La vera catastrofe post Brexit: i 400 più ricchi al mondo hanno perso 127 miliardi!

chi sostiene la Ue sostiene l’1% che vive alle spalle dei popoli, quella gente incolta e disgustosta….(per cui è giusto depredarla)
 
ricchi
Per tutti coloro che hanno lanciato anatemi da fine del mondo imminente e minacce di ogni sorta contro la Brexit, inclusi i seguaci di George Soros italiani come il vice-direttore del Fatto Quotidiano Stefano Feltri e la stampa italiana tutta, un dato interessante è emerso dal crollo dei mercati di ieri che non è stato sottolineato a sufficienza: Londra è stata di gran lunga la migliore tra le borse europee. Non doveva essere il Regno Unito a temere di più della Brexit?
Come sottolinea il blog finanziario Zero Hedge, in un mondo “in cui le banche centrali stanno cercando in tutti i modi di svalutare la propria moneta per acquisire competitività nel commercio mondiale, un collasso della sterlina è esattamente quello che la Banca d’Inghilterra deve auspicarsi per rilanciare l’economia inglese”.
Quello che abbiamo visto venerdì è che chi perderà di più dalla Brexit non sarà il Regno Unito, ma l’Unione Europea.
 
Ma chi sarà che perderà di più nello specifico?
I dati pubblicati da Bloomberg sono eloquenti nella risposta. I 15 cittadini britannici più ricchi hanno perso 5,5 miliardi. Il più ricco, Gerald Grosvenor, ha perso un miliardo, secondo il Bloomberg Billionaires Index.
Ma, nello specifico, Bloomberg aggiunge che i 400 più ricchi al mondo hanno perso venerdì 127,4 miliardi.
 
Nel complesso, i miliardari tycoon hanno perso il 3.2 percento del loro patrimonio complessivo, il più sfortunato è l’uomo più ricco d’Europa, Amancio Ortega, con oltre 6 miliardi di dollari di perdite.
Quando George Soros minacciava ogni giorno fino a giovedì “Il Brexit vi renderà più poveri”, in realtà stava dicendo “mi renderà più povero”.
Il famoso 1%, anzi lo 0,01%, dell’oligarchia al potere, si sta impoverendo dalla decisione sovrana e democratica inglese. Un’altra notizia positiva della Brexit è che potrebbe migliorare la drammatica disuguaglianza sociale europea.
 
Notizia del: 25/06/2016

Non solo Brexit: anche Finlandia e Repubblica Ceca in campo contro l’Ue

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Roma, 27 feb – Il referendum sulla cosiddetta “Brexit”, previsto per giugno e sul quale opinione pubblica e partiti inglesi si stanno spaccando (anche al loro interno) ha fatto tornare nell’agenda politica il tema dei rapporti con l’Unione Europea. E non solo in Gran Bretagna, dato che in rampa di lancio – sia pur solo a livello per ora informale – sulla falsariga di Londra sono anche Finlandia, Repubblica Ceca e, sorprendentemente, anche l’Olanda.
 
Partiamo dalla prima. Ricordate quando il governo di Helsinki chiedeva, come garanzia per i prestiti alla Grecia, di ipotecare il Partenone? Il tempo è sacro perché non è in vendita, osservava Ezra Pound. E anche solo ipotizzare una cosa del genere è lesa maestà, oltre ad essere pensiero decisamente infausto. Sì, perché ora è la Finlandia ad essere sprofondata in una crisi drammatica: l’industria della carta è travolta dalla progressiva digitalizzazione, la Nokia non esiste praticamente più e il commercio è affossato dalla moneta unica non adottata dai vicini svedesi i quali hanno pian piano, negli anni, svalutato la propria divisa. A proposito di industria, soprattutto l’It, che era arrivata a contribuire il 10% del Pil e oggi vale un misero 4%, vi ricordare anche di Olli Rehn, il solerte commissario Ue che chiedeva a tutti tagli e riforme? 
 
Oggi di mestiere fa il ministro dell’industria. E avrà di che essere orgoglioso, dato che la Finlandia ha un rapporto debito/Pil al 61% e il mercato del lavoro è flessibile tanto da essere all’ottavo posto al mondo per competitività. Ecco i risultati: il Pil non cresce dal 2008 e il 2015 è stato il quarto anno consecutivo di recessione. A pesare, come detto, è il confronto con la vicina Svezia, anche lei all’interno dell’Ue ma con una valuta propria che le consente di avere una maggiore flessibilità (questa, sì, utile) in termini di cambio, tanto da essere circa il 15% più competitiva del vicino. “A questo problema possiamo ovviare solo in due modi: o tagliando i salari o ristabilendo la flessibilità del cambio”, ha commentato il ministro delle Finanze, l’ex premier Alexander Stubb, parte di un governo di coalizione del quale fanno parte anche i sovranisti euroscettici dei Veri Finlandesi. Osservazione non da poco nell’ingessato dibattito euro sì/euro no, dato che mette in chiaro il vero problema della moneta unica. Fatto sta che, da aprile, il parlamento di Helsinki comincerà a discutere su cosa fare da grande, vale a dire se rimanere nel consesso comunitario e, se sì, in che modo.
 
