In Venezuela prorogato lo stato d’emergenza per il pericolo concreto di un intervento straniero

di Attilio Folliero
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Lo scorso 13 maggio, il Presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha prorogato per altri tre mesi lo stato d’emergenza. La proroga è stata decisa dopo le recenti dichiarazioni dell’ex Presidente della Colombia, Alvaro Uribe. Il 12 e 13 maggio all’Università “Dade College” di Miami, negli USA, si è svolto un incontro di leader mondiali di organizzazioni pubbliche, private e non profit, tra i quali alcuni coinvolti nello scandalo “Panama Papers”, come Jorge Arrizurieta, imprenditore cubano-statunitense sostenuto dalla famiglia Bush o l’ecuadoriano Guillermo Lasso.
Durante questo incontro l’ex presidente colombiano Alvaro Uribe (che ricordiamo nel 1991 era considerato dalla National Security USA il narcotrafficante n. 82 più ricercato al mondo – http://umbvrei.blogspot.it/2010/02/alvaro-uribe-velez-il-narcotrafficante.html – ha dichiarato, parole testuali: 
 
“Le forze armate democratiche siano poste al servizio dell’opposizione venezuelana”. Inoltre, ha aggiunto che in Venezuela deve essere replicato il colpo di stato giuridico-parlamentare che in Brasile ha rimosso dal suo incarico per 180 giorni la Presidente eletta Dilma Rousseff.
 
Dopo queste dichiarazioni, il presidente Nicolas Maduro ha fatto vari annunci per proteggere la sicurezza nazionale da possibili interventi stranieri; inoltre ha colto l’occasione per comunicare nuovi provvedimenti contro la guerra economica che le oligarchie nazionali e internazionali stanno promovendo contro il Venezuela.
In sostanza Alvaro Uribe ha proposto una invasione militare contro Venezuela. 
 
Vedasi a tal proposito il video di fonte YouTube delle dichiarazioni di Alvaro Uribe (in lingua spagnola).
 
Che cosa comporta la dichiarazione dello stato d’emergenza?
La dichiarazione dello stato d’emergenza comporta una serie di misure riguardanti sia la sicurezza nazionale sia gli aspetti economici:
  1. La Forza Armata Venezuelana (FANB) e gli altri organi di sicurezza dello stato sono chiamati a garantire l’ordine pubblico contro eventuali gruppi criminali;
  2. Combattere il crimine organizzato e le possibili minacce esterne;
  3. Garantire una maggiore partecipazione del settore privato nei processi produttivi fondamentali;
  4. La Forza Armata Venezuelana sarà maggiormente impiegata nella distribuzione degli alimenti e delle medicine;
  5. Saranno semplificati i meccanismi per l’assegnazione di fondi straordinari destinati alla distribuzione di beni di prima necessità;
  6. Incrementare e diffondere capillarmente su tutto il territorio nazionale i Comitati Locali di Distribuzione e Produzione degli Alimenti (CLAP, per la sua sigla in spagnolo), al fine di incrementare la distribuzione diretta degli alimenti;
  7. Incrementare dunque la distribuzione degli alimenti, delle medicine e degli altri beni di prima necessità.
Secondo la Legge quadro sullo stato d’emergenza (Ley Orgánica sobre Estados de Excepción) lo stato d’emergenza può essere dichiarato per motivi di ordine sociale, economico, político ed ambientale che compromettono seriamente la sicurezza della Nazione, dei cittadini e delle istituzioni. Durante lo stato d’emergenza possono essere sospesi i diritti costituzionali, salvo i diritti umani e particolarmente il diritto alla vita; è fatta proibizione assoluta di usare la tortura contro gli eventuali arrestati; inoltre si garantisce sempre un processo giusto e tutti gli altri diritti umani inderogabili.
Secondo l’articolo 45 della Costituzione venezuelana è proibito praticare o tollerare la “sparizione forzata” delle persone.
Sempre secondo la Legge quadro sullo stato d’emergenza, approvata nel 2001, una volta dichiarato lo stato d’emergenza, il Presidente della Repubblica ha la facoltà di mobilitare qualsiasi reparto della Forza Armata o l’intera Forza Armata; inoltre, ha la possibilità di requisire qualsiasi bene, mobile o immobile, di proprietà privata al fine di ristabilire lo stato di normalità.
Tale legge prevede anche la possibilità di chiudere le frontiere ed il Presidente avvalendosi appunto di tale legge ha decretato la chiusura delle frontiere per 72 ore.
È concreto il pericolo di una invasione del Venezuela da parte di forze straniere, come richiesto da Alvaro Uribe?
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Da anni avvertiamo che gli USA, perdendo potere a livello mondiale e ridotti progressivamente a potenza regionale saranno costretti a concentrarsi sempre più sul continente americano. Tutti i loro sforzi saranno diritti ad impadronirsi delle ingenti risorse naturali presenti nei vari stati del continente americano e particolarmente negli stati dell’America del Sud; ovviamente l’obiettivo principale è e continuerà ad essere il petrolio del Venezuela, la più grande riserva del mondo, che per il momento supera i 300 miliardi di barili, ma nel futuro immediato grazie a nuove certificazioni potrebbe arrivare al doppio.
Il Venezuela oltre ad essere la più grande riserva di petrolio del mondo ha numerose altre riserve naturali e strategiche, come il gas, l’acqua dolce, il coltan, la bauxite (alluminio), le terre rare e molte altre; inoltre, si stima che il Venezuela possieda nel suo sottosuolo riserve aurifere per non meno di 7.000 tonnellate (A tal proposito vedasi articolo di Selvas “Venezuela dispone di 7000 tonnellate d’oro” http://selvasorg.blogspot.it/2016/04/venezuela-dispone-di-7000-tonnellate.html, che potrebbero rivelarsi anche superiori alle 30.000 tonnellate, ossia la più grande riserva di oro del mondo, equivalente – tanto per avere una idea – alla riserva di oro di tutte le banche centrali del mondo. È chiaro il motivo per cui le grandi potenze, a partire dagli USA, hanno gli occhi fissi sul Venezuela e dunque il pericolo di una invasione è concreto.
Caracas 16/05/206
18/05/2016

“Gloria ad Allah!” Riportano gli Autobus a Londra

tutti atei quando si tratta di crocefisso, ma se si tratta di altra religione E’ RAZZISMO non omaggiarla in ogni modo possibile
 
Mag 15, 2016
 
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Autobus a Londra con propaganda islamica
 
Quello che si paventava è iniziato ad accadere: non appena i londinesi hanno eletto un sindaco mussulmano, immediatamente è partito un programma di promozione dell’Islam, così come ci si è posti interrogativi circa la libertà di movimento “concessa” alle donne mussulmane.
 
