Grecia di nuovo all’attenzione di Eurogruppo e Fmi

Il caso della Grecia torna all’attenzione dell’Europa, come confermato ieri dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem al termine dell’ultimo meeting dei ministri delle finanze Ue.

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Il caso della Grecia *torna all’attenzione dell’Europa, come confermato ieri dal presidente dell’Eurogruppo* Jeroen Dijsselbloem al termine dell’ultimo meeting dei ministri delle finanze Ue. Il politico olandese ha sottolineato i progressi compiuti sul caso dalla scorsa estate e in particolare il rifinanziamento da circa 5 miliardi di euro delle banche greche che si è mostrato molto inferiore al previsto.
Rimangono in piedi numerose sfide sul fronte delle riforme fiscali e strutturali, a partire dalla riforma delle pensioni,* *che resta uno dei punti più importanti e dibattuti. I ministri europei hanno posto diversi interrogativi al governo greco sul tema della previdenza e Dijsselbloem ha evidenziato l’importanza di un rapido scambio di informazioni in vista della prossima missione Ue ad Atene.
Sulla questione della Grecia è inoltre tornato ieri il Fondo Monetario Internazionale, che insieme a Bce e Commissione Ue costituiva la ex-troika. Gerry Rice, il direttore delle comunicazioni dell’Fmi, ha confermato che il team dell’istituzione di Washington sta valutando gli sviluppi dell’economia ellenica e i piani per il consolidamento del Paese (riforma delle pensioni compresa), ma ha ribadito, come nel 2015, l’opinione che un alleggerimento del debito greco da parte dei partner europei sia necessario allo scopo di favorire la ripresa dell’economia.
 
All’Fmi Atene ha già inviato una *bozza di riforma delle pensioni *in Grecia e i suoi analisti la stanno analizzando. Se ne discuterà anche con i partner europei in occasione della prossima prima revisione del programma europeo di intervento ESM.
Rice ha ribadito di ritenere che una riforma delle pensioni sia necessaria per rendere sostenibile il sistema previdenziale ellenico: attualmente, ha sottolineato, le i contributi versati in Grecia non bastano a coprire i generosi benefici garantiti che quindi richiedono quasi il 10% del Pil greco. Di conseguenza una riforma pensionistica resta basilare per un consolidamento delle finanze pubbliche elleniche.
Grecia di nuovo all’attenzione di Eurogruppo e Fmi
 
Il caso della Grecia torna all’attenzione dell’Europa, come confermato ieri dal presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem al termine dell’ultimo meeting dei ministri delle finanze Ue.
(GD)

Undici miliardi in meno (in un mese): banche, l’Italia ora teme il collasso

Che cosa rischia il Belpaese
 
Complici il salva-banche e i crac evitato in extremis dai quattro istituti, il sistema bancario italiano vive uno dei momenti più difficili della sua storia recente. Forse uno dei più difficili da che la crisi, nel 2008, ha cominciato a mordere anche il Belpaese. E un indizio inquietante di questo sentiment arriva dal consueto bollettino mensile redatto dalla Banca d’Italia, i cui dati sono relativi a novembre. Oltre ai mutui che restano al palo e alle sofferenze bancarie che non calano, c’è un dato ancor più preoccupante e delicato: a novembre, dopo oltre un anno di crescita continua, sono fuoriusciti dai conti correnti 11 miliardi di euro. In termini percentuali, in un mese i depositi sono calati del 6,1 per cento. Numeri enormi, che però vanno trattati con cautela: il 30 del mese infatti si paga l’anticipo Ires e le aziende attingono alle liquidità bancarie. Eppure il calo è notevole, più cospicuo di quanto ci si potesse attendere, tanto da essere stato in grado di impattare su tutti gli indicatori della massa monetaria e di attività finanziarie in circolazione. Si attende dunque un rimbalzo a dicembre, ma se il rimbalzo non arrivasse l’allarme non potrà più essere sottovalutato.
 
Il punto è che meno raccolta, ovvero depositi più leggeri, significano meno liquidità in cassa. Si pensi alle banche in difficoltà: come sottolinea Il Fatto Quotidiano, se per ipotesi la “Nuova Banca Marche”, che raccoglie 14,3 miliardi, perdesse il 7% dei depositi, la cassa verrebbe dimezzata. Lo stesso per Carife ed Etruria, giusto per restare nel lotto degli istituti aiutati dal salva-banche del governo Renzi. Il deflusso andrebbe così a incidere in modo significativo sul prezzo al quale queste banche potranno essere vendute per rimborsare il Fondo interbancario dal quale si è attinto per salvarle, poiché al netto degli 1,7 miliardi che si ipotizza di incassare cedendo le sofferenze, ne servono altri 1,8 miliardi (o, altrimenti, il sistema bancario ci perderà). Risulta lampante, dunque, che si il calo dei depositi venisse confermato in simili proporzioni lo scenario sarebbe assai più difficile da affrontare rispetto a quanto previsto fino ad oggi.
14 Gennaio 2016

PORTOGALLO: FINIRA’ COME IN GRECIA?

ma la Grecia di Tsipras non doveva essere la svolta? Da quando ha abdicato obbediente alla troika, SILENZIO sulla Grecia. Del destino degli ellenici non importa più a nessuno, anzi, magari parlare delle condizioni dei greci è visto come un attacco al governo del compagno rivoluzionario Tsipras e quindi un attacco “fascista”. In Portogallo incredibilmente, il governo socialista HA DAVVERO ATTUATO UNA PARTE DI QUANTO PROMESSO IN CAMPAGNA ELETTORALE, UN VERO SCOOP MA……
 
João Camargo *
 
[ 15 gennaio ]
 
Dopo le elezioni legislative portoghesi dello scorso ottobre sembrava improbabile che il loro risultato potesse reggere così a lungo. Il Partito socialista, diretto da António Costa, doveva scegliere fra una resa senza condizioni al centrodestra o una svolta a sinistra, sottoposto com’era alla pressione della maggioranza relativa ottenuta dal centrodestra che aveva governato in Portogallo negli anni della troika, da una parte, e della sinistra emergente, dall’altra. La pressione del Blocco di sinistra per far cadere il governo di centrodestra e appoggiare un governo del Partito socialista con con l’aiuto del Partito comunista e dei Verdi ebbe successo quando i socialisti, con il 28 % dei voti, e la sinistra, che ne rappresentava circa il 20 %, si unirono in Parlamento e votarono contro il programma del governo di coalizione delle destra, costringendo, contro la sua volontà, il presidente (di destra) della Repubblica a dare l’incarico a Costa per la formazione di un governo.
 
