In Venezuela vince la coalizione antichavista – PSUV 46 deputati – MUD 99 deputati

Quando rimane in sospeso l’assegnazione di 22 deputati, il PSUV ha ottenuto il 31,7% dei voti e 46 deputati, quella che fino a ieri era l’opposizione ha conquistato 99 deputati con il 68,2% dei voti. La percentuale dei voltanti è stata del 74%. Si tratta di un risultato netto e univoco: fino a ieri, erano i bolivariani ad avere 99 deputati. Si sono capovolti i ruoli. Il presidente Maduro ha immediatamente riconosciuto il verdetto avverso delle urne, specificando che ha trionfato la guerra economica che da un anno e mezzo ha falcidiato il Venezuela. Il dimezzamento del prezzo del petrolio, inoltre, rimane il fattore principale che ha sottratto la metà delle entrate di un paese mono-esportatore.
 
Il progetto bolivariano ha perso una battaglia contro una coalizione internazionale che ha usato -oltre alle consuete armi mediatiche che caraterrizzano la guerra psicologica- anche il boicottaggio finanziario, la sovversione economica, l’accaparramento e il disfunzionamento pianificato del circuito della distribuzione commerciale.
 
Le conseguenze del voto avranno ripercussioni all’interno del paese sudamericano -dove sono in pericolo le conquiste sociali- ma anche nella sfera internazionale, soprattutto per quel che riguarda il petrolio e la OPEC, e incrinerà il blocco sudamericano dell’UNASUR. I metodi utilizzati per rimuovere l’anti–neoliberismo del Venezuela, saranno applicati dove il potere politico sfuggirà al controllo del globalismo. In pratica, le democrazie riottose saranno affrontate frontalmente da subito: le multinazionali farmaceutiche o le cinque che controllano gli alimenti, possono persino negare o centellinare le forniture.
Il PSUV rimane il partito maggiore e la coalizione frastagliata e composita della MUD -unita soprattutto dall’obiettivo di scacciare il chavismo dalle istituzioni- deve amministrare un successo inatteso, sicuramente inebriante. Saprà frenare il trionfalismo e l’anima revanchista dei settori più ultras? Corrono il rischio di provocare anzitempo pericolosi traumi sociali e potenziali spaccature interne.
Il “regime”, vilipendiato incessantemente da tre lustri, ha ancora una volta dimostrato che non è mai stato tale. Con l’immediato riconoscimento della sconfitta subita, ha assunto un’autorità morale che i detrattori non sono riusciti cancellare. Il blocco popolare bolivariano si proietta come “unica forza garante della pace e della democrazia” ha messo in risalto Maduro.
 
Che dire della faziosità del giornalismo globalista italiano? Sulle pagine di “Repubblica” di ieri si poteva leggere che al presidente Maduro “rimane l’opzione del terrore e della minaccia…scegliere la via dell’autogolpe. Con la formazione, se la sconfitta sarà consistente, di una giunta civico-militare e la chiusura del Parlamento….”. L’abituale faziosità panflettaria di Omero Ciai stavolta ha ceduto il passo a una viscerale paranoia. La profondità delle sue “previsioni” non hanno resistito nemmeno 48 ore: smentito non dalla storia ma  dall’ordinaria cronaca politica.
Pubblicato da fla detomin

Comando Sud USA: “Riconosciamo la violazione dello spazio aereo del Venezuela”

anche su questa violazione l’Onu non ha niente da dire? Perché alcune sovranità si possono violare ed altre si devono proteggere (tanto da inventarsele per arrivare alla terza guerra mondiale) ?
 
generale kelly
CONTROLLO AERONAVALE SULLE ELEZIONI DEL 6 DICEMBRE
 
Tito Pulsinelli Il capo del Comando Sud dell’esercito USA ha ammesso che l’aviazione militare ha violato lo spazio aereo del Venezuela. Il generale John Kelly, rispondendo a una domanda del corrispondente di Associated Press, ha riconosciuto che la denuncia pubblica del governo del Venezuela è fondata. “Lo ammettiamo e ci scusiamo” ha detto il principale militare USA a carico delle operazioni nei Caraibi e Sudamerica.
 