Vediamo per prima cosa la promozione dell’Islam.
Con il pretesto della campagna umanitaria a favore dei rifugiati siriani, il giorno seguente alla elelezione di Sadq Khan, l’associazione Islamica “Relief”, una ONG di aiuti internazionali, va a collocare nelle fiancate laterali di 640 autobus londinesi un enorme cartello che riporta con in lettere cubitali “Subhan Allah”. In cristiano: “Gloria ad Allah”. Questa pubblicità ostentata durerà alcuni mesi, in pratica fino a tutto il ramadan.
 
Proselitismo islamico avete forse inteso? No, di certo, ascoltate  per favore. la Società “Transport for London” giura e spergiura che non c’è in questo il minore accenno religioso. Lo stesso pretende il presidente in persona dell’ Islamic Relief, Imran Madden, il quale afferma che si tratta soltanto di “modificare il clima esistente intorno alla società mussulmana in Gran Bretagna, così come di reagire davanti alla negativa percezione che si percepisce di cosa sia l’aiuto internazionale” , al tempo stesso in cui si segnala l’incredibile generosità di tale comunità, la quale, durante il ramadan arriva a consegnare 126 milioni di euro in aiuti ai poveri (di tutto il mondo), attraverso organismi di beneficienza. Qualcuno si domanda da dove arrrivano questi soldi ed a chi siano destinati.
Ci saranno autobus islamizzati a Londra  ma non soltanto lì. Manchester, Leicester, Birmingham, Bradford non rimarranno indietro. Quando si sa che il padre del nuovo sindaco di Londra era autista di autobus, la cosa acquista “particolare risonanza”, come scrive “The Independent”. E non sono le rivelazioni del giornale digitale canadese Point di accomodamento, quelle che tranquillizzano alcuni. In effetti, alla ONG “Islamic Relief” , la Banca Svizzera UBS  aveva chiuso da poco tempo i loro conti per causa di loro legami con strutture terroristiche, così come per l’affinità del presidente della sua giunta Direttiva con i F.lli Mussulmani.
 
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Sadiq Khan sindaco di Londra
 
Vediamo adesso il tema della libertà di movimento della donna mussulmana. Gli inglesi sono rimasti stupefatti lo scorso 8 di Maggio, giorno in cui era stato eletto Sadq Khan. Edward Stourton, nella sua trasmissione dell BBC Radio 4, dedicata all’etica ed alle questioni religiose, formulava ai suoi ascoltatori questa incredibile domanda: “Si deve autorizzare le donne mussulmane a spostarsi a più di 90 Km. dal loro domicilio senza contare con la protezione di un uomo? Tale e quale, nè di più nè di meno.
 
Si possono ascoltare i commenti del pubblico femminile inglese, non esattamente entusiasta rel ruolo assegnato alla donna nella comunità islamica.
Quali progressi nel XXI secolo si sono raggiunti sullo status inferiore delle donne.  Questo accade mentre tutti i media sono pieni di lodi per il nuovo sindaco mussulmano, come esempio di società multiculturale.
Da ultimo si commenta come un cambiamento sia avvenuto  nell’elezione di un mussulmano a sindaco di Londra. Da molto tempo i leaders inglesi stanno praticando una politica pro immigrazionista e comunitarista, da questa ci si domanda se si verificherà un cambiamento con un progresso o con un regresso della  civiltà?
 
Traduzione: Luciano Lago

MARCO PANNELLA, TI SALUTA SALVATORE VACCA

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/05/marco-pannella-ti-saluta-salvatore-veca.html

MONDOCANE

SABATO 21 MAGGIO 2016

 

 
 Marco Pannella, miliziano croato
   
Ante Pavelic, dittatore Ustascia
 
Il non-violento Marco – Giacinto – Pannella, vestito da miliziano in Croazia, alla vigilia dell’eliminazione dall’Europa e dalla geografia mondiale della Jugoslavia, invisa ai nonviolenti e pacifisti Nato, Germania, Israele, Arabia Saudita, Al Qaida e Vaticano.
 
Ciarlatano? Guru? Uomo per ogni stagione?. Nonviolento? Quanto lo sono Hillary Clinton o Benjamin Netaniahu? Laico, anticlericale, illuminista? Martire dell’anticonformismo, o eroe del conformismo anti?  Secondo il Fatto Quotidiano muore invocando la croce da Don Paglia, capo dei colonialisti di S. Egidio, manifestando amore per il monarca assoluto del Vaticano, il clerico più clerico di tutti.
L’astuto propagandista di cause care alla borghesia moderna, cogliendo quello che i filosofi tedeschi definirono lo Zeitgeist, lo spirito del tempo, fece da mosca cocchiera per quanto maturava nelle società svegliate dalle intemperie anti-autoritarie ed anticonformiste dai movimenti di fine anni’60: catene matrimoniali che si fanno libera scelta, donne protesi dell’uomo che diventano padrone del proprio corpo e destino riproduttivo, persone che sottraggono a scienziati e preti la decisione sulla propria vita e morte. Merito indiscutibile. Per la verità, cose che nei paesi socialisti esistevano da tempo, volute da Lenin nel 1917. 
 
