L’ultima di Draghi: abbassare gli stipendi per salvare l’euro

una vera novità come strategia…..come se gli stipendi non si DIMEZZARONO il giorno dopo l’introduzione dell’euro. 
Già, ma non si può essere POPULISTI, si deve essere elitisti.Questo BANCHIERE è colui che ha promesso che faranno di tutto contro il BREXIT, è una dichiarazione di 6 mesi fa, ma vale la pena fissarla in testa, tanto per capire per chi lavorano gli antipopulisti. I mercati vogliono stabilità, la gente non ne ha bisogno e deve essere flessibile, è progresso.
 
16/12/2015
Svalutazione non monetaria ma salariale. Bce vuole abbassare remunerazioni mantenendo l’obiettivo di una inflazione vicina alla soglia del 2%.
1 dic – BRUXELLES (WSI) – La Bce vuole abbassare le remunerazioni degli europei pur mantenendo l’obiettivo di una inflazione vicina alla soglia del 2% prestabilita.
Draghi ha lanciato un appello nemmeno troppo velato in cui chiede di poter aggiustare gli stipendi per aiutare l’euro. Si tratta in pratica di una svalutazione non monetaria bensì salariale nel blocco a 18.
Abbandonare così come salvare la moneta unica ha un prezo. “Il prezzo da pagare per voler mantenere a tutti i costi l’euro comporta dei costi economici, ma anche dei costi in termina di perdita di crescita e dei costi sociali”, dice Charles Sannat, giornalista e analista ‘contrarian’, professore di economia in diverse università di business parigine.
Ricapitolando, nelle sue ultime uscite ufficiali in pubblico, Draghi ha detto che “ogni economia deve essere abbastanza flessibile da trovare e sfruttare i suoi vantaggi concorrenziali, per poter beneficiare del mercato unico”.
Aggiungendo anche ogni paese deve essere abbastanza flessibile da “rispondere agli shock di breve termine, inclusi gliaggiustamenti al ribasso degli stipendi o il ribilanciamento delle risorse tra i settori“.
Il banchiere centrale ha spiegato che l’unione monteraria, sebbene irrevocabile rimane ancora incompleta senza il trasferimento del budget permanente tra i paesi e senza una forte mobilità di disoccupati tra i confini dell’Europa.
“La mancanza di riforme strutturali ha creato lo spettro di una divergenza economica permamente tra i membri del blocco a 18″, ha osservato Draghi.
Interrogato sui rischi di ritornare al sistema del XIX secolo, in cui i salari e i prezzi potevano abbassarsi e aumentare fortemente, Draghi ha difeso la necessità di adottare una “svalutazione interna” (ovvero abbassare i costi di un paese se non è possibile abbassare i tassi di cambio).
La principale lezione, secondo Draghi, che ci ha fornito la crisi è che “in seno all’Ue dobbiamo stare attenti a non lasciare che i salari e i prezzi deviino”. “Dobbiamo stare molto attenti a mantenere i paesi competitivi“.
Ma senza aggiustamenti monetari, non restano che aggiustamenti dei salari. La sola maniera relativamente rapida per ritrovare la competitività è abbassare gli stipendi, come è successo in Grecia e in Spagna.
In media gli spagnoli sono pagati 675 euro al mese e un greco 480 euro. Ma il vero problema è che la riduzione delle buste paga non è accompagnata da un calo dei prezzi necessari per poter veramente ritrovare la crescita economica o piuttosto dell’attività economica.
In pratica anche in caso di salario dimezzato, se l’affitto passasse da 600 euro al mese a 100 ovviamente il contraente ne uscirebbe vincitore. Ma non è il caso nel Sud d’Europa.
Parlando di “aberrazione economica” di proporzioni “storiche”, Sannat scrive che se la Bce ci chiede di abbassare i salari, lo stesso Draghi vuole mantenere l’inflazione vicina al 2%, ovvero un rincaro dei prezzi al consumo rispetto ai valori bassi attuali.
Il board della Bce dovrebbe decidere a maggioranza sulle nuove misure non convenzionali anti-deflazione, tra cui l’acquisto di titoli di Stato. Lo ha detto il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, secondo cui nella riunione della Banca centrale europea giovedì “mi sembra di aver capito chiaramente” che si va verso una “decisione a maggioranza”.
“Mi aspetto ragionevolmente delle scelte che non siano penalizzate da qualcuno che deve essere contrario per forza”.
Fonte: Économie Matin

