Bankitalia multa gli ex vertici di Banca Etruria per 2,2 milioni di euro. Sanzioni a 27 manager, 130 mila a papà Boschi

pagheremo noi la multa al padre della Boschi
 
BASTONATO IL PAPARINO DELLA BOSCHI: MAXI MULTA PER LE PORCATE DI BANCA ETRURIA. E ADESSO VEDIAMO SE INTERVIENE LA MAGISTRATURA
 
La Banca d’Italia ha deciso di sanzionare 27 esponenti ed ex esponenti della vecchia Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, tra cui amministratori, sindaci e direttore generale, per un totale di 2,2 milioni di euro. Lo riferisce via Nazionale. “Il 1 marzo 2016 il Direttorio della Banca d’Italia, in seduta collegiale, ha disposto sanzioni pecuniarie nei confronti di 27 tra esponenti ed ex esponenti della vecchia Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (Bpel), ora in liquidazione”, si legge in una nota.
 
Ai singoli sono state comminate sanzioni che vanno dai 52.000 ai 130.000 euro, a seconda del grado di responsabilità e del periodo di permanenza in carica di ciascuno. Alcuni dei soggetti colpiti dalle nuove multe erano già stati raggiunti da sanzioni pecuniarie nel settembre del 2014, quando Bankitalia aveva irrogato sanzioni per un totale di 2,5 milioni di euro. Il procedimento era stato aperto nel dicembre 2013 a seguito degli esiti di una precedente ispezione svolta nel corso di quell’anno.
 
Nell’elenco, secondo quanto scrivono Nazione e Corriere di Arezzo, figurano anche gli ultimi due presidenti, Lorenzo Rosi e Giuseppe Fornasari, i vice presidenti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi e l’ex direttore generale Luca Bronchi. Le multe più alte sono quelle elevate nei confronti di Rosi, Berni, Boschi e dei consiglieri Andrea Orlandi e Luciano Nataloni, pari a 130mila euro. Per l’ex direttore generale Luca Bronchi sanzione di 129mila euro, mentre per il predecessore di Rosi alla presidenza, ovvero Giuseppe Fornasari, è stata fissata una multa di 69.500 euro.
 
Via Nazionale evidenzia che gli esiti sono stati “particolarmente negativi” – con un giudizio numerico riassuntivo di 6 in una scala di crescente negatività da 1 a 6 – e condussero la Banca d’Italia a proporre al Ministro dell’Economia e delle Finanze di sottoporre la Banca ad amministrazione straordinaria, disposta il 10 febbraio 2015.
 
Anche nel caso delle altre tre banche interessate dal salvataggio con il meccanismo di risoluzione della crisi, che include il cosiddetto ‘bail-in’, erano stati avviati vari procedimenti sanzionatori, gli ultimi dei quali conclusi in aprile 2014 per la Cassa di Risparmio di Ferrara (15 persone per un totale di 1,1 milioni), agosto 2014 per la Banca delle Marche (18 persone per un totale di 4,2 milioni) e luglio 2015 per la Cassa di Risparmio di Chieti (13 persone per un totale di 0,6 milioni).
 
Per salvare Banca Etruria, CariChieti, Carife e Banca Marche è stato necessario un decreto del governo che accelerasse la possibilità di ricorrere al meccanismo dei ‘bail-in’, voluto dall’Ue nonostante le nuove norme entrassero in vigore a gennaio 2016 e le scoppio delle crisi sia avvenuto a novembre. Le crisi sono costati i risparmi a molti risparmiatori che avevano sottoscritto bond subordinati.
 
La procedura sanzionatoria. Le sanzioni decise all’inizio del mese, spiega Bankitalia, arrivano dopo “una lunga e articolata procedura iniziata nel maggio del 2015, a seguito degli esiti dell’accertamento ispettivo condotto presso la Bpel fra il novembre 2014 e il febbraio 2015”.
 
Nel corso dell’istruttoria si analizzano tutti gli elementi acquisiti e si effettua, anche alla luce delle istanze difensive degli interessati, una valutazione ponderata degli addebiti contestati e dei profili di responsabilità; nei casi di maggiore rilevanza e complessità, come quello di banca etruria, le valutazioni sono svolte da un organo collegiale interno alla banca d’italia che riunisce rappresentanti delle competenti funzioni della vigilanza. Nel rispetto del principio di separazione tra fase istruttoria e fase decisoria, al direttorio viene sottoposta la proposta conclusiva, trasmessa unitamente agli atti del procedimento.
 
