NEWSWEEK – Possibile colpo di stato militare in Turchia

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Complottisti

Mar 30,
turchia90

Secondo Rubin, in articolo pubblicato sul settimanale Newsweek, il deterioramento della situazione in Turchia non si limita alla sicurezza, con l’attuale ondata di attacchi terroristici, ma anche per l’aumento il debito del paese, il calo delle entrate del turismo e il forte calo del valore della lira turca, che ha avuto un effetto negativo sul potere d’acquisto dei cittadini turchi.

Tutto questo, secondo l’autore, vuole dire che Erdogan non ha il controllo della Turchia. Ha cominciato a chiudere i giornali e canali di opposizione ed ad arrestare i dissidenti. Egli ha anche ordinato la costruzione di un grande palazzo nel stesso modo hanno fatto i sultani ed il suo sogno di ricostruzione del califfato ottomano.

Nelle ultime settimane, ha minacciato di sciogliere la Corte costituzionale. La corruzione è ormai dilagante nel paese e il figlio di Erdogan è stato accusato in Italia di uno scandalo riciclaggio di denaro ed è fuggito con un passaporto falso saudita.

Il paese sostiene apertamente e finanzia i terroristi in Siria e Iraq contro la volontà del governo di questi paesi. Erdogan ha anche concluso per motivi elettorali, la tregua con il PKK e si è impegnato in un vasto giro di vite contro le città curdi. Questo ha radicalizzato i curdi in Turchia, che non accetterà meno di quello che hanno raggiunto i loro fratelli in Iraq, vale a dire, una regione autonoma.

Così, la rabbia contro Erdogan ora si estende all’interno e all’esterno del paese. Anche alcuni membri del partito di Erdogan mostrano ora la loro preoccupazione per la situazione nel paese e la paranoia del presidente, che sta prendendo in considerazione l’implementazione di un sistema di difesa missilistica nel suo palazzo.

Irrequietezza e disagio hanno raggiunto l’esercito turco, dove molti alti ufficiali ritengono che Erdogan sta portando il Paese nel baratro. Rubin chiedendosi se l’istituzione militare sarebbe in grado oggi di rovesciare Erdogan e il suo ambiente, ritiene che i militari è in grado di farlo.

Rubin ha aggiunto che gli Stati Uniti, nel periodo elettorale e negli ultimi mesi dell’amministrazione Obama probabilmente non interferirranno, soprattutto se i militari affermano la loro volontà di ristabilire dall’interno una democrazia come un tempo nel paese. Gli statunitensi potrebbero criticare il colpo di stato relativamente senza problemi, ma poi lavorerebbero con il nuovo sistema. Inoltre, l’esercito liberebbe i  giornalisti e accademici imprigionato oggi e restituirebbero i giornali e le reti televisive ai loro legittimi proprietari come gesto distensivo verso l’Europa.

Muos: in attesa della sorte delle parabole, ipotesi e dubbi dei tecnici

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Attesa per la sentenza del Consiglio di giustizia Amministrativo sul Muos. Tanti i dubbi dei tecnici sui procedimenti delle verificazioni

di Daniela Giuffrida.

Mentre si attende la prossima udienza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana che si terrà il prossimo 14 aprile e che dovrà decidere in via definitiva delle sorti del  di , i Consulenti Tecnici di parte avversa al Ministero della Difesa preparano la loro risposta alla relazione di integrazione alla verificazione, relazione depositata dai verificatori del  lo scorso 24 marzo.

Il contenuto di quella relazione è ormai noto a tutti, ciò che non è noto è cosa realmente sia accaduto durante la verificazione svoltasi dal 9 all’11 marzo scorsi, presso la stazione NRTF di Niscemi. La relazione dei CTP che conterrà questi dettagli, sarà allegata alle memorie difensive che i legali dei  depositeranno presso il CGA, il prossimo 4 aprile.

In attesa della redazione del documento finale, noi ci limiteremo ad avanzare delle ipotesi che trovano però valido riscontro in quanto appreso in maniera informale.

Poniamo il caso che durante la verificazione del 9 marzo scorso, siano stati notati ed evidenziati  dai Consulenti di parte avversa al Ministero della Difesa, strani fatti come, per esempio, l’inesistenza di una postazione fissa, all’interno del box di controllo, cosa che avrebbe costretto i tecnici americani a porre su un normale tavolo uno schermo ed un computer portatile senza connessione via cavo al sistema e, supponiamo che, essendo molto alto il livello di rumore di fondo, per le comunicazioni via telefonia interna sia stato necessario l’utilizzo di una cuffia con gli evidenti limiti che la cosa comporta.

Ora, prescindendo dalla possibilità di controllo sulle attività riguardanti la stessa trasmissione e ricezione dei dati, se non vi è una connessione via cavo al sistema, verrebbe da pensare che il sistema Muos sia attivabile in remoto e che la trasmissione e la ricezione dei dati possa avvenire al di fuori dei confini dello Stato Italiano.

Ma se il sistema è a se stante, se è attivabile e manovrabile in remoto, se non è richiesta la presenza fisica di operatori in loco (come risulta evidente dall’allocazione in zone desertiche delle altre stazioni di terra), risulta evidente come il sistema sia “indipendente” dalla stazione NRTF di Niscemi e che la sua presenza dentro la sughereta di c.da Ulmo non dipenda da “imprenscidibile” collegamento funzionale” con la base stessa.