Sacrosante vittorie dell‘individuo, ma che il solipsismo di Pannella trasformava in sublimazione individualista, preminente sui diritti collettivi. Tanto che nel decennio della rivoluzione morale e politica afferente i rapporti sociali nel loro complesso, fatti divorzio e aborto, al conflitto centrale non contribuì molto di più dell’elezione di personaggi il cui apporto alla lotta di classe in piena tempesta si ridusse a épater le bourgeois e solleticare i voyeurs parlamentari.
 
Forse ricordo male, ma mentre decisioni della collettività sulla propria vita e morte, ma anche su vita e morte degli individui, magari palestinesi e, comunque, fuori dal contesto occidentale, contesto per Pannella misura massima di civiltà (a parte il Tibet), messe in discussione a livello mondiale, non risulta che venissero sradicate dalle disponiblità di banchieri, multinazionali, feldmarescialli.
 
Un socialista liberale, un ambientalista che non ricordo abbia subito attentati da avvelenatori e devastatori alla Berlusconi o Renzi, un nonviolento in perpetua e perfetta sintonia con Israele e Usa, epitomi del pacifismo, un laico ma anche un religioso, un ossimoro, una contraddizione in termini, un abile giocoliere che ingarbugliava il colto e l’inclita in logorroici tormentoni in cui il tutto si sposava al contrario di tutto, con il risultato finale che la discesa nell’ottavo cerchio, quello della Fraudolenza o Malebolge, auguratagli da critici spietati, è stata accompagnata da un peana unanime di tutta la destra nazionale (che, come è risaputo, comprende la sedicente sinistra e pure quella sedicente radicale).
 
Luciana Castellina, presunta comunista,  ma eterna viaggiatrice sulla giostra degli equivoci con passeggeri come Ingrao, Tsipras, il papa dei poveri e qualunque fasullone fornisse la Ditta, io la ricordo formidabile arrampicatrice, ammaliatrice di direttori e capiredattori, nel mio Paese Sera. Dalla dipartita dell’impareggiabile retore, la venerabile vegliarda del “manifesto”, ha tratto occasione per pannellaniamente esaltare il proprio io, riconducendo la miserella storia umana tra la Seconda guerra mondiale e i bagliori della Terza all’epocale scontro-incontro tra lei e l’amatissimo nemico-amico. In nulla differiscono la sua glorificazione dell’ineguagliabile maestro di altra vita e i suoi singhiozzi per la perdita di una sì preziosa pietra di paragone, dai tonitruanti requiem elevati da tutte le altre sponde, fino a ieri opposte, a questo tardivo padre della patria. Una patria in cui, magari tra le intemerate di un Pannella estremo difensore della “legalità repubblicana”, si sentono a casa italioti trasformisti, opportunisti, frodatori, paraculi, soffiatori di bolle di sapone, pifferai e pifferati, maschere della nostra tragica commedia dell’arte.
 
L’uomo non era solo un insopportabile narciso, arrogante, bombastico. Grande creativo seppure, alla fine, un po’ logoro clone di se stesso, Pannella è stato il grimaldello che ha dischiuso le porte di molte coscienze ignare e, comunque, rassicurate da una nonviolenza che pareva cosa bella e buona e che, al tempo stesso, ti conservava incolume al calduccio del monopolio della violenza dello Stato. Bancarellista di molti prodotti con cui l’inferocito capitalismo del XX e XXI secolo, pacifismo, diritti civili, nonviolenza, diritti umani, democrazia, ha saputo comprarsi – e, per qualcuno, disarmare – una buona metà del genere umano.
 
La sua epifania sottobraccio al post-ustasciaTudjman, che avrebbe bruciato vivi i serbi delle Krajine, poteva già far intendere di che pasta di sangue e ossa frantumate fosse fatta certa nonviolenza. Nelle sue adunate mattutine con molti saprofiti della nostra società martirizzati dai giudici, con cui tentava di ergere una barriera al vento purificatore che – solo allora e per poco – spirava dal tribunale di Milano e da milioni di coscienze risvegliate, prestava la sua integrità penale personale a copertura di una classe dirigente di divoratori del pubblico bene. Peccato non potergli più chiedere perché il suo culto della “legalità repubblicana” lo abbia portato a tanto.
 
Per raccontare nel docufilm “L’Italia al tempo della peste” le inaudite nequizie inflitte dallo Stato e dal suo braccio armato al popolo sardo, attraverso lo strisciante genocidio da poligoni e basi militari, con la diffusione dei veleni letali di milioni di esplosioni, avevo intervistato madri e padri di militari morti o moribondi per irriconosciuta “causa di servizio”: uranio affrontato a mani e faccia nudi. Figli e genitori abbandonati dallo Stato e respinti a ceffoni deliberativi quando chiedevano giustizia. Il 20 maggio il Ministero della Difesa è stato finalmente condannato per aver causato (“condotta omissiva”) la morte del 23enne caporalmaggiore Salvatore Vacca, ucciso da leucemia linfoblastica acuta da uranio. Salvatore era stato mandato in Bosnia a servire la patria, intesa come il D’Alema bombarolo e i suoi burattinai a Washington, Bruxelles, Vaticano e Berlino. Doveva raccogliere e maneggiare residui di bombardamenti all’uranio, quelli con cui si stavano sfoltendo (e contaminando per generazioni) popolazioni convinte che la scelta di essere jugoslavi appartenesse al diritto internazionale e all’autodeterminazione dei popoli.
 
