Per Natale la Montagna ci ha fatto un regalo (talpa KO)

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notav.info

post — 24 dicembre 2015 at 23:39

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Nel cuore della Montagna c’è un tarlo d’acciaio che la corrode. Scava un galleria rubando la linfa che scorre dentro la Montagna e che le permette di vivere: l’acqua.

Ma l’avidità degli uomini è più grande del normale buon senso che dovrebbe ispirare le loro azioni, così (credendosi onnipotenti) violentano brutalmente la Montagna e la Natura.

Ma la Montagna e la Natura qualche volta si vendicano, e quando si vendicano sono problemi per gli uomini.

Però ci sono donne e uomini che si battono perché si cessino queste violenze contro la Montagna, si battono perché si rispetti la Natura; anche se per queste loro lotte sono perseguitati da forse del disordine, magistrati, massmedia, politici e affaristi senza scrupoli (come renzi, ad esempio).

A queste donne e a questi uomini coraggiosi la Montagna ha voluto fare un bel regalo di Natale: lunedì la Montagna ha scorreggiato (appena un pochino) e così la volta della galleria si è schiantata sul tarlo d’acciaio sfondando tra l’altro anche la cabina di pilotaggio.

Ma siccome per i poveri cristi che si guadagnano, sudando, il pane (in modo un po’ immorale, però) c’è sempre una santabarbara che intercede in alto loco, per un guasto improvviso all’impianto elettrico (e forse prevedendo qualcosa di poco piacevole) si erano allontanati e messi al riparo, così anche a loro, pur non meritandoselo troppo, la Montagna ha fatto il regalo di Natale dell’incolumità fisica.

Ora, da lunedì, il tarlo d’acciaio è fermo per “manutenzione straordinaria” probabilmente fino a un altr’anno.

BUON NATALPA !!!


E GODIAMOCI LE FESTE !!!

(nella foto gli auguri di Telt…non hanno portato molto bene)

p.s. Conoscendo anche solo minimamente la montagna (quella montagna) la cosa era assolutamente prevedibile, dopo i primi 3 km, per questa volta sono stati molto fortunati ma la prossima quando l’evento potrebbe essere di gran lunga più disastroso cosa succederà?

Donald Trump contro l’iper-classe

chissà perché quando i media all’unisono come un gregge belante demoliscono qualcuno (operazione che in gergo tecnico di propaganda si chiama Character assassination) la cosa PUZZA (a meno che non si creda che i pennivendoli si adoperino per la verità). Curioso come questi media, non abbiano niente da obiettare al presidente premio nobel per la pace che non si è fatto scrupoli a mantenere aperta Guantanamo, prolungare l’occupazione dell’Afganistan, finanziare l’Isis, destabilizzare e bombardare Libia e Siria (eh sì perché dichiarare di non volere estremisti nel proprio paese è razzista, mentre bombardare i paesi musulmani è opera di carità per i politically correct), incolpare Assad per l’attacco di gas chimico fatto dai suoi amici dell’Arabia Saudita, questo è accettabile. Il principe miliardario tanto caro a tanti repubblicani come a tanti democratici invece a quanto pare è degno del massimo rispetto e considerazione, poco importa se ASSASSINA GLI YEMENITI E IL POPOLO DEL BAHREIN, che carino, si preoccupa per gli americani definendo Trump una disgrazia per il popolo a stelle e strisce….
Ricordate il dittatore è Putin che invade paesi……dicono i pennivendoli devoti alla verità. Poi questo Trump vorrebbe che i soldi dei contribuenti siano spesi per opere pubbliche a vantaggio dei cittadini, e non in guerre…… mio Dio, un socialista, un mostro, un demone…..
 
donald tramp
Putin, alla annuale conferenza stampa, su Donald Trump: “E ‘ una persona brillante e di talento, senza alcun dubbio. Non è nostro compito giudicare le sue qualità , ciò spetta agli elettori americani , ma lui dice che vuole passare a un nuovo rapporto più sostanziale , un rapporto più profondo con la Russia , come possiamo non accogliere questo?”
Non danneggerà il colorito candidato dal ciuffo finto, questo appoggio del russo?, Si chiedono i media e i politici, trattenendo il respiro speranzosi. Magari stavolta il Donald crolla nei sondaggi, è la volta buona.   E s’affrettano a mettere i microfoni sotto il naso del candidato, aspettandosi una delle sue celebri, volgarissime rispostacce.
 