La tardiva ammissione di responsabilità negli episodi di violazione dello spazio aero-navale del Venezuela, arriva abbinata al pretesto della lotta contro il narcotraffico. Il generale Kelly preferisce ignorare che il Venezuela ha abbattuto 126 velivoli della flottiglia “narcos”, perchè dispone di una legge che autorizza a fermare con ogni mezzo il traffico di cocaina proveniente dalla Colombia.
 
In realtà, nell’ultimo trimestre sono aumentate le dichiarazioni di ingerenza che tendono a diventare atti di chiara intidimazione. Non può passare inosservato l’annuncio della IV Flotta che -in coincidenza con le elezioni parlamentari del prossimo 6 di dicembre- manderà alcune navi militari di fronte alla costa del Venezuela.
 
Strano modo di difendere i “diritti umani” presuntamente in pericolo, e assai più curiosa maniera di schierasi -letteralmente- dalla parte dell’opposizione neoliberista. Questa, internazionalmente riconosciuta per il suo vittimismo spettacolare e iper-mediatizzato, finora ha riconosciuto la legittimità solo delle elezioni in cui sono risultati vincitori sindaci, governatori e deputati del suo schierameno. In tutti gli altri casi, ha sempre gridato urbi et orbi alla frode e all’inganno continuo del terribile regime bolivariano.
 
Stavolta, siamo arrivati al paradosso di una opposizione che già si proclama vincitrice prima del voto e grida già all’inganno elettorale, quando mancano tre settimane alle elezioni. Vittoria autoproclamata preventivamente, a tal scopo ha concentrato le attività sul fronte esterno. Invia senza soste delegazioni di ONG finanziate da Wahington, Canada, Soros, dai monopoli internazionali  e dagli eredi politici delle dittature sudamericane a Ginevra, Madrid, Strasburgo, a perorare la causa cospirazionista di chi -gridando sempre “attenti al lupo!”- in realtà vorrebbe vincere senza neppure partecipare alle elezioni.
 
Puntano a forti schiamazzi mediatici atti a giustificare intromissioni per la “difesa della democrazia”, dopo l’opportuna produzione artificiale di eventi traumatizzanti e luttuosi.
 
E’ significativo che il Comando Sud ha reso esplicito qual’è il suo partito di gradimento, e partecipa alla campagna elettorale inviando navi e aerei per la captazione e deformazione elettronica di tutte le comunicazioni. Per difendere i “diritti umani” e quelli elettorali è davvero bizzarro che si infranga il diritto alla libertà di comunicazione, all’integrità del sistema di distribuzione dell’elettricità e la sovranità nazionale.
 
Lo scenario elettorale anticipato dal fronte della restaurazione nell’arco del 2015, indicava un’imminente “esplosione sociale” provocata dagli errori del presidente Maduro. Si è trattato di un’altra profezia incompiuta. La popolazione, alle prese con difficoltà economiche dovute fondamentalmente al dimezzato prezzo del petrolio, non ha affatto reagito come  i neoliberisti desideravano. Per costoro, i conti non tornano, e molti si domandono con quale evento eterodosso rimedieranno rimedieranno allo scenario che non si è inverato.
 
Non c’è stata nessuna “esplosione” perchè sono ben conosciuti i “vizietti atavici” di una elite improduttiva, dedita all’importazione speculativa piuttosto che alla produzione materiale di beni. Le attuali difficoltà che gravano sui venezuelani, non sono responsabilità esclusiva di un governo che riesce -nonostante tutto- a non tagliare il bilancio sulla salute, istruzione, sicurezza sociale e piena occupazione. E’ una stridente stranezza che i globalisti debbano negare  l’influenza della crisi internazionale sull’economia interna. Soprattutto di un esportatore di energia.
 