Boris Johnson: La UE strumento dei forti per sfruttare i deboli. Appello agli inglesi

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Boris Johnson: La UE strumento dei forti per sfruttare i deboli. Appello…
 
16/06/2016
Alla conferenza del partito Tory dell’anno scorso ho attirato l’attenzione su di una statistica preoccupante sul modo in cui sta cambiando la nostra società. È la proporzione tra lo stipendio medio dei top manager del Ftse100 e quello del suo dipendente medio – ribadisco, medio – in azienda. Questa proporzione sembra in fase di esplosione a un ritmo straordinario, inspiegabile e francamente sospetto. Platone diceva che nessuno dovrebbe guadagnare più di cinque volte di chiunque altro. Be’, Platone si sarebbe stupito dalla crescita della disuguaglianza aziendale odierna. Nel 1980 la proporzione era 1 a 25. Nel 1998 era salita a 47. Dopo 10 anni di Tony Blair e Peter Mandelson – e del loro atteggiamento “intensamente rilassato” nei confronti degli “schifosamente ricchi” – i massimi dirigenti delle grandi aziende britanniche guadagnavano 120 volte la retribuzione media dei dipendenti di basso livello. Lo scorso anno la proporzione è arrivata a 130.
 
Quest’anno – stappando una bottiglia di champagne – i pezzi grossi hanno sfondato la barriera magica di 150.
 
Il Ceo medio del Ftse100 si porta a casa 150 volte lo stipendio del suo dipendente medio – e in alcuni casi molto di più. Non usiamo mezzi termini: queste persone guadagnano così tanti più soldi degli altri nella stessa società, che volano su jet privati e costruiscono piscine sotterranee, mentre molti dei loro dipendenti non possono nemmeno permettersi di acquistare alcun tipo di casa. C’è un signore là fuori che guadagna 810 volte la media dei suoi dipendenti. Cosa sta succedendo? È solo avidità, o favori reciproci dei comitati di remunerazione? Non c’è dubbio che ci racconteranno, come sempre, che questi sono “i prezzi di mercato”. Ma ho notato un’altra cosa di questi uomini del Ftse100 (e ho paura che siano quasi sempre uomini): che sono sempre felicissimi di sfilare per Downing Street e dichiarare la loro eterna devozione verso l’Ue. Firmano entusiasticamente lettere ai giornali, spiegando come sia fondamentale che restiamo nell’Ue. Credono che l’Ue faccia bene al loro business.
 
Ma come, esattamente? Il mercato unico è un microcosmo di bassa crescita. E’ cronicamente affetto da un elevato tasso di disoccupazione. 
I paesi dell’Ue sono gli ultimi della fila in quanto a crescita tra i paesi dell’Ocse; ed è incredibile che ci siano 27 paesi extracomunitari che hanno goduto di una crescita più veloce delle esportazioni di merci verso l’Ue della Gran Bretagna, a partire dall’avvio del mercato unico nel 1992, mentre 20 Paesi hanno fatto meglio di noi nell’esportazione di servizi. Far parte dell’Ue non è poi così conveniente per le aziende britanniche. Perciò che cosa piace dell’Ue a questi pezzi grossi? Sostanzialmente due cose. 
 
A loro piace l’immigrazione incontrollata, perché aiuta a mantenere bassi i salari dei lavori meno qualificati, e quindi aiuta a controllare i costi, e quindi ad assicurarsi che vi sia ancora più grasso da spartirsi per quelli che comandano. Un rifornimento costante di solerti lavoratori immigrati significa non doversi preoccupare più di tanto delle competenze o delle aspirazioni o della fiducia in sé stessi dei giovani che crescono nel loro paese.
 
E in quanto clienti di Learjets e frequentatori di salotti esclusivi, essi non sono solitamente esposti alle tipiche pressioni causate dall’immigrazione su larga scala, come quelle sull’intrattenimento, sulla scuola o sugli alloggi. Ma poi c’è una ragione ancor più sottile – il fatto che l’intero sistema di regole Ue è così lontano dai cittadini e opaco che i pezzi grossi possono volgerlo a loro vantaggio, al fine di mantenere le loro posizioni oligarchiche e, tenendo lontana la competizione, spingere la propria busta paga ancora più in alto.
 
