La storiella del terrorista gay serve a nascondere un’operazione “fake” sfuggita di mano all’FBI?

Giu 15, 2016
 
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Orlando dopo la strage
 
di Mauro Bottarelli
Dunque, abbiamo scherzato. Certo, quella di Orlando rimane la sparatoria di massa più grave della moderna storia americana ma non si tratta di terrorismo islamista, bensì di mera omofobia. Anzi, ancora meglio: si tratta di omofobia perpetrata da un gay verso altri gay. Incapacità di fare coming out? Impossibilità di convivere con una sorta di doppia morale, musulmano rigido che è andato due volte in pellegrinaggio a La Mecca e omosessuale latente? Punendo quei ragazzi Omar Mateen ha voluto, simbolicamente, uccidere il gay che c’è in lui e che cercava di combattere, senza riuscirci? Roba che piace agli intellettuali questa, roba forte. Soprattutto, roba che allontana i cattivi pensieri. Sia riguardo la permeabilità dei controlli da parte dell’intelligence Usa su soggetti già attenzionati in passato, sia sui buchi neri dell’attacco al Pulse di Orlando.
 
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Orlando , attacco killer
 
Già, perché per colpire 100 persone, tra morti e feriti, quel fucile d’assalto è stato ricaricato più volte: se Mateen era solo, nessuno è riuscito a disarmarlo tra un caricatore e l’altro? O forse non era da solo, visto che uno dei primi intervistati dalla Fox ha parlato di armi automatiche e di due fucili che continuavano a sparare? D’altronde, i testimoni valgono fino a quando fanno comodo: anche nel caso della strage di San Bernardino alcuni parlarono subito di tre uomini muscolosi vestiti di nero, non di un uomo e di una donna minuta. Stessa cosa al Café Voltaire a Parigi. 
 
E poi, hai sparato a 100 persone, uccidendone la metà e non sei riuscito a ferire nemmeno un poliziotto quando è partita l’irruzione delle squadre swat della polizia? Nemmeno uno? Vi ricordate l’attacco a Charlie Hebdo: i due killer furono descritti come altamente professionali, freddi come il ghiaccio quando hanno ucciso i membri della redazione e il poliziotto di guardia in strada ma subito dopo, quando hanno dovuto confrontarsi con la polizia durante la fuga, sembravano Gatto Silvestro. Erano gli stessi oppure no?
E poi, se metà del locale durante l’attacco ha scritto sms e usato Whatsapp per chiamare i propri cari vedendo la morte in faccia, possibile che nessuno abbia fatto foto o video? Nemmeno uno, nell’era del selfie anche sul water? 
 
E poi tutti i testimoni hanno parlato di sangue dappertutto all’interno del Pulse: ne avete visto uno con una goccia di sangue tra quelli scampati che si abbracciavano in favore di telecamera? Non so a voi ma a me questo sembra l’attentato perfetto: serve a Obama e alla Clinton per un bello spot contro le armi facili, serve a Trump contro islam e immigrati e alla fine rischia di chiudersi come un tragico epilogo moderno alla parabola gay del Vizietto.
 
State certi di una cosa: la verità sulla peggior strage della storia Usa non la sapremo mai. In compenso, ricorderete come ieri vi abbia detto che Omar Mateen lavorasse dal 2007 per la G4S, sussidiaria Usa di una multinazionale della sicurezza britannica come guardia giurata. Bene, tra i compiti svolti da questa ditta c’è anche il trasferimento di immigrati “non messicani” dal confine sud degli Usa a Phoenix in Arizona, da dove poi questi signori spariscono senza documenti, né intimazioni a presentarsi davanti a un tribunale.
 