Poniamo ancora il caso che i CTP abbiano notato come la verifica agli impianti si sia basata su diversi elementi, forniti esclusivamente da personale statunitense “non tenuto” a dire il vero e operante all’interno di una struttura di proprietà della USNavy e che, mentre avvenivano le misurazioni, due antenne stessero operando per fatti loro e che, pertanto, le loro “emanazioni” non siano state misurate e immaginiamo anche che i valori di una delle parabole Muos, (apparentemente non operativa) invece, venissero verificate senza che alcuno del personale fosse presente nella struttura.

Immaginiamo che i Consulenti, abbiano verificato come l’impianto, smentendo palesemente quanto affermato dal CTP del Ministero della Difesa, non possa funzionare normalmente con l’emissione di 200 Watt e che, per permettere che questo fosse possibile, su due delle parabole (la terza pare fosse scollegata) sia stato necessario apportare modifiche (improvvisate sul momento) all’impianto originale.

Immaginiamo che alle loro  richieste di spiegazioni su quanto stava avvenendo, il tecnico americano addetto che, poveretto, pare sia stato costretto ad alzarsi più volte e a recarsi in un punto non visibile del box per regolare la potenza, abbia dichiarato ingenuamente che tale modifica si era resa necessaria per rispondere alla richiesta della Prof.ssa Sarto di misurare con potenza emissiva pari a 200 Watt.  Immaginiamo che la prof Sarto, non presente in quella fase, non abbia potuto chiarire e dare riscontro di tutto ciò.

Se tutto ciò fosse rispondente al vero, se fosse stato necessario fare una modifica per far trasmettere l’impianto a 200 watt, risulterebbe oltremodo evidente che l’impianto in condizioni ordinarie non se lo sogna nemmeno di emettere a 200 Watt.

Bene, ma non abbiamo finito.

Poniamo ancora il caso che sia stato verificato come, sia il sistema di trasmissione NRTF che il MUOS non prevedano alcun “uso” di personale del Ministero della Difesa; che le antenne realmente non più funzionanti siano sette su 42; che l’antenna LF sia in grado di superare i valori di 6 v/m in luoghi abitati; che non esista alcun blocco meccanico che impedisca alle antenne di scendere al di sotto dell’inclinazione dichiarata (il 9 marzo il limite imposto via software era di 6,4 gradi ma due giorni dopo era stato modificato a 8 gradi e bastano solo 7 gradi perchè il fascio emissivo colpisca la sughereta di Niscemi) e che tutti i dati di potenza sono generati da un software proveniente da sorgenti non verificabili, e che quindi si tratta soltanto di dati virtuali e presunti.

Se tutte queste “osservazioni” rispondessero al vero (e non abbiamo alcun motivo per ritenere diversamente) e fossero confermate nella relazione finale che i Ctp presenteranno il prossimo 4 aprile, non dovrebbero esserci dubbi sulle decisioni dei giudici del CGARS perchè è assolutamente evidente come la USNavy non abbia alcuno interesse diretto a garantire unavera e corretta verificazione e questo la dice lunga sulla veridicità delle loro affermazioni riguardo all’innocuità di tutto l’impianto NRTF, Muos compreso.

(D.G. 29.03.16)

No Tav, cosa vuol dire recintare il diritto di cronaca

post — 29 marzo 2016 at 18:59

La Corte di Cassazione sarà chiamata, il prossimo 7 aprile, a pronunciarsi sulla richiesta degli avvocati Francesco Arata e Margherita Benedini di annullare la sanzione di 100 euro inflitta, dal tribunale di Torino, alla cronista di Radio PopolareFlavia Mosca Goretta, per le sue cronache, nel novembre del 2011, dalla Val di Susa.
Si tratta di una vicenda esemplare e potenzialmente rischiosa per l’esercizio del diritto di cronaca e per i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione.

Qui no Tav 675

Flavia Mosca Goretta stava, infatti, seguendo e documentando una delle tanti manifestazioni che hanno segnato e segnano, in Val di Susa, la contrastata vicenda della realizazione di una nuova tratta della ferrovia ad alta velocità. Radio popolare, storica emittente di Milano, ha da sempre fatto del racconto in presa diretta un suo tratto distintivo, anche per questo Flavia Mosca era entrata nel cuore della manifestazione e delle tensioni di quella giornata, raccogliendo testimonianze dirette e non mediate dalle parti in conflitto.

Da qui la denuncia pernon aver rispettato le disposizioni della polizia e addirittura di aver partecipato ad azioni di danneggiamento. Il giudice monocratico di Torino ha archiviato l’accusa didanneggiamento, ma ha ritenuto di infliggere un’ammenda di 100 euro, perché la cronista “… si era introdotta nell’area interdetta per acquisire notizie utili, pur potendole acquisirle anche diversamente…”.

La sanzione è esigua, ma il principio è pericoloso e ambiguo, in radicale contrasto con il diritto di cronaca, con le sentenze della Cassazione e con l’articolo 21 della Costituzione. Compito del cronista, infatti, è proprio quello di andare oltre le versioni ufficiali, di svolgere una funzione di controllo pubblico e sociale, come per altro affermano testualmente tutte le sentenze della Corte europea.