Nel loro ottimo libro “Perché le Nazioni falliscono”, Daron Acemoglu e James A. Robinson spiegano come istituzioni politiche trasparenti siano essenziali per l’innovazione e la crescita economica. Distinguono tra le società “inclusive”, dove le persone si sentono coinvolte nelle loro democrazie ed economie, e società “esclusive”, dove il sistema è sempre più manipolato da una élite per proprio esclusivo vantaggio. L’Ue sta cominciando ad assumere alcune caratteristiche delle società “esclusive”. E’ dominata da un gruppo di pochi politici internazionali, lobbisti e affaristi.
 
Queste persone si conoscono a vicenda. Essendo parti di grandi aziende, possono permettersi di assumere qualcuno per seguire le complesse regole che vengono da Bruxelles. Possono fissare appuntamenti coi responsabili delle Commissioni. Possono perfino incontrarli alle conferenze o agli eventi – il più famoso di questi è Davos. In questo senso, hanno un immenso vantaggio rispetto alla maggioranza delle aziende del paese.La maggior parte delle aziende (e in effetti la maggior parte degli inglesi) non hanno alcuna idea di chi lavori per la Commissione, o di come mettersi in contatto con queste persone, e non saprebbero distinguere i loro euro-parlamentari da dei marziani
Solo il 6% delle aziende britanniche in realtà esportano in Ue, e ciò nonostante il 100% di esse deve sottostare al 100% delle leggi Ue, che si tratti di aziende piccole o grandi – un peso normativo che costa circa 600 milioni di sterline alla settimana.
 
La scorsa settimana ho visitato la Reid Steel, un’azienda britannica di successo a Christchurch, nel Dorset. Esportano acciaio per costruire ponti in Sudan, alberghi alle Mauritius, hangar di aerei in Mongolia. L’unica cosa che li frena, dicono, sono le regole Ue – generate attraverso un incomprensibile processo che coinvolge i lobbisti di grosso calibro, le grosse multinazionali e i governi di paesi stranieri. Non vedono l’ora di uscire dall’Ue, e hanno ragione. Pensano che le altre nazioni Ue stringerebbero rapidamente nuovi trattati commerciali. E che le aziende britanniche, liberate dalle catene europee, finirebbero per esportare in Europa di più anziché meno di quanto facciano ora.
 
Naturalmente, i pezzi grossi del Ftse100 firmeranno per poter rimanere in Ue: a livello personale stanno diventando sempre più ricchi – sfruttando manodopera immigrata per le loro aziende e manipolando le regole Ue a vantaggio dei grandi attori, gli unici a poterle comprendere – mentre i meno fortunati hanno invece visto una diminuzione in termini reali delle loro retribuzioni. Questa è una delle ragioni per le quali la Ue ha una bassa innovazione, bassa produttività e bassa crescita. Se volete sostenere gli imprenditori, i faticatori, gli innovatori, i lavoratori, le imprese dinamiche e fiorenti dell’Inghilterra – allora votate per uscire dalla Ue il 23 giugno, e date a questi parassiti il calcio nel sedere che si meritano.
 
(Boris Johnson, “L’Ue, uno strumento dei forti per sfruttare i deboli”, appello agli inglesi pubblicato su Facebook il 16 maggio 2016. Parlamentare inglese eletto tra i conservatori, Johnson è l’ex sindaco di Londra).
 

AEP: L’UNIONE EUROPEA È SEMPRE STATA UN PROGETTO DELLA CIA

bugiardi, i padri fondatori erano uomini del popolo che hanno realizzato un sogno, per evitare le guerre (SUL PROPRIO SUOLO BASTA CONDANNARE PER FAME CON L’AUSTERITA’, A NORMA DI LEGGE MA SUL SUOLO ALTRUI VIA AI BOMBARDAMENTI) come i mille di Garibaldi che hanno unificato i vari regni e granducati…..SOLO PER IL BENE DELL’UMANITA’ S’INTENDE….
 
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Ambrose Evans Pritchard, sul Telegraph, argomenta che, per quanto giuste siano le motivazioni del Brexit, i suoi sostenitori, al contrario degli altri movimenti euro-scettici, si sono illusi fino alla visita di Obama in UK di essere supportati oltre oceano; non hanno colto due aspetti fondamentali: che la UE è da sempre un progetto strategico americano finanziato dalla CIA e che l’establishment al governo nell’intero Occidente vede l’Unione Europea come il vacillante Impero Ottomano del 19° secolo e il Brexit come un atto di vandalismo strategico che rischia di favorire le potenze che sfidano l’egemonia anglosassone. La verità è che i sostenitori del Brexit non hanno ancora fornito una visione del futuro della Gran Bretagna post-Brexit che respinga per il paese le illusioni di poter non avere responsabilità globali, rischiando di trovarsi a litigare con il resto dell’Occidente.
 