Trump: “”E ‘ un grande onore essere complimentato da un uomo tanto rispettato all’interno del proprio paese e oltre . Ho sempre pensato che la Russia e gli Stati Uniti dovrebbero collaborare   per sconfiggere il terrorismo e ripristinare la pace nel mondo , per non parlare di commercio e tutti gli altri benefici derivanti dal rispetto reciproco ”
Joe Scarborough (di una trasmissione chiamata Te Hill Report), gelidamente indignato: “Certo lei sa che Putin uccide giornalisti ed oppositori politici e invade paesi…”
Trump: “Beh, penso che anche il nostro paese fa’ un sacco di uccisioni, Joe, per cui…E lui  sta governando il suo paese , e almeno lui è un leader, a differenza di ciò che abbiamo nel nostro paese . ”
Che Obama non sappia governare, è una fissa di Trump. Nel settembre 2014 ha detto: “Se Obama si dimette immediatamente, gli regalo l’entrata gratuita a vita in uno dei miei campi da golf, per il servizio che rende al Paese”.
Non che misuri le parole sugli altri politici. Di Jeb Bush, suo concorrente alla presidenza, ha detto: “L’ ultima cosa di cui il nostro paese ha bisogno è un altro BUSH ! Scemo come un sasso”. Hillary Clinton? “Se Hillary Clinton non   è capace di soddisfare il marito, che cosa le fa’ pensare che può soddisfare l’America?” (tweet poi cancellato su consiglio del suo staff).
L’ex presidente George W. (Dubya) Bush: “Intendete quel George Bush che manda i nostri soldati in  battaglia, dove sono feriti gravemente, e poi vuole $ 120.000 per tenere a questi feriti un noiosissimo discorso? In altra occasione: “Bush non ha avuto il QI [ per essere presidente ]”
Sul senatore John McCain : un tweet: “Il Sen. John McCain deve essere sconfitto alle primarie . Laureato ultima del suo corso ad Annapolis – Idiota!”.   “Ma quale ‘eroe di guerra’? è un eroe perché s’è fatto catturare. A me piacciono quelli che non si fanno catturare”.
Il 7 dicembre, dopo l’eccidio di San Bernardino, Trump ha proposto “un blocco completo e totale” dell’immigrazione di musulmani in Usa, “fino a quando non siamo in grado di determinare e capire questo problema e la pericolosa minaccia pone; il nostro paese non può essere vittime di attacchi orrendi da parte di persone che credono solo nel Jihad , e non hanno alcun senso della ragione o di rispetto per la vita umana “. L’intero mondo politico e mediatico s’è virtuosamente indignato (anche McCain). Fra i virtuosi indignati s’è illustrato il principe saudita Alwaleed Bin Talal, miliardario, che ha definito Trump: “Una disgrazia per l’America – Si ritiri dalla gara, non vincerà mai”. Pronta la risposta del candidato: “Lo strafatto principe Alwaleed vuol controllare i nostri politici Usa con i soldi di papà. Non potrà farlo quando sarò eletto”.
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Nelle sue polemiche verso i media, editori, giornalisti e direttori, sa colpire dove fa’ più male.
Sul Wall Street Journal, dopo che il suo proprietario Rupert Murdoch ha ordinato a giornale di criticarlo: “Il WSJ eternamente in calo (di vendite) che vale un decimo del prezzo a cui è stato comprato, continua a colpirmi politicamente..chi se ne frega”.
Su Arianna Huffington – ” La sinistrorsa da ridere ariannahuff ha detto ai suoi servetti dell’Huffington Post – che è in passivo – di trattarmi come un caso di entertainment. Adesso sono il n. 1 nei sondggi Huffington Post”.
Alla rivista Forbes, il periodico dei miliardari, che ha calcolato che la sua ricchezza è metà di quel che Trump sostiene (4,5 miliardi invece di 10) si occupa di inezie irrilevanti? E’ così che la sua circolazione scende”.
Odiato dai neocon
Non s’è peritato di provocare i potenti e pericolosissimi neocon. A Bill Kristol (J), direttore del Weekly Standard, influente organo della israeli lobby, sta facendo campagna per Hillary Clinton (il che la dice lunga) ha twittato: “Bill, il tuo periodico microscopico e un po’ scadente diventerà un enorme successo quando finalmente appoggerà Trump. Crescerà con tutto il paese!”.
Su Charles Krauthammer, il columnist di Fox News, ebreo, Trump ha ricordato come “questo guru politico tracagnotto” sia stato un fanatico promotore della guerra contro Saddam. “Uno dei più noiosi guru della politica in tv,   ‘sto Krauthammer. Un clown completamente sopravvalutato che parla senza conoscere i fatti”.
Ancor più esplicito nell’attaccare le guerre a cui i neocon hanno spinto l’America:
“Abbiamo speso 4 mila miliardi di dollari per rovesciare dei personaggi che, francamente, se fossero ancora lì…e se fossero rimasti qui i 4 mila miliardi, qui negli Stati Uniti per riparare le nostre strade, i ponti, aggiustare tutti gli altri problemi che abbiamo, gli aeroporti…staremmo molto meglio, ve lo dico chiaro.”.
E rincarando la dose: “Abbiamo reso un pessimo servizio non solo al Medio Oriente abbiamo reso un grave disservizio all’umanità. Persone che sono state uccise, gente che è stata spazzata via, e per che cosa? Non è che abbiamo vinto, è un disastro. Il Medio Oriente è completamente destabilizzato; un disastro totale, completo. Mi piacerebbe avere i 4, i 5 trilioni di dollari qui. Vorrei fossero stati spesi per gli Stati Uniti, nelle scuole, negli ospedali, strade, aeroporti, dove tutto sta cadendo a pezzi!”
E’ questo un attacco diretto alla Israeli Lobby; la violazione del tabù massimo, che i competitori politici di Trump si guardano bene dall’infrangere. Ossia la domanda: tutto questo sangue e tutti questi soldi spesi in guerre, e per che cosa? Domanda che non si deve fare in Usa, perché suggerisce la risposta.
Fatto sta che ad ogni nuovo sproposito del candidato dal ciuffo finto, ogni battutaccia esagerata ed oltraggiosa di questo personaggio dall’ego comicamente spropositato, ogni suo rincarare la dose al di là della buona educazione e del buon gusto – e dopo ogni nuovo servizio e inchiesta mediatica che lo dipinge come un buffone, un pagliaccio impresentabile nei salotti buoni – Trump sale nei sondaggi. Laddove gli altri candidati si trascinano a gran distanza di lui, grigi e noiosi e prevedibili. L’Establishment (dei due partiti che sono uno) è semplicemente terrorizzato, perché sta conducendo la campagna a sue spese e non ha bisogno dei finanziamenti delle lobbies (“Sono abbastanza ricco, e credetemi, ciò fa’ la differenza”; i repubblicani temono che corra come terzo indipendente, perché farebbe vincere i democratici (la Clinton) by default.
Le aggettivazioni su di lui son passate al “buffonesco” al populista al “demagogo”, e persino “fascista”; pure ingigantite, nell’Establishment, dal sospetto che il maturo clown abbia, in realtà, “la stoffa”: può diventare uno dai più grandi presidenti americani?, s’è chiesto il consulente finanziario Bill Bonner.   La misurata risposta alla valutazione di Putin può indicarlo?
Per ora, si ritiene che la sua popolarità in crescita abbia il senso di “Un dito indice collettivo che il Paese mostra a Washington”; il che ci porterebbe a riflessioni su altri personaggi che l’hanno preceduto in Italia con caratteristiche simili (a nostro modo continuiamo ad essere un laboratorio politico) e che hanno gettato via l’occasione storica loro, da Berlusconi al Grillo del “vaffa-day”.
Per intanto, è evidente l’odio e il panico che suscita, e il motivo vero: ad ogni parolaccia di Trump, la gente sente che vendica la sua verità, il suo buon senso di massa, censurato, autocensurato e soppresso dal “politicamente corretto”.   Mostra l’indice non tanto a Washington, ma a quella che lo storico delle idee Pierre Le Vigan chiama la “Iper-classe”. La sua maleducazione mostra che il “politicamente corretto” è il linguaggio necessario di questa iperclasse – i privilegiati globali, l’1% cosmopolita che possiede il 9%, coi loro maggiordomi e serventi locali, politici e giornalisti;   per essa, è la verità nuda e cruda del buonsenso magari rozzo ad essere intollerabile; – e sfidando la neolingua, Trump la fa’ non solo schiattare di rabbia, ma smaschera l’intolleranza e la voglia di censura che si cela dietro le forme della “democrazia” liberale e liberista. E “l’intolleranza del Sistema di fronte a tutto ciò che rivela qualche indipendenza di spirito e contro tutte le proposizioni non consensuali, un’intolleranza stupefacente”, dice Le Vigan, se si pensa che essa si proclama “liberale”. Il fatto è che il liberalismo economico s’è sviluppato sul fondo del liberalismo politico, facendone ormai il suo ausiliario. “Questo liberalismo è una democrazia puramente formale che è sempre meno democratica. Il popolo non può pronunciarsi su temi importanti, e peggio, quando si pronuncia, non si tiene conto del suo parere”. Lo abbiamo constatato ormai troppe volte in quella gabbia che si nomina Unione Europea: referendum calpestati, la moneta comune imposta, proteste contro le immigrazioni e la perdite di sovranità criminalizzate, mentre la società vengono smantellate e i diritti sociali rubati. Con la scusa che o chiede “il mercato” lo chiede “L’Europa”, che “Non esistono alternative”. “Questo regno della decisione impersonale è di fatto il regno dell’iperclasse. Questa iperclasse che ha sferrato una guerra di classe contro il popolo. Nelle relazioni internazionali, abbiamo a che fare con un Sistema per uccidere i popoli, che poggia sugli Stati Uniti e i suoi satelliti, fra cui l’Europa, a volte all’avanguardia dell’atlantismo bellicista e destabilizzatore; sul piano interno, istituzionale e politico, abbiamo un Sistema per uccidere il popolo, fondato sul disprezzo di questo. Sono le due facce dello stesso Sistema. E‘ intolleranza degli uomini del Sistema è sì spesso proporzionale alla loro incultura, ma  è anche il prodotto di una formidabile ‘formattazione’ degli spiriti, che và dai livelli più alti dell’iperclasse ai quadri intermedi della società, suoi ausiliari”. Avendo tutto il potere, non hanno bisogno di essere intelligenti. E’ ciò che rende l’attuale capitalismo “terminale” come un cancro. L’obiezione che Donald Trump, miliardario, è esso stesso un membro dell’iperclasse e quindi non la minaccia veramente, ha sempre valso poco (solo per gli illusi che la democrazia ammetta selezioni ‘dal basso’) ma vale ancor meno in questa fase patologica della realtà politica autonominata “democrazia”. Anche i Gracchi erano nell’iperclasse del loro tempo (nipoti di Scipione l’Africano), Cesare di altissima nobiltà patrizia – e provarono a rovesciare il sistema ottuso e incancrenito dell’iperclasse di allora, schierandosi come “populares”, ossia come “rossi”.
di Maurizio Blondet – 21/12/2015