Cosa avrebbe dovuto fare la cronista, restare fuori dal recinto?Attendere le versioni della Questura o dei NoTav e limitarsi a registrarle?
Utilizzando lo stesso metro cosa avrebbero dovuto fare i cronisti, per fare un solo esempio, nei giorni della “macelleria cilena” allacaserma Diaz di Genova?

Avrebbero potuto acquisire notizie di “pubblico interesse”restando fuori dai recinti autorizzati?
Ci auguriamo che la sanzione decisa dal giudice di Torino possa essere cancellata dalla Cassazione, anche per evitare che, dentro quei recinti, possa essere rinchiuso non solo il diritto ad informare del giornalista, ma anche il diritto ad essere informato che appartiene ad ogni cittadino della Repubblica.

Giulio Regeni: questi occhi vogliono verità

 manifesto

30.3.2016, 0:04La madre di Giulio Regeni

La madre di Giulio Regeni

Oggi a Roma, in Senato, hanno parlato i genitori di Giulio Regeni.Il padre di Giulio Regeni

Il padre di Giulio Regeni

Troverete su tutti i media il resoconto di cosa hanno detto. C’era seduto fra loro il Presidente della Commissione Diritti Umani, senatore Manconi. Il quale ha fatto una proposta, qualora il 5 aprile prossimo gli investigatori egiziani, che verranno a Roma a incontrare gli investigatori italiani, non portino prove, o almeno un po’ di verità: ritirare l’ambasciatore.

Non parlerò di questo. Lo scriveranno tutti, già.

Scriveranno anche cosa ha detto la madre di Giulio Regeni: ho riconosciuto mio figlio all’obitorio a Roma solo dalla punta del naso.

Io lascerei parlare i loro occhi.

La madre di Giulio Regeni

La madre di Giulio Regeni
Il padre di Giulio Regeni
Il padre di Giulio Regeni

Questi occhi vogliono la verità su Giulio Regeni. Se esiste una civiltà, in questo mondo, la verità è loro dovuta.

Io sono poco fiducioso, dopo tutte le menzogne e le reticenze che quegli occhi hanno, e noi abbiamo,  dovuto subire in queste settimane.

Ed avrei un’altra proposta. Le due polizie – italiana ed egiziana – si staranno parlando molto, in questi giorni. La polizia italiana faccia a quella egiziana questa proposta: il 5 aprile portateci tutte le prove, tutto quello che avete, dal suo passaporto in giù. Tanto, se hanno il passaporto e tutti gli effetti personali, hanno tutto, gli egiziani. E sanno perfettamente come è andata e chi è stato. Poi la polizia italiana e quella egiziana trovino insieme “la verità”. Si intende: una verità credibile, non quella goffa menzogna messa su dagli egiziani. Una verità più credibile, digeribile da palati più fini come quello dell’opinione pubblica italiana. Gli egiziani non potevano sapere che noi italiani siamo divenuti sospettosi, dopo le “verità” presentateci negli ultimi decenni, da Pinelli in avanti, fino ad Aldrovandi, Giuliani, Cucchi e decine di altri. Non ci fidiamo più tanto. Ci occorrerebbe la verità, invece che una “verità”. Ma questo è pretender tanto, in Italia: allora che sia pure innocua, la “verità”, ma perlomeno credibile. Che non disturbi la serenità del Presidente Al Sisi, ovviamente, e consenta al governo egiziano una “onorevole via d’uscita”. Una “verità” almeno così. Meglio che niente.

Perché la verità vera, la madre e il padre di Giulio Regeni, non l’avranno mai.

n.b. Come non avremo mai la verità su tutti quelli che sono morti quando erano nella responsabilità delle Forze dell’Ordine Italiane, magari a cominciare da Pinelli; “caduto” dal quarto piano della Questura di Milano nonostante ci fossero ben 4 Agenti a trattenerlo. 

Noam Chomsky: “I padroni dell’umanità hanno ucciso l’Europa”

http://www.pressenza.com/it/2014/02/noam-chomsky-padroni-dellumanita-hanno-ucciso-leuropa/

Pressenza

21.02.2014 – Redazione Italia
Noam Chomsky: “I padroni dell’umanità hanno ucciso l’Europa”

(Foto di )

“Si credono i padroni dell’umanità e purtroppo lo stanno diventando: la politica democratica ha cessato di resistere loro, spianando la strada alla dittatura incondizionata dei poteri forti, economici e finanziari, che ormai dettano le condizioni della nostra vita pubblica”. Parola di Noam Chomsky, considerato il maggior linguista vivente, autore del capolavoro “Il linguaggio e la mente”.

A 86 anni, il professore statunitense dimostra una lucidità di pensiero e di visione che non lascia spazio a dubbi. Nessuna illusione: “Le nostre società stanno andando verso la plutocrazia. Questo è il neoliberismo”, dice Chomsky, in Italia per il Festival delle Scienze di Roma nel gennaio 2014.  Il titolo dell’ultima raccolta di testi inediti tradotti in italiano è estremamente esplicito: loro, gli oligarchi globali, signori delle multinazionali e grandi banche d’affari, sono “I padroni dell’umanità”.

