Brexit, il M5s prima vuole referendum anche in Italia. Poi cambia idea

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La coeRenzia a 5Stelle: notate che nella prima versione si dà per scontato l’uscita della moneta unica e si afferma la necessità di negoziare condizioni favorevoli con l’Ue, tanto da prospettare un referendum sulla permanenza dell’Italia nell’Ue, mentre nella seconda apparsa ieri sul dal blog di Grillo, non solo si nega decisamente la possibilità di abbandonare l’Unione, ma non si cita minimamente l’abbandono dell’euro. Chi continua a sostenere che il M5s non è cambiato, non è diventato parte integrante del sistema legga bene e confronti le due versioni. Ogni ulteriore commento ci sembra superfluo: il M5s farà la stessa fine di Tsipras. È solo una questione di tempo.
 
di Paolo Becchi | 24 giugno 2016

La vera catastrofe post Brexit: i 400 più ricchi al mondo hanno perso 127 miliardi!

chi sostiene la Ue sostiene l’1% che vive alle spalle dei popoli, quella gente incolta e disgustosta….(per cui è giusto depredarla)
 
ricchi
Per tutti coloro che hanno lanciato anatemi da fine del mondo imminente e minacce di ogni sorta contro la Brexit, inclusi i seguaci di George Soros italiani come il vice-direttore del Fatto Quotidiano Stefano Feltri e la stampa italiana tutta, un dato interessante è emerso dal crollo dei mercati di ieri che non è stato sottolineato a sufficienza: Londra è stata di gran lunga la migliore tra le borse europee. Non doveva essere il Regno Unito a temere di più della Brexit?
Come sottolinea il blog finanziario Zero Hedge, in un mondo “in cui le banche centrali stanno cercando in tutti i modi di svalutare la propria moneta per acquisire competitività nel commercio mondiale, un collasso della sterlina è esattamente quello che la Banca d’Inghilterra deve auspicarsi per rilanciare l’economia inglese”.
Quello che abbiamo visto venerdì è che chi perderà di più dalla Brexit non sarà il Regno Unito, ma l’Unione Europea.
 
Ma chi sarà che perderà di più nello specifico?
I dati pubblicati da Bloomberg sono eloquenti nella risposta. I 15 cittadini britannici più ricchi hanno perso 5,5 miliardi. Il più ricco, Gerald Grosvenor, ha perso un miliardo, secondo il Bloomberg Billionaires Index.
Ma, nello specifico, Bloomberg aggiunge che i 400 più ricchi al mondo hanno perso venerdì 127,4 miliardi.
 
Nel complesso, i miliardari tycoon hanno perso il 3.2 percento del loro patrimonio complessivo, il più sfortunato è l’uomo più ricco d’Europa, Amancio Ortega, con oltre 6 miliardi di dollari di perdite.
Quando George Soros minacciava ogni giorno fino a giovedì “Il Brexit vi renderà più poveri”, in realtà stava dicendo “mi renderà più povero”.
Il famoso 1%, anzi lo 0,01%, dell’oligarchia al potere, si sta impoverendo dalla decisione sovrana e democratica inglese. Un’altra notizia positiva della Brexit è che potrebbe migliorare la drammatica disuguaglianza sociale europea.
 
Notizia del: 25/06/2016

Non solo Brexit: anche Finlandia e Repubblica Ceca in campo contro l’Ue

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Roma, 27 feb – Il referendum sulla cosiddetta “Brexit”, previsto per giugno e sul quale opinione pubblica e partiti inglesi si stanno spaccando (anche al loro interno) ha fatto tornare nell’agenda politica il tema dei rapporti con l’Unione Europea. E non solo in Gran Bretagna, dato che in rampa di lancio – sia pur solo a livello per ora informale – sulla falsariga di Londra sono anche Finlandia, Repubblica Ceca e, sorprendentemente, anche l’Olanda.
 
Partiamo dalla prima. Ricordate quando il governo di Helsinki chiedeva, come garanzia per i prestiti alla Grecia, di ipotecare il Partenone? Il tempo è sacro perché non è in vendita, osservava Ezra Pound. E anche solo ipotizzare una cosa del genere è lesa maestà, oltre ad essere pensiero decisamente infausto. Sì, perché ora è la Finlandia ad essere sprofondata in una crisi drammatica: l’industria della carta è travolta dalla progressiva digitalizzazione, la Nokia non esiste praticamente più e il commercio è affossato dalla moneta unica non adottata dai vicini svedesi i quali hanno pian piano, negli anni, svalutato la propria divisa. A proposito di industria, soprattutto l’It, che era arrivata a contribuire il 10% del Pil e oggi vale un misero 4%, vi ricordare anche di Olli Rehn, il solerte commissario Ue che chiedeva a tutti tagli e riforme? 
 