Gli accordi multilaterali sottoscritti dal Partito socialista con ciascuno degli altri partiti hanno caratterizzato una parte importante del programma del nuovo governo: i socialisti si sono impegnati a non proseguire nei tagli al Welfare State, a riassorbire le riduzioni di salari e pensioni, a incrementare il salario minimo, a bloccare le privatizzazioni e a ristabilire la contrattazione collettiva per i lavoratori. Inoltre, ci si è accordati per combattere la precarietà, proibire gli sfratti, porre fine agli esami standardizzati per gli alunni, assegnare il diritto di adozione alle coppie gay e lesbiche, eliminare le restrizioni al diritto di aborto introdotte dal governo precedente, oltre che a cancellare molte altre iniziative politiche del governo di Passos Coelho.
 
Sin da quando è entrato in funzione, il 26 novembre, il governo del Partito socialista, appoggiato in Parlamento dalla sinistra, si è attenuto a quanto concordato con il Blocco di sinistra, il Partito comunista e i Verdi. L’annullamento della privatizzazione della compagnia aerea TAP (la cui privatizzazione era stata decisa dal Consiglio dei ministri del governo precedente nel breve periodo in cui era rimasto in funzione) è all’ordine del giorno, mentre sono state annullate le concessioni a imprese private dei trasporti pubblici di Oporto e Lisbona. Le coppie omosessuali ora possono adottare, le restrizioni all’aborto sono state abolite, sono state promulgate nuove leggi per proteggere dagli sfratti e dai sequestri giudiziari le famiglie oppresse dai debiti, i bambini di 8, 10 e 12 anni non dovranno più sottoporsi agli esami obbligatori di matematica e di portoghese, la sovrattassa decisa dal precedente governo sarà ridotta di due terzi per la maggioranza dei salariati con reddito medio ed eliminata per coloro che guadagnano meno di 801 euro.
 
Si è negoziato un aumento del salario minimo e, contro il parere delle associazioni industriali, ci si è accordati per aumentarlo a 600 euro entro il 2019 (era di 485 euro nel 2015, è salito a 505 euro nel 2016 e successivamente si avrà un aumento annuo di almeno il 5 %). Qui si è registrata una delle prime divergenze nell’alleanza, poiché i comunisti e anche il Blocco chiedevano che l’aumento fosse immediato nel 2016. Infine, ha iniziato i suoi lavori un comitato per combattere la precarietà lavorativa, concentrandosi soprattutto sui lavoratori autonomi.
 
Il Blocco di sinistra ha nominato il suo ex portavoce, Francisco Louçã, come suo rappresentante nel Consiglio di Stato, un organismo che affianca il presidente della Repubblica (le elezioni presidenziali si svolgeranno il 24 gennaio). È la prima volta che il Blocco è rappresentato nel Consiglio. A loro volta, anche il Partito comunista, il Partito socialista e i partiti che formavano la ormai sciolta coalizione di destra, Partito socialdemocratico e Partito popolare, hanno nominato ciascuno un consigliere.
 
I virulenti attacchi della destra contro il nuovo governo si sono ridotti praticamente a zero, soprattutto dopo che è scoppiato lo scandalo di un nuovo disastro bancario. Il precedente governo aveva iniettato 1100 milioni di euro nel BANIF, una banca privata con sede centrale a Madera diretta da Luís Amado, ex ministro del Partido socialista. Nel 2012 la banca aveva ottenuto un “prestito” dalla troika di 1100 milioni di euro, restituendone solo 275 (e dal dicembre 2014 ne deve ancora altri 125). Nel dicembre 2015, quando fu finalmente chiaro che BANIF era in bancarotta, le sue azioni sono precipitate a un valore quasi nullo. Era in bancarotta e insolvente sin da quando il precedente primo ministro Passos Coelho aveva trionfalmente presentato il programma della troika per una “soluzione pulita”. La situazione era stata occultata, in collusione con il direttore del Banco de Portugal (la banca centrale portoghese), per ragioni elettorali, e la verità era venuta alla luce tre settimane dopo la costituzione del nuovo governo. La Banca centrale europea (BCE) ha fatto apertamente pressioni sul governo, cosicché si è dovuto salvare la banca con 2200 milioni di euro (a meno di un mese dall’entrata in vigore nell’Unione europea della nuova politica di ricapitalizzazione degli enti in fallimento). Dopo di ché la BCE ha imposto la vendita del BANIF alla megabanca spagnola Banco de Santander, in cambio di soli 150 milioni di euro, con in più un’amnistia fiscale di 289 milioni. La Commissione europea ha ordinato al governo portoghese di dare il denaro al Santander, respingendo la sua proposta di incorporare il BANIF nella Cassa generale di depositi (Caixa Geral de Depósitos), la banca pubblica (e più grande) del Portogallo. Nel Parlamento il Blocco di sinistra, i Verdi e il Partito comunista hanno votato contro questa soluzione. L’europolitica di salvare le banche al solito modo – con il denaro pubblico, invece di mantenere la banca nel settore pubblico dopo che è stata salvata con il denaro pubblico – è stata approvata con il “sì“ del Partito socialista e l’astensione del Partito socialdemocratico. Questa prima seria frattura nell’appoggio al nuovo governo è molto rilevante; e quanto accaduto [l’astensione del PSD e il voto contrario del Partito popolare (CDS-PP)] ha anche segnato la fine della coalizione di destra, con le dimissioni del viceministro Paulo Portas [dalla direzione del suo partito, il Partito popolare], segnado così la fine di un ciclo per la destra.
 
Quando si tratta di banche e finanze, il Partito socialista è coerente nella sua adesione alle norme europee: schiacciare la gente mentre si salvano le banche. Sulla linea di quanto era avvenuto prima con un’altra banca salvata (l’ex Banco Espírito Santo, ora Nuevo Banco), controllata dal governo: si era deciso di liquidare i suoi assets tossici (in questo caso con denaro privato) prima di cederla a privati. L’Unione europea esercita una pressione costante affinché il sistema finanziario portoghese passi nelle mani dei grandi gruppi finanziari europei. Il Blocco di sinistra si è opposto a questa decisione, appoggiato da alcuni deputati socialisti dissidenti.
 
Le prime settimane del nuovo governo portoghese hanno consentito alcune conquiste importanti sul piano sociale, frenando temporaneamente le politiche di impoverimento e in alcuni casi con qualche miglioramento. Ma le pressioni esercitate dall’Unione europea – questa volta non da parte dell’Eurogruppo, quanto della BCE e della Direzione generale della concorrenza della Commissione europea – dimostrano quanto siamo ancora distanti dalla fine degli anni della troika. 
 