Discorso opposto a quello della Finlandia – e molto più simile a quello della Gran Bretagna – è il caso della Repubblica Ceca. Il paese è in crescita da tempo (nel 2015 +4.6%, con la produzione industriale a +5.2%). “Se la Gran Bretagna lascerà l’Ue, ci si dovrà aspettare dopo qualche anno un dibattito sull’uscita della Repubblica Ceca“, ha spiegato il premier Bohuslav Sobotka, non nascondendo le preoccupazioni per l’ipotesi “Czexit“, dato che “‘impatto rischia di essere veramente enorme e potrebbe riportare il paese sotto l’influenza della Russia”. Anche dalle parti di Praga, sia pur con tempi più lunghi, il dibattito è già iniziato.
 
Stessa storia anche per l’Olanda, dove la già ribattezzata “Netherexit” potrebbe trovare terreno fertile. Secondo un sondaggio, il 53% degli olandesi sarebbero infatti favorevoli a che si tenga un referendum in materia. E sempre secondo la rilevazione il 44% sarebbe a favore dell’uscita dall’Ue, percentuale pari a chi invece vorrebbe rimanervi.
 
La Brexit è solo un’eccezione o la prima pedina di un effetto domino?
Aggiunto da Filippo Burla il 27 febbraio 2016.

Nella “democratica” Europa se il voto non piace…. si ripete! La petizione per un nuovo referendum anti-Brexit

di Diego Angelo Bertozzi
 
Nella “democratica” Europa c’è chi chiede di annullare un voto libero perché il risultato non è piaciuto. La petizione di cui si parla qui – e che i nostrani “chierici” dell’europeismo diffondono con compiacimento (sperando pure nella secessione scozzese) – prevede un meccanismo che porta ad un solo ed unico risultato, svuotando di fatto il ricorso alle urne. Perché – mi chiedo – non introdurre schede precompilate?
Eventi come la vittoria della cosiddetta “Brexit” servono a mostrare e approfondire tutte le contraddizioni di una costruzione europea che di democratico non ha proprio nulla.
 
Servono a squarciare il velo di Maya che ha per troppo tempo nascosto la natura autoritaria di un dominio di classe che, forte di una capacità egemonica incontrastata, può spudoratamente mettere in discussione gli istituti basilari della democrazia e portare indietro di un secolo le lancette della storia.
 
E solo poco più di un mese fa, negli Stati Uniti sulle colonne del Washington Post c’è stato chi, per impedire una vittoria di Trump, ha chiesto di rivedere l’accesso al diritto di voto, chiedendo di fatto di riconoscerlo solo ad un elettorato colto e consapevole, vale a dire ad una minoranza privilegiata.
 
Notizia del: 25/06/2016

Brexit. Dal nazismo all’Isis: tutte le incredibili bufale della stampa italiana

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di Marco Montoro
“Il voto favorevole all’uscita, senza mezzi termini, dell’Uk dalla comunità europea, ha generato l’ennesimo chiarissimo esempio dell’uso strumentale e manipolatorio dell’informazione, sempre schierata a sostegno dell’europeismo convinto. Allarmismo, confusione, disinformazione e manipolazione dei dati stanno creando un clima di agitazione il cui chiaro obiettivo è quello di promuovere un retro front del risultato e scoraggiare spirito di emulazione da parte di nuovi movimenti pro-exit. Il risultato, ad oggi, non ha infatti alcun valore legale, in quanto il parlamento, secondo la forma referendaria inglese, potrebbe anche non tener conto dell’esito. C’è quindi una assai remota possibilità che il Brexit non si realizzi. E la stampa, strumento politico, sta puntando a questo.
 