La cronaca ha mostrato come sono vivi e vegeti l’accaparramento, la sottrazione dal mercato dei beni primari, la speculazione, il contrabbando e l’usura. Pratiche lecite, in perfetta sintonia con la “libertà economica”, sottolineano i neoliberisti. Soprattutto quando si tratta di buttar giù un governo sgradito, diciamo noi. I monopoli dell’importazione hanno preteso di erigere una “pagina web” (sic) pubblicata a Miami come il referente unico del valore della moneta nazionale rispetto al dollaro. Non è una web di una banca o di qualche ente che si dedica al cambio di divise o ad attività finanziaria. No, è l’attività militante di tre compari oppositori impegnati nella destabilizzazione.
 
Si commenta da sè che si abbeveravano a questa fogna persino organismi apparentemente seri, quelli che orientano gli affari e l’uso del denaro degli altri, o gli “analisti” militanti di un “default” che stanno ancora aspettando.
 Desta sospetti, pertanto, l’intensificarsi delle pressioni esterne che -da rituali diventano seriali- tendenti a screditare le autorità di Caracas, fino ad attribuire un insolito ruolo politico ai generali del  Comando sud.
 
Nel mondo reale, cioè fuori dalle fumisterie mediatiche, ben 132 Paesi hanno votato a favore del Venezuela come membro del Consiglio dei diritti umani dell’ONU. E’ un gran successo diplomatico e uno schiaffo a quelli che professionalmente lavorano per “l’intromissione” e la destabilizzazione.
Pubblicato da fla detomin 

“L’Unione europea? È un prodotto americano”

“Gli Stati Uniti hanno voluto creare l’Europa unita e l’euro per estendere e rafforzare i propri interessi sul vecchio continente”
Luca Steinmann – Ven, 04/12/2015
 
“Gli Stati Uniti hanno voluto creare l’Europa unita e l’euro per estendere e rafforzare i propri interessi sul vecchio continente”. A spiegarlo è Morris Mottale, professore di relazioni internazionali, politica comparata e studi strategici presso la facoltà di Scienze Politiche della Franklin University, università americana con sede a Sorengo, vicino a Lugano.
 
europa
Autore di diversi libri e di pubblicazioni su riviste scientifiche (tra le quali Limes, Diplomats and Foreigna Affairs e Diplomatist magazine) è uno dei massimi esperti di Medio Oriente e di politica estera americana. A Il Giornale racconta come il governo americano sia stato in grado di determinare tutte le decisioni più importanti nel processo di formazione della UE e di come oggi la sua capacità decisionale in Europa sia tutt’altro che limitata.
 
Professor Mottale, si parla spesso dei forti legami tra Unione Europea governo degli Stati Uniti. Da dove ha origine questo rapporto?
 
“Il nodo così stretto che lega gli Stati Uniti all’Europa inizia con la vittoria militare americana nella Seconda Guerra Mondiale. L’Europa occidentale, cioè quella parte di continente rimasta fuori dall’orbita sovietica, venne ricostruita attraverso i fondi provenienti dal piano Marshall e le prime forme di mercato unico europeo, cioè la CED e la CECA che furono l’anticamera dell’attuale UE, si realizzarono in un sistema in cui l’economia europea era fortemente vincolata a quella americana. Gli Stati Uniti non hanno mai nascosto che la creazione di un’Europa unita e da loro controllata fosse la premessa della propria politica estera. Per costruirla hanno utilizzato e utilizzano la NATO. Dal primissimo dopoguerra ad oggi ogni Paese europeo che voleva entrare a far parte del processo di integrazione europea è prima dovuto diventare membro dell’Alleanza Atlantica.”
 
L’ingresso nella NATO è dunque l’anticamera per l’ingresso nella UE?
 