Polonia, governo nazionalizza banche e dà bonus alle famiglie: sinistra e banchieri insorgono!

http://www.stampalibera.com/index.php?a=31076

Redazione | 24-12-2015

VARSAVIA – Mentre il nuovo governo polacco di Beata Szydlo si accinge a deliberare il reddito di cittadinanza per tutte le famiglie che hanno più di un figlio e mette in cantiere la rinazionalizzazione del settore bancario, i rappresentanti dei partiti di centrosinistra sconfitti nelle elezioni di ottobre scendono in piazza ad urlare la loro rabbia contro il partito di maggioranza “Diritto e Giustizia” di Jaroslaw Kaczynski, “colpevole” di voler riformare a tempo di record la Polonia.

Ad affiancare la “vecchia politica” nelle piazze del mite autunno polacco, ci sono tutti i rappresentanti delle sconfitte oligarchie che dal 1989 al 2015 sono riuscite a mascherarsi sotto varie etichette “democratiche”, sfuggendo ad una vera e propria decomunizzazione. Tragicomici banchieri, giornalisti, ex ministri e deputati dalle ricche cartoteche di regime, tutti insieme contro “Diritto e Giustizia” per negare alla destra polacca il diritto di governare in antitesi al compromesso storico che negli ultimi 25 anni ha foraggiato una sistema partitocratico di corruzione e di potere.

E’ sintomatico che i post-comunisti scendano in piazza facendosi scudo con le bandiere dell’Europa, le stesse bandiere che la Premier Beata Szydlo ha deciso di usare con molta parsimonia nei palazzi del governo. Le televisioni polacche, in mano a multinazionali estere, amplificando il fenomeno di questi sedicenti Comitati popolari per la Difesa della Democrazia cercano di indebolire la comunicazione del nuovo Governo che sin dalla campagna elettorale di fine estate ha cercato di tenersi lontano dalle polemiche mediatiche, scegliendo la via stretta del dialogo diretto con i cittadini sulla propria attività e i propri provvedimenti, attraverso incontri diretti ma anche con un sapiente uso dei social networks.

Alcuni politici europei come il socialista Martin Schulz, hanno deciso di dar man forte alle proteste contro la destra polacca organizzando un dibattito sulle politiche governative in Polonia in occasione della seduta plenaria dell’Europarlamento prevista a gennaio.

Intanto “Diritto e Giustizia” ha convocato ad oltranza il Sejm Polacco (prevedendo solo due giorni liberi in occasione del Natale) per approvare la tassazione dei profitti della GDO e delle banche commerciali, le cui sedi legali spesso si trovano fuori dalle frontiere polacche riuscendo ad eludere l’imposizione fiscale nazionale. Un altro colpo ferrato alla Germania di Angela Merkel che usava la Polonia come una sorta di proprio paradiso fiscale.

Anche i mercati finanziari quotati alla Borsa di Varsavia, dopo gli sbalzi di fine luglio, hanno recepito la politica di consolidamento nazionale del nuovo governo e fanno annotare un aumento di fiducia verso le condizioni di salute economica polacca ottenendo un impatto positivo sui principali listini che chiudono le sedute nell’ultimo mese decisamente al di sopra della parità, a dispetto delle previsioni dei corvi europei.

Sarà dunque un Natale pieno di fiducia per la gran parte dei Polacchi che stanno cercando di fare ordine in casa propria ma allo stesso tempo stanno scommettendo su un nuovo modello di Europa: l’Europa delle Nazioni, l’Europa dei Popoli che è l’unica Europa in grado di tutelare gli interessi e la sicurezza dei propri cittadini.

Carlo Paolicelli – Sindaco di Bolewice, Polonia

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Le carte dell’Antitrust sul conflitto di interessi di Mario Virano

 http://www.autistici.org/spintadalbass/?p=7049Spinta dal BassLe carte dell’Antitrust sul conflitto di interessi di Mario Virano

Il presidente della Regione Piemonte ha detto oggi di non capire “la sostanza del conflitto di interessi” del direttore generale di Telt Mario Virano.

Lo aiutiamo noi, pubblicando l’estratto del bollettino settimanale dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) contenente la chiusura del procedimento per incompatibilità di Mario Virano.

Chiamparino o chiunque lo vuole può scaricarlo dal link sotto, è una lettura consigliata e istruttiva.