Replay
 
Il Direttorio acquisisce allora il parere dell’avvocato generale della banca d’italia sui profili di legittimità della proposta e adotta in seduta collegiale un provvedimento motivato, disponendo per ciascuna parte interessata l’applicazione di una sanzione, nei limiti definiti dalla normativa, oppure l’archiviazione, ove si ritenga di accogliere le controdeduzioni della parte stessa. Se lo ritiene opportuno, il direttorio può richiedere supplementi di istruttoria prima di pronunciarsi. Le decisioni sono tempestivamente comunicate agli interessati; contro di esse si può ricorrere nei termini e con le modalità previste dalla legge.
 
Anche nel caso delle altre tre banche oggetto del provvedimento di risoluzione della crisi del novembre 2015 erano stati avviati vari procedimenti sanzionatori, gli ultimi dei quali conclusi in aprile 2014 per la cassa di risparmio di ferrara (15 persone per un totale di 1,1 milioni), agosto 2014 per la banca delle marche (18 persone per un totale di 4,2 milioni) e luglio 2015 per la cassa di risparmio di chieti (13 persone per un totale di 0,6 milioni).
 

Crisi, 11 milioni di italiani rinunciano a curarsi per difficoltà economiche

fortuna che era un diritto garantito, non agli indigeni evidentemente.
 
ROMA. Erano 9 milioni nel 2012 e sono diventati 11 milioni nel 2016 gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie a causa di difficoltà economiche. È quanto emerge dalla ricerca Censis-Rbm, presentata oggi in occasione del Welfare Day.
 
Sempre più persone quindi non riescono a finanziarsi le prestazioni di cui avrebbe bisogno. In particolare a soffrire il problema sono 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di millennials, ovvero i nati tra gli anni ’80 e il 2000.  «L’universo della sanità negata tende a dilatarsi», tra «nuovi confini nell’accesso al pubblico e obbligo di fatto di comprare prestazioni sanitarie», spiega la ricerca Censis-Rbm Assicurazione Salute. Ma meno sanità vuol dire anche «meno salute per chi ha difficoltà economiche o comunque non riesce a pagare di tasca propria le prestazioni nel privato o in intramoenia».
 
Dall’indagine emerge anche che gli italiani ammettono di ricevere prestazioni inutili ma sono contrari a sanzionare i medici che le prescrivono. Sono 5,4 milioni i cittadini che nell’ultimo anno hanno ricevuto prescrizioni di farmaci, visite o accertamenti diagnostici che si sono rivelati inutili. Tuttavia, oltre il 51,3% si dichiara contrario a sanzionare i medici che fanno prescrizioni inutili.
 
Il decreto sull’appropriatezza, si legge, «incontra l’ostilità dei cittadini, che sostengono la piena autonomia decisionale del medico nello stabilire le terapie, anche come baluardo contro i tagli nel sistema pubblico». Riguardo, in generale, al decreto anti prescrizioni inutili, che fissa le condizioni che rendono una prestazione sanitaria necessaria e dunque pagabile con ticket invece che per intero, il 64% degli italiani è contrario. Di questi, il 50,7% perché ritiene che solo il medico può decidere se la prestazione è effettivamente necessaria e il 13,3% perché giudica che le leggi sono motivate solo dalla logica dei tagli.
 
Prevale quindi la sfiducia nelle reali finalità dell’operazione appropriatezza, interpretato dagli italiani come «uno strumento per accelerare i tagli alla sanità e per trasferire sui cittadini il costo delle prestazioni».

Regeni, l’Università di Cambridge non risponde agli investigatori italiani: «I suoi studi sono segreti»

“erroneamente” giudicato una spia—ma gli studi sono “secretati”…..
Le università sono un elemento chiave, un pezzo della società civile reclutata dalle varie Ong’s tanto umanitarie per le varie rivoluzioni colorate tanto care al Dip di Stato Usa e da George Soros. Se le autorità egiziane non rispondono sono delle “merde”, se lo fa una università inglese TUTTO OK. Perché se si tratta di una banale ed innocua ricerca sui sindacati indipendenti e quindi niente a che fare con cose di intelligence, NON SI POSSONO LEGGERE QUEI DOCUMENTI? 10MILA EURO per una ricerca di questo genere non sono un pò tanti? 
 
 
Lo studio sui sindacati indipendenti egiziani di Giulio Regeni è «confidenziale». È una specie di facoltà di non rispondere, quella di cui si avvale l’Università di Cambridge, interpellata con rogatoria internazionale dalla Procura della Repubblica di Roma nell’inchiesta sul sequestro e omicidio del ricercatore, avvenuti tra gennaio e febbraio scorsi al Cairo.
 
