Nuovo secolo americano, solita sottomissione europea

di Gianni Petrosillo – 29/06/2016
sottomissione
 
Mentre l’Ue si incarta sul Brexit, ai suoi confini le grandi potenze, insensibili alla kantiana pace perpetua, perpetuamente mostrano i muscoli per avere ragione sui nemici. L’uso della forza, in queste aree contese, è un’opzione concreta (e praticata) per modificare le sfere d’influenza, penetrare negli spazi d’instabilità e affermare il proprio predominio indiscusso.
E questo è solo un assaggio ed un passaggio dei futuri conflitti su grande scala che si avranno con l’ingresso nel più accentuato multipolarismo e poi nell’epoca policentrica.
Bruxelles viene trascinata dalla Nato in tali scenari caotici come gregaria obbediente, impotente e priva di prospettive.
L’Unione si adegua alle scelte americane accollandosi gli effetti collaterali delle azioni spregiudicate della Casa Bianca che fa i suoi interessi spacciandoli per sicurezza collettiva.
Parliamo, soprattutto, (ma non solo) della regione del Mar Nero dove le scosse geopolitiche in aumento rischiano d’innescare terremoti sparsi, aprendo pericolose linee di faglia nelle zone interne della stessa comunità europea, in cui basta una piccola scintilla per incendiare tutta la prateria. I nodi verranno al pettine con o senza il balsamo delle buone intenzioni dei nostri politicanti pacifisti con i forti e guerrafondai con i deboli.
I segnali lanciati da queste situazioni complicate aumentano quotidianamente ma i burosauri che ci governano badano solo a truccare le carte per conservare un misero potere subordinato ai diktat atlantici.
Eppure non passeranno secoli per scoprire che le isterie collettive alimentate ad arte nei paesi baltici o in quelli balcanici, dalla minaccia di un improbabile revanscismo russo, erano solo un pretesto per ingabbiare e sottomettere l’Ue da parte statunitense.
Una sezione dell’establishment tedesco sta lanciando l’allarme ma il resto della compagnia finge di non sentire o, persino, giunge a negare l’evidenza per coprire il suo padrone. Del resto, in Europa sono tutti convinti che la trazione tedesca ci porterà al Reich “miliardario” e che occorra bilanciare lo strapotere finanziario dei crucchi con la (lunga) mano militare degli yankees. Sarà la nostra rovina.
 