“Esattamente. Lo vediamo in questi giorni con il Montenegro, che per farsi ammettere nella UE ha richiesto l’ingresso nella NATO. Nonostante le opposizioni di alcune sinistre e dei nazionalisti tutti gli attuali Paesi della UE sono anche membri della NATO, tranne Irlanda e Svezia che però con la NATO hanno dovuto siglare una partnership. E’ una regola non scritta: se vuoi entrare in Europa devi prima entrare nell’Alleanza Atlantica.”
 
Quali sono dunque le condizioni che la NATO pone ai Paesi europei perché ne diventino membri e di conseguenza possano ambire a entrare nella UE?
 
“Prima di tutto viene richiesta loro la liberalizzazione degli scambi economici. Tutti i Paesi devono abbassare le tariffe doganali sui propri prodotti per permettere al libero mercato di svilupparsi. La liberalizzazione degli scambi è quindi è l’idea sulla quale convergono sia gli americani che gli attuali leader europei. In secondo luogo non va dimenticato che a seguito della conferenza di Bretton Woods del 1944, quando la guerra stava per terminare e i vincitori stabilivano le regole per amministrare il mercato globale, il dollaro è diventata la moneta principale di scambio. Dal 1944 fino al 1950 avvenne la formazione di un sistema internazionale gestito dagli americani e inizialmente anche dagli inglesi, che però poi si sono defilati perché troppo deboli. Quando nei primi anni ’50 nacquero le prime forme di integrazione europea esse erano e saranno in seguito sempre promosse dagli Stati Uniti e seguiranno le regole dettate da Washington.”
 
Un’ulteriore passo verso la creazione del mercato unico europeo è stata la nascita dell’Euro. Anche in questo caso hanno avuto un ruolo gli americani?
 
“Certamente. La moneta unica è da considerarsi a tutti gli effetti come un prodotto americano. Non è difficile capire perché: una unica moneta al posto delle 32 che c’erano prima rende molto più semplici e razionali gli scambi commerciali tra Stati Uniti ed Europa e facilita la circolazione delle merci all’interno del mercato unico globale guidato dalle regole americane. La creazione, l’estensione e il rafforzamento del libero mercato e dei valori sociali ad esso connessi è da sempre il principale obiettivo della politica estera americana. Appena hanno avuto l’occasione di introdurre una moneta unica europea andasse in questa direzione non si sono lasciati sfuggire l’occasione.”
 
In che contesto si è verificata questa occasione?
 
“Ciò che ha dato una spinta incredibile alla creazione della moneta unica è stata la caduta della Germania Est nel 1989. La Germania diventava improvvisamente una potenza di 80 milioni di abitanti con una forza economica di prim’ordine. Inglesi, francesi e molti americani erano terrorizzati dall’ipotesi di un ritorno sulla scena di un grande player globale come quello tedesco. Ciò era dovuto ad un retaggio storico ben preciso: chi conduceva la politica estera inglese, francese e americana aveva vissuto la Seconda Guerra Mondiale o aveva partenti morti nella Prima. La componente emotiva e il terrore di un ritorno dell’aggressività tedesca – peraltro per nulla plausibile – erano così forti da fare trovare tutti d’accordo nel volere creare uno strumento per controllare la Germania. E per questo venne inventata la moneta unica. Gli americani non erano tutti anti-tedeschi, ma sfruttarono l’occasione per veicolare l’introduzione dell’Euro per favorire i propri interessi economici. L’Euro venne dunque concepito come un modo per ingabbiare da Germania da parte di francesi, inglesi e anche di Andreotti, che per scongiurare l’ipotesi di un ritorno tedesco si coalizzarono per controllarne insieme l’economia attraverso una moneta comune. Gli americani sfruttarono questo loro sentimento condiviso per rafforzare il mercato unico da essi gestito. Spesso in Europa si parla dei complotti americani. Tutte cose false! Gli Stati Uniti hanno fatto tutto alla luce del sole: dissero apertamente di volere un’Europa unita per incentivare gli scambi commerciali e ottennero ciò che volevano. Ciò è oggi apertamente riconosciuto dalla politica americana, non dalle istituzioni comunitarie.”
 