 
Ce lo mandarono, Salvatore, senza le protezione che tutti gli altri eserciti impegnati nell’aggressione, in quella che i giudici di Norimberga definirono  “massimo crimine contro l’umanità”, fornivano ai propri mercenari. Come lui sono morti di linfomi e cancri vari altri 333 soldati italiani mandati ad ammazzare e a morire in scenari che, con evidenti intenti maltusiani, i nostri padri della democrazia e dei diritti umani avevano cosparso di uranio, fosforo e napalm. E 3.500 sono i militari ammalati delle stesse malattie, per le stesse ragioni. Molti moriranno. I loro figli, nipoti, pronipoti, resteranno segnati e il cielo gliela mandi buona. 
Girando per gli ospedali di Basra e di Baghdad ho incontrato i piccoli fratelli e sorelle di Salvatore Vacca, vittime degli stessi assassini. Ho visto medici tanto disperati quanto accaniti e instancabili, privati di tutto da embarghi e distruzioni, alimentare, con poco più del loro amore, la fiammella di vita di bambini nati deformi, devastati dai tumori, chiodi nel petto delle madri e dei padri che se li vedevano estinguere sotto gli occhi. Erano appena gli anni ’90. Da allora sono diventati milioni.
 
 
 
Marco Pannella ha fatto un figurone scioperando un pochino della fame perché Saddam Hussein non fosse impiccato. Figurone più discutibile, per noi che riteniamo i monaci tibetani una forma di nazismo dagli occhi a mandorla, l’ha fatto intessendo affettuosità e riconoscimenti con l’agente Cia Dalai Lama, erede della più sanguinaria stirpe di regnanti tiranni apparsi nell’emisfero di Gengis Khan. Il che è tutto dire. Cause perse o vinte, scioperi della fame che hanno fatto tremare l’umanità e lo hanno fatto avvicinare ai 90 anni. Tutte servite a costruire il monumento.  Ma il nonviolento Marco Pannella, con tutta la facondia oratoria con cui affascinava furbi e gonzi, non ricordo che abbia obiettato all’incessante teoria di crimini di guerra commessi dalle sue patrie preferite: Israele, su tutte, gli Usa, l’Europa. Quelle di Bush, Clinton, ri-Bush e Obama, Begin e Netaniahu. Su mezzo globo, da questa banda di terroristi psicopatici ridotto a oceano di sangue e morte, si è steso il velo, tanto cinico quanto ipocrita, degli apostoli della nonviolenza. Non di tutti, gli altri dovrebbero revisionare concetto e compagnia. Qualcuno azzarderebbe un sospetto di complicità. Qualcuno arriverebbe a vedergli sulla coscienza Salvatore Vacca e tutti gli altri. 
 
 
Qualcuno come Salvatore, forse, lo immergerebbe nel Flegetonte (Settimo cerchio, Primo girone). Io no. Perché resto umano e, poi, all’inferno non ci credo. Come non ho mai creduto a Pannella.
 
Pubblicato da alle ore 20:41

New York: la protesta dei 50.000 ebrei

Paolo Di Mizio • 19 maggio 2016
 
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50 mila ebrei ortodossi (dico 50 mila!) tempo fa hanno bloccato dieci isolati di Manhattan nel cuore di New York per protestare contro la politica israeliana di oppressione del popolo palestinese. Avete visto per caso questa notizia sui giornali italiani o americani? Zero assoluto. Le notizie della grande stampa occidentale sono a senso unico quando si tratta di Israele e della sua politica sionista. E quel “senso unico” cancella i diritti umani fondamentali del popolo palestinese: i diritti alla libertà e all’autodeterminazione, dei quali ci riempiamo la bocca ma solo quando non ci sia in discussione lo Stato ebraico.
 

Dal primo Giugno criticare l’immigrazione sarà reato penale: notizia vera o bufala?

e a fanculo il diritto ad una libera opinione. A quando gulak e foibe? Notizia da verificare, sicuramente i presupposti per fornire la possibilità di incarcerare ci sono, basta dire semplicemente BASTA IMMIGRAZIONE SELVAGGIA per essere tacciati di razzisti e xenofobi.
INSOMMA VIVA MAFIA CAPITALE ed il business più redditizio della droga.
di italia news · Published 20 maggio 2016 · Updated maggio 20, 2016
 
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Nuovo decreto legge del governo Renzi. Criticare la politica di accoglienza sarà reato penale e punibile con una detenzione tra i 3 e i 24 mesi nella patrie galere.
 
“Alla luce dei recenti attentati si sta diffondendo un sentimento di xenofobia, ma la maggioranza degli immigrati sono risorse preziose, per questo si rende necessario prendere provvedimenti per tutelarli. Con questo nuovo decreto criticare la politica di accoglienza sarà reato penale, in questo modo puntiamo a creare un clima di collaborazione tra immigrati ed italiani”.
 
Così afferma il portavoce del governo Renzi, subito accesi apprezzamenti dalla presidentessa della camera Laura Boldrini.
 
Vedremo se la notizia trovata in rete è vera o si tratta di una bufala! Come sempre vi avviseremo
 
www.italiainmovimento.it

Caccia con l’elicottero al ladro di moto: è il figlio del rapinatore ucciso da Stacchio

sabato, 21, maggio, 2016
 
JESOLO. Caccia al ladro di moto, pattugliando la campagna attorno a Jesolo con l’elicottero della Polizia, che individua e arresta il ladro. Sorpresa: si tratta di Alan Cassol, figlio del rapinatore ucciso dal noto benzinaio Stacchio. LA NUOVA VENEZIA
 
Il furto della potente motocicletta è stato messo a segno nel pomeriggio di venerdì, in centro a Jesolo: il proprietario ha visto il ladro fuggire in sella alla sua moto ed ha dato subito l’allarme al 113.
 
La Volante si è lanciata all’inseguimento del ladro, che vistosi incalzato si è dato alla fuga nei campi, dopo aver abbandonato la motocicletta. A questo punto, sulle sue tracce si è levato un elicottero deà 10° reparto volo di Tessera, che ha scoperto il malvivente nascosto nel mezzo di un campo di frumento.
 
Dal cielo, i poliziotti hanno dato le coordinate ai colleghi a terra e sono così scattate le manette ai polsi del giovane Alan Cassol che – appunto – è figlio del rapinatore ucciso dal noto benzinaio Stacchio.
 
 
Cassol era già stato arrestato nel 2015 insieme ad altri sei nomadi tra i 19 e i 26 anni. I sette banditi furono arrestati per associazione a delinquere finalizzata ai furti presso gli esercizi pubblici, nel corso di una grossa operazione, denominata “All In”, che ha visto il coinvolgimento di ben 120 uomini appartenenti a varie unità del nordest.