di Ambrose Evans Pritchard, 27 aprile 2016
 
I sostenitori del Brexit avrebbero dovuto essere preparati all’intervento dirompente degli Stati Uniti. L’Unione Europea è sempre stata un progetto americano.
E’ stata Washington a guidare l’integrazione europea alla fine degli anni ’40, e a finanziarla di nascosto sotto le amministrazioni Truman, Eisenhower, Kennedy, Johnson e Nixon.
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Il Presidente americano Barack Obama ha invitato la Gran Bretagna a rimanere nell’Unione Europea durante la sua visita a Londra, lo scorso 21 aprile
Anche se a volte si sono innervositi, fin da allora gli Stati Uniti hanno fatto affidamento sulla UE come l’ancora degli interessi regionali americani assieme alla NATO.
 
Non c’è mai stata una strategia divide et impera.
Il campo euro-scettico è stato stranamente insensibile a questo, e in qualche modo ha supposto che forze potenti di là dell’Atlantico stessero incoraggiando la secessione britannica, salutandoli come liberatori.
 
Il movimento anti-Bruxelles in Francia – e in misura minore in Italia e in Germania, e nella sinistra scandinava – parte dal presupposto opposto, che l’Unione Europea è essenzialmente uno strumento del potere e del ‘capitalisme sauvage’ anglo-sassone.
 
Marine Le Pen in Francia è causticamente anti-americana. Si scaglia contro la supremazia del dollaro. Il suo Fronte Nazionale dipende da finanziamenti di banche russe legate a Vladimir Putin.
 
Piaccia o no, questo almeno è strategicamente coerente.
 
La Dichiarazione Schuman che ha dato il tono alla riconciliazione franco-tedesca – e avrebbe portato a tappe verso la Comunità Europea – è stata cucinata dal segretario di Stato Dean Acheson in una riunione a Foggy Bottom. “Tutto è cominciato a Washington”, ha detto il capo dello staff di Robert Schuman.
 
E’ stata l’amministrazione Truman ad intimidire i francesi per far loro raggiungere un modus vivendi con la Germania nei primi anni del dopoguerra, anche minacciando di tagliare il piano Marshall in un furioso incontro con i recalcitranti leader francesi nel settembre 1950.
 
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Carri armati sovietici a Praga
 
Il movente di Truman era evidente. L’accordo di Yalta con l’Unione Sovietica si stava incrinando. Voleva un fronte unito per scoraggiare il Cremlino da un’ulteriore espansione dopo che Stalin aveva inghiottito la Cecoslovacchia, a maggior ragione dopo che la Corea del Nord comunista aveva attraversato il 38° parallelo invadendo il Sud.
 
Per gli euroscettici britannici, Jean Monnet (ritratto nell’immagine di copertina, ndVdE) aleggia nel pantheon federalista, eminenza grigia della malvagità sovranazionale. Pochi sono consapevoli del fatto che Monnet ha trascorso gran parte della sua vita in America, e che ha servito come gli occhi e le orecchie di Franklin Roosevelt in tempo di guerra.
 
Il Generale Charles de Gaulle pensava che fosse un agente americano, come del resto era, in senso lato. La biografia di Monnet a cura di Eric Roussel rivela come egli abbia lavorato a braccetto con le amministrazioni successive.
 
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Il generale Charles De Gaulle fu sempre molto sospettoso dei moventi americani
 
E’ strano che questo imperioso studio di mille pagine non sia mai stato tradotto in inglese dal momento che è il miglior lavoro mai scritto sulle origini della UE.
 
Né molti sono a conoscenza dei documenti declassificati degli archivi del Dipartimento di Stato che mostrano che lo spionaggio degli Stati Uniti ha finanziato di nascosto il movimento europeo per decenni, e ha lavorato in modo aggressivo dietro le quinte per spingere la Gran Bretagna nel progetto.
 
Come ha riportato per primo questo giornale quando il tesoro è stato reso disponibile, un memorandum del 26 luglio 1950 ha rivelato una campagna per promuovere un Parlamento europeo a tutti gli effetti. È firmato dal Generale William J. Donovan, capo dell’Office of Strategic Services (OSS) americano al tempo di guerra, precursore della Central Intelligence Agency (CIA).
 