L’accettazione da parte del Partito socialista delle dannose politiche europee continuerà ad evidenziare chiaramente le contraddizioni esistenti fra normativa europea, Welfare e Costituzione portoghese. Non vi sono dubbi che queste contraddizioni entreranno prima o poi in forte contrasto con gli accordi sottoscritti con la sinistra, riportando i socialisti di fronte alla stessa situazione in cui si trovavano il giorno dopo le elezioni di ottobre. Prima che ciò avvenga è possibile che assistiamo a importanti mutamenti in Spagna e Irlanda, dove le elezioni [probabili, ma non certe nel caso spagnolo] potrebbero porre fine all’egemonia del Partito popolare europeo e dell’1 % della popolazione che rappresenta.
 
da International Viewpoint (in inglese) e in spagnolo dal sito Viento Sur, traduzione di Cristiano Dan per Movimento Operaio
 
* João Camargo, ingegnere ambientalista, è un militante del Bloco de Esquerda, consigliere municipale di Amadora e animatore della piattaforma Che si fotta la troika (Que se joda la troika) e del movimento Precari inflessibili (Precários Inflexíveis).

Morti bianche: oltre mille incidenti in Italia

fortuna che aumenta la disoccupazione, ah pardon, diminuisce perché aumenta il numero degli inattivi, coloro che sono comunque disoccupati solo che non credono alle palle della ripresa. Dati che non interessano a nessuno, per il lavoro è nobile morire, per la società “democratica” è giusto così.
 
Incidenti in aumento del 17% sul 2014 secondo l‘Osservatorio sicurezza di Vega engineering. Il settore più colpito resta l’edilizia. 64 le vittime in Veneto, 13 in Friuli Venezia Giulia. Maglia nera a Lombardia e alla città di Roma
11 gennaio 2016
 
morti bianche
Più di mille morti in 11 mesi nel 2015 (1080 per la precisione); 800 le vittime che hanno perso la vita in occasione di lavoro da gennaio a novembre 2015 (+17 per cento rispetto al 2014) e 280 quelle decedute a causa di un infortunio in itinere (+19 per cento).
 
Un incremento significativo quello evidenziato dall’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering (sulla base di dati Inail) che pone l’Italia in cima alla graduatoria europea (fonte Eurostat) degli infortuni mortali nei luoghi di lavoro. “Una maglia nera tragica per un Paese che evidentemente non è abbastanza civile da intervenire con i giusti mezzi per invertire la tragica tendenza all’aumento delle morti sul lavoro – sottolinea Mauro Rossato, presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre – Le istituzioni devono essere più visibili e presenti. Servono più controlli, pene certe e processi più veloci per gli evasori della sicurezza sul lavoro. Perché senza tali premesse nessuna inversione di rotta o di tendenza sarà possibile”.
 
E’ la Lombardia a far registrare il più elevato numero di vittime in occasione di lavoro (115); seguono: la Campania (78), la Toscana (74), il Lazio (71), il Veneto (64), l’Emilia Romagna (62), il Piemonte (60), la Sicilia (55), la Puglia (52). E poi ancora: le Marche (26), l’Abruzzo (25), l’Umbria (22), il Trentino Alto Adige (18), la Liguria (17), la Calabria (16), il Friuli Venezia Giulia (13), la Sardegna (12), il Molise e la Basilicata (10). Mentre l’indice di rischio più elevato rispetto alla popolazione lavorativa viene registrato in Molise (100,5 contro una media nazionale di 35,7). Seguono Umbria (61,4) e Basilicata (55,5).
 
Il settore più colpito dalle morti sul lavoro è quello delle Costruzioni con 117 vittime pari al 14,6 per cento del totale degli infortuni mortali sul lavoro. Seguito dalle Attività manifatturiere (98 decessi) e dal Trasporto e magazzinaggio (83).
Più della metà delle vittime rilevate in occasione di lavoro aveva un’età compresa tra i 45 e i 64 anni (485 morti).
Le donne che hanno perso la vita nei primi 11 mesi dell’anno in occasione
di lavoro sono state 42. Gli stranieri deceduti sul lavoro sono 125 pari al 15,6 per cento del totale.
 
La provincia in cui si conta il maggior numero di infortuni mortali è Roma (44) seguita da Milano (34), Napoli (30), Bari (22), Torino (21), Brescia (20), Perugia (17).
 
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I barbari di Colonia

di A. Terenzio
 
Branchi di maschi, dall’aspetto arabo e nordafricano, la notte di San Silvestro, hanno derubato, molestato e stuprato, centinaia di donne tedesche. L’episodio di violenza e barbarie, che i cittadini tedeschi, hanno dovuto subire, sono la diretta conseguenza, del flusso incontrollato di disperati, che si riversano sul continente, a causa delle irresponsabili politiche di accoglienza, della cancelliera Angela Merkel.
 
Non solo Colonia, ma altre città europee, da Amburgo a Zurigo, da Salisburgo ad Helsinki, sono state al centro di aggressioni a sfondo sessuale.
Tuttavia, gli stupri nel capoluogo Renano, rappresentano solo la punta dell’iceberg, di episodi, che accadono quotidianamente nelle varie città europee e che manifestano l’impossibilità di una integrazione pacifica, tra allogeni ed autoctoni.
 
Nelle scorse settimane, la città di Ajaccio, in Corsica, ha visto un’insurrezione popolare, coi suoi cittadini che hanno fatto irruzione in un quartiere islamico, devastando moschee e strappando testi del Corano.
 
Dopo le violenze di Capodanno, le autorità tedesche, hanno in un primo momento esitato, nella diffusione dei dati e delle notizie riguardanti l’accaduto.
Il licenziamento del capo della polizia di Colonia, é stato il goffo tentativo di coprire gli errori della Merkel, sulle folli politiche di integrazione, che stanno letteralmente gettando nel caos la Germania. Le autorità ed i media tedeschi, hanno addirittura tirato in ballo, l’ipotesi dell’organizzazione premeditata e terroristica, pur di non commentare i fallimenti delle politiche di accoglienza.
 
Nei giorni seguenti gli stupri, diversi movimenti identitari tedeschi, tra i quali Pegida (Patrioti europei contro l’Islamizzazione dell’Occidente) insieme a partiti come Pro-Koehln, sono scesi in piazza a Colonia, per protestare contro le politiche immigratorie. Non sono mancati momenti di tensione, e la polizia ha dovuto attuare cariche di alleggerimento contro i manifestanti.
 
Imbarazzante, il silenzio dei movimenti femministi, su quanto accaduto.
Dopo la sospensione “de facto” di Shengen, la chiusura delle frontiere all’ingresso dei migranti, da parte di Danimarca e Svezia, e dopo i muri innalzati da Slovacchia ed Ungheria, l’impianto europeo, sulle politiche di sicurezza comune, sembra oramai al collasso.
 