«Hanno il tatuaggio? Sono fascisti»: antagonisti assaltano un’auto a Roma

Bravi. Così si combatte il potere. Complimenti, ed anche fossero stati i ragazzi che dovevano suonare al corteo di CP? Che razza di azione rappresenta? Un favore al Pd, come sempre.
 
Casapound:antifascisti assaltano auto,'sono fascisti'
 
 
sabato 21 maggio 2016 – 15:19
 
Basta avere un tatuaggio al braccio e si rischiano guai se ci si trova nei pressi di una manifestazione di antagonisti. Subito si è bollati come “fascisti”. E allora si può subire un’aggressione in piena regola. È questa la disavvcentura capitata a quattro turisti tedeschi in visita a Roma.  È successo in via Bixio: una monovolume Ncc è stata assaltata perché ritenuta occupata da un gruppo di “fascisti”. L’assalto al veicolo è avvenuto mentre il corteo antifascista contro la manifestazione di CasaPound sfilava verso San Lorenzo, lungo via Emanuele Filiberto. Mentre la testa della manifestazione antifascista proseguiva verso la sua destinazione  un gruppo di giovani con i caschi, nella seconda metà della folla, ha notato come nell’auto a noleggio che stava caricando i passeggeri in via Bixio stessero entrando alcuni uomini coperti da tatuaggi, subito additati come “fascisti”. Sulle prime il conducente del mezzo ha provato a calmare gli animi, dicendo che si trattava di turisti tedeschi, ma avendo davanti a sé il flusso del corteo, ha provato a fare retromarcia per fuggire, colpendo più volte, alle sue spalle, una transenna. Poi è iniziato anche un lancio di oggetti verso il veicolo, ormai accerchiato. A colpi di casco sono stati frantumati i vetri, mentre i passeggeri “fascisti” si coprivano il capo con le mani. A quel punto qualcuno è riuscito a togliere la transenna, e l’autista ha potuto fare retromarcia a tutto gas, tamponando almeno un’auto parcheggiata, e finalmente allontanarsi. Il corteo degli antifascisti era partito da piazza dell’Esquilino cantando Bella Ciao e scandendo  slogan contro CasaPound, ma anche‎ contro la Lega.  A piazza Vittorio, all’imbocco di via dello Statuto, c’è stato un breve lancio di piccoli oggetti contro gli scudi della polizia, che ha seguito il percorso vigilando sulle traverse. Il corteo era scortato in testa e in coda da molti mezzi e operatori di polizia e carabinieri, in assetto antisommossa.

Tensione e tafferugli davanti al Teatro Sociale contro Matteo Renzi

toh gli antisistema che protestano contro un burattino dell’elite….un evento assai raro. Non fanno come Cacciari che reputa tale riforma una porcata ma vota si ..per devozione e fedeltà
Manifestanti antagonisti e polizia a contatto in Città Alta, mentre il premier è ancora al Kilometro Rosso. Cori e fumogeni. Poi la protesta continua al suo arrivo. E all’interno del teatro un contestatore urla: «Basta politica spettacolo»
 
di Redazione Bergamo online
 
renzi11
È già tensione in Città Alta alle 10 del mattino, prima ancora dell’arrivo del premier Matteo Renzi al Teatro Sociale per il lancio della campagna del sì al referendum sulle riforme. Manifestanti e polizia si sono scontrati sulla Corsarola, poi sono partiti cori degli antagonisti e sono stati accesi alcuni fumogeni.
 
Alle 10.30 è ancora tensione, con i manifestanti e la polizia di nuovo a contatto. Il cordone delle forze dell’ordine tiene comunque imbottigliati i manifestanti sulla Corsarola, verso vicolo Sant’Agata. Chi protesta lancia cori a ripetizione: «Renzi lobbista sei il primo della lista», tra i più quotati.
Dopo pochi minuti di calma la manifestazione è proseguita all’arrivo del premier, attorno alle 11. Spintoni contro la polizia e le altre forze dell’ordine schierate, cori e ancora fumogeni di protesta. Ma i manifestanti sono stati tenuti a distanza. È invece riuscito a entrare nel Teatro Sociale un altro contestatore, che ha urlato: «Basta politica spettacolo» non appena Renzi ha preso la parola, dopo il saluto del sindaco Giorgio Gori.
 
21 maggio 2016 | 10:17
 

VIETATO DARE DA MANGIARE AGLI INDIGENTI ITALIANI

Ancora aggressioni antifasciste: a Firenze assaltata una raccolta alimentare
Aggiunto da Redazione il 18 maggio 2016
 