“La democrazia in Italia è scomparsa quando è andato al governo Mario Monti, designato dai burocrati seduti a Bruxelles, non dagli elettori”, afferma Chomsky. In generale, come riporta il newsmagazine “Contropiano”, per Chomsky “le democrazie europee sono al collasso totale, indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere.”

Sono “finite”, le democrazie del vecchio continente – Italia, Francia, Germania, Spagna – perché le loro sorti “sono decise da burocrati e dirigenti non eletti, che stanno seduti a Bruxelles. Decide tutto la Commissione Europea, che non è tenuta a rispondere al Parlamento Europeo regolarmente eletto. Puro autoritarismo neo-feudale: questa rotta è la distruzione delle democrazie in Europa e le conseguenze sono dittature”.

Per Chomsky, il neoliberismo che domina la dottrina tecnocratica di Bruxelles è ormai un pericolo planetario. Il fanatismo del “libero mercato” come via naturale per un’economia sana poggia su di un dogma bugiardo e clamorosamente smentito. In realtà senza il supporto pubblico (in termini di welfare e di emissione monetaria) nessuna economia privata può davvero svilupparsi.

Oggi il neoliberismo si configura come “un grande attacco alle popolazioni mondiali”, addirittura “il più grande attacco mai avvenuto da quarant’anni a questa parte”. Desolante il silenzio dell’informazione, che coinvolge gli stessi “new media”: la loro tendenza è quella di “sospingere gli utenti verso una visione del mondo più ristretta”.

Giuseppe Altieri

http://www.agernova.it/

4 giorni di resistenza no tav

posttop — 28 marzo 2016 at 21:00

cant6Quelli trascorsi sono stati 4 intensi giorni di resistenza No Tav.

Piazzato un campo base a metà del sentiero che separa Giaglione dalle recinzioni del cantiere di Chiomonte, in Valsusa, centinaia di attivisti si sono alternati in turni che hanno coperto le 24 ore e in un clima di convivialità e festa si sono alternati momenti di lotta e di riposo. Partendo dal venerdì con il classico apericena al cancello della centrale di Chiomonte si è giunti alla colazione del lunedì di pasquetta per poi spostarsi al vicino presidio di Venaus per la giornata di festa conclusiva.

Approfittando delle giornate di vacanza si è potuto raggiungere dunque un ottimo risultato con uno sforzo ridotto, obbligando le truppe a difesa del cantiere in fastidiosi e inefficaci continui turni. Le forze di polizia, come di consuetudine nell’ultimo anno su mandato della prefettura e della questura torinese, avevano bloccato la strada che conduce da Giaglione alla val Clarea all’altezza dell’imbocco dei sentieri. Blocchi che si sono poi rivelati inutili vista la capacità dei No Tav di trovare sempre nuove strade verso il cantiere. Sono stati dunque portate pressioni e attacchi alle reti durante tutte le giornate, con lanci di fuochi artificiali e battiture. Solo in valsusa sono costretti a stare decine di ore nei boschi illuminati dalle loro torri faro.

Una giusta resistenza che continua dal giorno in cui quelle reti sono state piantate per fare posto e proteggere questa inutile e devastante speculazione di denaro pubblico. Una pratica continua che prosegue da 4 anni e che vede il popolo della valle di Susa e tutti i no tav che lo sostengono protagonisti di un’esperienza unica. La strada non può dunque che essere questa: la pressione al cantiere, la resistenza,  i momenti di dibattito, la diffusione di ragionamenti e studi che dimostrino ancora, nonostante sia ormai chiaro a moltissimi, l’inutilità di questo modello economico che impoverisce e devasta la vita e i territori.

Oltre le reti, oltre il cantiere ci sono gli attori della speculazione, chi materialmente o per uno stipendietto o per grandi tangenti, ha interesse nel proseguire con l’opera. C’è chi come la questura e la prefettura preferirebbe il silenzio e la lentezza, certi del loro ruolo giornaliero e momentaneo nella vicenda e interessati più alla tranquillità degli uffici che alla battaglia. C’è chi invece vorrebbe accelerare come i commissari di governo Foietta o lo stesso Virano ora a capo di Telt (ente che dovrebbe costruire la Torino Lione), ma sempre nel silenzio mediatico raccontando al mondo che l’opposizione non c’è più. C’è chi invece come il sen. Esposito o il suo compare minore Ferrentino consigliere regionale, pensa di ritagliarsi un futuro alzando la voce sulla questione con ridicoli comunicati stampa a sostegno di chi porta avanti sul campo la devastazione, operai o poliziotti che siano.

Ma al di qua delle reti il morale del popolo no tav è alto, la battaglia continua, giorno per giorno, sentiero dopo sentiero. Sempre più imprevedibili prepariamo nuove mobilitazioni in attesa dell’estate di lotta.