Donne-tedesche-protestano
Donne tedesche protestano
 
Sappiamo a tal proposito, quali motivi, si agitino dietro l’immigrazione incontrollata di milioni di maschi nordafricani.
Per prima cosa, esiste un problema di denatalità europea, che spinge i governanti dell’UE a ripopolare il Continente, con gli allogeni, soprattutto per necessità di manodopera a basso costo, che sia in grado di garantire i ritmi produttivi della macchina industriale teutonica.
Conseguentemente, la volontà di perseguire nella realizzazione di una società multietnica, senza radici ed omologata al modello americano.
A spingere per la realizzazione, di tale neo-umanità, funzionale al disegno neoliberista: la sinistra dei diritti umani e della “democrazia universale”, che unita alla dottrina della Chiesa di Papa Bergoglio, diffonde il dogma dell’accoglienza e del multiculturalismo.
 
Gli esponenti di questo buonismo ipocrita, fanno spesso parte, di quel ceto medio semi-colto, di lagrassiana memoria, che va dalla c.d. “società civile” fino a giungere ad esponenti governativi e personaggi dello “showbusiness”. E’ tale ceto parassitario, ad essere il nemico principale del popolo.
 
I fatti di Colonia fanno il paio con quelli francesi. Gli autori degli attentati parigini, africani e magrebini di II e III generazione, sono la dimostrazione lampante, del fallimento del “multiculturalismo”.
In risposta ai fatti di Colonia, i nostri sgovernanti, sostenuti dai loro media servili, non fanno altro che ripetere il solito mantra a base di accoglienza e solidarietà, ma oramai esso si rivela inefficace. L’opinione pubblica tedesca, sembra dare segni di “risveglio”, dopo essere stata per decenni, ricattata col dogma dell’antirazzismo.
 
Migranti-in-Germania
Migranti arrivano in Germania
 
Inoltre, come ricorda Gianpaolo Rossi, sul Giornale.it, i servizi di intelligence tedeschi, avvertono sul rischio “islamizzazione” della Germania, rischio presente già in Francia e tra non molto, anche in Italia.
Molte comunità di origine araba, attuano la Sharia, un codice di legge privato, che non riconosce le legislazioni degli Stati nazionali. Diverse periferie delle città tedesche, sono ormai “no free zone” ed anche le forze di polizia, non hanno libertà di accesso, nei quartieri abitati da musulmani.
 
I servizi tedeschi, avvertono anche sul problema demografico, che rischia, nei decenni a venire, di esplodere, e stravolgere radicalmente il tessuto etnico e culturale della Germania.
Inoltre, gli attentati delle scorse ore ad Istanbul, dove 8 turisti tedeschi, sono rimaste vittime di un attacco jiadista, gettano un’ombra sinistra, sulle violenze di Colonia.
 
Anche l’editorialista del NYT, Ross Douthat, avverte, che “la follia nobile” della cancelliera tedesca, potrebbe far scivolare nel caos la Germania, con una nuova ondata di terrorismo e con la radicalizzazione dello scontro, tra popolazione locale ed immigrati.
 
Una situazione esplosiva, che potrebbe portare i movimenti nazionalisti ed identitari come Pegida, ad aumentare radicalmente nei numeri.
La Merkel, raccoglie i frutti malati, di una politica, priva di leadership e decisionismo.
Ai danni diplomatici ed economici, causati dalle sanzioni alla Russia, va ora ad aggiungersi, il problema della sicurezza interna, dove l’emergenza migranti, rischia di frantumare definitivamente l’Unione Europea.

Paladini della libertà di parola: tutti zitti con la Francia che la stronca

Gen 12, 2016
 
Parigi-je-suis-Charlie
Parigi Manifestazione per Charlie
 
Dopo la marcia per la libertà di parola, paradossalmente, il governo francese ha ripetutamente perseguitato per un anno le persone per le idee politiche espresse.
 
Glenn Greenwald
 
È passato quasi un anno da quando milioni di persone – guidate dai tiranni più repressivi al mondo – marciarono su Parigi apparentemente per la libertà di parola. Sin da allora, il governo francese – che ha dato l’esempio strombazzando ai quattro venti l’importanza della libertà di parola dopo gli attentati di Charlie Hebdo – ha ripetutamente perseguitato persone per le visioni politiche espresse oppure ha sfruttato la paura collegata al terrorismo per far fuori i diritti civili in generale. Ha fatto tutto questo senza il minimo accenno di protesta da parte di coloro che, attraverso tutto l’Occidente, avevano sventolato le bandiere della libertà di parola in supporto ai fumettisti di Charlie Hebdo.
 
Ciò perché, come argomentai all’epoca, molti di questi neo-paladini della libertà di parola non sono autentici e costanti sostenitori di essa. Al contrario, essi evocano quel principio solo nei casi più facili ed egocentrici: ovvero, la difesa delle idee che sostengono. Ma quando la gente viene punita per esprimere delle idee che questi signori odiano, allora si fanno silenziosi oppure supportano quella stessa soppressione: proprio il contrario della genuina difesa della libertà di parola.
 
Giorni dopo la Marcia su Parigi, il governo francese ha arrestato il comico Dieudonné M’bala M’bala “per ‘apologia di terrorismo’, dopo aver insinuato su Facebook di simpatizzare con uno degli uomini armati”. Due mesi dopo è stato giudicato colpevole ed ha ricevuto una condanna – poi sospesa – a due mesi di carcere. In novembre, dietro accuse diverse, è stato giudicato da un tribunale belga per “commenti razzisti ed anti-semiti durante uno show in Belgio”, che lo ha condannato a due mesi di reclusione. Non c’è stata nessuna catena di hashtags per  JeSuisDieudonné ed è quasi impossibile trovare i paladini più accesi della libertà di parola post-Hebdo denunciare il governo francese e quello belga per questi attacchi alla libertà di espressione.
 
Nelle settimane che hanno seguito la marcia per la libertà di parola, decine di persone in Francia “sono state arrestate per discorsi di incitamento all’odio o per azioni di oltraggio di altre fedi religiose o per fare il tifo per gli autori degli attentati”. Il governo ” ha ordinato agli inquirenti di dare un giro di vite su incitamento all’odio, anti-semitismo e glorificazione del terrorismo”. Non c’è stata alcuna marcia in difesa dei diritti di libertà d’espressione di queste persone.
 
In ottobre la Corte suprema di Francia ha confermato l’accusa mossa verso alcuni attivisti, i quali promuovevano il boicottaggio e le sanzioni contro Israele come strumento per porre fine all’occupazione. Cos’hanno fatto questi criminali? Sarebbero “arrivati al supermercato indossando magliette con su le scritte ‘Lunga vita alla Palestina, boicottiamo Israele’ ed inoltre distribuivano volantini che dicevano ‘comprare prodotti israeliani vuol dire legittimare i crimini in Gaza’” Dal momento che il boicottaggio verso Israele viene considerato “anti-semitico” dalla corte francese, era un crimine promuoverlo.
Dov’erano tutti i crociati post- Hebdo quando questi 12 individui sono stati giudicati criminali per aver espresso le proprie opinioni politiche, critiche verso Israele? Da nessuna parte.
 