A tal proposito, cosa meglio di forti agitazioni di piazza, ripensamento degli elettori più emotivi e minacce di ritorsione (aziende pronte a traslocare in 24 ore) pur di creare quell’ultima, estrema, possibilità che giustifichi l’annullamento del risultato?
Ma non solo. Si sta concretamente paventando l’ipotesi di un secondo referendum, che viene pubblicizzato con enfasi nelle ultime ore, proprio su tutti i quotidiani europei (addirittura col link e le indicazioni sul come votare) per cancellare il risultato del primo. Eh sì, se il risultato di un referendum è sgradito, allora se ne organizza un altro, sperando che stavolta accontenti le oligarchie sovranazionali che lo promuovono.
 
E’ qui che entra in gioco la stampa. Potentissima arma che orienta consensi elettorali e scredita democratici risultati referendari. Il messaggio ufficiale dei quotidiani, in tutti gli stati europei, schierati e compatti, è a senso unico: uscire dalla comunità europea, significa catastrofe.
 
In particolare, mi soffermerò su alcune notizie apparse sui principali quotidiani italiani, dimostrandone la totale infondatezza. Alcune notizie sfiorano il surreale e denotano un nauseante infantilismo accompagnato ad una chiara mistificazione della realtà oggettiva (l’idea che mezzi di informazione che raggiungono 2 milioni di lettori, come “LaRepubblica”, sia in mano a certe persone, è preoccupante).
 
Andiamo per ordine di assurdità:
1 La balla che pongo al primo posto, è del famoso vignettista Ellekappa. Ebbene, secondo il suo originale pensiero, la situazione attuale starebbe promuovendo il ritorno del nazifascimo. Eh sì. Se esci dalla comunità europea, allora promuovi il nazismo. Strano, non ricordo molti referendum durante quel periodo.
 
2 ISIS. Ebbene sì. Secondo qualche sconosciuto nesso logico, uscire dalla Comunità Europea aumenterebbe il rischio di attentati. Magari, con semplicità, si potrebbe ipotizzare che uscirne li riduce, essendo, almeno a parole, la Comunità Europea impegnata nella lotta al terrorismo. E invece no. Se esci dall’Ue, ti becchi l’attentato. Suona più come una minaccia, oserei dire. Pubblicata in prima pagina sui quotidiani italiani ed esteri, ovviamente.
 
3 L’etichettatura dei votanti. Già. Al fine di screditare il risultato, si è detto che chi ha votato per il “leave” è: un ignorante, xenofobo, anziano e rincoglionito, egoista che non tiene a cuore le generazioni future, sgrammaticato, povero e non sa neanche cosa è l’Europa. Mmm. Interessante. Allora mi chiedo da quali dati provengano queste accurate descrizioni, visto che se hai toppato clamorosamente anche il “semplice” risultato finale (il “remain” era dato vicino al 60% con assolutissima sicurezza), mi sembra strano che tu sia in grado di estrapolare dettagli come il livello culturale, il reddito dichiarato, l’orientamento verso gli immigrati ed altri fini particolari dell’elettorato. Su 45 milioni di abitanti, leggendo i quotidiani, si deduce che 23 milioni di elettori su 45 siano anziani, ignoranti e xenofobi.
 
4 Non si potrà più studiare a Londra. Eh già. Lo dice un professore bocconiano. Che probabilmente non conosce i numerosi scambi di studio, Erasmus a parte, che avvengono tra università europee e cinesi, americane, canadesi, russe e turche. La permanenza o meno di uno stato nell’Ue non influenza gli scambi, in quanto questi sono promossi dalle università, indipendentemente dal far parte o meno di particolari accordi internazionali. Ma diciamolo lo stesso, così spaventiamo un po’ quegli under 25 dubbiosi e i genitori. (Aggiungo che tutt’oggi, il sistema inglese, per alcune professioni non riconosce gli studi svolti in Europa, che vanno parificati con alcuni esami e praticantato in Uk. Mestieri come l’architetto, il medico o l’infermiere, non potevi svolgerli già nell’europeissima Uk).
 
5 La borsa crollerà, la sterlina anche. A dire il vero, il giorno dopo, l’unica borsa che non è crollata è stata proprio quella inglese, forse più scaltra ed avveduta di quelle europee, che cercando di speculare puntando molto sul “remain”, si sono ritrovate invece perdite del 12%, (vedi Italia e Francia). Quanto ha perso quella inglese? Solo il 2%. Che strano. Quanto alla sterlina, il valore risalirà. Ha retto il colpo il rublo russo, subendo sanzioni e prezzi dimezzati di gas e petrolio, figuriamoci la moneta inglese.
 
La lista delle balle spacciate per notizie ufficiali, al fine di scatenare movimenti di dissenso e protesta per influenzare l’esito dell’approvazione del referendum, sta proseguendo poi, nelle ultime ore, con una incredibile quantità di demenziali articoli spudoratamente anti “leave”, che dichiarano fantomatiche prospettive, tra cui:
la lingua inglese, non sarà più studiata e diverrà inutile.
 