La facciata chiave della CIA è stato l’American Commitee for United Europe (ACUE) [Comitato Americano per l’Europa Unita, ndT], presieduto da Donovan. Un altro documento mostra che nel 1958 questo organismo ha fornito il 53,5 per cento dei fondi del Movimento europeo. Il consiglio direttivo includeva Walter Bedell Smith e Allen Dulles, direttori della CIA negli anni Cinquanta, e una casta di funzionari ex-OSS che si si muovevano dentro e fuori dalla CIA.
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Bill Donovan, leggendario direttore dell’OSS durante la guerra, successivamente ebbe la responsabilità di dirigere il progetto europeo
 
I documenti dimostrano che l’ACUE ha trattato alcuni dei ‘padri fondatori’ della UE come braccianti, e ha attivamente impedito loro di trovare finanziamenti alternativi che avrebbero spezzato la dipendenza da Washington.
 
Non c’è nulla di particolarmente malvagio in questo. Gli Stati Uniti hanno agito astutamente nel contesto della guerra fredda. La ricostruzione politica dell’Europa è stata un successo strepitoso.
 
Ci sono stati errori di valutazione orribili lungo la strada, naturalmente. Una nota del 11 giugno 1965 indica al vicepresidente della Comunità Europea di perseguire l’unione monetaria di nascosto, sopprimendo il dibattito fino a quando “l’adozione di tali proposte sarà diventata praticamente inevitabile. E’ stato troppo furbesco, come oggi possiamo vedere dalle trappole del debito-deflazione e dalla disoccupazione di massa in tutta l’Europa meridionale.
 
In un certo senso, queste carte sono storia antica. Quello che mostrano è che lo ‘Stato profondo‘ americano c’era dentro fino al collo. Possiamo discutere se la settimana scorsa Boris Johnson ha attraversato un confine riesumando la “discendenza parzialmente Kenyana” del presidente Barack Obama, ma l’errore cardinale è stato quello di supporre che la minaccia commerciale di Obama avesse qualcosa a che fare con le traversie del nonno in un campo di prigionia Mau Mau. Aria fritta della politica estera americana.
 
Si dà il caso che Obama potrebbe comprensibilmente sentire rancore per gli abusi della repressione Mau Mau che sono venuti alla luce di recente. E’ stato un crollo vergognoso della disciplina della polizia coloniale, che ha disgustato i funzionari veterani che hanno servito in altre parti dell’Africa. Ma il messaggio che arriva dal suo straordinario libro – I sogni di mio padre – è che egli si sforza di superare rancori storici.
 
I sostenitori del Brexit traggono conforto dal candidato repubblicano Ted Cruz che vuole che una Gran Bretagna post-Brexit salti “in prima linea per un accordo di libero scambio”, ma sta semplicemente mettendo fieno in cascina alla propria campagna. Il signor Cruz si conformerà agli imperativi di Palmerston secondo Washington – qualunque essi possano essere in quel momento – se mai entrerà alla Casa Bianca.
 
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Il nonno del presidente Obama fu prigioniero durante la repressione della rivolta dei Mau Mau in Kenya, una pagina vergognosa della storia coloniale britannica
 
E’ vero che l’America ha avuto dei ripensamenti sull’UE quando ideologi fanatici salirono alla ribalta nei tardi anni ’80, rielaborando l’Unione come una superpotenza rivale con l’ambizione di sfidare e superare gli Stati Uniti.
 
John Kornblum, direttore degli Affari Europei del Dipartimento di Stato negli anni ’90, dice che è stato un incubo cercare accordi con Bruxelles. “Mi sono ritrovato completamente frustrato. [La UE] è totalmente disfunzionale in ambito militare, della sicurezza e della difesa”.
 
Il signor Kornblum sostiene che l’UE “ha psicologicamente abbandonato la NATO” quando ha cercato di costruire una propria struttura di comando militare, e lo ha fatto con la consueta ostentazione e incompetenza. “Sia la Gran Bretagna che l’Occidente starebbero di gran lunga meglio, se la Gran Bretagna fosse fuori dall’Unione Europea,” ha detto.
 
Questo punto è interessante, ma è una visione minoritaria nei circoli politici degli Stati Uniti. La frustrazione se ne è andata quando la Polonia e la prima ondata di stati dell’Est europeo hanno aderito all’UE nel 2004, portandovi una compagine di governi atlantisti.
 
