gli stipendi sono più bassi della media europea”.
 
Nei giorni scorsi, durante l’evento di presentazione di Industria 4.0, i giornalisti si sono ritrovati nella cartella stampa una brochure prodotta dal ministero per lo Sviluppo economico e rivolta alle multinazionali e alle imprese straniere. Dice a chiare lettere: “Investite in Italia perché i lavoratori costano meno che negli altri Paesi europei”. Non solo. Sul depliant era addirittura possibile leggere l’esempio, evidentemente positivo per il Mse, degli ingegneri italiani che guadagnano 38mila euro all’anno, mentre i loro colleghi europei guadagnano 48mila. In un altro capitoletto della pubblicazione c’è, poi, scritto chiaramente anche che dopo il Jobs Act si può licenziare facilmente.
 
Dopo gli strafalcioni del ministero della Saluta con il Fertility Day, un altrio dicastero del governo si trova nel vortice delle polemiche. “Vergognosi e sciacalli – tuona Frantoianni – mettono in vendita l’Italia sulla pelle dei lavoratori. Poi si aprono i dibattiti pubblici dove ci si chiede stupiti come mai in Italia ci sono gli stipendi fra i più bassi di Europa. Stiano tranquilli dalle parti del governo – conclude Fratoianni – anche di questo ne dovranno rendere conto nei prossimi giorni in Parlamento: il tempo delle bufale e degli inganni è terminato…”.

Il Segretario Generale dell’ONU contestato al Parlamento Europeo

mercoledì, 5, ottobre, 2016
 
Il Parlamento Ue, riunito in sessione plenaria a Strasburgo, ha dato l’ok alla ratifica da parte dell’Unione Europea dell’accordo di Parigi sul clima. Alla cerimonia di ratifica presenti il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon, il Presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker e il Presidente del Parlamento UE Martin Schulz.
“Oggi abbiamo varcato la prima soglia per l’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima – ha detto Ban Ki-moon – Dobbiamo essere uniti e coesi di fronte a questa sfida, abbiamo l’opportunità di un futuro più giusto ed equo per una terra più sana e sicura”.
“Abbiamo 62 paesi che hanno deciso di far parte dell’Accordo di Parigi – ha aggiunto – Capisco il processo decisionale dell’UE, e lo rispetto, approvo la decisione dei ministri dell’Ambiente dell’UE di agire con sollecitudine. Vi invito ad approvare questo percorso il prima possibile. C’e’ la possibilita’ di fare la storia, bisogna garantire il futuro dell’Accordo di Parigi consentendo la sua entrata in vigore in tempi rapidi. In nome dell’umanita’ vi invito a una ratifica veloce”. Il segretario generale dell’ONU ha quindi concluso il suo intervento ringraziando l’UE per il suo “ruolo guida”. / EBS

COMMENT QUITTER LA CPI ?

# PANAFRICOM/

PANAF - VISUALS comment quitter la cpi (2016 10 06) FR

Il faut tout simplement, comme le Burundi, aujourd’hui, avoir la volonté de quitter ce tribunal fantoche (« kangeroo court » disent les américains) aux mains de Washington et de l’OTAN. Avis aux chefs d’état africains …

Voici les 5 étapes selon l’infographie de « Justice Hub » !

Avec Twitter/ 2016 10 06/

PANAFRICOM

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Néopanafricanisme (Idéologie)/

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* Infographie de « Justice Hub ».

RESISTANCE AFRICAINE : LE BURUNDI QUITTE LA CPI !

# PANAFRICOM/

PANAF - VISUALS le burundi quitte la cpi (2016 10 06) FR

Après le Conseil des ministres autour du Président Nkurunziza, G. Sindimwo annonce le retrait du Burundi de la  soi-disant CPI, juridiction fantoche aux mains des USA et de l’OTAN et qui ne cible que des africains …

Bravo Bujumbura. Le cœur de la Résistance africaine montre l’exemple !