PROCEDIMENTO INCOMPATIBILITA MARIO VIRANO

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Alta Velocità, incontro tra Foietta e una delegazione di sindaci

L'Agenda.News

Foietta: “Non esiste più l’opzione zero”, Fracchia: “Dobbiamo confrontarci con gli altri amministratori”

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MARIO TONINI 22 DICEMBRE 2015

TORINO – Presso l’ufficio dell’architetto Paolo Foietta, Commissario Straordinario del Governativo sui lavori dell’Alta Velocità, c’è stato l’incontro richiesto dai sindaci della Valle, che ha riaperto la discussione sull’opera oltre l’Osservatorio, luogo lasciato da molte amministrazioni. Un gruppo di primi cittadini di rappresenta è sceso a Torino; presenti Sandro Plano, Dario Fracchia e Pacifico Banchieri. Dall’incontro è emerso il pensiero del Governo: l’opera è in costruzione ed ha già tre gallerie di servizio e non c’è nessuna possibilità che i lavori vengano fermati, bisogna discutere con le comunità le opere accessorie e la cantierizzazione. Dunque lo spazio di manovra adesso per le amministrazioni si è davvero ridotto. Pare di capire che i sindaci o si confronteranno oppure il rischio, oggi sempre più realtà, e che l’opera venga costruita senza che ci sia nessuna compensazione per i disagi che i cantieri provocheranno in valle. Dario Fracchia, sindaco di Sant’Ambrogio, sentito dopo l’incontro, è chiaro: “E’ stato solo un primo incontro e adesso noi, sentite le ragioni del Governo, dobbiamo confrontarci con gli altri amministratori. Sarà un percorso difficile ma di certo c’è che le posizioni a oggi sono distanti”.

Questo è quello che è di là da venire

è chiaro perché dia tanto fastidio la sovranità nazionale? Si si certo, per la paura delle nuove guerre, la solita fuffa propagandistica politically correct, che guardacaso coincide con la volontà di Rothschild/Rockefeller di distruggere gli stati per instaurare un ordine mondiale capitanato dalla finanza
di Enzo Pellegrin – 21/12/2015
Fonte: byebyeunclesam
 
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“Sino ad ora, le limitazioni dell’autodeterminazione degli Stati e dei popoli in funzione dei diritti del capitale globale (sia che si proponesse di profittare con beni, servizi e moneta, sia che si proponesse profitti di guerra) hanno sempre dovuto passare per la mediazione necessaria di organizzazioni internazionali, quali UE e NATO, ovvero attraverso trattati multilaterali in cui gli Stati sovrani avevano un ruolo, quantomeno nell’azionamento delle cosiddette “clausole di salvaguardia”, le quali prevedevano la disapplicazione o la sospensione di una regola per fini politici interni. Nelle organizzazioni regionali, poi, la componente dello Stato sovrano recitava quantomeno un ruolo figurativo, prevedendo per esempio nella UE (al di là dell’inutile parlatorio costituito dal Parlamento) la presenza dei ministri competenti nel Consiglio dei Ministri UE, donde la necessità di coltivare all’interno degli Stati una componente politica asservita ai fini che via via venivano veicolati all’interno dell’organizzazione.
La natura sempre più palese dei fini necessitava allora di uno strumento di ricatto indipendente dai singoli governi che si sarebbero presentati sull’arengo politico, posto che prima o poi si sarebbe dovuto fronteggiare una componente politica anti-UE, giunta nelle stanze dei bottoni.
Per tale motivo si sta implementando il sistema dei trattati bilaterali (BITs) e regionali sugli scambi e gli investimenti, quale il TTIP per la nostra area, il TTP per l’area trans-pacifica, sottoscritto persino dal Vietnam.
In essi è contenuto un nuovo dispositivo di limitazione preventiva di ogni sovranità ed anche di ogni Costituzione interna che possa in qualche modo ostacolare gli interessi del capitale sovranazionale, chiamato nei trattati “investitore”.
Si tratta, per la sua onnicomprensività (i trattati riguardano i più svariati settori, dall’agricoltura, ai servizi finanziari, alla sanità, ai servizi sociali, al mercato del lavoro) e per la sua estensione (la giurisdizione coprirà oltre l’80% del PIL mondiale, praticamente la quasi totalità dell’economia) di una vera e propria dichiarazione dei diritti del capitale sugli uomini.
Il dispositivo chiave è fornito proprio dalle carte bollate. Nei vari trattati vi è sempre una clausola arbitrale denominata ISDS, Investor-State Dispute Settlement, vale a dire la “regolamentazione delle controversie tra Stato ed investitore”. Tramite tale dispositivo, un’impresa privata multinazionale, l’investitore, qualora si trovi di fronte ad una misura (legislativa o governativa) che in qualche modo ostacoli gli interessi del capitale investitore (resi nel trattato sottoforma di divieto di discriminazione della libertà di circolazione di merci, persone e capitali, di libertà di investimento e di impresa) potrà convenire lo Stato Sovrano avanti a questa Corte Privata internazionale istituita all’interno del trattato commerciale. 
E’ l’unico sistema di arbitrato internazionale “asimmetrico”, nel quale è previsto che lo Stato possa essere chiamato in causa, cioè svolgere il ruolo di convenuto, ma non è previsto che possa esso stesso citare un investitore. Nel giudizio non varranno le regole della Costituzione dello Stato, né le regole istitutive dei Trattati delle Organizzazioni Internazionali come la UE, che in qualche modo contenevano pur limitati riferimenti ai diritti dei singoli, delle collettività. Varranno solamente le regole dei trattati, e le regole dei trattati sono le regole delle sovrane libertà del capitale circolante. Nessun altro parametro considerato “ostacolante” come i fini di pubblico interesse o di utilità sociale presenti nel mandato costituzionale dei singoli Stati sovrani sarà considerato opponibile alla libertà dell’investitore di raggiungere il suo profitto.
Se si appelleranno ai loro mandati costituzionali ben facilmente gli Stati perderanno la causa andando incontro a severe sanzioni economiche.
Queste Corti di Arbitrato Commerciale sono tribunali internazionali privati e semisegreti, composti di regola da tre membri , scelti di volta in volta da una lista ristretta di avvocati privati nell’orbita ideologica e culturale di tali organizzazioni neoliberiste.
Come in ogni arbitrato, ciascuna parte nomina il proprio difensore ed entrambe si accordano sulla scelta del giudice. Tenuto conto che gli operatori giudiziari coinvolti sono sempre racchiusi nella lista ristretta di giuristi internazionalisti abilitati alle corti arbitrali, accade che chi ha svolto il ruolo di difensore dell’investitore in un processo, può essere giudice in un altro processo, anche se successivo o contemporaneo. Gli arbitrati si svolgono in segretezza, a porte chiuse e senza controllo pubblico, senza possibilità di appello ad altre forme di giustizia internazionale.
Casi emblematici di arbitrati sono quelli intentati dalla multinazionale svedese del nucleare Vattenfall contro le norme tedesche che prevedevano l’abbandono della produzione di energia elettrica con impianti nucleari (la richiesta di danni alla Germania è stata pari a 4,7 miliardi di euro), oppure quelle intentate dalla Philip Morris contro gli Stati dell’Uruguay, della Norvegia e dell’Australia contro le norme volte a restringere ed ostacolare il consumo di tabacco.
 