Oggi di mestiere fa il ministro dell’industria. E avrà di che essere orgoglioso, dato che la Finlandia ha un rapporto debito/Pil al 61% e il mercato del lavoro è flessibile tanto da essere all’ottavo posto al mondo per competitività. Ecco i risultati: il Pil non cresce dal 2008 e il 2015 è stato il quarto anno consecutivo di recessione. A pesare, come detto, è il confronto con la vicina Svezia, anche lei all’interno dell’Ue ma con una valuta propria che le consente di avere una maggiore flessibilità (questa, sì, utile) in termini di cambio, tanto da essere circa il 15% più competitiva del vicino. “A questo problema possiamo ovviare solo in due modi: o tagliando i salari o ristabilendo la flessibilità del cambio”, ha commentato il ministro delle Finanze, l’ex premier Alexander Stubb, parte di un governo di coalizione del quale fanno parte anche i sovranisti euroscettici dei Veri Finlandesi. Osservazione non da poco nell’ingessato dibattito euro sì/euro no, dato che mette in chiaro il vero problema della moneta unica. Fatto sta che, da aprile, il parlamento di Helsinki comincerà a discutere su cosa fare da grande, vale a dire se rimanere nel consesso comunitario e, se sì, in che modo.
 
Discorso opposto a quello della Finlandia – e molto più simile a quello della Gran Bretagna – è il caso della Repubblica Ceca. Il paese è in crescita da tempo (nel 2015 +4.6%, con la produzione industriale a +5.2%). “Se la Gran Bretagna lascerà l’Ue, ci si dovrà aspettare dopo qualche anno un dibattito sull’uscita della Repubblica Ceca“, ha spiegato il premier Bohuslav Sobotka, non nascondendo le preoccupazioni per l’ipotesi “Czexit“, dato che “‘impatto rischia di essere veramente enorme e potrebbe riportare il paese sotto l’influenza della Russia”. Anche dalle parti di Praga, sia pur con tempi più lunghi, il dibattito è già iniziato.
 
Stessa storia anche per l’Olanda, dove la già ribattezzata “Netherexit” potrebbe trovare terreno fertile. Secondo un sondaggio, il 53% degli olandesi sarebbero infatti favorevoli a che si tenga un referendum in materia. E sempre secondo la rilevazione il 44% sarebbe a favore dell’uscita dall’Ue, percentuale pari a chi invece vorrebbe rimanervi.
 
La Brexit è solo un’eccezione o la prima pedina di un effetto domino?
Aggiunto da Filippo Burla il 27 febbraio 2016.

Nella “democratica” Europa se il voto non piace…. si ripete! La petizione per un nuovo referendum anti-Brexit

di Diego Angelo Bertozzi
 
Nella “democratica” Europa c’è chi chiede di annullare un voto libero perché il risultato non è piaciuto. La petizione di cui si parla qui – e che i nostrani “chierici” dell’europeismo diffondono con compiacimento (sperando pure nella secessione scozzese) – prevede un meccanismo che porta ad un solo ed unico risultato, svuotando di fatto il ricorso alle urne. Perché – mi chiedo – non introdurre schede precompilate?
Eventi come la vittoria della cosiddetta “Brexit” servono a mostrare e approfondire tutte le contraddizioni di una costruzione europea che di democratico non ha proprio nulla.
 
Servono a squarciare il velo di Maya che ha per troppo tempo nascosto la natura autoritaria di un dominio di classe che, forte di una capacità egemonica incontrastata, può spudoratamente mettere in discussione gli istituti basilari della democrazia e portare indietro di un secolo le lancette della storia.
 
E solo poco più di un mese fa, negli Stati Uniti sulle colonne del Washington Post c’è stato chi, per impedire una vittoria di Trump, ha chiesto di rivedere l’accesso al diritto di voto, chiedendo di fatto di riconoscerlo solo ad un elettorato colto e consapevole, vale a dire ad una minoranza privilegiata.
 
Notizia del: 25/06/2016