Avec Twitter/ 2016 10 06/

PANAFRICOM

WebTv/

http://www.panafricom-tv.com/

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Néopanafricanisme (Idéologie)/

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* Capture Twitter.

MANIFESTATIONS A BERLIN ET BRUXELLES CONTRE LES TRAITES TRANSATLANTIQUES …

PCN-TV/

LUC MICHEL:

MANIFESTATIONS A BERLIN ET BRUXELLES CONTRE LES TRAITES TRANSATLANTIQUES …

https://vimeo.com/184837732

ioip

Au moment où des centaines de milliers d’Européens, en Allemagne, à Bruxelles, en France, manifestent contre la signature de ces deux traités par l’UE en dehors de toute consultation populaire, le géopoliticien analyse leur impact :

* Les traités TAFTA/TTIP (UE-USA) et CETA (UE-Canada) ne sont pas seulement une menance pour les peuples européens, mais aussi pour toute l’Afrique.

* Il s’agit de l’avalement du marché de l’UE (premier marché mondial) par l’économie US (qui a déjà des accords avec le Canada et le Mexique), un marché de près d’un milliard d’hommes, qu fera la Loi face à la Chine, l’Eurasie et l’Afrique.

Quelle réalité géopolitique derrière ces traités ?

Il y a une CONTRADICTION INTERNE FONDAMENTALE entre l’Union Européenne et les USA :

Les USA ont vassalisé depuis 1944 l’Europe occidentale. La CEE, devenue l’UE, est la principale colonie politico-militaire des USA via l’OTAN (qui n’est pas un bouclier mais un harnais pour les européens). La diplomatie de l’UE (souvent aux mains d’ex dirigeants de l’OTAN) est alignée sur Washington, la défense européenne repose sur l’OTAN et les armées de l’UE servent d’auxilliaire au Pentagone (c’est la nouvelle infanterie sénégalaise des USA).

MAIS sur le plan économique, l’UE et les USA sont rivales : une guerre économique UE vs USA est en cours depuis la fin des Années ’70 et se double d’une guerre des monnaies Euro vs Dollar.

Les traités transatlantiques visent à résoudre cette contradiction en la supprimant au profit des USA. Et les politiciens de l’UE et de Bruxelles en les signant sont des traîtres à l’Europe …

EXTRAIT DU

‘DEBAT PANAFRICAIN’

SUR AFRIQUE MEDIA, 25 SEPT. 2016

FILME POUR LE MULTIPLEX

PAR EODE-TV A BRUXELLES

«Troppi giorni di malattia», licenziato a 52 anni dopo l’infarto

grazie alle lotte dure senza paure ecco il meraviglioso stato di diritto della cosiddetta società civile moralmente superiore
 
Livorno, Fabrizio Gelli dal 1980 è impiegato alla mensa all’interno della raffineria Eni: «Mi avevano rassicurato invece ho sforato i 180 giorni previsti dal contratto»
di Federico Lazzotti
03 ottobre 2016
 
Fabrizio Gelli
Fabrizio Gelli durante la convalescenza in ospedale
 
LIVORNO. Fabrizio Gelli, 52 anni, due terzi dei quali trascorsi prima al bar e poi alla mensa della raffineria Eni di Stagno, era sicuro di rientrare al lavoro il prossimo 19 ottobre, ultimati nell’ordine: i giorni di malattia di cui ha goduto dopo l’infarto che lo ha colpito lo scorso 18 luglio, le ferie e infine i permessi. Invece venerdì 30 settembre a casa è arrivato il postino che gli ha consegnato una raccomandata inviata dall’azienda per la quale lavora da sei anni, la multinazionale Compass Group. Sopra il benservito della società: licenziato in tronco per giusta causa.
 
Il motivo? «Aver sforato i giorni di malattia previsti dal contratto – risponde Gelli – e più precisamente invece di 180 ne avrei fatti cinque in più». Ed effettivamente, fatti i dovuti conteggi, di giorni di malattia il dipendente nel 2016 ne ha goduti 185. «Io – ammette – ho sbagliato a non controllare direttamente e in modo ancora più scrupoloso. Ma anche davanti al giudice (il licenziamento è stato già impugnato) dirò che l’azienda quando ho chiesto il conteggio dei giorni mi ha rassicurato dicendo che avevo ferie e permessi a sufficienza. Invece credo che quello che sto subendo sia un piano pensato a tavolino».
 