Firenze, 18 mag – Dopo Roma, Firenze. Dopo le aggressioni dei giorni precedenti, attuate con la solidarietà dei principali quotidiani italiani e nel silenzio del partito di governo, che anzi ha chiesto di vietare la manifestazione degli aggrediti, CasaPound si trova a essere bersaglio ancora una volta dell’arroganza antifascista. Questa la ricostruzione dei fatti, secondo quanto raccontato dal movimento stesso in una nota: tutto sarebbe accaduto al termine di una raccolta alimentare per famiglie italiane in difficoltà, fuori da un supermercato cittadino. Quando sul posto erano rimasti solo una ragazza e tre militanti di Cpi Firenze, sono sbucati una quindicina di esponenti dei centri sociali armati di mazze che hanno subito accerchiato uno dei presenti, dandogli una bastonata in testa per la quale il ragazzo è stato portato via in ambulanza e per cui probabilmente dovrà mettere fino a 10 punti di sutura.
Poi gli antifascisti (e si tratta di un’altro particolare significativo, anche simbolicamente) hanno provato a rubare il carrello con i beni alimentari. La reazione dei militanti di CasaPound ha però fatto sì che né un volantino né un pacco di pasta venisse rubato. Malgrado l’inferiorità numerica, il gruppo di militanti si è comunque battuto per affermare il proprio diritto all’agibilità politica. “Dopo l’assalto al quartiere Prenestino di Roma che ha portato al ferimento di un disabile e dopo l’irruzione a un Caf, sempre a Roma, con tanto di violenze nei confronti di un anziano (il fatto è stato documentato dagli stessi antifascisti in un video che gira in rete), ora l’estrema sinistra ha colpito anche a Firenze”, spiega Gianluca Iannone, presidente di CasaPound. Che aggiunge: “Si tratta del terzo episodio di aggressione in pochi giorni da parte di questi impuniti – continua Iannone – senza che qualcuno abbia qualcosa da dire. Tre episodi dal valore altamente simbolico: nel primo caso a essere colpito è stato un banchetto elettorale, nel secondo un Caf, nel terzo un banco alimentare in favore degli italiani in difficoltà. Si vuole colpire chi fa azioni politiche e sociali alla luce del giorno in favore degli italiani, cosa ritenuta intollerabile dagli amici di ogni straniero. Eppure a ogni episodio di intolleranza antifascista si chiede che a essere vietate siano le nostre manifestazioni (l’ultimo in ordine di tempo a farlo è stato Fassina). Di fronte a questa arroganza ben protetta dai partiti di governo, la nostra risposta sarà di essere ancor più numerosi sabato, al corteo che attraverserà Roma per invocare la sovranità e l’identità dei popoli europei, nonostante coloro che odiano gli italiani e chi li difende”.
 

METROJET, EGYPT AIR, REGENI. GLI ASSASSINI DELL’EGITTO. UTILI IDIOTI, AMICI DEL GIAGUARO.

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/05/metrojet-egypt-air-regeni-gli-assassini.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 19 MAGGIO 2016

Nella tattica del terrorismo aereo di Stato, scatenato contro i paesi islamici a partire dai missili travestiti da aerei dell’11 settembre, rilanciato contro la Russia dal MH17 malese abbattuto sul Donbass nel luglio 2014, l’Egitto è al momento il target privilegiato. E possiamo con tranquilla sicurezza dire, parafrasando Pasolini, che noi sappiamo, pur non avendo altre prove che l’identità, la pratica storica e gli interessi del colpevole. Chi, l’ottobre scorso, ha fatto esplodere sul Sinai il Metrojet russo in volo da Sharm el Sheik  con 224 persone a bordo ha colpito la Russia, antagonista globale e particolarmente vincente in Siria, insieme all’Egitto, dove un’insurrezione di 30 milioni di cittadini aveva eliminato dalla scena il Fratello Musulmano Mohamed Morsi e aveva sancito nel successivo voto la vittoria del generale Abdel Fatah Al Sisi. E qui colui che aveva collocato la bomba sull’aereo è stato catturato: un jihadista dell’Isis, vale a dire un miliziano del ramo terrorista della Fratellanza.
 
Questi aeroporti supersicuri con le voragini
Visto che Francia e Belgio appaino terreni di scorribande di terroristi con appiccicata l’etichetta Isis e vista la dimostrata apatia (inefficienza? complicità?) dimostrata dalle autorità di sorveglianza franco-belghe in occasione delle mega-operazioni di questi terroristi, viene naturale pensare che anche all’aeroporto Charles De Gaulle non si sia stati esasperatamente impegnati a impedire che qualche manina depositasse nell’Egypt Air in partenza per il Cairo l’ordigno che è stato visto bruciare nel cielo sopra il Mar Egeo. E stavolta, insieme all’Egitto sottratto al fidato Fratello Musulmano da Al Sisi, un tizio dalle mosse imprevedibili e spesso fuori binario,  detestato in tutto l’Uccidente, la botta è anche al paese da cui i 60 poveri passeggeri, sacrificati alla ragion imperiale, erano partiti. Discredito sommo per la Francia.
 
Magari ora si depisterà su qualche missile partito dal territorio di Tsipras, tanto amico di Israele, o sull’improvvisa mattana del pilota, come nel caso del Germanwings, schiantatosi nel maggio 2015 su una grossa esercitazione Nato in Francia che provava a vedere come si tirano giù aerei senza farsene accorgere. Ma l’ombra nera sul De Gaulle resterà e si aggiungerà a tutte quelle che, da Charlie Hebdo al Bataclan, hanno oscurato qualsiasi affidabilità anti-terrorista di Marianna. Però, in compenso, le hanno dato facoltà di imbrigliare nell’emergenza repressiva perpetua qualsiasi moto di insofferenza popolare. Calcolo non del tutto riuscito se si guarda alle settimane di ininterrotte battaglie in tutto il paese contro la Loi Travail (la chiamano con la loro lingua, mica, come noi burini, Jobs Act). Battaglie di centinaia di migliaia a cui noialtri, seviziati, affamati ma pacificati, nella nostra sdrucida sdraio guardiamo attoniti.
 
Fratelli Musulmani: turismo kaputt, Egitto kaputt
 
Per inciso, ma a illustrare quale possano essere le reazioni di chi progettava una bella vacanza sul Nilo (del resto anch’esso illuminato da un susseguirsi pirotecnico in tutto il paese, dalla foce alla diga di Assuan, di esplosioni a firma Isis, ma a paternità FM), riferisco del prolungato rizzarsi dei peli sulle mie braccia al sentire dell’Egypt Air disintegrato e al concomitante ricordo che, solo pochi giorni prima, con la stessa compagnia  avevamo fatto andata e ritorno dall’Eritrea. 
 
E  così siamo arrivati all’immancabilmene rivelatore “cui prodest”.
 