Più in generale, il governo francese ha acquisito “poteri d’emergenza” all’alba degli attentati di Parigi, poteri che in origine dovevano durare 12 giorni. Poi sono stati estesi a tre mesi ed ora, all’avvicinarsi della scadenza, si parla di estendere quelle misure indefinitamente o permanentemente. Quei poteri sono stati utilizzati esattamente dove si sospetterebbe: per presentarsi senza mandato nei luoghi d’incontro dei musulmani francesi, per chiudere moschee e bar, per detenere persone senza capi d’accusa e ad ogni modo per abolire libertà fondamentali. Ora sono stati usati anche al di là della comunità musulmana, contro gli attivisti ambientalisti.
Se questa sorta di classica repressione strisciante non vi disturba, allora potete dire di essere molte cose, ma non genuini difensori della libertà di espressione in Francia.
 
Persino prima degli omicidi di Hebdo, le persecuzioni in Europa contro i musulmani per via delle loro opinioni politiche erano piuttosto comuni, specialmente nel caso in cui tali opinioni fossero critiche delle politiche occidentali. In effetti, una settimana prima dei fatti di Charlie Hebdo, avevo scritto un articolo in cui esponevo in maniera dettagliata la minaccia montante verso la libertà di parola in Regno Unito, Francia ed in tutto l’occidente. Quel tipo di misure – portate avanti dai governi più potenti del mondo – erano e rimangono la più grande minaccia alla libertà di parola in occidente. Tuttavia ricevono una piccolissima frazione dell’attenzione ricevuta dalle uccisioni di Hebdo.
 
Dov’erano e dove sono tutti gli auto-proclamatisi paladini della libertà di parola rispetto a tutto questo? È stato solo quando i fumetti anti-Islam erano in questione e pochi musulmani coinvolti in atti di violenza, che essi sono diventati improvvisamente appassionati riguardo alla libertà di parola. Questo perché la loro vera causa era legittimare la retorica anti-Islam e demonizzare i musulmani; la libertà di parola era solo un pretesto.
 
In tutti questi anni in cui mi sono battuto in difesa della libertà di parola, non ho mai visto – come nel caso degli omicidi di Hebdo – questo principio sfruttato così spudoratamente per altri scopi da gente che chiaramente non ci crede. È stato tanto trasparente quanto disonesto : la loro vera agenda si vede da come hanno inventato un nuovo standard di libertà di parola adatto a quell’occasione: al fine di difendere la libertà di parola, uno non deve solo difendere il diritto di esprimere un’idea, ma deve anche sposarla.
 
Questo “principio” appena coniato è in effetti l’antitesi esatta delle genuine protezioni della libertà di parola. Centrale per una vera credenza nei diritti di libertà d’espressione è la posizione per cui tutte le idee – da quelle che uno condivide ferventemente a quelle che uno condanna, con tutto quel che ci sta in mezzo – hanno il diritto di essere espresse e difese senza per questo essere punite. Le più importanti e più coraggiose difese della libertà di parola sono arrivate tipicamente da coloro i quali, contemporaneamente, esprimevano disprezzo per un’idea mentre difendevano il diritto di altre persone di esprimerla liberamente. Questo è il principio che da tempo definisce l’autentico attivismo collegato alla libertà di parola: quelle idee espresse sono spregevoli, ma io mi batterò per difendere il diritto di altri di esprimerle.
 
Coloro che hanno sfruttato gli omicidi di Hebdo cercavano di abolire questa distinzione vitale. Hanno insistito nel dire che non era abbastanza denunciare o condannare gli assassini dei fumettisti di Hebdo . Hanno provato invece ad imporre un nuovo obbligo: uno deve celebrare ed abbracciare le idee dei disegnatori di Hebdo, supportare il fatto che vengano premiati, esultare per il contenuto delle loro opinioni. Il non condividere le idee di Charlie Hebdo (invece che solamente il loro diritto alla libertà di parola) avrebbe comportato le accuse – da parte degli artisti più viscidi al mondo – di non sostenere la loro libertà d’espressione o, peggio, di simpatizzare con i loro killers.
 
Questa facile tattica di bullismo – provare a forzare la gente non solo a difendere il diritto alla libertà di parola di Hebdo ma anche di sposarne le idee espresse – è durata fino adesso (ma solamente quando si tratta di discorsi che criticano i musulmani). Un anno dopo, è ancora molto comune sentire dei sostenitori del militarismo occidentale accusare falsamente porzioni “della sinistra” di aver approvato o giustificato l’attacco a Charlie Hebdo, per il mero fatto che si son rifiutati di esultare per il contenuto delle idee di Hebdo.
 
Quest’accusa è un’assoluta, dimostrabile bugia, un’ovvia calunnia. Non ho mai sentito una singola persona a sinistra esprimere qualcosa di diverso dalla repulsione per l’omicidio di massa dei fumettisti di Hebdo , nè ho sentito qualcuno a sinistra insinuare che gli omicidi fossero “meritati” o che i disegnatori “se la fossero cercata”. Di sicuro ho sentito, e l’ho espresso io stesso – opposizione verso l’instancabile targhetizzazione di una minoranza marginalizzata in Francia da parte dei fumettisti di Hebdo (tale critica, a proposito, è stata espressa in maniera molto eloquente da un ex membro dello staff di Hebdo , Olivier Cyran: “il martellamento ossessionante contro i musulmani al quale Hebdo si è dedicato per più di un decennio ha avuto davvero degli effetti.
 
Ha contribuito potentemente a popolarizzare, fra le opinioni ‘di sinistra’, l’idea che l’Islam sia uno dei problemi principali della società francese”). Ma le obiezioni al contenuto di un’idea ovviamente non denotano e neppure insinuano il fallimento nel sostenere il diritto alla libertà di parola di coloro che esprimono tale idea: a meno che non si stia abbracciando il dannoso, ingannevole, interamente nuovo concetto che uno possa solo difendere la libertà di parola di quelli con cui concorda.
 
Ma ciò evidenzia come la libertà di parola non fosse il principio sostenuto qui; essa è stata usata come arma da alcuni occidentali tribali per costringere la gente ad approvare i fumetti anti-Islam ed anti-musulmani (non ad approvare meramente il diritto a pubblicare i fumetti senza punizione o violenza, ma ad approvare i fumetti stessi).
 