Per ricostruire la disavventura professionale del cinquantaduenne che deve accudire anche la moglie disabile è necessario tornare alla fine di febbraio di quest’anno quando Gelli è andato sotto la mutua per la prima volta. «Avevo un problema al ginocchio – ricorda- sono stato sei giorni in malattia, poi sono rientrato ma non ce la facevo a lavorare per il dolore e quindi a partire dall’8 marzo sono tornato in malattia». A maggio l’intervento al ginocchio e l’avvio della riabilitazione. «Purtroppo – cerca di scherzare nonostante il dramma personale che ha vissuto – le disgrazie non vengono mai da sole». E il 18 luglio ecco che Gelli viene colpito da un infarto. «All’Utic di Livorno sono stato sottoposto a una angioplastica – prosegue – un intervento riuscito perfettamente». Ma che ha allungato il periodo di malattia.
 
Quello che fa arrabbiare sia Gelli che il sindacato UilTucs Toscana che ha denunciato il caso, è il comportamento del datore di lavoro tra il 22 e il 30 agosto. «Sono andato in raffineria il 22 proprio per accertarmi dei termini entro i quali sarei dovuto rientrare al lavoro oppure il momento in cui, finita la malattia avrei dovuto attingere a ferie e malattie per continuare a stare a casa. Quel giorno – ricorda con amarezza – sono stato rassicurato. Con il senno di poi, tanto per far capire la mia buona fede, dico che non mi sarebbe costato niente anticipare le ferie di qualche giorno rispetto al 30 di agosto, data a partire da cui sono uscito dalla malattia».
 
Invece proprio il 22 agosto per Gelli era il giorno numero 180 di malattia, e a rigor di contratto l’ultimo del quale avrebbe potuto usufruire prima di passare dalla ragione al torto e dunque al licenziamento che si è concretizzato con la ricezione della raccomandata. Ora per fare chiarezza sulla bontà del licenziamento le due parti si troveranno di fronte al giudice del lavoro. Intanto però all’interno della raffineria, molti colleghi di Gelli gli hanno mostrato la propria solidarietà. «Non riesco a dormire – scrive Maurizio – ho saputo che Fabrizio è stato licenziato
a causa del prolungarsi della sua malattia. Chiedo ai colleghi stanacini solidarietà per lui». E ancora: «Questo caso significa che il sindacato non ha più poteri di 15 anni fa e il motivo è uno solo a forza di buttarsi giù le braghe con i padroni con la scusa della crisi».

TAV – SCIBONA (MS5): “Se il traforo ferroviario del Frejus non è a norma, allora non lo è il 90% delle gallerie italiane”

http://www.marcoscibona.it/home/?p=1115

La carta stampata riporta la notizia che nel 2020 il tunnel ferroviario del Frejus sarà fuorilegge: perché mancano uscite di sicurezza e ventilazione. Approfondendo la notizia si scopre come in realtà sia la solita notizia faziosa, degna dell’ufficio stampa di TELT e non di un giornale che vorrebbe fare cronaca informativa.

Possiamo infatti fare alcune considerazioni generali. Se la galleria non è a norma, anzi, ha problemi di sicurezza, tali problemi li ha ora come nel 2020. Ecco quindi che se c’è un pericolo attuale, vanno presi immediati provvedimenti altrimenti su chi ricadranno le colpe di eventuali incidenti da oggi al 2020?

Detto questo, è chiaro come i nove decimi delle gallerie ferroviarie italiane, oltre un chilometro, non rispettano le caratteristiche snocciolate dalla cronaca. Avremo quindi nel 2020 una Italia paralizzata con quasi tutte le gallerie interdette al traffico?