Ma prima di esplicitarlo, vediamo come alla tattica dell’intervento su quello che è l’inevitabile mezzo di trasporto di quasi tutti coloro che si vogliono recare in Egitto (a meno che non siano israeliani, sudanesi, libici, parapendisti del Monte Sinai, o carovanieri del Sahel), si affianchi la “continuazione del terrorismo di Stato con altri mezzi”. Il missile lanciato contro l’Egitto si chiamava Giulio Regeni. Sprovveduto frequentatore di ambienti dello spionaggio e della provocazione angloamericana, non si è reso conto fino a che punto quegli ambienti ti possono trasformare da amico del giaguaro in utile idiota, utilizzandoti nel primo ruolo e sacrificandoti nel secondo. E così Regeni è diventato il trampolino da cui far piombare sull’Egitto e sul suo governo un uragano di anatemi tale da renderlo definitivamente infrequentabile.
 
Metrojet russo, Egypt Air, Regeni, più un paesaggio egiziano percosso da folgori e schianti fatti in casa da coloro cui è stato detto che, più sconquassano e massacrano, più li si favorirà a tornare al potere nell’ultimo Stato nazionale arabo (insieme all’Algeria) non frantumato, o ridotto all’obbedienza neocolonialista e neoliberista. Risultato: un paria nell’immaginario occidentale, il turismo che dal 20% delle entrate scende a zero e sprofonda il paese in una catastrofe economico-sociale da cui si calcola potrà sognare di risollevarsi unicamente vendendosi.
 
Chi di spione ferisce, di spione perisce
Con l’abbattimento dell’aereo russo s’è già persa una bella quota di quel 20%. Extra bonus, uomo avvisato mezzo salvato, con riferimento a Putin e Al Sisi che al Cairo avevano firmato ampi accordi commerciali, militari e di investimenti. Della bomba a grappolo Regeni  tutti si ostinano a ignorare il torbido romanzo di formazione negli Usa dell’intelligence e l’approdo alla società di spionaggio Oxford Analytica, diretta da tre specialisti del terrorismo su vasta scala: Mc Coll, già capo dei servizi britannici, David Young, ex-galeotto per il complotto Watergate e John Negroponte, sterminatore di civili in Centroamerica e Iraq con i suoi squadroni della morte. Le ricadute dell’ordigno umano sono state un’altra fetta di turismo andata e, soprattutto, un gigantesco business Italia-Eni-Egitto, attorno al più grande giacimento di gas del Mediterraneo, messo a repentaglio, forse definitivamente.
 
Gas all’Italia? Col piffero. Alla Francia? Rien ne va plus
Diversamente dall’orrido TAP (Trans Adriatic Pipeline) imposto da Shell, Obama e Renzi, che devasterà le coste del Salento e degraderà la Puglia in hub energetico europeo, ma che parte dall’amerikano e filo-Erdogan Azerbaijan (ultimamente meritevole anche per l’aggressione al filo-russo Nagorno), quel gas egiziano, insieme all’altro arabo dall’Algeria, pure malvisto, ci avrebbe dato un sacco di soddisfazioni energetiche senza deturpare nulla, ma anche senza mano Usa sul rubinetto.
 
Dopo aver spento la musica al valzer Egitto-Italia, era arrivato in sala da ballo il castigamatti dell’Africa francofona, il restauratore della mai dimenticata FranceAfrique in Costa d’Avorio, Mali, Niger, Ciad, RCA e giù giù fino al Gabon e oltre. Ma se al clown da circo dell’orrore, Hollande, il diversivo neocolonialista dai disastri nella metropoli poteva essere consentito nella FranceAfrique (dopottutto si muoveva anche nel nome della Nato), il suo precipitarsi in Egitto a concordare con Al Sisi la sostituzione del partner francese a quello italiano costituiva invasione di campo. Guarda un po’ se gli anglosassoni, inventori e poi padrini dei Fratelli Musulmani e dei loro apprendisti stregoni Daish, si devono far fottere da questo parvenue che viene a ballare la sua Vie en rose al Cairo! Che canti piuttosto, con l’Egypt Air precipitato, Le feuilles mortes.
 
Chi è Mohammed Morsi
 
 
Sullo sfondo della presidenza Al Sisi sono da osservarsi alcuni dati. La stragrande maggioranza degli egiziani è laica. I militari sono laici, per quanto i Fratelli Musulmani si siano sforzati di infiltrarli. Il presidente Morsi, quello della Sharìa, del carcere alle opposizioni, delle fucilate agli scioperanti, delle chiese cristiane incendiate, è stato votato dal 17% delll’elettorato. Poi 33 milioni di egiziani firmarono la richiesta delle sue dimissioni. Parlare di colpo di Stato nella sua rimozione appare improprio. All’occhio degli egiziani il conflitto è tra nazionalisti e islamisti. Quest’ultimi da sempre favoriti dall’Occidente neocolonialista, anche perché servivano a rendere inoffensiva ì’ideologia panaraba e degli Stati nazionali, mentre si ritrovavano nella sfera collaborazionista dei sultanati del Golfo.
 
La rivoluzione popolare del 2011, presto in buona misura infiltrata e manipolata dai soliti esperti di regime change statunitensi.perchè fingesse un superamento della dittatura di Mubaraq attraverso un regime di musulmani “moderati” (secondo gli stessi media Usa, alle varie Ong dei “diritti umani”, partner privilegiati del “manifesto” per le sue valutazioni delle cose, arrivarono 48 milioni di dollari perché sostenessero il Fratello Morsi). Si ricorda tale Youssef al Qaradawi, predicatore principe della Fratellanza, che in piazza Tahrir spiegava che non contavano tanti i diritti dei palestinesi, quanto la lotta all’abominio omosessuale. Alle presidenziali votò il 35% degli aventi diritto e solo il 17% si espresse per Morsi. Vibranti furono le congratulazioni di Washington.
 