Bene, questa foto a  Phoenix
 
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scattata da un membro di Judical Watch ci mostra uno dei van bianchi della G4S che la scorsa settimana ha portato 35 immigrati dal posto di confine della Border Patrol di Tucson alla stazione degli pullman di Buckeye Road a Phoenix, un viaggio di 116 miglia. Insomma, Mateen aveva a che fare con immigrati “non messicani” che aiutava a far entrare illegalmente in America? Parrebbe di sì, almeno quando aveva un attimo libero tra una chat gay e l’altra. Ma la cosa peggiore è che questo compito la G4S lo svolge su mandato governativo, visto che esiste un regolare contratto di outsourcing del controllo dei confini tra Department of Homeland Security for the Customs and Border Protection Office e la ditta di Mateen, protocollato come “Southwest Border Transportation, Medical Escort and Guard Services” e con numero di pratica HSBP1012R0020.
E qual è il mandato della Customs and Border Protection (CBP)? “E’ responsabile di proteggere i confini della nostra nazione per prevenire che terroristi ed armi ad essi legate entrino in territorio statunitense”. E si tratta di un contratto non da poco, qualcosa come 234 milioni di dollari affinché la sussidiaria privata di una multinazionale della sicurezza britannica controlli i confini sud degli Usa e, non si sa per quali motivi, fornisca servizi navetta a clandestini non messicani, quindi molto facilmente anche islamici. Capite perché è meglio che nella testa della gente si fissi l’immagine di Omar Mateen come gay conflittuale piuttosto che come islamista?
 
E se la prima moglie di Mateen ha suffragato questa tesi parlando con il New York Post, la seconda pare che sapesse cosa aveva in mente la sera che si è recato al Pulse: ne sono certi sia la CNN che la Fox, citando fonti dell’FBI. E proprio per questo potrebbe essere presto arrestata. Noor Salman è la compagna del killer di Orlando e la madre del suo bambino ma già sul fatto che sia anche la seconda moglie ci sono dei dubbi: alla polizia non risulta nessun documento registrato, se non un contratto d’affitto che la definisce tale.
 
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Il Killer con famiglia
 
Interrogata più volte dalla polizia, con la quale sta collaborando, Noor avrebbe ammesso di aver saputo in anticipo del piano omicida del marito e persino di averlo accompagnato nel negozio di armi vicino casa loro a Port St. Lucie, dove Mateen ha acquistato il potente fucile usato per la strage. E ora rischia di finire in carcere per non aver dato l’allarme. 
Non solo: durante la mattanza, nei momenti concitati della contrattazione con la polizia poco prima dell’irruzione, Mateen l’avrebbe addirittura chiamata. Telefonava mentre sparava, visto che formalmente era da solo: un fenomeno.
 
La incrimineranno? La arresteranno, magari? Se sì, state certi che lo faranno in favore di telecamera e con il massimo clamore mediatico. Ma, probabilmente, si tratterà di un falso arresto. Perché il tratto di questa donna e il suo ruolo, così come il profilo da disturbato bipolare di Omar, rientrano in pieno in quello che è il ruolo anti-terrorismo dell’FBI: prevenire gli attentati, spesso facilitandoli. Di 508 atti di terrorismo, gravi e meno gravi, registrati negli Usa dall’11 settembre 2001, infatti, 243 sono stati perpetrati o vedevano coinvolti informatori dei federali.
 
E gli obiettivi di queste operazioni, i quali più tardi e per l’opinione pubblica diventeranno i responsabili dell’attacco, non solo sono quasi sempre islamici ma anche sofferenti di disturbi mentali, come la schizofrenia. Altro tratto distintivo di questi soggetti, oltre alla vulnerabilità e quindi facilità manipolatoria, è la necessità di denaro, un qualcosa che li rende pronti a tutto. E’ il caso, ad esempio, dei “quattro di Newburgh”. Nel 2009 nella cittadina di Newburgh nello stato di New York, quattro islamici furono arrestati con l’accusa di voler colpire due sinagoghe e abbattere un aeroplano: uno di loro, James Cromitie, era un ex tossicodipendente, il quale più volte aveva tentato di discolparsi e difendersi, dicendo che lui non voleva che nessuno si facesse male.
 