Gli Stati Uniti hanno dunque determinato ogni fase del processo di integrazione europea. Oggi in che modo sono in grado di determinare le decisioni della UE?
 
“Gli Stati Uniti esercitano in Europa una capacità decisionale notevole grazie alla propria forza militare e alle proprie politiche monetarie. E stanno cercando di estendere i loro interessi nel vecchio continente. Per farlo hanno offerto all’Europa un trattato di libero scambio, il TTIP. Gli europei devono decidere se accettarlo o meno e hanno diverse divisioni interne, per esempio il timore che la competizione europea con l’America non possa reggere. Le opposizioni sono forti perché ci sono delle obiezioni alla cultura americana.”
 
Potrebbe il TTIP essere un mezzo degli americani per estendere il proprio potere non solo economico ma anche politico sull’Europa?
 
“No, perché non ne hanno bisogno. Hanno già la NATO. L’Unione europea ha totalmente fallito nello sviluppo di una difesa comune, che è completamente stata devoluta agli americani. Essi hanno già capacità decisionale perché sono i monopolisti della forza militare in Europa. E stimolando il timore reale o immaginario nei confronti della Russia per convincere gli europei che ciò sia un bene. Finché ci sarà la NATO l’Europa dipenderà totalmente dagli Stati Uniti.”

Il nemico principale

mai come in queste elezioni si evidenziano tutti i servi della massoneria e della NATO
di Maurizio Blondet – 07/12/2015
 
 “Il Nemico Principale”, titola Libération, esterrefatta che i francesi abbiano votato il Front. E’ pur sempre divertente vedere che il giornale “ di sinistra” si smascheri così a nome del suo padrone (Rotschild). Ma ricordiamoci: c’è il secondo turno. E nel secondo turno, come è sempre successo da 50 anni, la “sinistra” socialista e la “destra” gaullista ( povero De Gaulle) si uniscono in un meccanismo di desistenza per non far vincere mai il Front National.
 
Circoscrizione per circoscrizione, il candidato “debole” delle due formazioni si ritira, facendo sì che i voti del suo elettorato vadano al candidato forte – per esempio – socialista. Non solo ciò ha funzionato benissimo per tener fuori il Front National. Posso dirvi che tanti anni fa il Grande Oriente di Francia convocò i capi dei due partiti mainstream per impegnarli, giurando davanti al Grande Architetto, che mai – in nessun caso – avrebbero fatto un governo in alleanza con il Front National. I due giurarono. Sto citando a memoria, ma me lo ricordo benissimo perché la cosa fu riportata da Le Monde. Era tanti anni fa, c’erano Mitterrand per i socialisti e Chirac dall’altra parte.
 
Quindi lo spavento e il panico mediatico è per metà una finzione. E il titolo di Libé è funzionale a questo trucco: “Il Nemico Principale” è madame Le Pen, quindi unitevi col nemico secondario per liquidarla nelle urne. Magari stavolta non funzionerà. Sarkozy ha detto che stavolta no, ma molti deputati del suo partito hanno già detto che sì, obbediscono alla Loggia.
 
Quindi aspettiamo a congratularci per la vittoria di Marine Le Pen. Vediamo il secondo turno, dopo sette giorni di terrorismo mediatico sui pericoli estremi che il Front fa correre. E’ peggio dell’ISIS, è il Nemico Principale.