Tanto il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier che alcuni giornalisti come Theo Sommer hanno provato a mettere in discussione la russofobia preconfezionata con la quale l’Alleanza atlantica giustifica le sue provocazioni contro il Cremlino, per allargarsi ad est. Tintinnio di sciabole, dice Steinmeier, al quale i russi non possono rimanere indifferenti.
La reazione dei filo-americani all’ “insinuazione” teutonica è stata rabbiosa, tanto in patria che fuori. Agenti di Putin li hanno stigmatizzati, a maggior ragione perché i due hanno chiesto di chiudere il contenzioso con Putin accettando l’annessione della Crimea che, come ha scritto Sommer, per storia e logica strategica, appartiene da sempre ai russi.
In fondo, se i pagliacci di Kiev non fossero arrivati al punto di rinnegare il trattato per la base di Sebastopoli ora la penisola sarebbe ancora in Ucraina e quest’ultima non piangerebbe miseria grazie ai 40 miliardi di dollari promessi dai vicini per l’estensione del contratto.
Ma chi ha voluto mettere Putin all’angolo cercava proprio questa rottura (quasi) insanabile.
Adesso che il dado è tratto la violenza deve essere messa in conto e non si possono accusare i russi di averla praticata unilateralmente e irragionevolmente. Piuttosto, l’Europa dovrebbe attrezzarsi in tal senso per non essere presa in contropiede dai prossimi avvenimenti.
Gli equilibri sono stati spezzati e la crescente militarizzazione che caratterizza il Mar nero ne è la conseguenza più evidente. I focolai di scontro frontale non resteranno nemmeno confinati qui, perché la scacchiera mondiale non è a compartimenti stagni. Le azioni in un quadrante geopolitico scatenano reazioni e sbilanciamenti in un altro, in assenza di un unico centro regolatore capace di dosare i rapporti di forza reciproci. Gli scenari, dunque, s’intersecano accendendo dispute differenziate in ogni angolo del pianeta. Di fatti, le grane si moltiplicano ovunque e vorticosamente sotto gli occhi disorientati dei propugnatori della stabilità e della pace ad ogni costo e a poco prezzo: Medio-Oriente, Mediterraneo, Caucaso e altri teatri, anche infra-europei, che qualcuno credeva definitivamente stabilizzati dopo le guerre fratricide del recente passato. Non è ancora la terza guerra mondiale (e non è detto che ci si arrivi) ma l’aumento della conflittualità per l’egemonia globale e regionale è visibile a chiunque abbia occhi per vedere. Non ci si illuda, pertanto, di poter risolvere le dispute internazionali con la sola diplomazia perché il clima è cambiato. Gli Stati Uniti sono ancora i più temuti ma non hanno più l’energia sufficiente per essere “eccezionali” e risolvere le cose a modo loro. A causa di ciò la Storia è tornata ad essere ribollente e a secernere contrasti diffusi che non trovano camere di compensazione come certi organismi sovranazionali ormai anacronistici (vedi l’ONU o l’OSCE)
Come affermano gli studiosi del RIA (Russian International affairs council): “La crisi ucraina ha messo in evidenza la dimensione strategica del ‘vicinato condiviso’ (Moldavia, Ucraina, Armenia e Georgia) per l’UE e la NATO, da un lato, e per la Federazione russa, dall’altro… In risposta alla crisi ucraina, Romania, Polonia, Lituania e Lettonia hanno già annunciato l’intenzione di aumentare il loro budget per la difesa”. Gli Usa, che temono di perdere la supremazia mondiale, insidiati soprattutto da Mosca, si riversano in Europa per respingere il nemico russo e spegnere le sue aspettative di recupero egemonico. Essi temono che russi ed europei possano stringere patti alle loro spalle per ricacciarli sulla loro sponda dell’Atlantico. Sarebbe il canto del cigno del loro destino manifesto. Ma imbrigliando l’Europa, inimicandole la Russia ed estendendo la presenza militare della Nato ai suoi margini orientali contano di riorganizzarsi per evitarlo. Il new american century corrisponderà ad un secolo di tragica sottomissione europea.
 
Fonte: Conflitti e strategie

Tav: il carnevale di Delrio

documentipost — 4 luglio 2016 at 14:00

carnevale-delrioLa Torino Lione è un progetto in avanzato stato di decomposizione. Uno ad uno cadono i trucchi e le bugie intorno alla grande opera di cartapesta che non convince più nessuno. E così arrivano anche i saldi di fine stagione con le ipotesi di drastico ridimensionamento . Più che una ferrovia sembra una raccolta punti. Un illusionismo dietro il quale si nasconde però l’ennesimo bluff da smascherare.

I soldi non ci sono. Lo avevamo detto con largo anticipo e avevamo ragione noi. Il Governo Francese, fustigato dalla sua Corte dei Conti , ha già dovuto fare marcia indietro ammettendo che la parte transalpina della Torino Lione non è un’opera prioritaria e rinviando la decisione tra vent’anni . E in Italia? La progettazione creativa degli architetti di governo (Virano e Foietta) ci regala l’ultima trovata carnevalesca: una Torino Lione da realizzare a pezzetti. È Graziano Delrio, ministro e sedicente ambientalista, ad annunciarla venerdì scorso: ”useremo gran parte della linea esistente”, dice, grazie ad “un’intelligente rivisitazione dei progetti per fare le opere nei tempi giusti, con i costi minori e che siano davvero utili”. Spesso la politica non ha il senso del ridicolo.

Da oltre vent’anni Il Movimento No Tav dimostra che si può utilizzare la linea esistente. Ora anche il ministro ci dà ragione ma sotto gli slogan il cemento gronda a fiumi. Meglio andare a vedere chi resta in questa hit parade di “opere davvero utili” che vorrebbero propinarci.

Il Tunnel di Base (57 km di doppia galleria ancora da scavare sotto le Alpi) resta la priorità numero uno. Il governo lo conferma pervicacemente malgrado sia un doppione inutile del traforo ferroviario già in esercizio al Frejus, ammodernato pochi anni fa per il transito dei grandi container (high cube) e del tutto sottoutilizzato. Nei programmi di Renzi e Delrio non si può rinunciare a bruciare 8,6 miliardi di euro e oltre di denaro pubblico .