L’ateneo britannico si nasconde dietro un’apposita norma, che consente di non rivelare dettagli su particolari lavori didattici. Un diniego che pone un interrogativo: da cosa deriva questa segretezza? Al momento non c’è una risposta chiara. Ma solo il sospetto – smentito in passato dallo stesso mondo accademico inglese – che il lavoro didattico di Giulio potesse finire anche sulle altre scrivanie oltre quella della docente di Cambdridge Maha Abdelrahman, egiziana trapiantata nel Regno Unito e definita una dissidente al governo di Al Sisi. La stessa professoressa, che col 28enne di Udine aveva una corrispondenza concentrata sui sindacati indipendenti, organismi fortemente contrastati dal governo egiziano, non ha voluto rispondere alle domande dei magistrati, proprio in virtù di quella norma che permette il silenzio.
 
Il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Colaiocco hanno, però, definitivamente sconfessato la tesi secondo cui Regeni fosse stato assoldato in prima persona da organizzazioni estere di intelligence. Colaiocco – che ha eseguito la rogatoria in Inghilterra assieme al Ros, al comando del generale Giuseppe Governale, e dello Sco, diretto da Renato Cortese – ha passato al setaccio il conto di Giulio in una banca britannica. All’interno poche migliaia di euro provenienti da soggetti individuati che, quindi, escludono un rapporto lavorativo dubbio.
 
Resta l’interrogativo sui motivi del rifiuto di Cambridge di fornire informazioni sullo studio di Giulio. Una ricerca scomoda, hanno testimoniato alcuni compagni inglesi agli inquirenti italiani, attorno alla quale – è l’ipotesi investigativa – sarebbero sorti i malumori di apparati di sicurezza egiziani. Per questo le informazioni su quel lavoro potrebbero aiutare gli inquirenti a chiarire il movente del sequestro e dell’omicidio.
 
Nella ricostruzione della vicenda, infatti, assume rilievo il rapporto che il ricercatore di Udine aveva stretto con i sindacati indipendenti, che dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011 sono stati emarginati dalle istituzioni egiziane. In particolare, Giulio dialogava con Mohamed Abdallah, il capo di quegli organismi, cui aveva promesso di devolvere i 10mila euro che avrebbe ricevuto dalla Fondazione britannica Antipode come finanziamento per la sua ricerca. Sarebbe stato questo denaro a far precipitare gli eventi. La legge egiziana, infatti, non permette finanziamenti esteri ai sindacati indipendenti. E attorno a questa problematica sarebbe nato un duro scontro con Abdallah, il quale avrebbe preteso lo stanziamento.
 
A questo si aggiunga un altro fatto: all’indomani del ritrovamento del corpo di Giulio (il 3 febbraio sull’autostrada che collega Alessandria con il Cairo), il capo dei sindacati ha rilasciato una dichiarazione alla stampa. Ha detto che Regeni «mi ha offerto soldi per ottenere informazioni sui sindacati». Particolare, questo, smentito dalle email inviate da Giulio a Hoda Kamel, del Centro egiziano per i diritti economici, un mese prima della scomparsa, avvenuta il 25 gennaio, in cui illustra le pretese dell’uomo. Il ricercatore, dunque, potrebbe essere stato «tradito» dall’interno dei sindacati indipendenti. Forse dallo stesso Abdallah – interrogato nei giorni scorsi dall’autorità cairota – la cui versione dei fatti interessa a Pignatone e Colaiocco. Perché il suo ruolo potrebbe essere chiave. D’altronde i magistrati hanno passato al setaccio il suo tabulato telefonico (del mese di gennaio), individuando alcuni contatti che Abdallah avrebbe avuto con soggetti su cui la Procura vuole vederci chiaro. L’ipotesi è che attraverso un giro di comunicazioni telefoniche possa essere spuntato il nome di Giulio, erroneamente valutato come una spia intenzionata a entrare nel sindacato indipendente con lo scopo di fomentarne lo scontro col governo.

“HANNO TAROCCATO LE ELEZIONI”: TREMA IL PD, PERQUISITA LA SEDE ELETTORALE

I MORALMENTE SUPERIORI QUESTE COSE NON LE FANNO….pure donne, che si sa sono cristalline e oneste a prescindere.
Il Pd si definisce “parte lesa”…
 
I militari dei Carabinieri stanno perquisendo la sede del Partito democratico di Napoli. Secondo quanto riportato dall’agenzia Ansa, gli inquirenti stanno indagando con l’ipotesi di corruzione elettorale di un candidato al consiglio comunale e uno in un municipio. Secondo quanto sarebbe emerso dalle indagini coordinate dal procuratore aggiunto di Napoli Alfondo D’Avino e dal pm Francesco Raffaele, i politici locali coinvolti promettevano posti di lavoro nell’ambito del progetto regionale Garanzia Giovani in cambio di voti all’ultima tornata elettorale.
 