Il vero vincitore in Francia è (purtroppo) Sarkozy

ovviamente per i finto paladini anti sistema meglio un Sarkò od un Hollande, e le loro guerre imperialiste neocoloniali
 
dic 07, 2015
Marian-Le-Pen
Marion Marechal Le Pen
di Eugenio Orso
 
Il Front National vince il primo turno delle amministrative francesi di domenica scorsa, però non riesce a strappare neppure una regione e deve andare al ballottaggio. Il 28%, a livello nazionale, non è sufficiente per cambiare il quadro politico, o anche soltanto amministrativo, dato l’isolamento del Fronte e l’elevata astensione. Per tale motivo, scatterà la trappola del sistema, perché i socialistoidi e gli scarti della sinistra voteranno in massa per Sarkozy, come accadde più di un decennio fa, nel ballottaggio per la presidenza, con Jaques Chirac contro il “fascista” Le Pen padre. Chirac vinse e J.M. Le Pen restò con un palmo di naso, ben la di sotto del venti per cento dei consensi.
 
Posto che le amministrative non significano, automaticamente, crisi di governo, dimissioni del primo ministro e/o del presidente, quella della (anzi, delle due) Le Pen al primo turno potrà rivelarsi una vittoria inutile, priva di effetti “di sfondamento” anche sul piano amministrativo.
 
Riassumendo, nonostante gli “allarmi” dei media europei che starnazzano per l’avanzante pericolo rappresentato dal Front National, primo in sei regioni su tredici, esagerando volutamente le dimensioni della sua vittoria di domenica, gli effetti, come si vedrà fra poco nel ballottaggio, saranno modesti sul piano amministrativo e non decisivi su quello politico.
 
Per quanto scritto finora, mi sento di dire che il pessimo Sarkozy si confermerà vero vincitore in Francia, com’era accaduto nelle recenti dipartimentali, e la cosa non potrà non avere un riflesso sulle presidenziali del 2017. Sarkozy è un euroservo filo-atlantista ormai di lungo corso e ha contributo a ridurre la Francia, prima di Hollande, così com’è ora, cioè in piena crisi, destabilizzata dal terrorismo islamosunnita e attraversata dall’insicurezza, prigioniera dell’Unione europide e dell’euro, troppo vicina, contro i suoi interessi, al blocco militare antirusso Usa-Nato.
 
Sarkozy ha già furbescamente dichiarato che non vuole la “desistenza” a vantaggio della sinistra, cioè l’alleanza repubblicana in atto dal dopoguerra contro formazioni come il FN, e perciò non ritirerà i suoi candidati dove ancora potrebbero farcela quelli socialisti, come ad esempio in Bretagna o nella parte sud-occidentale della Francia. I socialisti, un po’ allo sbando ma non in crollo totale, vivono contrasti interni perché vogliono ritirare i loro candidati in tre regioni, dove il FN è più forte, per far votare i candidati del cartello elettorale di Sarkozy. In ogni caso, dal quel che mi è parso di capire, quale che sia l’esito dei contrasti interni al PS francese, il voto dei suoi adepti sarà prima di tutto contro la (anzi, le Marine e Marion) Le Pen e il Front National. Tutta acqua al mulino del play-boy prestato alla politica, che ha avvicinato la Francia alla Nato e ha fatto la spalla della Merkel quando è stato presidente. Fra i “precedenti” di Sarkozy, che non lasciano ben sperare, c’è la dissoluzione della Libia grazie ai suoi bombardamenti, poi la complicità nella caduta di Berlusconi e l’avvento di Monti in Italia, e quindi il coinvolgimento in diversi processi per corruzione in Francia.
 
Se Hollande è praticamente finito – ma il 2017 è ancora lontano – Sarkozy si riaffaccia sornione, in un eterno ritorno delle stesse cose, poiché, con lui di nuovo in sella, il giochetto liberaldemocratico “destra contro sinistra” non cambierà la sostanza delle politiche che hanno portato la Francia in una situazione di crisi, d’insicurezza e smarrimento di un forte ruolo geopolitico. Solo il FN avrebbe potuto opporsi con decisione all’islamizzazione della Francia, alla schiavitù dell’euro, che mina l’economia e il sistema sociale francese, e far riacquistare al paese la dignità di una potenza uscendo dalla Nato e avvicinandosi alla Russia. Sarkozy andrà per la strada opposta, nella stessa direzione dei socialistoidi in calo di consensi di François Hollande.
 