Il famoso campionato di calcio inglese, la Premier League, diventerà pessimo e inguardabile. Il famoso e trionfante allenatore di calcio Claudio Ranieri, sarà costretto a tornare in Italia. Gli inglesi non potranno più mangiare cibo italiano. Le aziende italiane non potranno più esportare. Gli inglesi stanno cercando su google come ottenere il passaporto irlandese. Alcuni inglesi, sconosciuti, non si sa bene a chi e quando, dichiarano di volere il passaporto italiano. A Londra stanno raccogliendo le firme per uscire non dall’Ue, ma proprio dall’Uk. 
 
I cittadini inglesi non potranno più viaggiare. Gli italiani che vorranno andare a Londra avranno problemi a comprare biglietti con le low-cost inglesi (non si specifica bene quali, basta il titolo allarmista e la foto dell’aereo sul link dell’articolo). Molti milioni di inglesi, non sanno neanche cosa è la Comunità Europea, e quindi dopo aver votato sono corsi a casa a digitare su Google in cerca di informazioni (ricordiamo la neutralissima agenzia Google, al servizio dell’intelligence Usa, che sicuramente fornisce risultati trasparenti ed affidabili). Molte aziende di Londra, sono già pronte a traslocare in Irlanda.
E mi fermo qui, perchè l’elenco sta diventando sempre più folto… e imbarazzante.
Vi chiederete. Per quale motivo tanta insistenza sulla stampa e i social network italiani, se il voto è in Uk? Basta una cifra: 500.000. Ovvero, il numero degli italiani residenti a Londra. Senza contare quelli nel resto dell’Uk. Tra di loro, molti possono votare. E non da meno, influenzare la scelta di compagni/e, conoscenti, amici di nazionalità inglese, scozzese, irlandese. Aggiungiamo la colonia di francesi, spagnoli, tedeschi ecc ecc?
Ed ecco quindi come la stampa non indipendente, europeista e manipolatoria, da un lato ti influenza l’esito delle votazioni, dall’altro ti getta fango sul risultato al fine di demotivare nuovi, ipotetici, movimenti pro-exit.
Quando la stampa è di parte, la democrazia non è più tale.”
Notizia del: 25/06/2016

Ciao ciao Europa: è Brexit!

Junker ovviamente minaccia, cosa non fanno questi servi dei banchieri per salvare le vite della generazione Erasums………mica per i mercati eh
 
Beppe Servergnini getta disprezzo e disgusto per i vecchi e i campagnoli che hanno votato a favore, un grande esempio di moralmente superiore. Questa gente dei PARIOLI dopo aver CANCELLATO le pensioni su ordine della troika e sempre grazia alla troika distrutto la vita degli agricoltori e allevatori li internererebbe volentieri nei campi di sterminio, non si sono accorti che la Ue è un campo di sterminio, chiedere ai greci proprio per chi non vuol vedere gli effetti sugli italiani.
Personalmente provo disgusto e disprezzo PER QUESTI SNOB DI MERDA
 
di Giulio Zotta – 24/06/2016
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Fonte: l’Opinione Pubblica
 
Alla fine il “miracolo” c’è stato, nonostante tutto e tutti: il Regno Unito riscrive la storia e vota per uscire dall’Unione Europea. Il Leave ha prevalso con il 51.89% e quasi 17 milioni e mezzo di voti mentre il Remain si è dovuto accontentare del 48.11%. L’affluenza alle urne è stata del 72.2%. Gli opinion poll circolati subito dopo la chiusura delle urne avevano illuso il fronte pro-UE assegnando alRemain il 52% ma i dati reali hanno capovolto questa previsione durante la notte.
 
L’Inghilterra vota omogeneamente per la Brexit, a parte Londra: a fare da traino è soprattutto il Centro-nord impoverito dalla crisi. Anche il Galles è in maggioranza anti-europeista, mentre in Scozia e Irlanda del Nord c’è una larga maggioranza a favore dell’UE. In particolare gli indipendentisti scozzesi hanno già fatto sapere di voler indire un nuovo referendum per l’indipendenza dalla Regno Unito per poter ricongiungersi all’UE.
 
Il premier David Cameron, che entra (in)volontariamente nella storia come il premier della Brexit (essendo stata sua l’idea di indire il referendum, ma per rimanere nell’UE alle sue condizioni), ha annunciato le dimissioni a ottobre.
 