28 marzo 1980: non laverete mai il sangue di Via Fracchia

https://maddalenarobinblog.wordpress.com/2014/03/28/28-marzo-1980-non-laverete-mai-il-sangue-di-via-fracchia/

LA STORIA PERDUTA

“Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalle tradizioni” Karl Marx
Annamaria Ludmann Lorenzo Betassa
Annamaria Ludmann   –   Lorenzo Betassa  –      
Piero PanciarelliRiccardo Dura
Piero Panciarelli         –   Riccardo Dura

Voci soffocate

occhi torbidi
pugni chiusi
Niente luce
Lampi da qualche parte
dentro i cuori
ma di luce non ne esce
tuoni singhiozzi
Fuoco si accenderà
verrà il tempo
da carne e sangue
nasce la luce
[Alekos Panagulis Agosto 1971]

Alle 2.42 di quel maledetto 28 marzo 1980 Lorenzo Betassa, Riccardo Dura, Annamaria Ludmann e Piero Panciarelli stavano dormendo all’interno 1 del civico 12 di via Fracchia, quando i carabinieri del nucleo speciale antiterrorismo del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa fecero irruzione sfondando la porta dell’appartamento.
I quattro compagni trucidati costituivano la colonna genovese delle Brigate Rosse ed i mercenari di Dalla Chiesa scoprirono il loro covo in seguito alle informazioni fornite al giudice Gian Carlo Caselli e a Dalla Chiesa da Patrizio Peci (ex militante pentito delle BR), dopo che questo si era ufficialmente rivolto al comandante dei servizi segreti Incandela di Cuneo, mentre era ancora nell’isolamento successivo all’arresto “coperto” da due mesi.
Erano gli anni in cui il pentitismo (e ancor peggio la dissociazione) mietevano tante vittime fra i compagni, alimentando un clima persecutorio, che era fondato spesso su accuse giudiziarie infondate e su teoremi inquisitori il cui scopo era terrorizzare e distruggere il movimento antagonista. Sul fronte della lotta di classe, le delazioni portarono all’arresto, alla tortura ed al massacro di molti militanti ad opera dei corpi speciali dei carabinieri dell’antiterrorismo, comandati da un generale senza scrupoli, Carlo Alberto Dalla Chiesa, orrida figura degna solo di essere paragonata ad un Pinochet.Corridoio_via_Fracchia

Quella di via Fracchia non fu un’operazione di polizia, fu un eccidio, una mattanza: non ci furono arresti. solo esecuzioni.
Il comunicato ufficiale dei carabinieri parlò genericamente di conflitto a fuoco, ma l’ingresso nell’abitazione, dopo “l’operazione”, fu vietato alla stampa e alla televisione per diversi giorni.
Anche i giornalisti furono ammessi per la prima volta nell’appartamento il giorno 8 aprile. La “visita” permessa poteva durare solo tre minuti, i giornalisti poterono entrare uno solo alla volta, accompagnati da un ufficiale dell’arma. Molti di loro rilevarono che non tutte le cose riferite in forma ufficiale dai carabinieri combaciavano con ciò che i loro occhi poterono vedere.
Il 30 marzo con una telefonata all’ANSA, le BR avevano fatto trovare il volantino di commemorazione, datato sabato 29 marzo 1980.
Copie del volantino furono diffuse, nello stesso giorno, nelle maggiori città e, nei giorni successivi, a Genova, nell’Oregina, in via Napoli, a Granarolo e a Sampierdarena.
In un reparto dell’officina 76 dello stabilimento Fiat di Mirafiori, a Torino, nei giorni successivi la strage, comparve una stella a cinque punte con la scritta rossa: “Onore ai compagni caduti a Genova”.
I compagni assassinati erano:
– Annamaria Ludmann, nata a Chiavari (GE), 32 anni , di professione segretaria( in quanto intestataria dell’appartamento fu la prima ad essere identificata). Nel volantino commemorativo i compagni la ricordano col nome di battaglia “Cecilia”. La colonna veneta delle BR prese il suo nome: “Colonna Annamaria Ludmann”.
– Lorenzo Betassa, nato a Torino, 28 anni, di professione operaio. Nel volantino viene ricordato col nome di battaglia “Antonio”.
– Piero Panciarelli, “Pasquale”, nato a Torino, 25 anni, faceva l’operaio alla Lancia. Fu il penultimo dei quattro militanti uccisi in via Fracchia ad essere identificato.
-Riccardo Dura, “Roberto”, era nato a Roccalumera (ME), 30 anni, faceva anche lui l’operaio. Non fu identificato per molti giorni, e furono le Brigate Rosse, il 3 aprile 1980, con una telefonata all’Ansa, a dare pubblicamente il suo nome. Il 5 aprile ad accompagnare Riccardo Dura nel cimitero di Staglieno c’era soltanto la madre.

A PUGNO CHIUSO COMPAGNI. LA TERRA VI SIA LIEVE, QUANTO A NOI, NOI CHE SIAMO RIMASTI, NON DIMENTICHEREMO E NON PERDONEREMO FINO AL GIORNO DEL RISCATTO.