L’intera amministrazione dello Stato fu occupata dai FM. Gli assassini del presidente Sadat furono ricevuti da Morsi e messi a capo del Consiglio dei Diritti Umani. L’autore del famoso massacro di Luxor fu nominato governatore di quella provincia. Seguirono gli arresti degli oppositori laici di Mubaraq e i pogrom anticristiani. Tutte le maggiori imprese dello Stato vennero privatizzate e fu annunciata la possibile vendita del Canale di Suez al Qatar, una specie di Vaticano dei FM, sponsor dell’Isis. Morsi inviò una delegazione ufficial dal capo di Daish Al Baghdadi e ordinò alle Forze Armate di essere pronti ad attaccare la Siria, cosa che suscitò vivissime reazioni contrarie tra i militari. Morsi rimediò inviando “volontari” a supporto dei jihadisti. Questi e altri provvedimenti innescarono quella che sarebbe stata la più grande manifestazione di massa contro un presidente egiziano. I FM reagirono con le armi e per un mese si succedettero scontri sanguinosi. Il Qatar e la Turchia di Erdogan furono i primi a denunciare il “colpo di Stato”. La guerra civile fu evitata grazie alle elezioni, boicottate dagli islamisti e in cui Al Sisi riportò il 96% dei voti. Da quel momento inizia la campagna degli attentati terroristici. I media occidentali parlano di arresti e condanne di oppositori. Quasi sempre si tratta di FM responsabili degli attentati con centinaia di vittime.
 
Chi è Abdel Fatah Al Sisi
 
 
A dispetto del terrorismo islamista, con Al Sisi l’Egitto conosce una certa pace sociale. Vengono liberati prigionieri politici e ricostruite le chiese copte bruciate. L’economia è a pezzi, l’ostilità dell’Occidente e del Qatar provoca isolamento.Tanto più che il Cairo si propone come autorevole mediatore nel conflitto libico e come forza effettivamente capace di debellare, con il legittimo governo di Tobruk (che aveva vinto le elezioni ed era aperto ai gheddafiani) e il generale Haftar, i mercenari Isis spediti dalla Turchia, beneaccetti dai Fratelli di Tripoli e dai tagliatori di teste di Misurata e finanziati dal Qatar. Solito pretesto per l’intervento Nato.
 
Con l’aiuto della Cina, imperdonabile, l’Egitto raddoppia la capacità del Canale di Suez e quindi le entrare che ne derivano. Dovrebbe essere un segmento cruciale della nuova  temutissima Via della Seta e dell’interscambio tra Africa e Cina. Nell’estate del 2015 l’ENI rivela la scoperta dell’enorme giacimento di gas e di altri idrocarburi nell’area marina di Zohr, che permetterebbe al Cairo di ricavarne l’equivalente di 5,5 miliardi di barili di petrolio. Contemporaneamente dilaga il terrorismo dei FM, vengono uccisi il Procuratore Generale della Repubblica e altri alti funzionari e magistrati. Ne segue un’ondata di arresti che fanno gridare in Occidente alla brutale repressione del nuovo Pinochet.
 
Mohammed Hassanein Heikal, il più brillante e cosmopolita giornalista egiziano, già portavoce di Nasser e direttore del primo quotidiano egiziano,  Al Ahram, sollecita Al Sisi di denunciare la macelleria saudita nello Yemen (e difatti le truppe egiziane verranno ritirate), di sostenere la resistenza del presidente siriano Assad e di cercare un riavvicinamento con l’Iran. A 87 anni, Heikal, che anni fa avevo intervistato per il Nouvel Observateur scoprendovi uno dei più colti e appassionati intellettuali arabi incontrati in mezzo secolo, muore. Muore  prima che Al Sisi possa portare avanti quel discorso.
 

Nella notte dall’11 al 12 aprile si viene a sapere che l’Egitto ha ceduto due isolotti nel Mar Rosso all’Arabia Saudita. Nelle stesse ore re Salman è al Cairo e annuncia investimenti per 25 miliardi di dollari. Sulle due isole, Tiran e Sanafir,  si dovrebbe posare il grande ponte che, nei progetti sauditi ed egiziani, unirebbe le due coste del Golfo di Aqaba. Intanto gli Usa offrono rinnovate forniture d’armi. Se non si riesce a far tornare Morsi, meglio provare a non lasciare campo aperto a russi, italiani, francesi, cinesi. La cessione delle isole provoca una serie di manifestazioni di protesta dei nazionalisti egiziani che si chiedono dove Al Sisi stia andando, tra Russia, Cina, Usa, Libia e Arabia Saudita. La risposta sta nelle condizioni economiche in cui l’Egitto è stato ridotto da una guerra economica, terroristica e mediatica, partita appena il nuovo presidente è arrivato al potere e si è dichiarato ispirato da Nasser. La sua pare la mossa della disperazione prima che la società egiziana precipiti nel baratro e della nazione araba non rimangano che brandelli, spettri alitanti tra le rovine di Aleppo, nella polvere dell’ultima bomba Isis a Baghdad, tra le immagini di Gheddafi sepolte in cassetti segreti di case che non dimenticano.

 

“Il manifesto”, mentre gli altri megafoni della demonizzazione dell’Egitto e del suo “Pinochet” si stavano acquietando, anche di fronte all’evidenza del carattere di schiumogeno che le accuse contro gli inquirenti sul caso Regeni stavano rivelando e l’ambigua identità del giovanotto, rilevata da molta stampa estera, insisteva e accentuava il suo bombardamento di contumelie, congetture, illazioni, accuse senza fondamento. Personaggi da assegnare alle categorie degli utili idioti o degli amici del giaguaro, a seconda della percezione di ognuno, tra i quali un magistrato disertore e fallito politico come Ingroia, il compare di Sofri Manconi, vari dirittoumanisti di complemento, cantanti, nani e ballerine, invocavano sull’Egitto di Al Sisi i fulmini di Giove, Marte, Saturono, Urano, Diopadre, sanzioni, embargo, interventi ONU, magari, sotto sotto, bombe alla libica. Neanche uno di questa compagnia di giro cripto-Nato che si fosse chiesto cosa cazzo ci facesse Regeni con criminali come Young, Negroponte e McColl. Non è solo malafede. E’ complicità con chi usa altri mezzi per distruggere l’Egitto. Complicità, in ogni caso, con chi è comunque peggio di Al Sisi.

 
Pubblicato da alle ore 20:03