E ciò che ancora più potentemente dimostra la falsità al cuore di questo spettacolo post-Hebdo è che prima della Marcia di Parigi, e specialmente dalla Marcia in poi – c’è è stato un assalto sistematico al diritto di libertà di parola per un altissimo numero di persone in Francia ed in tutto l’Occidente, a musulmani e/o ai critici dell’occidente e di Israele ed i nuovi crociati della libertà di parola per Hebdo non hanno esibito alcuna contrarietà al riguardo, anzi, tacito od esplicito consenso. Questo perché la libertà di parola era la loro arma cinica, non il loro vero credo.
 
Traduzione di di Leni Remedios per MegaChip
 

La società “multiculturale”, senza frontiere, primo obiettivo dei mondialisti

no borders, significa una unica società appiattita senza alcuna differenza permessa, un pianeta omologato come in 1984
Gen 14, 2016
no-borders-ventimiglia-2
Manifestazione contro le frontiere a Ventimiglia
 
di Luciano Lago
 
Non è ormai un segreto che esista un potere mondialista che persegue l’obiettivo di una trasformazione etnica e culturale dell’Europa ed in parallelo l’abolizione degli Stati nazionali destinati a scomparire per cedere il passo ad un ordinamento sovranazionale governato da alcuni organismi transnazionali.
Tutte le attuali sitituzioni europee “remano” per trascinare la barca dell’Unione Europea verso questo obiettivo e questa politica, che vuole imporre il dogma della società multiculturale, dei mercati aperti e del superamento delle frontiere nazionali, obiettivo che corrisponde a quello  del “politicamente corretto”, dominante in Europa a cui sono subordinati i grandi media, come le fondazioni culturali, le tante ONG con scopi umanitari, i grandi istituti Finanziari, così come l’orientamento degli Istituti Universitari e le varie organizzazioni transnazionali, ecc..
 
Bisogna considerare che il processo di globalizzazione, in atto da anni ed oggi entrato in una fase accelerata, ha già intaccato i poteri degli Stati nazionali, considerati una volta gli arbitri tra i molteplici interessi che caratterizzano ogni economia dinamica, e li ha progressivamente costretti nel gioco degli interessi dei grandi gruppi privati. Il processo si è realizzato con la creazione di reti transnazionali di potere che sono entrate in una osmosi sempre più intensa, man mano che che le nuove strutture d’influenza si andavano affermando nel contesto politico ed economico internazionale. Con il tempo ha preso piede e poteri una burocrazia globalizzata costituita da un esercito di dirigenti e di colletti bianchi che gestiscono le multinazionali, quelle che hanno conquistato un enorme potere d’influenza graze alla “deregulation” (privatizzazioni dei servizi pubblici). Attualmente questa burocrazia globalizzata forma una componente rilevante della burocrazia del potere mondializzato , che comprende anche alti funzionari, nazionali ed internazionali, dirigenti degli organismi sovranazionali, ricercatori dell grandi “think tanks” di indirizzo economico o politico, docenti universitari ed “opinion makers” della stampa e dei media, dirigenti delle grandi ONG con finalità umanitarie.
 
Tale burocrazia risulta etremamente variegata e presente in diversi luoghi ed istituzioni ma le sue molteplici componenti sono in contatto permanente le une con le altre. Gli alti funzionari politici nazionali sono a loro volta in contatto con i loro omologhi internazionali nei diversi settori (sanità, istruzione, sicurezza, finanze, giustizia, ecc.). Tutti sono in relazione con le grandi imprese, istituzioni private e con le ONG.
 
Questa rete organizzata costituisce una forte concentrazione di poteri, più o meno coordinati da grandi decisori pubblici e privati. Esiste quindi un potere di fatto che funziona come una rete sia transnazionale che trans-settoriale. L’instaurazione di tali reti ha provocato una concentrazione sempre più forte di poteri, di strumenti di influenza e di azioni coordinate, per lo meno in modo informale. Per “grandi decisori” bisogna intendere i responsabili principali delle grandi amministrazioni nazionali, i responsabili politici, quelli delle grandi società private, banche ed istituzioni finanziarie, tutte più o meno mondializzate. Oltre a questi i responsabili dei grandi media, i docenti delle più importanti Università private e pubbliche, gli alti funzionari delle Nazioni Unite e delle tante agenzie che gravitano intorno. A questo elenco va aggiunta la burocrazia dell’Unione Europea, anche questa al centro della strategia di mondializzazione grazie alla permanente crociata per il libero scambio.
 
Tutta questa sopra descritta costituisce una aristocrazia mondializzata che trae il proprio potere dalle reti di interessi collegate fra le varie componenti e sorrette da una complicità di intenti che si pò tradurre nella comune appartenenza all’ideologia neoliberista e mondialista.
La prova provata di questa subordinazione, in particolare quella dei media, è venuta proprio in occasione dei fatti di Colonia quando si è vista, oltre alla passività dei poteri pubblici, la complicità colpevole dei media che hanno oscurato per diversi giorni gli avvenimenti per non incrinare il mito della “integrazione” delle masse di immigrati provenienti da nord Africa, Medio Oriente ed Asia.
 
musulmani_inpreghiera-Milano
Mussulmani in preghiera al Duomo di Milani
 
Lo scandalo è venuto fuori soltanto grazie alle proteste popolari che hanno perforato il muro di silenzio grazie anche ai social media che sfuggono dal controllo del potere politico dominante. In questo modo ci siamo resi conto che il fenomeno non è stato limitato solo nella città di Colonia ma che lo stesso fenomeno delle aggressioni alle donne è avvenuto anche in altre città della Germania e della Svizzera.
I governi, con la fondamentale collaborazione dei grandi media, in un primo tempo hanno voluto occultare e minimizzare i fatti. Più tardi, quando le denunce si sono moltiplicate in numero enorme, hanno optato per scaricare l’onere della prova sulle vittime e diffondere il profilo degli aggressori: erano semplicemte “uomini” quelli che avevano attaccato, non immigrati mussulmani con una alta componente di rifugiati. Tuttavia quando è emersa poi la realtà mostruosa, come divenuto chiaro e tanto generalizzata del fenomeno, allora tutti i sotterfugi utilizzati per minimizzare o camuffare gli avvenimenti sono caduti miseramente.
Le reazioni a questi avvenimenti e la rabbia manifestata da parte di molti cittadini tedeschi, esplosa in manifestazioni di piazza, sono state definite attacchi xenofobi e razzisti dagli stessi media che avevano occultato i fatti e coperto le responsabilità. La principale preoccupazione dei media e degli intellettuali ed opinionisti allineati è quella di non colpevolizzare collettivamente gli immigrati, piuttosto non si sono riparmiati perfino nel criticare le vittime per aver tenuto un comportamento non conforme.
 