Nella tratta nazionale gli architetti di governo reinventano la geometria: il percorso più breve tra 2 punti? Una curva che scende vertiginosamente verso sud per poi risalire, allungando inutilmente il percorso tra Avigliana e Torino (già collegate dalla ferrovia esistente). Lo scopo? Attraversare il defunto scalo merci di Orbassano, un deserto dei tartari definitivamente abbandonato dai servizi merci di Trenitalia. 13 km tra tunnel a doppia canna sotto la collina morenica e cantieri a cielo aperto, al modico prezzo di 1,5 miliardi di euro (interamente a carico dello Stato italiano).

Ma tutto questo ha ancora uno scopo? Le merci non ci sono mai state, le previsioni esponenziali di crescita sono miseramente sconfessate dalla storia. Ma ora è il progetto Torino-Lione ad evaporare , fatto a fette come un salame, un pezzo si e uno no. Una realizzazione schizofrenica che mette in discussione la funzionalità stessa dell’opera. Una volta finiti l’enorme buco nella montagna e l’ottovolante ferroviario tra Dora e Sangone, i treni merci (ammesso che ci siano) continueranno a non sapere dove passare. Difficilmente potranno attraversare Torino, il cui passante ferroviario è un vero collo di bottiglia: difficile convivenza fra traffico merci e passeggeri, limitazioni di sagoma e impossibilità di far passare merci pericolose. Gli architetti di governo si aggrappano disperatamente ad una soluzione di emergenza: instradare i treni merci verso sud (ma non dovevano andare ad est?), lungo la ferrovia Torino-Alessandria-Novi Ligure (9). Peccato sia una delle linee più strette del regno, le cui sagome impediscono il transito dei grandi container.

Un gran pasticcio. L’incapacità di politici e architetti di governo è imbarazzante, i loro progetti sono inutili e fallimentari. L’unica cosa certa è il costo, inaudito, che vorrebbero farci pagare. Depredando la già esangue finanza pubblica. E violentando la nostra terra e le nostre comunità, trattate come colonie, sfigurate dalla devastazione perenne dei cantieri e dalla militarizzazione.

Se ne stanno accorgendo in molti, pare. Prima in Valsusa e a Rivalta, poi a Venaria. E infine, clamorosamente, a Torino. Il partito del cemento è in affanno, sta progressivamente sparendo dalla carta geografica. A cancellarlo sono le persone che riprendono in mano le proprie vite e il proprio futuro. Quelle che rispediranno al mittente anche gli ultimi 25 km di allucinazioni di Renzi, Delrio, Virano, Foietta & C.

Come sempre, da generazioni, abbiamo più fiato di voi. Quando vi avranno dimenticato, noi saremo ancora qui. Perché il Movimento No Tav è un interlocutore credibile: dice quello che fa, fa quello che dice. Sempre.

Tav low cost- (2)

Il Movimento Notav

“Archiviato”: un documentario sulle violenze di polizia in Valsusa

/archiviatoblog.wordpress.com Lug 07, 2016
archiviato

Il video, che ha fruito della collaborazione, tra gli altri, di Elio Germano come voce narrante, nasce dall’esigenza di raccontare uno dei molteplici risvolti giudiziari legati alla lotta popolare valsusina.

Come in tutte le aree di acuito conflitto sociale la contrapposizione, ed a volte lo scontro fisico, tra coloro che protestano e le forze dell’ordine determina l’intervento dell’Autorità Giudiziaria chiamata a perseguire gli autori di condotte violente o comunque illecite da chiunque agite, manifestanti o agenti di polizia.

L’art. 112 della Costituzione sancisce che “il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”: ciò significa che la Procura è tenuta ad indagare su ogni notizia di reato venga denunciata o giunga alla sua attenzione e che ha poi il dovere di chiedere al giudice di verificarne, in un pubblico processo, la fondatezza.

Tale principio è posto a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini ed ha lo scopo dichiarato di eliminare ogni possibile valutazione discrezionale del Pubblico Ministero sulle notizie di reato che pervengono alla Procura della Repubblica.

Naturalmente tale imprescindibile obbligo trova un ovvio e giustificato temperamento nella possibilità del Pubblico Ministero di richiedere l’archiviazione di un procedimento penale tutte le volte in cui le indagini che ha svolto abbiano accertato l’infondatezza della notizia di reato o l’impossibilità oggettiva di attribuirla ad un autore.