Il Consiglio Europeo previsto per la settimana prossima già potrebbe essere il primo dell’Europa a 27 Stati. I leader europei provano a reagire allo choc invocando la strada dell’unità, secondo le parole del presidente del consiglio Donald Tusk. Dalla Germania il presidente del parlamento europeo Schulz si consola ricordando l’ambiguità che ha da sempre contraddistinto il rapporto tra l’UE e il Regno Unito. Adesso si apre una fase di negoziazioni che durerà almeno due anni.
 
Le borse hanno aperto la giornata in modo catastrofico, crollando anche del 10% come non accadeva dal 2008. Crolla anche il valore della sterlina. L’esito del referendum e l’incertezza del futuro terrorizzano i mercati mentre gli euroscettici di tutta Europa esultano sperando nell’effetto domino che potrebbe coinvolgere gli altri paesi.
 
Il leader dell’UKIP Nigel Farage e l’ex sindaco di Londra Boris Johnson sono gli assoluti trionfatori di questa svolta storica. Oltre ad aver guidato il popolo britannico verso un traguardo storico, Farage riesce a coronare la sua carriera ventennale incentrata quasi totalmente sulla lotta al Moloch europeo, mentre Johnson vince la sua scommessa personale contro Cameron e non è escluso che possa diventare proprio lui il prossimo leader e premier per i Conservatori. A sinistra, gli occhi sono puntati sul Labour di Jeremy Corbyn, ex euroscettico poi convertito al Remain, ma che indubbiamente potrebbe avvantaggiarsi di questa situazione approfittando della probabile crisi dei conservatori e riproponendo con più forza il suo programma socialdemocratico libero dai lacci e lacciuoli europei che in venti anni hanno impedito l’applicazione di qualsivoglia politica nazionale di stampo keynesiano.
 
Esultanza ed entusiasmo per gli euroscettici dunque, e choc e disillusione per gli europeisti, che per la prima vera volta sbattono con il muro che negli anni si è venuto alzando tra le elites di governo e il popolo. A nulla sono valsi gli allarmismi e il catastrofismo martellante propagandato dalle istituzioni e dai media al seguito. A nulla è valsa la vergognosa strumentalizzazione dell’omicidio di Jo Cox, che aveva fatto esultare i mercati e aveva ribaltato i sondaggi a una settimana dal voto, facendo credere che il Remain fosse ormai passato saldamente in testa. Basti pensare che fino a ieri le borse restavano euforiche dando per scontato l’esito della consultazione. Neanche gli interventi a gamba tesa dei leader esteri, da Obama a Renzi e Schauble, hanno potuto impedire che vincesse il Leave.
 
Il Regno Unito, che già godeva di uno “status speciale” all’interno dell’UE, decide di riprendersi definitivamente la propria sovranità, mettendo a nudo tutte le debolezze del progetto europeo: il messaggio che passa è che se il popolo fosse lasciato libero di esprimersi su questo progetto potrebbero veramente non esserci più speranze per il castello di carte europeo tenuto insieme solo da una cultura ultra-finanziaria e anti-democratica che ha finito con l’esasperare soprattutto gli strati della popolazione più colpiti dalla crisi. 
 
Il referendum in Grecia, poi tradito, era stato il campanello d’allarme, così come l’impetuosa avanzata dei movimenti euroscettici in tutta Europa, la Brexit certifica la bontà di questa analisi. Diffidate quindi di chi vi verrà a parlare di un voto meramente “di protesta”, “di paura”, da parte dei “meno acculturati” se non addirittura dei “nostalgici” e dei “nazionalisti”: sono le parole un po’ sprezzanti di chi è stato preso in contropiede da una consultazione democratica che gli europeisti hanno tentato di macchiare in ogni modo, facendo terrorismo psicologico e esacerbando le difficoltà (che pure ci saranno) dettate dall’uscita da un’organizzazione diventata così pervasiva nello sviluppo delle leggi e delle misure economiche nei singoli Stati nazionali.
 
Ora l’Unione adesso dovrà guardarsi dal possibile “contagio”, sia nei paesi dove è tecnicamente possibile un referendum sia in quelli dove non lo è, come l’Italia, dove i primi a celebrare la vittoria della Brexit sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni, mentre dal blog di Beppe Grillo non arriva nessun commento ufficiale (mentre Alessandro Di Battista dedica uno scritto alla necessità della sovranità e della democrazia diretta nei riguardi di un’Europa di banchieri). E’ molto difficile credere che l’UE possa cambiare davvero e sia riformabile dall’interno. Così come è impensabile credere di poter sotterrare gli orgogli nazionali (che non significano nazionalismo aggressivo e sciovinismo) in nome di un’identità europea artificiale o comunque non sufficiente per costruire la tanto sognata “federazione”. Dal popolo britannico l’Europa dei potenti ha ricevuto una sonora lezione mentre i popoli europei un esempio e la certezza che vi siano anche altre strade percorribili.