Qualora un illuminato governo di onesti decidesse una volta per tutte di abbandonare il progetto di un’opera inutile finanziata per soli scopi clientelari da precedenti governi, gli investitori multinazionali coinvolti nel progetto potrebbero convenire lo Stato avanti ad una di queste corti private e segrete.
Nelle Corti Private dei trattati bilaterali sugli scambi non si tiene conto di utilità sociali, di illegittimità del progetto, nemmeno di eventuali dinamiche ed infiltrazioni criminali nell’investitore che propone causa.
Si applica, per l’appunto, tra quattro mura, il solo diritto del capitale, la corporate rule.
Rule è un’espressione che in inglese significa sia regola che dominio. Famoso è il motivo “Rule Britannia, Britannia rule the waves”, “Domina Britannia, domina sulle onde” a significare la passata posizione egemone dell’impero inglese (ma anche della Compagnia delle Indie) su tutti i mari e le rotte commerciali del mondo.
E’ evidente che un tale dispositivo, fondandosi sul potere economico e sulla forza deterrente dei risarcimenti monetari, può vincolare ogni tipo di governo, a prescindere da Costituzioni interne, Trattati internazionali di Organizzazioni regionali, Trattati e Convenzioni sui diritti dell’Uomo.
Dietro gli scranni dei giudici potrebbe idealmente figurare la massima “business is business”.
Un simile sistema, come ben argomenta Prabhat Patnaik, “non rappresenta quindi soltanto una grande limitazione della sovranità dello Stato-nazione, ma ostacola in linea di principio la capacità dello Stato di adempiere al suo mandato Costituzionale. Non c’è bisogno di dire che un tale trattato costituisce una grande violazione al principio di sovranità ed autodeterminazione dei popoli che è il fondamento della democrazia.” (Towards Global Corporate Rule).
Questo è quello che è di là da venire.”

Gas e sangue

Bashar al Assad non ha diritto per i benpensanti pappagalli di Washington di contribuire al destino della Siria, SOLO GLI AMERICANI hanno l’unico insindacabile univoco diritto di decidere le sorti DI QUALUNQUE POPOLO E PAESE NEL MONDO. QUESTO E’ POLITICALLY CORRECT e la società civile si adopera affinché sia chiaro il concetto ogni giorno a tutti con le sue finte campagne umanitariste. Vomitevole
 
Fonte: L’intellettuale dissidente
 
I motivi della guerra in Siria non sono confinati al commercio del gas, ma alcuni magnati della finanza proprietari delle maggiori aziende di gas e petrolio accompagnati dalla insaziabile quanto folle classe dirigente degli Stati Uniti e dai fedeli monarchi del golfo, pur di ottenere il controllo delle vie del Gas, non si sono preclusi l’utilizzo di alcun mezzo ne lo scatenarsi di alcuna conseguenza.
 
Imad Shueibi, intellettuale e politologo Siriano di spessore mondiale nonché presidente del “Centro studi strategici di Damasco” qualche anno fa scrisse con estrema lungimiranza che <<Se il ventesimo è stato il secolo del petrolio, il ventunesimo sarà il secolo del gas>>. Non si sbagliava. Al mondo esistono tre paesi capaci di soddisfare a lungo termine il fabbisogno di gas di un intero continente, la Russia, l’Iran e il Qatar. I primi due utilizzano le risorse di cui dispongono per contrastare con accordi commerciali l’egemonia militare e finanziaria anglo-americana ovunque nel mondo, per quanto non sia meritata tale assistenza, anche in Europa. Il terzo è un protettorato degli Stati Uniti nel golfo persico tanto piccolo quanto ricco di risorse utilizzate da tiranni per arricchirsi e per danneggiare chi si oppone ai propri protettori. Nel 2009 Bashar Al Assad si oppose una prima volta alla proposta del Qatar di far passare in Siria il gasdotto Qatar-Turchia. Nel 2010 rifiutò definitivamente il progetto
 
Questa pipeline partendo dal Qatar, attraverso Arabia Saudita, Giordania, sarebbe dovuta arrivare in Siria dove, riempita ulteriormente di gas Israeliano, avrebbe raggiunto la Turchia per poi lanciarsi verso l’Europa tramite le linee del gasdotto Nabucco (oggi TAP, TANAP e SCP). Tutti gli stati coinvolti dal passaggio di questo gasdotto rappresentano oggi la fazione che in medio oriente finanzia l’ISIS ed è responsabile della morte di 300.000 esseri umani nella guerra in Siria. Oggi sappiamo che quella del 2009 non fu una proposta ma un imposizione, e quasi nessuno si sarebbe mai aspettato fin dove si sarebbero spinti per tentare di realizzarla.
 
Nel 2011 ebbero cosi inizio la più sanguinosa guerra e la più eroica resistenza di questo secolo. In risposta alla violenta aggressione subita, con estremo stoicismo il presidente Siriano Assad firmò il 25 giugno 2011, mettendosi contro tutte le maggiori potenze mondiali, un atto di sovranità, un atto simbolo della volontà di resistere, simbolo della voglia di non lasciar passivamente cancellare dalle cartine geografiche una nazione dalla storia millenaria. Firmò il memorandum Bushehr, approvando la costruzione della “Islamic Pipeline”, un gasdotto capace di trasportare gas dall’ Iran al Mediterraneo attraverso Iraq, Siria e Libano. 
Dopo l’approvazione da parte del governo Iracheno nel Febbraio 2013 l’unico ostacolo al progetto è l’ assenza della pace in Siria. Gli stati coinvolti da questo progetto rappresentano la fazione che in medio oriente difende l’esistenza della Siria, la vita e la pace dei Siriani.
 