Sappiamo che non è certo una storia d’amore. Un alto funzionario [Victoria Nuland] degli Stati Uniti è stato registrato due anni fa in una intercettazione telefonica mentre congedava Bruxelles con parole lapidarie durante la crisi ucraina, “si fotta l’Unione Europea”.
Eppure, la visione che tutto pervade è che l’ordine liberale occidentale sia sotto triplice assalto, e l’UE deve essere appoggiata, tanto quanto la Gran Bretagna e la Francia appoggiarono il vacillante Impero Ottomano nel 19° secolo – e saggiamente dato che il suo lento crollo ha portato direttamente alla prima guerra mondiale.
 
Le minacce combinate di oggi arrivano dal terrore jihadista e da una serie di Stati falliti in tutto il Maghreb e il Levante; da un regime paria altamente militarizzato a Mosca che sarà presto a corto di soldi, ma ha una finestra di opportunità prima che l’Europa si riarmi; e da una crisi estremamente pericolosa nel Mar Cinese Meridionale che sta aumentando di giorno in giorno, mentre Pechino mette alla prova la struttura dell’alleanza statunitense.
 
I pericoli provenienti dalla Russia e dalla Cina sono ovviamente interconnessi. E’ probabile – i pessimisti dicono certo – che Vladimir Putin colga l’opportunità di un grave scoppio di rabbia tra i paesi affacciati sul Pacifico per tentare la fortuna in Europa. Agli occhi di Washington, Ottawa, Canberra, e di quelle capitali in tutto il mondo che in linea di massima vedono la Pax Americana come un plus, per la Gran Bretagna questo non è il momento di lanciare un candelotto di dinamite dentro al traballante edificio europeo.
 
La terribile verità per la campagna a favore dell’uscita dalla UE è che l’establishment al governo nell’intero Occidente vede il Brexit come vandalismo strategico. Giusto o no, i sostenitori del Brexit devono rispondere a questo rimprovero. Pochi, come Lord Owen, capiscono la portata del problema. La maggior parte sembrava allegramente inconsapevole fino a quando Obama non è arrivato in città la scorsa settimana.
 
A mio avviso, il campo del Brexit dovrebbe esporre i piani per aumentare la spesa per la difesa del Regno Unito da mezzo a 3 punti percentuali del PIL, impegnandosi a spingere la Gran Bretagna al primato, come potenza militare indiscussa d’Europa. Dovrebbero mirare a legare questo paese più strettamente alla Francia in un’alleanza per la sicurezza ancora più profonda. Questo tipo di mosse almeno spunterebbe una delle armi più grandi del Progetto Paura.
 
I sostenitori del Brexit dovrebbero reprimere qualsiasi suggerimento che l’abbandono dell’UE significhi ritrarsi dalla responsabilità globale, o strappare la Convenzione europea (quella Magna Carta della libertà abbozzata dai britannici, non dalla UE), o girare le spalle agli accordi COP21 sul clima, o qualsiasi altro dei febbrili flirt del movimento.
 
È forse troppo aspettarsi un piano coerente da un gruppo disparato, tirato artificialmente insieme dagli eventi. Eppure molti di noi che sono in sintonia con il campo del Brexit, che vogliono riprendersi anche il nostro autogoverno sovrano e sfuggire alla supremazia fasulla e usurpata della Corte Europea di Giustizia, devono ancora sentire come i sostenitori del Brexit pensano che possa avvenire questo divorzio senza colossali danni collaterali e in modo coerente con l’onore di questo paese.
 
Si può litigare con l’Europa, oppure si può litigare con gli Stati Uniti, ma litigare con tutto il mondo democratico, allo stesso tempo, è sfidare il destino.

In Europa cresce l’euroscetticismo, non è solo questione di Brexit

ma come mai questa Europa dei popoli non piace ai popoli??? E’ tanto generosa e buona…..Meno male che noi italiani siamo tanto tanto euroamanti
 
 Domenico Giovinazzo
 
8 giugno 2016
 
Secondo un sondaggio Pew sono i greci i più contrari all’Ue (71%), i francesi seguono al 61%. A sorpresa i più europeisti sono in Polonia e Ungheria, che precedono l’Italia piazzata al terzo posto
 
Roma – “I britannici non sono gli unici ad avere dubbi sull’Unione europea”, lo indica il Pew research center sulla base di un sondaggio condotto dal 4 aprile al 20 maggio su oltre 10mila cittadini di 10 Paesi Ue (Polonia, Ungheria, Italia, Svezia, Olanda, Germania, Spagna, Regno unito, Francia e Grecia, in ordine crescente di euroscetticismo).
 
