Torino-Lione, il governo diventa Nì Tav

DELRIO ALL’AFFANNOSA RICERCA DI UNA TAV-EXIT?

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Alta Velocità. L’annuncio del ridimensionamento del progetto non convince il movimento. Critiche anche sul versante renziano. La direzione sembra quella di un’uscita controllata dal ginepraio Val Susa


 

Cantiere della Torino-Lione

 © Lapresse

Mille fra processati e indagati, detenzioni preventive, restrizioni della libertà a ultrasettantenni emanate solo una settimana fa, procedimenti giunti fino alla Corte di Cassazione per il gravissimo reato di terrorismo, centinaia di migliaia di euro pagati da decine di militanti del movimento No Tav a titolo risarcitorio. Venti anni di appelli al dialogo e scontri, venti anni di discussioni su come fare l’opera al posto di una valutazione scientifica sull’utilità di quell’opera.
Se l’annuncio del ministro Graziano Delrio, relativo ad un nuovo percorso della linea Torino-Lione, è un tentativo di recuperare consenso per il Partito democratico e per Matteo Renzi, di cui si conosce l’originaria contrarietà al Tav, in un territorio turbolento e paradigmatico di molti altri fronti aperti, ebbene si deve sapere che in val Susa in questi anni non è crollato il consenso verso un’organizzazione politica: è crollato il consenso verso lo Stato.

Una situazione molto più grave di quanto appaia.

Il ministro delle infrastrutture ha parlato di una «intelligente rivisitazione del progetto» che porta al taglio dei costi pari a due miliardi e mezzo di euro. Viene cancellata la galleria da venti chilometri sul territorio torinese, un’opera impossibile perché avrebbe squassato l’intera regione ovest di Torino per anni, e si valorizza il riutilizzo della linea storica.

Rimane il tunnel di base, il piatto forte. Da un punto di vista trasportistico resta insuperabile l’assunto fisico secondo cui la portata massima di una sezione è sempre quella più stretta. Quindi, in poche parole: si potrà anche fare un tunnel gigantesco, ma se al termine di questo tunnel si trova una strozzatura sarà questa a determinare la portata massima. Quindi la portata massima della futuribile Torino-Lione sarà quella della linea storica. Esattamente ciò che succederebbe se venisse costruito il ponte sullo stretto di Messina.

In ogni caso questo sarebbe un non problema, perché come sottolineato da tutti gli studi scientifici prodotti fino ad ora, perfino da quelli dell’osservatorio, i flussi merce sono in picchiata al ribasso da anni e la linea storica è utilizzata, al momento, per una frazione della sua capacità massima.

Dal movimento No Tav giunge una pioggia di critiche, laddove si sperava ci fosse ben altra accoglienza ad un annuncio trionfale: «In realtà l’abile operazione di propaganda nasconde il fatto che anche l’Italia, come già la Francia, deve fare i conti con la disponibilità di soldi, ed è costretta a realizzare la Torino-Lione a pezzi, con un orizzonte di completamento che va oltre il 2050.

L’utilizzo della ferrovia esistente sarebbe così transitorio, per alcuni anni a partire dal 2030, ma il resto verrebbe costruito in seguito. Il millantato risparmio sui costi deriva dal fatto che si confronta la spesa per la sola fase 1 con quella per l’intero progetto originale: in realtà, alla fine, il tutto costerà ben di più».

Intanto il movimento No Tav appare rinvigorito dalle ultime avventurose misure cautelari della Procura di Torino verso quattro ultrasettantenni, nonché dall’annuncio “ecologista” del ministro Graziano Delrio.

Non è la prima sforbiciata che si abbatte sul progetto Torino-Lione. Nel 2006, dopo i violenti scontri di Venaus e l’istituzione del cosiddetto Osservatorio Tecnico, presieduto allora da Mario Virano, fu cancellato il progetto che passava a nord del fiume Dora Riparia. Gli scontri servirono a far accettare che lungo quel percorso era effettivamente presente roccia amiantifera in gran quantità.

Nel corso degli anni un interessante intreccio fatto di annunci, firme e controfirme di accordi, marce di protesta e inesorabili perdite di fondi e pezzi di progetto, hanno portato all’attuale situazione: aggravata dalla recente vittoria del Movimento 5 Stelle a Torino con la sindaca Chiara Appendino. Situazione vagamente complessa da gestire non solo sul piano politico, ma anche su quello toponomastico, perché la Torino-Lione ha perso una delle due città da cui prende il nome. Potrebbe però diventare in futuro Orbassano-Lione o Novara-Lione.
In realtà quanto accade in queste ore appare come un passo sostanzioso verso un’uscita controllata dal ginepraio alta velocità in val Susa. Una sorta di Tavexit, dove viene sacrificata la lobby pro Tav del Pd torinese, dominata dalla vecchia guardia battuta alla recenti elezioni comunali, e mal tollerata da Matteo Renzi per ragioni anagrafiche e politiche.

Ma in un virulento editoriale pubblicato su formiche.net, il renzianissimo, e potente, Umberto Minopoli stronca la nuova strategia del capo del governo e scrive: «Ora mi è più chiara la demente affermazione che il Corriere della sera attribuiva, qualche giorno fa, al quartier generale renziano: “prenderemo provvedimenti ad hoc per parlare agli elettori grillini”. Cioè (tradotto) “cambieremo l’agenda di governo e faremo cose che servono a parlare agli elettori grillini”. Insomma: useremo il governo per la campagna elettorale. Mi indigno. Ora comincio a credere che Renzi possa davvero pianificare a tavolino mosse populiste».

Torino-Lione, il governo diventa Nì Tavultima modifica: 2016-07-05T10:23:52+02:00da davi-luciano
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