Ci si potrebbe domandare come siamo arrivati a questa situazione, come sia stato possibile che il potere abbia dettato un ordine implicito di silenzio su una aggressione tanto deprecabile come questa e come, la magioranza dei media, solitamente tanto loquaci per altre cose, abbiano accettato questa direttiva. Questo vuole dire che ci troviamo di fronte ad una operazione di grande portata. Consideriamo che, quando si manifestò l’ondata di migranti nella scorsa estate, il potere, con la complicità della maggior parte dei media, si era inventato un racconto destinato a  permettere l’entrata massiccia di stranieri in Europa,  utilizzando un ondata di emozione a comando,  dopo aver esibito le foto della piccola vittima arenatasi su di una spiaggia turca.  L’ondata di finto pietismo sollevata dai media, serviva a far accettare il concetto che bisognava essere accoglienti con questa massa di profughi e migranti che provenivano  da aree di guerra. In realtà si è visto dopo che i siriani erano soltanto una minoranza, visto che una buona parte dei profughi e migranti sono iracheni, afgani, pakistani e del Bangaldesh. La propaganda in ogni caso si è imposta sull’opinone pubblica.
 
Adesso che la realtà  è venuta alla luce, il potere dei media deve prolungare la sua opera di falsificazione.
 
Queste occasioni fanno comprendere, per chi ancora non lo avesse compeso,  come la maggioranza dei media europei siano al servizio del potere e degli interessi dei gruppi finanziari che li controllano. La conseguenza è anche quella che si va accrescendo sempre di più il solco fra il sentire popolare e l’oligarchia di potere che controlla anche i media e lavora per il progetto mondialista in cui assume un ruolo fodamentale l’immigrazione di masse di persone provenienti dal terzo mondo, utili per arrivare a creare una società depauperata e senza indentità, più facilmente manovrabile con una massa di lavoratori di riserva per lo sfruttamento da parte delle grandi multinazionali.
 
Tutto favorisce questo progetto anche il silenzio dei media e la complicità delle classi politiche al potere nella maggior parte dei paesi europei. Il progetto mondialista, oltre all’esautoramento degli Stati nazionali, prevede anche la modifica della composizione demografica delle vechie nazioni europee con l’affossamento delle identità culturali a favore del sorgere di una società multiculturale omogenea e prona alle esigenze delle oligarchie dominanti.
 
Le identità culturali dei popoli sono considerate superflue e destinate ad essere superate dalla nuova identità globalista, cosmopolita e progressista dell’uomo consumatore, omologato e facilmente orientabile alle mode ed alle tendenze espresse dai grandi “maitres a pensier”, dagli opinionisti dei grandi media e dalla pubblicità.
 
Questo il prossimo ineluttabile futuro che l’oligarchia mondialista prospetta per i popoli che accetteranno passivamente il cambiamento di identità e di status, futuro non privo di svago, di consumi superflui  e diversione, con spettacoli e musica offerti per le masse ipnotizzate dal mito del “progresso” e della modernità.  Niente di nuovo nella Storia: “panem et circenses”.

DJIHADISME BELGE (2) : LA SUITE DE L’ENQUETE ACCUSATRICE DE LUC MICHEL QUI DENONCE LES COMPLICITES ETATIQUES BELGES !

SYRIA COMMITTEES & PCN-SPO/

2016 01 14/

http://www.syria-committees.org/

* EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/ GRAND REPORTER (2-2) :

DJIHADISME BELGE. DE BRUXELLES A DAMAS (PARTIE 2)

Sur https://vimeo.com/117441654

SYRIA - Enquete LM djihad belge PART 2 (2016 01 13)  FR

 « Le parquet fédéral a souligné l’importance de s’attaquer aux structures et aux groupes qui permettent à des jeunes Belges de se rendre en Syrie. Il précise toutefois qu’il ne faut pas mettre tous les jeunes partis en Syrie dans le même panier, soulignant que certains cherchent à protéger la population civile et à renverser le régime en place pour le remplacer par un État démocratique »

– Le Porte-parole du Parquet fédéral belge,

compétent en matière de terrorisme (16 avril 2013).

Luc MICHEL analysait déjà l’iceberg des complicités Système atlantiste/réseaux djihadistes (dont les dossiers de Paris, Bruxelles, Charleroi ou Verviers ne sont que la pointe émergée), il y a un an …

Politiciens, policiers, juges et médias sont sans aucune excuse pour avoir laisser faire !

Expert des réseaux  djihadistes, reconnu à Moscou, Téhéran, Damas ou Malabo, Luc MICHEL résume dans ses émissions pour EODE-TV et AFRIQUE MEDIA des analyses faites dans de nombreux articles depuis 2011 et dans deux conférences internationales à Damas, au Parlement syrien en juin 2013 et au Ministère syrien de la Justice en décembre 2014.

# LIRE AUSSI :

* Sur LUCMICHEL.NET (janvier 2015)/ ALERTE INFO/ UN MINISTRE BRUXELLOIS CONFIRME MES INFOS : POLICES ET ETAT BELGES ONT SOUS-TRAITE AUX ISLAMISTES RADICAUX LA SECURITE DE CERTAINS QUARTIERS ET COMMUNAUTES IMMIGREES DE BRUXELLES, CHARLEROI ET ANVERS !!!

http://www.lucmichel.net/2016/01/13/lucmichel-net-alerte-info-un-ministre-bruxellois-confirme-mes-infos-polices-et-etat-belges-ont-sous-traite-aux-islamistes-radicaux-la-securite-de-certains-quartiers-et-communautes-immigrees-de/

* Sur SYIRA COMMITTEES (juin 2013)/ Luc MICHEL/ FOCUS/ DJIHADISTES BELGES : AU-DELA DU SCANDALE, LA SALE GUERRE DE L’OTAN ET DE LA BELGIQUE AU PROCHE-ORIENT

http://www.syria-committees.org/luc-michel-focus-djihadistes-belges-au-dela-du-scandale-la-sale-guerre-de-lotan-et-de-la-belgique-au-proche-orient/

SYRIA COMMITTEES / PCN-SPO

http://www.syria-committees.org/

DJIHADISME BELGE (1): L’ENQUETE ACCUSATRICE DE LUC MICHEL QUI DENONCE LES COMPLICITES ETATIQUES BELGES !

SYRIA COMMITTEES & PCN-SPO/

2016 01 14/

http://www.syria-committees.org/

 * EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/ GRAND REPORTER (2-1) :

DJIHADISME BELGE. DE BRUXELLES A DAMAS (PARTIE 1)

Sur https://vimeo.com/117429536

SYRIA - Enquete LM djihad belge PART 1 (2016 01 13)  FR

« Des officiers français, britanniques  belges, hollandais, qataris ont été arrêtés au cours des combats à Qusseir alors que l’étau continue de se resserrer autour les terroristes d’Al Nosra  (…) le nombre de ces officiers étrangers s’élève à des dizaines. le chef d’Al Nosra Abou al Walid a été tué alors qu’il combattait au milieu de ces officiers étrangers …»

– Assem Qanso, député libanais,

interviewé par le journal libanais Al Nachra (fin mai 2013).

