“Un piano Ue da 150 miliardi per salvare le banche”

la Ue dei popoli. Quella che si riforma standoci dentro, secondo alcuni. Intanto i cattivi teteschi si oppongono ai salvataggi, e le banche italiane soffrono tanto tanto…porine…
Il colosso Deutsche vuole un fondo pubblico. Dall’Unione i dubbi su Roma: troppe eccezioni
 
11/07/2016
MARCO ZATTERIN
In più di una capitale, a partire da Berlino, l’Italia gode di pessima fama. «Avete sempre un’esenzione da chiedere», sbotta una fonte Ue mentre parla del Montepaschi. Diffusa è la paura d’essere imbrogliati, ma anche quella di finire male, come e peggio di noi. Tanto che dalla Deutsche Bank arriva il meno tedesco dei piani: un fondo condiviso e pubblico da 150 miliardi per rimettere in sesto le banche europee. 
 
Il tono di chi sottolinea come a Roma «tutte le volte c’è un’urgenza a cui appigliarsi» rivela il sospetto che l’«esenzione» possa essere solo una scusa per aggirare le regole: le riforme e la cattiva congiuntura sono state usate per tenere il debito lontano dai percorsi virtuosi negoziati coi partner Ue; la criticità del momento per poter puntellare con aiuti di Stato un sistema creditizio che traballa. In realtà, sinora, l’Italia non ha violato i Trattati. Con l’appoggio «politico» della Commissione, e non soltanto, ha ottenuto tutta la flessibilità autorizzabile, eppure questo non cambia il quadro. Non ispiriamo fiducia ai governi che devono decidere se venirci incontro o no. Nemmeno ai tedeschi, duri sebbene gli istituti nazionali li abbiano già salvati e guardino con orrore alla concreta possibilità di doverlo fare nuovamente.  
 
Il bail-in  
L’impianto legislativo europeo è ricco di scappatoie. L’articolo 32.4 della direttiva Brrd – la norma che ha riformato le risoluzioni creditizie dopo la crisi scoppiata nel 2008, aprendo la stagione della piena responsabilità di azionisti e investitori (bail-in) – consente la ricapitalizzazione preventiva per gli istituti che, manifestamente, abbiano una situazione patrimoniale incompatibile con la stabilità. Il testo ammette l’erogazione di aiuti di Stato dopo che proprietà e titolari di bond abbiano dato il loro contributo, tuttavia anche qui c’è l’eccezione. L’esborso pubblico può essere totale qualora la condivisione degli oneri generi «esiti sproporzionati» (danni ad azionisti o mercati) o se si minaccia la stabilità dell’istituto. 
 
Il caso Mps  
L’Italia vuole questo per Mps. Niente di più. Ha fretta perché il 29 luglio arrivano i risultati delle prove di sforzo dell’agenzia bancaria europea (Eba). Dopo lo stress test, le banche sottocapitalizzate avranno tre mesi per mettersi a posto e intanto saranno destinate a saltellare in Borsa. È saggio cercare di anticipare gli eventi. Resta da capire cosa intende il premier Renzi quando dice che i «correntisti» non saranno toccati. Pare si riferisca a chi detiene bond subordinati e potrebbe vederseli tramutare in azioni. Per questo, perché nessun cittadino-elettore perda un euro, auspica «l’esenzione». 
 
Tutti i segnali dicono che a Bruxelles negoziano con lo staff del ministro Padoan imbevuti di spirito costruttivo. Sono inquieti per la tenuta del comparto e la «ricapitalizzazione preventiva» è in vista. Manca la formula, e la certezza che la Commissione non sia successivamente sfidata da qualche Stato. Deve cautelarsi. «Aiuterebbe che da Roma arrivasse un programma preciso e complessivo – spiega un addetto ai lavori – invece che procedere caso per caso». L’incognita nazionale, per noi, non è solo il Monte. Buona parte del sistema che è sottocapitalizzata. La valutazione diffusa è che occorrono 40 miliardi, punto d’avvio per un ripensamento più ampio, le fusioni di cui parla il governatore Visco. Oltre che il taglio delle filiali e del personale. 
 
Le tedesche in difficoltà  
Sarebbe però sbagliato dire siamo i soli minacciati dal crac allo sportello. Anche nella terra di Frau Merkel le cose non vanno come dovrebbero: c’è la Bremer Landesbank parecchio sottocapitalizzata e la Deutsche Bank bollata come «fragile» dal Fmi. Non sorprende che dal colosso di Francoforte arrivi un’idea che farà tremare i polsi al dogmatico Schaeuble, nemico di ogni mutualizzazione. David Folkerts-Landau, capo economista della Db, confessa in un’intervista a «Die Welt» di temere una nuova crisi bancaria europea e chiede un mega programma di salvataggio e ricapitalizzazione «con denaro fresco», pubblico e in deroga alle norme europee. L’Europa è «gravemente malata» e «attenersi strettamente al rispetto delle regole causerebbe un danno maggiore di quello che vorrebbero contribuire a rimediare», rileva Folkerts-Landau, convinto che la stima di 40 miliardi per i malanni italici sia «conservativa». Comunque per il suo fondo ne vuole 110 in più. Evidentemente, pensa che anche in Germania ci siano istituti ad aver bisogno di soldi. Nell’invito così «italiano» a flessibilizzare le regole è facile leggere il timore che nel gruppo dei cattivi possa finire anche Deutsche Bank. 
“Un piano Ue da 150 miliardi per salvare le banche”ultima modifica: 2016-07-12T15:30:13+02:00da davi-luciano
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