Ci chiediamo infine che valore hanno avuto 11 anni di lavori di ammodernamento se la prospettiva è di chiudere l’esercizio delle linea tra quattro anni. Tra l’altro linea già ampiamente sottoutilizzata, il collegamento Bardonecchia – Modane viene giornalmente garantito con un servizio di autobus sostitutivo.

Rispediamo al mittente l’articolo-marchetta sul TAV e chiediamo a gran voce che da domani sia garantita la sicurezza dei viaggiatori su tutta l’infrastruttura ferroviaria del nostro Paese.

Come successe al Presidente di Pro Natura che, in seguito ad un esposto che segnalava mancanza di una rete para-massi a protezione del cantiere della Maddalena pure richiesta dalle prescrizioni del CIPE, fu denunciato per “procurato allarme” dall’allora Procuratore Capo Caselli, allo stesso modo e con la medesima solerzia ci aspettiamo un’azione paritaria per questa shoccante e strumentale interpretazione giornalistica.

Marco Scibona, Senatore M5S – Segretario 8a Commissione lavori pubblici, comunicazioni

1) “Il tunnel di base avrà costi altissimi anche per la sola manutenzione ordinaria. Per questa voce, in cui incidono anche le spese di raffreddamento per far scendere la temperatura a 32 °C, i proponenti preventivano nel 2006, 65 milioni di euro all’anno, circa 85 milioni nel 2010. Però Remy Prud’homme, professore emerito di economia alla università di Parigi, sulla base dei costi del TGV France Nord, ha calcolato che il costo annuale di gestione corrisponda al 3,2% dell’investimento: su 10,5 miliardi, corrisponde a 450 milioni.”
 
2) “La gestione del tunnel di base non determina un risparmio energetico perchè la nuova linea comporterebbe uno spreco di energia equivalente al risparmio della differenza di 500 m quota massima tra il tunnel di base e la linea esistente. 
Infatti va calcolato l’enorme consumo energetico richiesto dal raffreddamento del nuovo tunnel per portare a 32 °C l’ambiente caldo di roccia profonda che, secondo lo stesso progetto, arriva a 60°C.
I 20 MegaWatt termici che sono necessari, secondo il progetto preliminare di LTF del 10 agosto 2010, corrispondono al consumo annuo di 175 milioni di kWh. Questi vanno sommati ai 12-15 milioni di kWh necessari alla ventilazione dei 120 Km di gallerie, perchè l’effetto di pistonamento è ininfluente dopo pochi chilometri.
Essi equivalgono al risparmio energetico ottenibile da tutti i 191 treni merci previsti considerando che, nella distribuzione settimanale della domanda corrispondono alla capacità commerciale di 150/160 effettivi”.
 
3) “Sulla base della capacità di 191 treni merci al giorno del modello di esercizio (equivalenti ad un traffico medio settimanale di circa 160), si può calcolare che il costo effettivo di ogni viaggio sarà di circa cinque volte quello del tunnel attuale”.

In Polonia schierano battaglione dell’esercito USA a 58 km dal confine con la Russia

esercito USA a 58 km dal confine con la Russia
 
 05.10.2016
(aggiornato 09:19 05.10.2016)
 
Il battaglione americano, che secondo le previsioni arriverà in Polonia nel prossimo futuro, sarà di stanza nel presidio di Orzysz, situato a 58 chilometri dal confine con la regione di Kaliningrad, ha riferito alla radio polacca il comandante del quartier generale militare nella regione di Olsztyn, il colonnello Andrzej Szczolek.
 
In diretta hanno chiesto al colonnello di commentare le recenti informazioni apparse sui media, secondo cui il battaglione americano sarà schierato a Orzysz.
 
“Non necessariamente nella città di Orzysz, ma nel presidio di Orzysz”, — ha risposto.
 
Szczolek ha inoltre riferito che il prossimo anno nelle regioni di Warmia e Masuria, al confine con la Russia, appariranno le prime brigate di difesa del territorio, la cui creazione è attualmente una priorità per il ministero della Difesa polacco.
 