In questa competizione per i gasdotti la Russia è uscita in parte sconfitta. Il progetto Southstream nato per portare gas Russo in Europa attraverso il Mar Nero è fallito per volontà di Bruxelles. Il primo di Dicembre 2014 Putin propose il progetto Turkish Stream-Balkan Stream, un gasdotto capace di portare gas in Europa attraverso Turchia, Grecia, Macedonia e Serbia, ma fu da subito tenuto in stallo da una guerra ibrida condotta contro i Balcani dagli Stati Uniti attraverso i due principali centri dell’ intelligence USA nell’ Europa dell’ est quali l’ enorme ambasciata Americana a Skopje e la base di Bondsteel in Kosovo, con l’indispensabile aiuto delle numerosissime ONG di alcuni magnati della finanza come George Soros. Contro Serbia e Macedonia sono stati inscenati tentativi di “rivolta colorata” atti a destabilizzarne i governi, la Grecia e stata tenuta al guinzaglio sotto ricatto finanziario, al Montenegro infine è stato proposto l’ingresso nella NATO causando i presupposti di una guerra civile in un minuscolo paese chiaramente colmo di risentimento a causa dei bombardamenti subiti dall’ alleanza atlantica nel 1999. Lo stop definitivo al progetto Turkish Stream-Balkan Stream è arrivato questo 24 novembre con l’abbattimento dello Sukhoi SU-24 Russo da parte della Turchia. 
 
Numerose prove dimostrano che l’attacco Turco sia stato appoggiato da Washington tantoché oggi, dopo lo stop al progetto Turkish Stream annunciato dal presidente Turco Erdogan il 5 Dicembre, possiamo dire con il chiaro obbiettivo di interrompere ogni possibile relazione tra Turchia e Federazione Russa. In ogni caso la Turchia si è prestata volentieri al gioco avendo garanzia da oltre oceano che l’unico progetto che potrebbe togliere alla Turchia il ruolo di Hub per lo smistamento di gas mediorientale, ovvero la Islamic Pipeline, non verrà realizzata. La Russia pur avendo fallito nella costruzione di nuove linee a sud, non soffre certo di carenza di acquirenti. Nel 2011 è stata inaugurata la pipeline North Stream capace di trasportare gas Russo in Germania attraverso il Mar Baltico. L’anno scorso ha firmato un accordo trentennale con la Cina per la fornitura di gas. La scorsa settimana, nonostante le pressioni americane sull’ Unione Europea per interrompere le relazioni con la Russia, la Germania su proposta di Gazprom ha dato il via attraverso le società partecipanti al progetto (E.ON BASF, Wintershall, OMV, Engie e Shell) alla costruzione del gasdotto North Stream 2, il quale ha l’obbiettivo di escludere totalmente l’Ucraina dal commercio del gas, raddoppiando la capacità di trasporto del North Stream.
 
Tornando al medio oriente, la pipeline Qatar-Turchia è ancora oggi l’unica opzione valida per Washington. Lo dimostra la recente proposta di “nuovo medio oriente” da parte dell’ ex ambasciatore statunitense all’ ONU John Bolton. In questa nuova cartina geografica la Siria e l’Iraq vengono sostituiti da uno stato Sunnita (Sunnistan), uno Sciita (Iraq Sciita) e uno Curdo (Kurdistan), lasciando un corridoio libero a est di Aleppo per collegare il Sunnistan (area ISIS) con la Turchia. Il corridoio è situato esattamente dove dovrebbe passare la tubatura Qatar-Turchia, tra Aleppo e Idlib. I motivi della guerra in Siria non sono confinati al commercio del gas ,ma alcuni magnati della finanza proprietari delle maggiori aziende di gas e petrolio accompagnati dalla insaziabile quanto folle classe dirigente degli Stati Uniti e dai fedeli monarchi del golfo, pur di ottenere il controllo delle vie del Gas, non si sono preclusi l’utilizzo di alcun mezzo ne lo scatenarsi di alcuna conseguenza. Ad oggi negli spezzoni di tubatura non scorre una sola goccia di gas, però sono ricoperti da litri di sangue, del quale ha sporche le mani qualsiasi uomo politico o intellettuale che senza vergogna continua a ripetere “Assad deve andare”.
di Luca Pinasco – 14/12/2015

Attacco aereo degli USA in Iraq uccide 20 soldati dell’Esercito iracheno ad Al-Anbar – Contro chi combattono gli USA in Iraq?

 
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Almeno 20 soldati iracheni hanno perso la vita nel corso di un attacco aereo effettuato da forze USA nella provincia di Al-Anbar (Ovest dell’Iraq), secondo informazioni delle autorità irachene.
“I bombardamenti degli aerei da combattimento degli USA contro le posizioni della Brigata 55 dell’Esercito iracheno nella regione di Al-Nuaima, nei dintorni di Faluya, hanno provocato la morte di circa 20 soldati e lasciato feriti ad altri 30”, ha informato questo Venerdì il presidente della Commissione di Difesa e Sicurezza del Parlamento iracheno, Hakem al-Zameli, in un comunicato a cui ha avuto accesso l’agenzia locale Alsumaria News.
 
Il parlamentare iracheno osserva che la Forza Aerea degli Stati Uniti ha realizzato tale attacco dopo che negli ultimi giorni le truppe irachene avevano ottenuto un progresso considerevole nella lotta contro i gruppi takfiri dell’ISIS (Daesh in arabo) in questa zona.
Inoltre ha richiesto al primo ministro iracheno, Haidar al-Abadi, di lanciare nell’immediato una indagine sull’accaduto.
 
Nota: Non è il primo episodio che accade in Iraq di bombardamenti effettuati da aerei della coalizione diretta dagli USA contro le truppe irachene che combattono sul terreno contro i gruppi terroristi jihadisti. Nel recente passato alcuni parlamentari iracheni hanno denunciato anche degli episodi nei quali sono stati visti aerei della coalizione aviolanciare rifornimenti sulle posizioni dell’ISIS, per cui sono seguite note di protesta sempre nascoste dai media occidentali. Vedi: Gli Usa sostengono militarmente l’ISIS. La denuncia di un deputato iracheno
 
In Iraq molti osservatori ed autorità del governo si chiedono contro chi stiano combattendo realmente gli USA e molti dubbi affiorano sulla concreta volontà dell’Amministrazione statunitense di voler sconfiggere l’ISIS piuttosto che non utilizzarlo per i propri fini geopolitici.
 