“Volantino di commemorazione dei quattro militanti uccisi in Via Fracchia a Genova”

Venerdì 28 marzo 1980 quattro compagni delle Brigate Rosse sono stati uccisi dai mercenari di Dalla Chiesa. Dopo aver combattuto, e trovandosi nell’impossibilità di rompere l’accerchiamento, dopo essersi arresi, sono stati trucidati. Sono caduti sotto le raffiche di mitra della sbirraglia prezzolata di regime i compagni:
* Roberto: operaio marittimo, militante rivoluzionario praticamente da sempre, membro della direzione strategica della nostra organizzazione. Impareggiabile è stato il suo contributo nelle guerra di classe che i proletari in questi anni hanno sviluppato a Genova. Dirigente dell’organizzazione dall’inizio della costruzione della colonna che oggi è intitolata alla memoria di Francesco Berardi, con generosità e dedizione totale ha saputo fornire a tutti i compagni che hanno avuto il privilegio di averlo accanto nella lotta un esempio di militanza rivoluzionaria fatta di intelligenza politica, sensibilità, solidarietà , vera umanità, che le vigliacche pallottole dei carabinieri non potranno distruggere.
*Cecilia: si guadagnava da vivere facendo la segretaria. Come tutte le donne proletarie la borghesia aveva destinato una vita doppiamente sfruttata, doppiamente subalterna e meschina. Non ha accettato questo ruolo aderendo e militando nella nostra organizzazione, dando con tutte le sue forze un enorme contributo per costruire una società diversa, dove la parola donna e la parola proletario non significano sfruttamento.
*Pasquale: operaio della Lancia di Chivasso.
*Antonio: operaio Fiat e dirigente della nostra organizzazione.
Sempre alla testa delle lotte della fabbrica e dei quartieri nei quali vivevano. Li hanno conosciuti tutti quegli operai e proletari che non si sono piegati all’attacco scatenato dalla multinazionale di Agnelli e dal suo Stato. Proprio perché  vere avanguardie avevano capito che lottare per uscire dalla miseria, dalla cassa integrazione, dai ritmi, dai cottimi, dal lavoro salariato, vuol dire imbracciare il fucile e organizzare il potere proletario che sappia liberare le forze per una società comunista. Imbracciare il fucile e combattere. Questi compagni erano consapevoli che decidendo di combattere avrebbero affrontato la furia omicida della borghesia e che avrebbero potuto essere uccisi. Ma la certezza per combattere per la vita, per la libertà in una posizione d’avanguardia, in prima fila, è un compito che i figli migliori, più consapevoli, del popolo devono assumere su di sé  per poter rompere gli argini da cui il movimento proletario spezzerà via la società voluta dai padroni. Per loro, come per molti altri operai, la scelta è stata precisa: combattere e vincere con la possibilità  di morire; anziché subire e morire a poco a poco da servi e da strumenti usati da un pugno di sciacalli per accumulare profitti. Oggi Roberto, Pasquale, Cecilia, Antonio, sono caduti combattendo. E’ grande il dolore per la loro morte, non riusciamo ad esprimere come vorremmo quel che sentiamo perché li hanno uccisi e non li avremo più tra noi. Ma nessuno di noi ha pianto, come sempre quando ammazzano dei nostri fratelli, e la ragione è una sola: altri hanno già occupato il loro posto nella battaglia. Proprio mentre ci tocca lo strazio della loro scomparsa e onoriamo la loro memoria, si rinsalda in noi la convinzione che non sono caduti invano come non sono morti invano tutti i compagni che per il comunismo hanno dato la vita.
Alla fine niente resterà impunito.
Brigate Rosse
29 Marzo 1980

Plano risponde ai 5 Stelle sulle compensazioni La replica affidata ad un comunicato ufficiale diffuso via social network

L'Agenda.News

planoteatrosusa

MARCO CICCHELLI 25 MARZO 2016

SUSA –  Cercare di telefonare in queste ore a Sandro Plano, cui l’uovo di Pasqua  con sorpresa grillina, rischia di andare per traverso, per avere una dichiarazione ufficiale è complicato. Il suo rapporto coi media non è mai stato molto diverso da quello che ad altri livelli romani ha il vecchio D’Alema con la categoria: “onorevole, posso farle una domanda?”, “l’ha già fatta” oppure “no perché sarebbe sbagliata” .

Battute a parte Sandro Plano affida la sua replica alle accuse nemmeno tanto velate dei Grillini di aver svenduto la linea Notav, per un … piatto di compensazioni, seppur con un escamotage semantico. ad un comunicato sindacale ufficiale anticipato via facebook  ancor prima di inviarlo alle redazioni locali.

“Lette le recenti dichiarazioni del Consigliere regionale Francesca Frediani ritengo necessario chiarire l’ambito delle cosiddette “misure compensative” connesse alla Torino-Lione e in particolare la questione riguardante il recupero del Teatro Civico.

Premesso che la nostra Amministrazione si è dichiarata, nel programma di mandato, contraria alla costruzione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità in Valle di Susa e che non sussistono ragioni valide a farle cambiare questa opinione, nel 2009 aveva redatto un progetto esecutivo e iniziato l’iter per il finanziamento degli interventi di consolidamento statico, ristrutturazione e adeguamento alla normativa di sicurezza con la richiesta di fondi al Ministero dei Beni culturali. L’Amministrazione subentrata aveva richiesto l’accesso ai Contributi europei per progettazione e opere di un importo di complessivo pari a 4.400.000 €.

L’Unione Europea ha concesso un contributo di 3.200.000 € condizionato a un cofinanziamento di 1.200.000 € e all’esecuzione e rendicontazione dell’intero intervento entro il 31 dicembre 2015. Quest’ultimo era stato inserito tra quelli previsti dal CIPE, nelle delibere in oggetto, per la Torino-Lione contestualmente a deroghe dal patto di stabilità per gli anni 2013-14-15.