“Quest’anno le brigate saranno nella parte orientale. La loro esperienza determinerà il numero di battaglioni nella regione. Potranno essere da 3 a 5 battaglioni. Dipenderà anche dal numero di uomini coinvolti e dalle capacità logistiche, ma soprattutto dai compiti operativi. I battaglioni devono essere dotati dei fucili Beryl, bombe a mano, granate anticarro, moto e quad,” — ha spiegato.
 
All’ultimo vertice NATO dello scorso luglio a Varsavia, il presidente Barack Obama ha dichiarato che gli Stati Uniti avrebbero schierato a rotazione un battaglione di circa un migliaio di militari in Polonia. Inoltre al vertice è stato concordato un piano per il rafforzamento senza precedenti del fianco orientale dell’Alleanza Atlantica. Nel 2017 la NATO intende schierare nei Paesi Baltici e in Polonia 4 battaglioni multinazionali. Il rappresentante permanente della Russia presso la NATO Alexander Grushko ha detto che la decisione della NATO di trasformare l’Europa orientale in una base per le operazioni in contrapposizione alla Russia entra in una dimensione militare. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov aveva affermato in precedenza che la Russia non si sarebbe lasciata coinvolgere in un braccio di ferro con gli Stati Uniti, la NATO e la UE, tuttavia in ogni caso avrebbe garantito la sicurezza nazionale e dei suoi cittadini.

I video di Al Qaeda? Li produceva il Pentagono

mercoledì, 5, ottobre, 2016
 
al-qaeda-pentagono
I video di Al Qaeda? Così falsi da sembrare veri e commissionati non da Bin Laden, ma dal Pentagono, per il tramite dell’agenzia di PR britannica Bell Pottinger che per almeno cinque anni ha lavorato in Iraq su mandato del Dipartimento della difesa americano ottenendo un compenso di oltre 100 milioni di dollari all’anno. Totale: 540 milioni di dollari, una cifra esorbitante.
Sì, sì, avete letto bene: certi filmati di Al Qaeda erano “made in USA”. A rivelarlo è il Bureau of Investigative Journalism in un’ottima inchiesta appena pubblicata sul web, incentrata sulla testimonianza di un video editor, Martin Wells, che quei filmati li ha fatti in prima persona, e riscontri nei documenti ufficiali.
 
La storia è intrigante, quasi da film. Siamo a Londra. Wells, un video operatore free lance, nel maggio del 2006 viene contattato con la prospettiva di un contratto in Medio Oriente e al primo colloquio si accorge che il committente è molto particolare. Non è la solita società di produzione ma l’ambiente in cui viene accolto è militare; anzi di intelligence militare. Viene scortato da guardie armate all’ultimo piano di un palazzo. Il colloquio è breve e gli comunicano subito l’assunzione perché hanno fatto delle verifiche sul suo conto e lo hanno trovato «pulito». Tempo 48 ore e si trova a Baghdad in una base ultraprotetta, una centrale dove vengono pianificate operazioni di guerra psicologica, in gergo le psyops, alcune delle quali tradizionali. “Dovevamo produrre filmati “bianchi” ovvero nei quali la fonte era dichiarata, tendenzialmente si trattava di spot contro Al Qaeda”, spiega Wells.
 
alqaeda
Ma altre erano decisamente meno trasparenti. “La seconda tipologia era ‘grigia’: finti servizi giornalistici che poi venivano mandati alle Tv arabe”. 
 
E poi c’era quella “nera” in cui la paternità dei video era “falsamente attribuita”. Insomma false flag, che Wells spiega così: “Producevamo finti filmati di propaganda di Al Qaeda, secondo regole e tecniche precise; dovevano durare dieci minuti ed essere registrati su dei CD, che poi i marines lasciavano sul posto durante i loro raid, ad esempio durante un’incursione nelle case di persone sospettate di terrorismo. L’obiettivo era di disseminare questi video in più località, possibilmente lontani dal teatro di guerra” perché scoprire filmati di quel genere in località insospettabili avrebbe aumentato il clamore e l’interesse mediatico. Dunque non solo a Baghdad, ma anche “in Iran, in Siria (prima della guerra) e persino negli Stati Uniti”.
 