Fonte: Hispan TV
Traduzione e nota: Luciano Lago
Dic 18, 2015

“La Causa”: Resistenze mediorientali contro il «caos creativo» di chi vuole un “grande Medioriente ogm, con la frantumazione di Iraq, Siria, Iran”

Fonte: L’Antidiplomatico
 
lacausa
Sabato a Roma convegno con relatori da Libano, Palestina, Bahrein, Siria. “Il terrorismo di Daesh/Isis, prodotto dell’imperialismo statunitense ed europeo. Davanti alla tragedia in Yemen, una parte del mondo, comprata dai petrodollari sauditi, ha chiuso gli occhi e si è mangiato la lingua»
 
«Nel silenzio del mondo e con la complicità dei paesi potenti, lo Yemen subisce da nove mesi un’aggressione guidata dalla monarchia wahabita, con intensi bombardamenti e un blocco navale, aereo e terrestre. La falsa paura dell’Iran è una scusa per uccidere la popolazione e distruggere le nostre infrastrutture…Chiediamo alle persone vive di aiutarci a fermare subito l’aggressione e l’assedio perpetrato da sauditi e alleati; e di cooperare affinché le parti politiche yemenite si trovino a un tavolo di dialogo senza ingerenze esterne»: per mancanza di visto da parte dell’Italia, due politici yemeniti dell’Alto Comitato rivoluzionario preso di mira dall’Arabia saudita hanno potuto mandare solo un messaggio scritto al convegno La causa – Il Medioriente fra resistenza alla guerra imperialista, caos e migrazioni, organizzato a Roma il 12 dicembre dall’associazione Amici del Libano in Italia e da diversi gruppi di movimento italiani, con relatori da Libano, Palestina, Bahrein, Siria. 
 
Il messaggio degli yemeniti Sameer al Abdaly e Tawfiq Ameen Almairi precisava anche: «I paesi arabi sono entrati in una sorta di caos creativo che ha l’obiettivo di smembrare l’area in staterelli etnici e oltranzisti, secondo i piani messi in atto da Daesh e al Qaeda che sono il contrario dell’islam. E davanti a questa tragedia, una parte del mondo, comprata dai petrodollari sauditi, ha chiuso gli occhi e si è mangiato la lingua».
Partendo dalla «bussola», la «causa madre», la causa palestinese, gli interventi degli ospiti hanno analizzato e condannato , come si legge anche nel comunicato finale, «il terrorismo di Daesh/Isis, prodotto dell’imperialismo statunitense ed europeo» e il parallelo «processo neocoloniale che viene messo in campo violentemente in Medioriente», invitando tutti a schierarsi «contro la guerra imperialista contro la Siria; contro il regime di apartheid israeliano e per il sostegno alla campagna Bds; per il sostegno alla lotta del popolo palestinese contro il colonialismo di insediamento sionista nella Palestina storica e la giudeizzazione di Gerusalemme, e per la riaffermazione piena del diritto al ritorno;  per il sostegno alle forze di resistenza che combattono il sionismo e i terroristi di Daesh/Isis in Libano, Siria ed Iraq; per il sostegno alla pacifica opposizione del popolo del Bahrein; contro l’ingerenza straniera nello Yemen, per fermare il massacro quotidiano del popolo yemenita e l’aggressione al suo territorio da parte della coalizione saudita con l’appoggio logistico statunitense e sionista».
 
Nella sua introduzione, Hassane Hassi dell’associazione Amici del Libano in Italia ha richiamato la destabilizzazione in atto da tempo in tutta l’area a opera di forze esterne e dei loro alleati interni, in particolare le petro-monarchie del Golfo. In questi tempi di «califfato», mentre si sa bene «chi ha reclutato, chi ha fatto entrare, chi ha armato i terroristi, chi li paga», è più che mai attuale il piano «di un Grande Medioriente ogm, con la frantumazione di Iraq, Siria, Iran, Stati recalcitranti». Quanto alla Repubblica araba siriana, è un «baluardo contro l’entità sionista…se crolla la Siria, dimentichiamoci anche la Palestina».
 
Shukri Hroub, dell’Unione araba palestinese, ha ricordato la frase di Gandhi ai tempi del colonialismo inglese: «Ogni volta che gli indiani si uniscono contro il colonialismo, ecco che salta fuori qualcuno che uccide una mucca, sacra agli indù, e ci si divide di nuovo». Oggi in Medioriente «ogni volta che si cerca una prospettiva di resistenza, salta fuori un kamikaze telecomandato, l’equivalente della mucca in India». L’imperialismo «inventa religioni, le devia per dividere i popoli in base appunto a fattori etnici e di fede. I paesi dei petrodollari vogliono evitare l’unità panaraba. Anche per ragioni economiche. Se gli oleodotti passassero per la Siria, loro ci perderebbero. Idem per gli eredi degli Ottomani, che vogliono demolire la Siria perché gli interessi in campo sono anche quelli del controllo dell’acqua, oltre che dei combustibili fossili». Insieme al richiamo all’assoluta necessità di unità, perché «uno staterello può solo vendersi agli Usa…», Hroub ha ricordato le lotte progressiste che hanno percorso la storia del Bahrein, «anche in Palestina c’erano canti per il Bahrein…», un piccolo paese dominato dalla monarchia al Khalifa e colonizzato dalla V Flotta Usa.
 
Esponente delle rivolte nei paesi del Golfo nel 2011, silenziate dai media e represse manu militari dalle monarchie, l’ex deputato bahreinita Ali al Aswad, attualmente residente a Londra per ragioni di sicurezza, ha brevemente richiamato «novant’anni di lotte nel mio paese, dagli anni della colonia a oggi, negli anni 1920, poi nel 1950, nel 1965, per arrivare alla rivolta dell’onore nel 1990 e all’insurrezione di massa che nel 2011 portò in piazza praticamente l’80% della popolazione». Il risultato fu la repressione da parte della dinastia al Khalifa con l’aiuto, nel marzo 2011, dei carri armati sauditi per l’operazione «scudo del deserto». Così «il regno del Bahrein continua a opprimere il popolo, contro la libertà di espressione, di religione, di stampa, discriminando sul lavoro in vari settori». 
 
L’opposizione in Bahrein continua la sua lotta, pacifica: «Siamo impegnati nella proposta di un dialogo, chiediamo la liberazione dei numerosi prigionieri politici, l’applicazione di accordi conclusi a Ginevra e mai rispettati, una costituzione scritta, e la fine del regime degli al Khalifa, il primo ministro è al potere dal 1971. Il Medioriente deve diventare un ambito democratico e sano dove tutti i popoli si autodeterminano e partecipano, lontano dal pensiero takfiri e dal relativo terrorismo». Già: «Fra le più grandi sfide che la regione mediorientale affronta c’è la sicurezza. L’operato dei gruppi terroristi in vari paesi si somma agli orrori sauditi in Yemen e a quelli dell’entità sionista in Palestina».
 