Ancora propaganda anti brexit

continua la propaganda contro il brexit, hanno scatenato i loro scagnozzi dell’Isis (che hanno un portavoce, siti ufficiali sempre attivi ed aggiornati….)

Is Brexit
 

Is: “Sfruttiamo Brexit, colpite Bruxelles e Berlino”

 city brexit
RI brexit
i democratici servi dei banchieri che governano la UE vogliono già imporre agli inglesi DI RIVOTARE.

Questi luridi vecchi straccioni popolo di contadini ignoranti e zotici, ORA AI SAGGI DEI SALOTTINI AL CAVIALE TOCCA RIFARE TUTTO…
 
Ovviamente il quotidiano dei radical chic marchettari del MERCATO pubblica il LAMENTO DEI POVERI INDUSTRIALI (liberali coi soldi di stato)
 
Confindustria: “Italia ripiomba in recessione con il no al referendum di ottobre”
 
Per gli industriali con il no alla riforma Boschi il Pil cala di quattro punti in tre anni, gli investimenti crollano di venti punti, si perdono 600 mila posti di lavoro. Uno scenario da incubo che rischia però il cortocircuito. Come in Gran Bretagna per la Brexit
 
di VALENTINA CONTE
 
propaganda anti brexit

Invito presentazione documentario “Archiviato. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa” 5 luglio 2016

“ARCHIVIATO. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa”

Martedì 5 luglio 2016 ore 20.30

Galleria d’Arte Moderna, Via Magenta 31, Torino

Il video, che ha fruito della collaborazione, tra gli altri, di Elio Germano come voce narrante, nasce dall’esigenza di raccontare uno dei molteplici risvolti giudiziari legati alla lotta popolare valsusina.

Come in tutte le aree di acuito conflitto sociale la contrapposizione, ed a volte lo scontro fisico, tra coloro che protestano e le forze dell’ordine determina l’intervento dell’Autorità Giudiziaria chiamata a perseguire gli autori di condotte violente o comunque illecite da chiunque agite, manifestanti o agenti di polizia.

L’art. 112 della Costituzione sancisce che “il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”: ciò significa che la Procura è tenuta ad indagare su ogni notizia di reato venga denunciata o giunga alla sua attenzione e che ha poi il dovere di chiedere al giudice di verificarne, in un pubblico processo, la fondatezza.

Tale principio è posto a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini ed ha lo scopo dichiarato di eliminare ogni possibile valutazione discrezionale del Pubblico Ministero sulle notizie di reato che pervengono alla Procura della Repubblica.

Naturalmente tale imprescindibile obbligo trova un ovvio e giustificato temperamento nella possibilità del Pubblico Ministero di richiedere l’archiviazione di un procedimento penale tutte le volte in cui le indagini che ha svolto abbiano accertato l’infondatezza della notizia di reato o l’impossibilità oggettiva di attribuirla ad un autore.

L’idea del filmato nasce dalla constatazione di come gli illeciti commessi da agenti e funzionari di pubblica sicurezza ai danni di manifestanti o fermati, ampiamente documentati dai media, non determinino i medesimi esiti giudiziari di quelli commessi dai manifestanti.

Nel contenuto ma emblematico contesto valsusino tale discrasia assume caratteri macroscopici: centinaia di denunce e procedimenti penali avviati nei confronti di attivisti e simpatizzanti del Movimento Notav, anche e soprattutto per reati bagatellari, trovano immancabile sbocco in processi e sentenze, mentre le decine di querele, denunce ed esposti per gli abusi compiuti dalle forze dell’ordine, anche gravemente lesivi dei diritti e dell’incolumità dei manifestanti, non sono mai giunti al vaglio di un processo.

Il documentario “ARCHIVIATO. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa” affronta dunque il delicato tema della tutela giudiziaria delle persone offese dai reati commessi dagli agenti e dai funzionari appartenenti alle varie forze dell’ordine e per farlo si avvale di immagini e documenti, per lo più inediti.

Il filmato, all’inevitabile e drammatica rappresentazione delle violenze subite dai manifestanti nel corso delle operazioni di ordine pubblico condotte dalla polizia in Valsusa, fa seguire la narrazione del successivo iter processuale sino al suo disarmante e preoccupante epilogo.