NAPOLI – È bufera giudiziaria su due candidate del Pd di Napoli, che correvano rispettivamente per il Consiglio comunale e per una delle municipalità cittadine. Le due – Anna Ulleto e Rosaria Giugliano – sono indagate con l’ipotesi di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale: avrebbero ottenuto voti in cambio di promesse di inserimento nel programma lavorativo Garanzia Giovani, finanziato dalla Regione.
 
«Se saranno riscontrati i fatti su Napoli riportati dalle agenzie di stampa, il Pd sarebbe parte lesa rispetto a certi comportamenti. Auspico che la magistratura faccia il più presto possibile chiarezza su una vicenda che, se provata, va condannata e punita senza se e senza ma», afferma in una nota Debora Serracchiani, vice segretario del Pd, commentando le perquisizioni a Napoli.
 
I carabinieri hanno eseguito un decreto di perquisizione nelle abitazioni e nelle sedi dei comitati elettorali delle due candidate. La Ulleto ha ottenuto oltre 2.263 preferenze e risulterà quasi certamente eletta, dopo la ripartizione definitiva dei seggi che avverrà all’esito dei ballottaggi. La stessa Ulleto fu candidata del Pd anche alle elezioni regionali dello scorso anno, dove ottenne 7.714 preferenze che non le furono sufficienti per entrare in Consiglio. Quarantasei anni, la Ulleto è vicepresidente di una onlus, la cooperativa sociale «Mondo Nuovo» e – come si legge dalla sua biografia pubblicata all’epoca delle regionali sul sito del Pd Campania – «si occupa nel ruolo di coordinatrice della gestione del Banco delle Opere di Carità per famiglie indigenti».
 
Alle ultime amministrative Ulleto e l’altra indagata, Giugliano, avevano corso in tandem, presentandosi insieme in vari appuntamenti elettorali e in interviste su emittenti locali. Da qui la buona performance della Giugliano, che ha raccolto 297 voti nella seconda municipalità: Avvocata, Porto, Mercato, San Giuseppe, Montecalvario e Pendino.
 
In un primo momento si era sparsa la voce, poi smentita, che la perquisizione avesse toccato anche la sede del Pd metropolitano. Il segretario provinciale, Venanzio Carpentieri, assicura comunque piena collaborazione agli inquirenti per fare chiarezza sugli addebiti contestati ai due.
 
L’inchiesta getta ulteriore benzina sul fuoco delle polemiche e delle tensioni, che già stamani erano state accese dalla pubblicazione di un video del sito Fanpage. Il video, realizzato da alcuni giornalisti con telecamere nascoste nei pressi dei seggi in diverse zone di Napoli, mostra persone che entrano ed escono da un Caf con la scheda elettorale in mano, presunti passaggi di banconote e materiale elettorale a poca distanza dai seggi, liste di nomi in mano a persone che attendono gli elettori. Già dopo le primarie del centrosinistra un video di Fanpage aveva scatenato enormi polemiche, mostrando la distribuzione dell’euro per votare. E le tensioni ripartono in vista del ballottaggio tra de Magistris e Lettieri.
 
«Sono immagini inaccettabili, è una vergogna, uno squallore per il mandante e per gli esecutori, ma il 19 vinceremo anche contro la teppaglia e chi utilizza in politica metodi camorristici», dice infatti il sindaco uscente commentando il video. De Magistris si appella anche al prefetto a cui chiede «garanzie affinché il voto sia pulito» e poi si rivolge direttamente a chi tenta di ‘comprarè i voti: «Fujtevenne (ndr, scappate) – dice – perchè dal 19 giugno Napoli sarà liberata anche da chi pensa di poter comprare i napoletani», ironizzando poi sul video post primarie: «Fare questo porta male, basta pensare all’euro di Tonino Borriello, che non è stato rieletto». Ma anche il suo avversario, Gianni Lettieri, va all’attacco, ricordando che «sto chiedendo da mesi al prefetto di aumentare la vigilanza all’esterno dei seggi» e parlando di «flusso anomalo del voto in periferia». Lettieri sente al telefono il prefetto e il ministro Alfano per sollecitare massima attenzione in vista del ballottaggio. «Sono seggi precisi quelli dove è stato girato il video – conclude – e in oltre il 50 per cento di quei seggi de Magistris ha vinto».
 
FONTE: LIBERO