La Palestina, non solo occupata da uno «Stato apartheid che non rispetta alcun diritto» ma anche strumentalizzata anche da certi governi arabi che, come ha spiegato Bassam Saleh, responsabile di al Fatah in Italia, «avevano magari un budget militare enorme, ma non serviva a liberare la Palestina bensì a reprimere i loro popoli». Con l’aiuto dell’Occidente, si sono susseguite le involuzioni: «In Sudan c’era il più grande partito comunista del mondo arabo e poi sono arrivati i Fratelli musulmani», e in seguito «i paesi arabi hanno tranquillamente accettato la partizione del Sudan» perché «la maggior parte dei paesi arabi sono culturalmente occupati». E’ tempo di ritrovare una identità «al tempo stesso nazionalista, panaraba e internazionalista», contro ogni settarismo, proprio adesso che le forze della distruzione e del neocolonialismo cercano di «trasformare tutto in lotta religiosa» e che « la mano assassina dell’imperialismo, Daesh/Isis» è al centro di giochi perversi: «La Turchia compra il petrolio del califfato e quest’ultimo li usa per acquisire armi dall’Occidente». Direttamente o attraverso attori del Golfo…
 
Già: lo scandalo del commercio delle armi; si pensi al fatto che l’Arabia saudita è la prima acquirente di prodotti militari dall’Italia. Luca Frusone, parlamentare del movimento 5 stelle e membro della commissione difesa della Camera dei deputati, ha parlato di «silenzio e lassismo» nel nostro paese che invece «deve essere conseguente: mettere un segno meno all’export di armi ai sauditi e un segno più al salvataggio di vite umane». Evidente invece è l’abdicazione di sovranità: «L’Italia in nome delle alleanze va contro i propri interessi, si pensi a quanto avvenuto in Libia, e si pensi alle sanzioni alla Russia. L’Italia bada bene a non scontentare mai Usa e Nato, che sono poi la stessa cosa».
Il deputato di Hezbollah Nawar El Sahili, ricordando che il terrorismo fondamentalista è il contrario dell’islam, «che non è la religione degli sgozzamenti e della profanazione», ha spiegato: «Le belve feroci create dai servizi segreti per combattere l’Urss ora minacciano tutti, sotto la bandiera di Daesh o di al Qaeda o di Boko Haram. Hezbollah è entrato in guerra contro il terrorismo nel 2013, le nostre stesse frontiere libanesi erano minacciate, siamo andati a combattere in Siria, dove oggi intere aree sono un vivaio del terrorismo takfiri che solo Russia, Iran ed Hezbollah hanno sentito il bisogno di combattere». Oggi tutto il mondo deve unirsi contro Daesh, basta con le divisioni e l’asse dei guadagni. El Sahili ha anche ricordato la guerra in Libano nel 2006, «un complotto, non riuscito, per occupare il paese e accerchiare la Siria», e successivamente l’impegno da parte dei «paesi della prepotenza» a «depistare le primavere arabe facendo crescere il terrorismo oltranzista che oggi sommerge intere regioni del mondo».
Il giornalista e attivista Sergio Cararo ha ricordato l’assurdità di un mondo islamico che pur conta oltre un miliardo di persone, avendo le maggiori riserve di idrocarburi al mondo e ingenti potenziali militari (da sola l’Arabia saudita spende oltre 80 miliardi di dollari l’anno in armi), non ha peso politico, anche perché frammentato in 30 Stati. Del resto, un documento dei neocon statunitensi nel 1992 evidenziava la necessità di evitare che, morta l’Urss, sorgessero potenze capaci di mettere in difficoltà gli Usa. 
Da lì la continua opera di destabilizzazione, parallela a quella messa in atto nell’Est europeo, ora spezzettato in staterelli. Non è detto che il piano riesca, però; lo stesso ex segretario di Stato Henry Kissinger, il cardinale di decenni di interventi e destabilizzazioni, ha di recente dichiarato che «l’ordine mondiale del dopoguerra è seriamente messo in discussione». Dopo la fase delle cosiddette primavere arabe, anche agevolate dal discorso di Obama al Cairo nel 2009, e rispetto alle quali lo stesso presidente statunitense aveva chiaramente indicato la barra («il loro esito deve essere una evoluzione, non una rivoluzione»), si assiste a uno scenario tutti contro tutti, e nell’area alla divisione fra sunniti e sciiti si è aggiunto uno scontro interno al mondo sunnita. Gli stessi Saud devono fare i conti con i loro competitors.  «In questo scenario, la lotta contro Daesh sembra formalmente un elemento in grado di ricomporre, mettendo insieme Israele, le antiche potenze coloniali, gli Usa, il Qatar, l’Arabia saudita; l’agnello sacrificale sarebbe la destabilizzazione della Siria di Assad. Che ci riescano, non è detto».
Il convegno ha annunciato una manifestazione contro la guerra il 16 gennaio, a 25 anni dalla «Tempesta nel deserto». Tutti sono invitati a mobilitarsi.
di Marinella Correggia – 14/12/2015

Assolti dall’accusa di terrorismo i quattro anarchici No Tav

http://www.nuovasocieta.it/cronaca/assolti-dallaccusa-di-terrorismo-i-quattro-anarchici-no-tav/

NuovaSocietà

Assolti dall’accusa di terrorismo i quattro anarchici No Tav
dicembre 21 2015
di Enrico Mugnai

L’attacco al cantiere del Tav in Val Susa avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 maggio 2013 non è stato un atto terroristico. Con questa motivazione la Corte d’assise d’appello di Torino presieduta dal giudice Fabrizio Pasi ha scagionato Claudio Alberto, Niccolò Blasi, Mattia Zanotti e Chiara Zenobi dall’accusa più grave, confermando i 3 anni e 6 mesi inflitti in primo grado per devastazione e incendio.

Il procuratore generale Marcello Maddalena aveva chiesto 9 anni e 6 mesi per l’assalto al cantiere Torino-Lione ricordando il comunicato delle Brigate Rosse che commemorava la morte di Ginangiacomo Feltrinelli avvenuta il 14 marzo 1972. Le Br avevano dichiarato che Osvaldo, così veniva chiamato Feltrinelli, era un “rivoluzionario caduto combattendo in una operazione di sabotaggio”. Feltrinelli morì infatti nel tentativo di far saltare un traliccio dell’ENEL a Segrate, in provincia di Milano. Ma il richiamo storico fatto dal pg non è servito a vedere accolta la richiesta di condanna.

Ora che anche in secondo grado l’accusa di terrorismo è decaduta i legali dei giovani imputati esprimono soddisfazione ma aprono una polemica «Ci auguriamo che la procura di Torino faccia autocritica sull’atteggiamento tenuto in questi anni sui No Tav» auspica Claudio Novaro. 
All’uscita dall’aula bunker del tribunale di Torino i quattro anarchici hanno trovato molti loro compagni che attendevano la sentenza e che hanno festeggiato per l’esito positivo.

La corte ha disposto il dissequestro di alcuni oggetti appartenenti ai quattro tra cui alcuni libri.