Non è solo questione di Brexit, dunque. Lo dimostra il fatto che i più contrari all’Unione europea sono i greci, con il 71% contro il 27% di favorevoli. A seguire la Francia, dove il 61% dei cittadini non vede l’Ue di buon occhio contro il 38% di europeisti. Nel Regno unito i due fronti sono vicini ma prevalgono i contrari con il 48% contro il 44%. Anche in Spagna vince, sebbene di poco, il fronte degli scettici con il 49% contro il 47%.
 
Se fin qui i risultati possono sembrare più o meno prevedibili, desta sorpresa trovare che appena la metà esatta dei tedeschi è favorevole all’Ue, mentre i contrari raggiungono un considerevole 48%. Un pelo più europeisti sono gli olandesi (51% contro il 46%) e gli svedesi (54% a 44%).
 
Le maggiori sorprese vengono dal podio dei tre Paesi più favorevoli alle istituzioni di Bruxelles. Non tanto sul gradino più basso, dove troviamo l’Italia con il 58% di sostenitori dell’Ue contro il 39% di contrari, ma è del tutto inatteso scoprire che i campioni di europeismo sono i cittadini con i governi più critici nei confronti dell’Unione europea. La medaglia d’argento va all’Ungheria di Victor Orban, con il 61% di favorevoli all’Ue contro il 37% di contrari, e quella d’oro alla Polonia di Beata Szydło, dove gli europeisti sono più del triplo degli euroscettici (72% contro 22%).
 
Apparentemente contraddittorio, ma rincuorante per chi tifa per la permanenza britannica tra i 28, il risultato che mostra una media di appena il 16% di cittadini che ritengono la Brexit una cosa positiva. Nei 9 Paesi in cui è stata fatta questa domanda – non è stata posta agli intervistati del Regno unito – ben il 70% ritiene invece negativa una eventuale uscita di Londra.
 
Interessante anche la predisposizione verso maggiori cessioni di sovranità dagli Stati alle istituzioni comunitarie. L’ipotesi piace solo al 19% contro il 27% che vorrebbe mantenere l’equilibrio attuale e il 42% che invece chiede una restituzione di sovranità ai paesi membri.

Friuli, il Pd regala le dentiere a 2 giorni dal voto

non chiamarla compravendita di voti, quella è solo roba da PDL, IL PARTITO moralmente superiore non fa ste cose, è il partito della legalità.
Lo strano tempismo della Serracchiani alla vigilia dei ballottaggi a Trieste e Pordenone
 
Lodovica BulianGio, 16/06/2016 – Per scongiurare la tempesta perfetta che rischia di abbattersi sul «suo» feudo, assestando un colpo al consenso come presidente del Friuli Venezia Giulia e l’altro al suo peso politico nel partito di cui è vice segretaria, l’ordine di scuderia di Debora Serracchiani è di correre ai ripari dopo un primo turno disastroso per il centrosinistra a Trieste e Pordenone.
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Di giocarsi il tutto per tutto entro domenica, per ribaltare le sorti di una «partita ancora aperta» ai ballottaggi e parare le eventuali critiche alla sua «gestione». Casuale o strategico, nella fibrillazione della rimonta spunta il tempismo di un jolly già messo nero su bianco a dicembre, ma approvato solo in questi giorni dalla sua giunta regionale: una delibera ha dato il via al complesso programma «odontoiatria sociale», con cure e protesi dentarie gratuite per gli under 14 e gli over 65, a seconda delle fasce di Isee. La misura, di berlusconiana memoria, si aggiunge a quella del reddito minimo già varata tra le polemiche per l’alta percentuale di stranieri tra i beneficiari. Se anche questa servirà a fare breccia tra i delusi e a intercettare il voto di protesta, si vedrà alle urne. Quel che è certo è che sebbene il Pd ripeta come un mantra che le Comunali non vanno legate alle sorti del governo, tanto meno al suo, insiste Debora, perdere due città nella regione dove vinse nel 2013 per una manciata di voti, offrirebbe più di un assist agli avversari. Quelli in consiglio regionale, che ora accarezzano il sogno di una riscossa lunga fino al 2018, e che non hanno mai smesso di puntellare la governatrice per il doppio incarico che la porta spesso al Nazareno e lontano da piazza Unità. Ma anche quelli interni al suo partito, retto part-time insieme al collega e portavoce del Pd Lorenzo Guerini. Perché quanto accaduto il 5 giugno a Trieste, dove il candidato di centrodestra ha dato 11 punti di distacco al sindaco uscente del Pd Roberto Cosolini, e a Pordenone, con il leghista appoggiato dalla coalizione Alessandro Ciriani avanti della stessa cifra, ha suonato un campanello d’allarme in un territorio ad alta concentrazione renziana. Dove però i «signori del Re», per dirla come sussurra un esponente dem, si ritrovano a fare i conti con un partito che ha perso 4 punti, e ad ammettere che no, «non è andata come ci aspettavamo», commenta il triestino capogruppo alla Camera Ettore Rosato. Il mea culpa taciuto ai taccuini dei cronisti, è di aver e sottovalutato l’anima di un centrodestra ancora vivo nel capoluogo giuliano. Se non tira ancora aria di resa dei conti – almeno fino a domenica, come vuole la moratoria – nel partito c’è chi invoca quanto meno una «presa d’atto» in caso di una performance negativa del centrosinistra. Di fronte a cui sarà difficile non leggere anche un messaggio alla numero due di Renzi. «Il risultato del centrodestra qui, dove Serracchiani vinse di poco alle Regionali, indica che la situazione politica è più mobile di quanto si pensi – spiega il senatore dem Carlo Pegorer – A un’Italia morsa dalla crisi economica e sociale raccontare un Paese che sta bene non premia. Il centrosinistra deve usare parole di verità con i cittadini. Non basta il racconto». Neanche a Serracchiani.
 