Luc MICHEL analysait déjà l’iceberg des complicités Système atlantiste/réseaux djihadistes (dont les dossiers de Paris, Bruxelles, Charleroi ou Verviers ne sont que la pointe émergée), il y a un an …

Politiciens, policiers, juges et médias sont sans aucune excuse pour avoir laisser faire !

Expert des réseaux  djihadistes, reconnu à Moscou, Téhéran, Damas ou Malabo, Luc MICHEL résume dans ses émissions pour EODE-TV et AFRIQUE MEDIA des analyses faites dans de nombreux articles depuis 2011 et dans deux conférences internationales à Damas, au Parlement syrien en juin 2013 et au Ministère syrien de la Justice en décembre 2014.

# LIRE AUSSI :

* Sur LUCMICHEL.NET (janvier 2015)/ ALERTE INFO/ UN MINISTRE BRUXELLOIS CONFIRME MES INFOS : POLICES ET ETAT BELGES ONT SOUS-TRAITE AUX ISLAMISTES RADICAUX LA SECURITE DE CERTAINS QUARTIERS ET COMMUNAUTES IMMIGREES DE BRUXELLES, CHARLEROI ET ANVERS !!!

http://www.lucmichel.net/2016/01/13/lucmichel-net-alerte-info-un-ministre-bruxellois-confirme-mes-infos-polices-et-etat-belges-ont-sous-traite-aux-islamistes-radicaux-la-securite-de-certains-quartiers-et-communautes-immigrees-de/

* Sur SYIRA COMMITTEES (juin 2013)/ Luc MICHEL/ FOCUS/ DJIHADISTES BELGES : AU-DELA DU SCANDALE, LA SALE GUERRE DE L’OTAN ET DE LA BELGIQUE AU PROCHE-ORIENT

http://www.syria-committees.org/luc-michel-focus-djihadistes-belges-au-dela-du-scandale-la-sale-guerre-de-lotan-et-de-la-belgique-au-proche-orient/

SYRIA COMMITTEES / PCN-SPO

http://www.syria-committees.org/

LUC MICHEL/ MESSAGE D’ANNIVERSAIRE 2016

# LUCMICHEL. NET/ MERCI A TOUS !

 Vous étiez quelques centaines déjà hier …

Vous êtes des milliers aujourd’hui à me souhaiter un joyeux anniversaire.

De toute l’Afrique et particulièrement du Cameroun et du Tchad.

LM.NET - LM message anniversaire (2015 01 14) FR

Mais aussi de Russie, d’Ukraine, de Moldavie, de Roumanie, de Hongrie.

Et encore de cette vieille Europe occidentale, endormie sous la cendre et les ordures des régimes atlantistes, mais où l’étincelle couve sous la cendre …

Merci à tous du fond du cœur pour cette chaleur qui me fait tant plaisir !

Comme vous le savez tous, je suis un ennemi résolu de ce Système occidental exploiteur (l’ennemi est partout l’exploiteur) qui a tout fait pour m’étouffer, allant jusqu’à me dire « mort », me salissant chaque jour (notamment par les fausses bio de wikipedia) …

Cela n’a pas marché grâce à vous tous. Les ténébres du mensonge ne peuvent pas étouffer la lumière d’une cause juste. La liberté et la justice marchent avec moi.

Ce jour sera un jour de travail. Et 2016 sera une grande année de travail !

Seul le travail paye, le travail sur le long terme, le travail de fourmi qui construit et enseigne. Ma longue marche politique a commencé en défense de la juste cause du peuple palestinien. Cétait en 1972, première manif à Bruxelles, j’avais 14 ans. C’était un autre monde, une autre société. Mais c’est toujours ma vie engagée en 2016. Mon organisation en réseaux (devenue aujourd’hui intégrée eurasiatique et panafricaine), elle, est née en 1983. Mon combat et mes idées n’ont pas varié depuis (ce qu’oublient ou ignorent les médiamenteurs de Wikipedia et les presstitutes des média de l’OTAN), y compris le quart de siècle engagé aussi avec la Jamahiriyah.

Le grand républicain salué par Gramsci, si souvent incompris, Machiavel disait que « les prophètes armés furent toujours vainqueurs et les prophètes désarmés toujours vaincus » . Aujourd’hui est engagée une bataille décisive pour imposer une vision du monde, cette bataille est avant tout menée pour la conquête des esprits, bataille médiatique, idéologique, culturelle (au sens gramsciste du terme). C’est çà qui est le combat décisif !

Avec mes réseaux en Eurasie et en Afrique, nous forgeons en ce moment les armes de ce combat avec des outils multimedias puissants, allant bien au-delà en audience de notre groupe médiatique actuel. Je ne serai pas un prophète désarmé. Vous les découvrirez dans les mois qui viennent …

Notamment le Groupe multimedia PANAFRICOM en Afrique, complément de l’action d’information et de conscientisation de notre partenaire AFRIQUE MEDIA TV. Et son pendant en Eurasie EURASIANEWS. Sans oublier un nouveau Groupe multimedia PCN, parce que le combat continue aussi à Bruxelles, Paris ou Berlin …

ENCORE UN IMMENSE MERCI A TOUS, VOUS AVEZ ILLUMINE CE JOUR …

LUC MICHEL

(14 janvier 2016)

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* Luc MICHEL : ENTRE « LEGENDE NOIRE » ET MEDIAMENSONGES, MA VERITABLE BIOGRAPHIE !

http://www.lucmichel.net/2014/03/22/luc-michel-entre-legende-noire-et-mediamensonges-ma-veritable-biographie/

* INTERVIEW BIOGRAPHIQUE :

LUC MICHEL : ENTRETIEN AVEC ‘HORIZONS NOUVEAUX MAGAZINE’ (HNM #48 / 12 JANV. 2015)

http://www.lucmichel.net/2015/01/10/pcn-spo-luc-michel-entretien-avec-horizons-nouveaux-magazine-hnm-48-12-janv-2015/

et

LUC MICHEL : ENTRETIEN AVEC ‘HORIZONS NOUVEAUX MAGAZINE’ – 2e PARTIE (HNM #49 / 23 FEVR. 2015) / ANALYSES POUR L’AFRIQUE ET LE MONDE

http://www.lucmichel.net/2015/03/10/pcn-spo-luc-michel-entretien-avec-horizons-nouveaux-magazine-2e-partie-hnm-49-23-fevr-2015-analyses-pour-lafrique-et-le-monde/