Il lavoro è stato realizzato con il patrocinio di cinque associazioni: Controsservatorio Valsusa; Antigone – per i diritti e le garanzie del sistema penale;    A buon diritto – associazione per le libertà;   Associazione Nazionale Giuristi Democratici; L’altro diritto – Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità.

Il trailer del documentario: https://youtu.be/ulPMmHrM20M

Contatti:archiviato.valsusa@gmail.com                                          Sito: https://archiviatoblog.wordpress.com/

Pagina Facebook:Archiviato – l’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa

Brexit, Soru (Pd): fare il referendum è stato un errore politico

povero Pd, non rappresenta nessuno in Italia ma vuole decidere anche per gli inglesi
 
venerdì, 24, giugno, 2016
 
“Il referendum sulla Brexit è un improprio baratto tra politica nazionale e visione storica. È stato un grave errore politico portare un Paese a scegliere se restare o meno nella UE e Cameron fa bene a dimettersi”: è l’opinione espressa dall’europarlamentare del Pd Renato Soru. La Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dalla compagine dei 28 Paesi che compongono l’Unione europea, giunge come una doccia fredda.
 
Per questo, dice l’eurodeputato, “rassicura che la nostra Costituzione non preveda referendum sui trattati internazionali. La scelta che ha fatto la maggioranza dei cittadini britannici non riguarda solo i loro confini ma ricade, con conseguenze imprevedibili, su ognuno dei 500 milioni di cittadini europei. Su noi tutti”. tiscali

Inghiterra: è brexit, per Di Battista il “Referendum è la strada giusta anche per l’Italia”

È Brexit: gli inglesi sono fuori dall’Unione Europea e scrivono la storia: è l’alba di una nuova Europa, dove ci si può ribellare e da dove si può anche andare via.
 
brexit
Non è bastato il “solito” omicidio ad orologeria scattato una settimana prima del voto della deputata laburista filo europeista Jo Cox, a cambiare l’esito del voto.
 
Non chiamateci complottisti, prendiamo semplicemente atto delle evidenti circostanze, all’indomani dell’omicidio, Cristine Lagarde presidente del F.M.I., insieme a tutti vertici Europei brindava sorridendo, dichiarando: “ il pericolo brexit è scampato”, come volete interpretare questi fatti?
 
Ma torniamo alla brexit, il fronte del Leave ha vinto il referendum sulla permanenza della Gran Bretagna in Ue. Il Leave è al 52%, con quasi un milione di voti di vantaggio. Con questo voto, il Regno Unito dice addio all’Unione Europea. Ed arrivano i primi contraccolpi del “mercati”, crolla la sterlina che ha toccato i minimi dal 1985 e colano a picco le borse di Tokyo, Seul, Sidney.
 
Skynews ipotizza le dimissioni del premier David Cameron già domani. Il voto non è stato compatto, in Scozia ha vinto il Remain (1,66 milioni contro 1,01 milioni). In Irlanda del Nord ha vinto il Remain (0,44 milioni di voti contro 0,34). In Galles ha vinto il Leave (0,85 milioni di voti contro 0,77). Questo fa presupporre che ci saranno ulteriori code, la Scozia ad esempio si prepara a chiedere nuovamente un voto di secessione dalla Gran Bretagna.
 
Da oggi l’Europa in ogni caso, non sarà più la stessa, il significato di questo voto va oltre la semplice uscita dell’Inghilterra dalla EU, che apre scenari di emulazione imprevedibili.
 
Ieri c’era stato un comunicato di Beppe Grillo, che aveva fatto storcere il naso agli stessi iscritti al movimento: “Il Movimento 5 Stelle è in Europa e non ha nessuna intenzione di abbandonarla. Se non fossimo interessati all’Unione Europea non ci saremmo mai candidati; qui, invece, abbiamo eletto la seconda delegazione italiana. L’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Ue, ma ci sono molte cose di questa Europa che non funzionano. L’unico modo per cambiare questa ‘Unione’ è il costante impegno istituzionale, per questo il Movimento 5 Stelle si sta battendo per trasformare l’Ue dall’interno”.
 
Un comunicato che molti elettori del movimento hanno recepito come una doccia fredda, infatti poco dopo è arrivata la parziale correzione di Alessandro Di Battista, che ospite alla serata organizzata dall’ambasciata britannica di Roma, in occasione del referendum sulla Brexit in Gran Bretagna dichiarava : “Quello che è certo è che non appena a un popolo è permesso di scegliere si vedono i risultati. Quella è la strada, anche per noi”. Correzione che ha rasserenato gli animi dei grillini, da sempre favorevoli dall’uscita dalla Eu e dall’euro.
 