L’idea del filmato nasce dalla constatazione di come gli illeciti commessi da agenti e funzionari di pubblica sicurezza ai danni di manifestanti o fermati, ampiamente documentati dai media, non determinino i medesimi esiti giudiziari di quelli commessi dai manifestanti.

Nel contenuto ma emblematico contesto valsusino tale discrasia assume caratteri macroscopici: centinaia di denunce e procedimenti penali avviati nei confronti di attivisti e simpatizzanti del Movimento Notav, anche e soprattutto per reati bagatellari, trovano immancabile sbocco in processi e sentenze, mentre le decine di querele, denunce ed esposti per gli abusi compiuti dalle forze dell’ordine, anche gravemente lesivi dei diritti e dell’incolumità dei manifestanti, non sono mai giunti al vaglio di un processo.

Il documentario “ARCHIVIATO. l’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa” affronta dunque il delicato tema della tutela giudiziaria delle persone offese dai reati commessi dagli agenti e dai funzionari appartenenti alle varie forze dell’ordine e per farlo si avvale di immagini e documenti, per lo più inediti.

Il filmato, all’inevitabile e drammatica rappresentazione delle violenze subite dai manifestanti nel corso delle operazioni di ordine pubblico condotte dalla polizia in Valsusa, fa seguire la narrazione del successivo iter processuale sino al suo disarmante e preoccupante epilogo.

Il lavoro è stato realizzato con il patrocinio di cinque associazioni:

Controsservatorio Valsusa;
Antigone – per i diritti e garanzie del sistema penale,
A buon diritto – associazione per le libertà
Associazione Nazionale Giuristi Democratici
L’altro diritto – Centro documentazione su carcere, devianza e marginalità.

Maggiori informazioni sul blog del progetto

Dossier Operazione Hunter

Libro Come si reprime un movinento

archiviato

La caravane contre les “Grands Projets Inutiles” est passée par la Maurienne

http://france3-regions.francetvinfo.fr/alpes/savoie/la-caravane-contre-les-grands-projets-inutiles-est-passee-par-la-maurienne-1041065.html

1.300 kilomètres à vélo contre les “Grands Projets Inutiles”. La caravane est partie, ce lundi 4 juillet, du Val de Suse, en Italie. Elle rejoindra le Forum des opposants à Bayonne, le 14 juillet. Ces jours-ci, elle traverse les Alpes et notamment la Maurienne, lieu de passage du futur Lyon-Turin.

  • Par Jean-Christophe Pain
  • Publié le 04 juillet 2016 à 19:37, mis à jour le 04 juillet 2016 à 20:14
La caravane contre les Grands Projets Inutiles est passée par la Maurienne
“E un, e due, e tre: a sara dura!!!” Comprenez, “ça va barder!”. C’est le cri de ralliement de ces cyclistes militants. En tête du peloton, Guido, et ses amis “No Tav”, venus du Val de Suse. Eux se battent contre le chantier du Lyon-Turin à grande vitesse. 

Le vélo, un moyen pour se rencontrer… à basse vitesse. Premier ravitaillement en France sur la commune de Villarodin-Bourget, où le maire est là pour accueillir cette caravane contre les “Grand Projets Inutiles”. Sa commune est un point stratégique sur le parcours: une descenderie, autrement dit une galerie d’accès au chantier du Lyon-Turin, y a déjà été creusée. Des sources auraient souffert depuis.

Reportage Nathalie Rapuc, Franck Ceroni et Azedine Kebabti

 
La caravane contre les “Grands Projets Inutiles”

Intervenants: Gilles Margueron, maire de Villarodin-Bourget (S.E); Marc Pascal, opposant au Lyon-Turin

L’objectif de ce Tour de France alternatif, c’est de faire prendre conscience au plus grand nombre les répercussions que peuvent avoir de grands projets d’aménagement. Qualifiés d’inutiles par ces cyclistes-caravaniers. 

Mardi 5 juillet, la caravane ira de Chapareillan à Grenoble. Cette fois, la cible c’est le projet de Center Parcs dans les Chambaran. Chaque midi et chaque soir des cyclistes locaux partagent quelques kilomètres, un pique-nique, avec les militants. Au total, ils franchiront 11 étapes, 1.300 kilomètres, et participeront à 30 rendez-vous avec des collectifs ou associations dites citoyennes, tout au long du parcours.