Un altro dei quattro era Laguerre Payan, schizofrenico che aveva la simpatica abitudine di tenere in casa bottiglie piene di urina, mentre un altro era David Williams, il cui fratello aveva necessità urgente di un trapianto di fegato. Il binomio perfetto: disturbo mentale e bisogno di soldi, tanto che anche il giudice ammise che “il governo hanno offerto i mezzi e rimosso tutti gli ostacoli rilevanti al loro piano”. Di fatto, l’FBI aveva fatto di loro dei terroristi fake. Ma utilissimi per l’opinione pubblica.
 
Direte voi, manca il quarto elemento. Certo, perché l’FBI per istigare l’attività terroristica crea una relazione forzata tra l’informatore e il bersaglio. E’ il caso di Rezwan Ferdaus, un uomo gravemente malato di depressione e costretto all’uso di un pannolone per l’incapacità di controllare l’attività del proprio corpo. Un agente dell’FBI arrivò a cooptare lo stesso padre di Ferdaus, dicendogli che il figlio era ovviamente malato di mente e in questo modo divenne il target di un’operazione dell’FBI nella quale doveva portare a termine un attacco su larga scala a Capitol Hill. Guarda caso, l’FBI sventò la minaccia e poté godersi la gloria.
 
Prima che venisse attenzionato dai federali, la fedina penale di Ferdaus era intonsa e la sua vita lontana anni luce dal terrorismo. Calcolate che un informatore dell’FBI può ottenere fino a 100mila dollari o più per un singolo caso. Come scordare poi il caso di Sami Osmakac, americano di origini kosovare, il quale è stato condannato a 40 anni di prigione (ora il caso è in appello) il 10 giugno del 2014 per aver pianificato un attentato con un autobomba e con un attacco stile Bataclan a Tampa, in Florida. Bene, non solo l’FBI fornì a Osmakac le armi che usò per i suoi video di propaganda ma pagò un informatore affinché lo istigasse, procurò e assemblò l’autobomba e pagò anche le spese per il suo trasporto nel luogo dove avrebbe dovuto esplodere. Ovvero, dove l’FBI voleva che si trovasse per sventare la minaccia.
 
Sami Osmakac non aveva alcun collegamento con gruppi terroristi e poteva a malapena pagare la manutenzione della sua auto, una Honda Accord del 1994: riferendosi a lui, Richard Worms lo definì “un cretino ritardato che non aveva nemmeno un pitale in cui fare la pipì” e uno psicologo incaricato dal Tribunale gli diagnosticò un disordine schizofrenico. Vi sembra folle tutto questo? Non è dello stesso parere l’ex vice-direttore dell’FBI dal 2004 al 2008, Thomas Fuentes: “Se stai inoltrando delle proposte inerenti al budget per un’agenzia federale, non lo fai dicendo che abbiamo vinto la guerra contro il terrore e tutto va bene, perché in questo caso la prima cosa che succede è che ti dimezzino quel budget. La logica è quella contraria al motto di Jesse Jackson: lui dice di mantenere viva la fede, io dico ci mantenere viva la paura. Mantenerla viva”. Casualmente, Omar Mateen era stato attenzionato e interrogato dall’FBI per tre volte dal 2014 in poi. Forse stavolta l’operazione è sfuggita di mano? Ma se preferite, godetevi il romanzetto pruriginoso del gay che sparacchia a caso colmo di rabbia per via della sua irrisolutezza sessuale.
P.S. Poche ore fa, il primo ministro francese Manuel Valls ha pronunciato le seguenti parole: “Ci saranno altri morti innocenti, questa è una guerra che richiederà una generazione per essere vinta”. Tutti avvisati.
Mauro Bottarelli
La storiella del terrorista gay serve a nascondere un’operazione “fake” sfuggita di mano all’FBI?ultima modifica: 2016-06-19T10:23:37+02:00da davi-luciano
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