L’esigenza di rispettare questi tempi ha indotto l’Amministrazione ad anticipare le spese per la progettazione esecutiva e le successive varianti dato che nel corso delle prospezioni archeologiche sono state riportate alla luce pavimentazioni e mura risalenti all’epoca romana. La mancata erogazione dei fondi da parte del CIPE stesso, in tempi utili, ha impedito la pubblicazione del bando di gara e la conseguente impossibilità di eseguire e rendicontare i lavori entro il tempo stabilito. Circostanza che ha obbligato la Regione Piemonte a revocare, con Determinazione dirigenziale n. 225 del 22 aprile 2015, il contributo europeo.

Questa situazione riveste particolare gravità dato che l’edificio, inserito nell’elenco dei beni culturali sottoposti a tutela (D.Lgs. 42/2004 “Codice dei beni culturali e del Paesaggio), è stato dotato di copertura provvisoria e la stabilità di alcuni muri perimetrali è stata compromessa dagli scavi di sondaggio. Circostanza evidenziata dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio che con lettera n. 13354 dell’8 novembre 2015 (allegato 2) richiama il Comune agli obblighi conservativi di legge e richiede un “indifferibile intervento che ponga freno al complessivo degrado e restituisca al bene il necessario decoro”.

Ho incontrato, con il senatore Marco Scibona, il Segretario del Ministro ai Beni culturali per verificare possibilità di finanziamento dell’intervento, ma ci è stato detto che la disponibilità per questi interventi era sull’ordine di poche migliaia di euro. Stante l’urgenza di intervenire, si è chiesto alla Direzione Generale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di modificare la destinazione delle risorse, prevista nelle delibere CIPE sopra citate, tutte in capo all’intervento di “Recupero del Teatro Civico” ancorché ridotto al minimo indispensabile per ragioni di pubblica sicurezza e di tutela di un bene storico. Considerato inoltre che limiti imposti dal patto di stabilità al bilancio del Comune di Susa non consentono di utilizzare questi fondi, si è richiesto alla Regione Piemonte di diventarne destinatario e di realizzare l’intervento.

Nella riunione di lunedì 21 marzo ho semplicemente ribadito la necessità di risolvere in tempi brevi questo problema ed evidenziato alcune questioni legate agli interventi CIPE in capo alla Città metropolitana. In particolare la priorità di intervenire sul ponte della SS25 sul Cenischia per eliminare il rischio idraulico sull’area ex ASSA, sul ponte del rio Scaglione, sulla impraticabilità della soluzione proposta dalla Soprintendenza a riguardo del ponte di via Montello e sulla necessità degli interventi nell’ITIS Ferrari.

Ho dimostrato in più occasioni la mia indipendenza dagli ordini di Partito, non cambio idea sul Tav e sulla politica e mi dispiace sinceramente che qualcuno possa dubitare della mia buona fede. Non riesco a capire come mai una rotonda in valle di Lanzo è considerata come intervento della Provincia e una rotonda in Valle di Susa debba essere classificata come compensazione.

Sono andato con i miei colleghi Sindaci alle audizioni in Regione e Senato per ribadire le nostre tesi e non sono quindi andato a contrattare alcunché, ma mi sono mosso nell’esclusivo interesse della Città che ho l’onore di amministrare.”

E anche su questa dichiarazione ufficiale si sono scatenati i botta risposta che lasciamo agli appassionati del genere. Riportiamo solo il primo commento, che è proprio della Frediani, per chiarir il clima che sta montando fra alleati Notav:  “Sandro Plano non è questione di buona o cattiva fede. Hai sempre detto che avresti accettato le compensazioni, sei stato chiaro da subito. Permetti che manifestiamo il nostro disaccordo… ci saranno No Tav d’accordo con te e altri d’accordo con noi. Mi pare normale… o no?”.

Da sgarbiano convinto a Sandro Plano – che voglia o meno discutere di compensazioni – una sola preghiera: basta consumare territorio con inutili e costose rotonde, vero incubo dei poveri automobilisti e del paesaggio. Si provi a pensare ad interventi strutturali che siano in grado di creare economia, opportunità di attrarre investitori e sviluppo durevole. Oltre i marciapedi c’è un mondo da conquistare.

Artigiani, imprenditori e pensionati hanno bruciato i soldi di una vita Il parroco che li aiuta a resistere: ho salvato 100 persone dal suicidio

un prete che si dedica agli italiani e non ai profughi? Deve essere un razzista xenofobo..
 
“Avevo risparmiato 600 mila euro Per colpa loro ora sono sul lastrico”
ANSA
La sede La Banca Popolare di Vicenza nel 2015 ha perso 1,4 milioni di euro
28/03/2016
fabio poletti
 