Gli inglesi dunque hanno sbattuto la porta in faccia all’unione europea, i sudditi di sua maestà, almeno da quello che è uscito dalle interviste, non sopportavano i vincoli, i lacci che i vertici europei impongono ai lori aderenti in tema di economia e commercio e sopratutto non sopportavano la perdita della loro sovranità nazionale, orgogliosi di essere sudditi di sua maestà la “regina”, la sola a cui si sentono obbligati ad ubbidire.
 
Cosa succederà, non è difficile prevederlo. Ci sarà immediatamente, la risposta “rabbiosa e punitiva” dei vertici europei verso la Gran Bretagna, così da intimidire eventuali tentativi di emulazione. Poi tutto dipenderà da come realmente si metterà per i britannici, se come prevediamo, la loro economia migliorerà, a dispetto dei gufi, anche forti del fatto che saranno liberi di fare affari con i russi, non essendo più vincolati alle sanzioni europee, be allora, per gli europeisti si metterà veramente male.

Incredibili britannici! Rinasce l’Europa dei popoli e ora può cambiare davvero tutto

QUEEN BREXIT
E ora cambia, davvero, tutto. La decisione degli elettori britannici di lasciare l’Unione europea è storica innanzitutto per il contesto elettorale in cui è maturata. Tutto, ma proprio tutto, lasciava presagire una vittoria del fronte europeista, soprattutto dopo l’uccisione della deputata Joe Cox, che aveva cambiato la dinamica e il clima della campagna elettorale a sette giorni dal voto. L’ondata del cordoglio è stata enorme. E infatti i sondaggi, i mercati, gli scommettitori davano il sì praticamente scontato.
 
Ci voleva un miracolo per ricambiare il corso della campagna elettorale. E miracolo c’è stato. Forse quel miracolo ha un nome e un volto. Quello della Regina Elisabetta. O meglio del quotidiano popolare più influente del mondo, il Sun, che mercoledì ha fatto lo scoop, lasciando intendere che Sua Maestà era favorevole all’uscita dalla Ue, rivitalizzando così le corde di un patriottismo che si pensava fosse diventato marginale e che invece vibra ancora nel cuore del popolo.
 
La tempra di un Paese ha prevalso sull’emozione e sul cordoglio. La Gran Bretagna fiera della propria autonomia, convinta della propria unicità, capace di scegliere da sola nei momenti topici della propria storia è risorta, dando ragione a Nigel Farage – un ex uomo d’affari che dal nulla ha creato un partito e trascinato un Paese a una svolta storica – e a Boris Johnson, il sindaco di Londra uscente, che non ha esitato a schierarsi contro l’establishment del proprio Paese, dando forza e autorevolezza al movimento anti-Ue.
 
Molti diranno che nei britannici ha prevalso la paura di un’immigrazione ed è innegabile che questo sia stato uno dei temi forti della campagna, ma non è stato un voto razzista ; semmai la prova che l’immigrazione è salutare e bene accetta se regolata, ma provoca comprensibili reazioni di rigetto quando diventa impetuosa e di massa. C’era di più, però, in questo referendum : c’era la volontà di difendere l’autenticità delle proprie istituzioni, della sovranità del voto popolare e dunque della propria democrazia. Di dire basta a un’Unione europea i cui meccanismi decisionali sono opachi, in cui il processo di integrazione viene portato avanti da un’élite transnazionale, vero potere dominante dell’Europa e non solo, tramite un processo caratterizzato da un persistente « deficit democratico », che li ha portati ad ignorare o ad aggirare la volontà dei popoli, ogni volta che si è opposta ai loro disegni. Talvolta persino a calpestare, come accadde un anno fa, quando la Troika costrinse Atene a rinnegare l’esito schiacciante di un referendum.
 
Lo stesso potrebbe avvenire oggi a Londra, considerato che il referendum era consultivo, ma sarebbe una scelta gravissima, al momento improbabile.
 
Ora si apre una fase di incertezza : i mercati la faranno pagare alla Gran Bretagna, e quell’establishment non si arrenderà facilmente. Vedremo. Quella di ieri è stata, però, una giornata davero storica. E’ la rivincita della sovranità nazionale. Per la prima volta un Paese ha dimostrato che il processo di unificazione europea non è ineluttabile, che dalla Ue si può uscire, rendendo concreta la possibilità che altri Paesi seguano l’esempio britannico. Un voto che costringerà l’Unione europea a gettare la maschera di fronte a un’Europa diversa, autentica, che molti pensavano defunta e che invece è forte e vitale, quella dei popoli. Alla faccia delle élite.