Capito? Certi angoscianti scoop che rimbalzavano sul web o in Tv in realtà erano fabbricati a tavolino da una società di PR britannica all’interno di una base statunitense in Iraq. E vien da sorridere pensando che poi erano la CIA o la Casa Bianca a certificarne l’autenticità.
 
Wells conferma modalità che gli esperti di spin conoscono bene. Il mandato viene affidato da un governo a società di consulenza esterne per aggirare la legge, evitare il controllo di commissioni parlamentari e proteggere le istituzioni nell’eventualità che queste operazioni vengano scoperte e denunciate dalla stampa, cosa che peraltro non accade quasi mai. I fatti svelati dal Bureau of Investigative Journalism infatti risalgono al periodo 2006-2011; nel frattempo la Bell Pottinger è passata di mano e le truppe americane si sono ufficialmente ritirate dall’Iraq. Lo scoop è sensazionale ma difficilmente assumerà rilevanza internazionale perché riguarda un passato lontano e infatti la maggior parte dei grandi media lo ha ignorato.
 
Intendiamoci. Il fatto che in un contesto di guerra, seppur particolare come quella al terrorismo, si possano concepire operazioni di questo tipo non sorprende. Lo insegnano, da secoli, Sun Tzu e Machiavelli. Il problema è che di solito sono limitate al teatro di guerra, mentre negli ultimi anni hanno assunto una valenza globale. Quella propaganda non è rivolta solo agli iracheni e agli attivisti di Al Qaeda ma anche ai cittadini del resto del mondo, persino agli americani nonostante la legge statunitense lo vieti espressamente. Ed è diventata sistematica.
 
Sappiamo che la guerra in Iraq è stata proclamata su accuse inventate a tavolino. Sappiamo che i report sull’andamento della lotta ai telabani in Afghanistan sono stati falsificati per anni ingigantendo i successi dell’esercito americano, sappiamo delle manipolazioni mediatiche di alcuni drammatici episodi del conflitto in Siria e sappiamo anche che alcuni filmati dell’ISIS sono stati postprodotti e manipolati, in certi casi anche con risvolti comici, come quello in cui i terroristi scorrazzano per il deserto iracheno su un pick-up con le insegne di un idraulico del Texas.
 
La frequenza e l’opacità di questi episodi pone un problema di fondo, molto serio: quello dell’uso e soprattutto dell’abuso delle tecniche di psyops, che non può diventare un metodo implicito di governo attraverso il condizionamento subliminale ed emotivo delle masse. Non nelle nostre democrazie.
 
Marcello Foa – –  blog il giornale

L’apocalittica profezia di Benigni: “Cosa succederà all’Italia se vince il No”

Verso il referendum
profezia di Benigni
Roberto Benigni scende in campo. Il comico premio Oscar si schiera per il Sì al Referendum. Secondo lui la vittoria del No al referendum costituzionale sarebbe peggio della Brexit, per questa ragione “è indispensabile che vinca il Sì”.
 
“Se vince il no il giorno dopo ti immagini? Il morale va a terra”, sostiene il premio Oscar, intervistato dalle Iene, peggio della Brexit. I costituenti stessi hanno auspicato di riformarla la seconda parte, poi c’è la maniera di migliorarla ma se non si parte… Non è come qualcuno dice la riformeremo dopo. No, non accadrà mai più. Poi, certo, ci sono da rivedere alcune cose”.
 
Per Benigni, “i primi 12 principi della Costituzione sono intoccabili e la prima parte, diritti e doveri, sono straordinariamente belli e intoccabili. La nostra Carta è la più bella del mondo. E’ stato un miracolo, i nostri costituenti ci hanno fatto volare e hanno illuminato le macerie. E così l’Italia si è rialzata. Per la seconda parte, però, già i costituenti auspicavano un miglioramento”.
05 Ottobre 2016