Quando le hanno provate tutte e non sanno più dove sbattere la testa si rivolgono a don Enrico Torta. Il parroco di Dese vicino a Venezia che dopo essersi occupato di usura, a 78 anni guida gli azionisti e i correntisti della Popolare di Vicenza che hanno visto svaporare i risparmi. «Le telefonate sono continue. Li sento piangere, persone disperate che non hanno più nemmeno la forza di reagire». I soci in difficoltà sono 119 mila. Il buco di bilancio del 2015 viaggia sul miliardo e 400 milioni di euro. Pure declinato nel rivolo di azionisti, una batosta spesso letale. Patrizio Miatello, impresa di trasporti a Vedelago vicino a Treviso e braccio destro di don Torta, ai numeri della banca aggiunge le cifre del costo sociale del dissesto. «Abbiamo salvato più di 100 persone che volevano suicidarsi a causa di questi “piccoli problemi”», denuncia alla tribuna dell’assemblea della Popolare.
L’ARTIGIANO
C’è un artigiano che di «piccoli problemi» ne ha due. Uno con la Popolare di Vicenza e uno con un’altra banca. La sua officina meccanica è una di quelle che lavorando nell’indotto partecipa a tenere in piedi l’intera economia del Nord-Est. I risparmi di una vita di sacrifici – 40 anni in officina, sabato e domenica compresi, niente Natale o Pasqua – li aveva investiti tutti nella Popolare. Quando ha scoperto che le sue azioni erano arrivate a valere lo 0 virgola niente, per non chiudere è andato a bussare a un’altra banca. Gli effetti lunghi della crisi, l’impossibilità di fornire solide garanzie se non il proprio lavoro, hanno fatto il resto. «Quando gli hanno detto che se non rientrava subito gli avrebbero tolto la casa è crollato. L’ho sentito piangere: “Se questa è la vita che devo fare tanto vale uccidersi”. Si sentono annientati e soli. Abbandonati da politica e da istituzioni. Aveva bisogno di 10 mila euro. Sembrano pochi ma sono tanti in certi casi. La Provvidenza lo ha fatto incontrare con una persona buona. Ma quanti finiscono nel giro degli usurai?», racconta don Torta del piccolo artigiano alle prese con le carte bollate per salvare vita e azienda.
IL MACELLAIO
Il suo negozio andava bene. Bastavano lui dietro al bancone e la moglie alla cassa, per tirare avanti più che dignitosamente. La figlia no. Per la figlia sognava un altro futuro, lontano da questo paesino del Nord-Est. Adesso che finalmente si era laureata e si doveva sposare, aveva pensato di regalarle la casa. Una consuetudine tra queste famiglie con un alto valore della famiglia. «Di fronti a dissesti come questi si guarda sempre ai conti economici. Poi ci sono i drammi umani. Le situazioni di disagio si contano a decine. Dove non ti nascondono ti aver pensato di farla finita», ammette l’avvocato Andrea Arman anche lui alla guida di un’associazione di azionisti della banca. «Il macellaio aveva depositato 600 mila euro. Quando chiese di prelevarne 400 mila euro per costruire la casa della figlia si sentì fare una proposta che sembrava allettante. La banca gli avrebbe concesso un prestito di 400 mila euro. In cambio avrebbe sottoscritto azioni della Popolare per 600 mila euro. Ora si trova senza più il capitale e con un debito enorme con il rischio che gli tolgano casa e negozio».
LA PENSIONATA
I casi disperati sono tra gli anziani. Dopo una vita di lavoro da impiegata in una piccola fabbrica della zona era riuscita a mettere da parte 65 mila euro. Nemmeno troppi, abbastanza per questa donna sola, senza marito o figli. La pensione da 900 euro è sufficiente se si sanno fare i giochi di equilibrio. «Quella donna non ha più nulla. Nelle carte della banca risulta aver accettato i suggerimenti di chi sta dietro le sportello. Facile che abbia firmato, visto che questa donna sa zero di finanza. “La serenità della mia vecchiaia era in quel conto. Ho perso soldi e la serenità per andare avanti”. Cosa puoi dire a una donna così?», chiede a tutti don Torta.
MADRE E FIGLIO
L’avvocato Arman non cura la parte legale degli azionisti. «Questione di principio. Però in studio ne vedo arrivare a decine. L’ultimo pochi giorni fa. Un ragazzo rimasto orfano di padre da poco tempo. Con una parte dei risparmi della madre – stiamo parlando di 25 mila euro – volevano pagare il rito funebre. Ma in banca sono rimasti 130 euro. Tutto il resto se l’è mangiato la Popolare di Vicenza. Le azioni bloccate dalla banca erano state acquistate dalla donna che a 78 anni era indicata nel profilo Mifid come “diplomata con la propensione ad investimenti ad alto rischio”. Ma lei ha solo la licenza media, nemmeno un risparmio da parte e tutta la disperazione di chi non ha più niente».
 

A Enrico Letta la Légion d’honneur francese

ai servetti e collaboratori del compagno Hollande, dopo il saudita grande tutore di diritti umani all’altro imbelle
L’ex premier figura tra le 535 personalità che verranno insignite dell’onorificenza
27/03/2016
 
Enrico Letta figura tra le 535 personalità insignite della Legion d’Onore dal presidente della Repubblica francese, Francois Hollande, di cui è stato pubblicato l’elenco nel giorno di Pasqua. L’ex premier, che dirige la Scuola di affari internazionali della facoltà di Scienze politiche di Parigi, è uno dei 22 insigniti del titolo di commendatore in qualità di personalità straniera che vive in Francia. I cavalieri sono 433 e gli ufficiali 73.
Legion d’onore, fra gli altri, anche per l’attuale commissario europeo Pierre Moscovici, per il filosofo Edgar Morin, per l’attore Pierre Arditti e per il 44enne fumettista Joann Sfar, autore de «Il gatto del rabbino».