Con Sarkozy probabile vincitore nei ballottaggi, poi nelle presidenziali del 2017, il cerchio si chiuderà e la speranza della Francia di risollevarsi svanirà forse per sempre.
 

Gli sponsor dell’ISIS oscurano la TV Al Manar

L’occidente si dice sia la terra delle libertà, per questo va difeso da ogni “minaccia”, sia essa finto terrorista che interna, da politici politically scorrect ovviamente “fascisti”
 
di Pino Cabras – 07/12/2015
 
Fonte: Megachip
 
Al Manar
DI PINO CABRAS
La televisione di Hezbollah viene espulsa dal satellite controllato dai sauditi, mentre la Turchia incarcera i giornalisti. La cosa riguarda la nostra libertà [Pino Cabras] Redazione sabato 5 dicembre 2015 11:53 
 
Ora tocca alla TV libanese Al Manar, subire un durissimo colpo che viene da chi protegge l’ISIS-Daesh. L’emittente di Hezbollah, il movimento di resistenza sciita che negli ultimi mesi ha inflitto numerose sconfitte sul campo ai miliziani di Daesh e di Al-Nusra, è stata oscurata dalla piattaforma satellitare della Lega Araba, Arabsat, che ha sede in Arabia Saudita e trasmette canali di venti paesi arabi. L’interruzione è avvenuta senza preavviso e senza spiegazioni, violando clamorosamente i contratti.
 