Arrestati 75 IMMIGRATI: SQUARTAVANO I CANI Per TRAFFICARE DROGA

la foto è di repertorio nonè del relativo caso.

proprio vero che fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare. Ah giusto, bisogna rispettare la loro kultura e prendere esempio, Boldrini dixit. 

cani
La Polizia di Stato di Milano ha eseguito 75 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di immigrati sudamericani, organizzati in gang di latinos. Gli stranieri erano dediti al traffico internazionale di droga e altri reati compiuti nel Nord Italia. Per loro l’accusa è di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la persona, il patrimonio, traffico di droga e detenzione d’armi. L’indagine, che vede coinvolti numerosi gruppi di giovani di origine sudamericana riconducibili al fenomeno delle cosidette pandillas, le violente gang di latinos che da qualche anno sono un fenomeno sempre più preoccupante anche in Italia, ha portato all’emissione di provvedimenti restrittivi per 54 maggiorenni e 18 minorenni, e alla denuncia in stato di libertà di altri 112 tra ragazzi e ragazze, rispettivamente 98 maggiorenni e 14 minori. L’operazione è coordinata dalle Procure della Repubblica presso il Tribunale ordinario e per i Minorenni di Milano. Per la prima volta è stata dimostrata l’esistenza del vincolo associativo tra le ‘pandillas’, che non si limitavano a reati comuni ma erano direttamente in contatto con emissari dei cartelli sudamericani per approvvigionarsi di ingenti quantitativi di cocaina. Gli immigrati usavano cani di grossa taglia come vettori della droga che importavano, imbottendoli di cocaina prima della partenza e poi uccidendoli per recuperarla. Il particolare è emerso dalle indagini che hanno accertato come gli animali venissero sottoposti a operazioni chirurgiche prima di partire, riempiendo di ovuli il loro intestino. Poi, una volta recuperati, venivano uccisi e squartati. Almeno una cinquantina i casi stimati dalle intercettazioni. Gli animali utilizzati erano San Bernardo, Gran Danese, Dog de Bordeaux, Mastino Napoletano e Labrador. Una volta arrivati a destinazione il cane veniva aperto e dalle sue viscere venivano estratti circa Kg 1,250 di cocaina purissima. La droga prima di essere collocata nel ventre dei cani veniva avvolta in un cellophane, poi nella carta carbone e poi ancora nel cellophane e dopo avvolta da uno scotch di vinile nero. Operazioni che servivano a renderla impenetrabile ai raggi x. L’unico animale scampato al “mattatoio” organizzato per il business è stato salvato grazie alla confessione della donna di un trafficante. Era l’aprile del 2012 quando, a Pisa, la polizia era intervenuta per la segnalazione di una lite in famiglia tra sudamericani. Tutto era nato dal malore dell’animale arrivato a Milano un paio di giorni prima: quando gli agenti sono arrivati all’appartamento, la donna ha raccontato agli agenti che nel cane era nascosta la droga e per questo si lamentava. A quel punto l’animale è stato portato dal veterinario per essere operato. Gli investigatori hanno così ricostruito una pista del traffico di droga.