Gli sponsor dell’ISIS giocano ormai a carte scoperte e non rispettano più nessuna regola, né contrattuale, né legale-costituzionale, né militare: non vogliono fra i piedi un giornalismo che li ostacoli. Si assiste a una vera accelerazione negli ultimi mesi (specie in Turchia, ma non solo): censure, interventi squadristici contro le redazioni, carcere per i direttori dei giornali, canali TV fatti chiudere a forza, centinaia di cronisti licenziati. Qualche giornalista muore in circostanze controverse, e sempre dopo minacce di morte. Quasi nessuno in Occidente conosce la vicenda della giovane Serena Shim, dell’iraniana Press TV, morta un anno fa in uno strano incidente dopo essere stata accusata dai servizi di sicurezza turchi di essere una spia e minacciata di morte, a seguito di un suo servizio che denunciava la collusione del governo turco con l’ISIS. In particolare, aveva osato svelare il caso degli autocarri carichi di combattenti dell’ISIS che oltrepassano il confine tra Turchia e Siria, spesso con le insegne di organizzazioni non governative o dell’ONU.
In Occidente l’unico caso che sta iniziando a bucare l’indifferenza riguarda due giornalisti, Can Dündar, direttore del quotidiano di Istanbul Cumhuriyet, e il capo-redattore del suo ufficio di Ankara, Erdem Gül, entrambi in prigione dal 26 novembre. Anche per loro l’accusa è spionaggio e terrorismo. Avevano semplicemente pubblicato le prove che dimostravano che i servizi segreti turchi consegnano tante armi ai gruppi islamisti in Siria. Eppure, a parte qualche appello, la massa che diceva “Je suis Charlie Hebdo” ora non dice nulla. Così come difficilmente dirà qualcosa sul caso di Al Manar.
Perché dunque questa accelerazione? Il fatto è che l’intervento militare russo in Siria ha messo a nudo tutte le ipocrisie occidentali e mediorientali sulla questione ISIS: i suoi tanti sponsor non possono più nascondersi, e perciò reagiscono cercando di silenziare le testate che non controllano.
È in questo quadro che ora le petro-monarchie vogliono chiudere la bocca ad Al Manar. Ci aveva provato già Israele, nel 2006: durante l’invasione del Libano l’aviazione israeliana colpì ripetutamente con missili la sede della TV a Beirut. L’attacco del 16 luglio distrusse l’edificio di Al Manar, ma l’interruzione durò appena dieci secondi: la redazione si era preparata a trasmettere in emergenza da località sconosciute e gli israeliani non potevano far nulla per controllare la piattaforma satellitare ArabSat. Solo che ora ci pensano direttamente i piranhas di Riad.
Ai dirigenti sauditi non stavano piacendo i continui reportage di Al Manar dallo Yemen, il paese che da mesi subisce l’aggressione di Arabia Saudita, Qatar e altri paesi loro clienti e alleati: i continui bombardamenti hanno già causato migliaia di morti civili, centinaia di migliaia di sfollati, e dieci milioni di persone senza più acqua potabile (metà della popolazione yemenita). Si tratta di una catastrofe originata da veri e propri crimini di guerra, alimentati da un’enorme quantità di bombe che proviene anche dall’Italia. La redazione di Al Manar non solo mette in prima serata questa guerra orrenda, ma è capofila di una federazione di decine di canali mediorientali (anche dello Yemen) che stanno formando sul campo centinaia di videoreporter in grado di confezionare eccellenti servizi, spesso girati con un semplice telefonino. Tuttavia, la quasi totalità dei cittadini occidentali non sa nulla di queste guerre né di questo giornalismo. I padroni della comunicazione europei, per esempio, nel 2012 cacciarono dalla piattaforma Eutelsat i canali satellitari iraniani, senza che i giornalisti e i politici europei trovassero nulla da obiettare. La Francia aveva proibito Al Manar già nel 2004, assimilando la redazione a un gruppo terroristico e accusandola di antisemitismo. Altri paesi europei seguirono. Già prima ad Al Manar era stato precluso il sistema statunitense Intelsat.
Rimaneva Arabsat, attraverso cui Al Manar ha raggiunto ogni giorno un pubblico pan-arabo di decine di milioni di telespettatori, ponendosi come la più combattiva comunicazione anti-ISIS esistente. In un mondo normale sarebbero i primi alleati di chi volesse davvero estirpare Daesh. Invece l’Europa li ha censurati da tempo, mentre ora – improvvisamente – li censura il sistema di alleanze che copre l’ISIS.
Chi ha a cuore la libertà di parola deve capire ora la gravità di questo fatto, che ricade anche sull’Occidente. Negli ultimi dieci anni si erano formati nuovi equilibri nell’informazione globale. Vari paesi hanno proposto con forza una propria visione autonoma in contrasto al flusso informativo dominato dalle potenze anglosassoni. Le emittenti emergenti (la libanese Al Manar, l’iraniana Press TV, la russa RT, la venezuelana Telesur, ecc.) hanno partecipato con un punto di vista certo “di parte”. Ma per l’appunto grazie a questa parzialità, mostrano al mondo interessi “altri”, e conquistano un nuovo pubblico, ormai stufo dell’informazione prodotta dalla fabbrica dei media nostrana, al netto degli ingenui che pensano che la CNN e altri giganti mediatici siano “neutrali”.
Se queste voci “altre” non useranno un sistema autonomo di trasmissione, cioè se non trasmetteranno con propri satelliti, rimarranno sempre vulnerabili rispetto a chi combatte la guerra da un’altra parte della barricata e può decidere di spegnerli da un momento all’altro. Questo discorso vale anche per i canali russi, che sono già entrati nel mirino della NATO e dei suoi maggiordomi. Si parla ormai apertamente di misure per bloccare l’informazione proveniente da un mondo considerato nemico. Qui, nell’Occidente che presume ancora di essere il luogo del “libero” confronto delle idee. Un imperdibile “manuale” sull’argomento lo ha scritto Roberto Quaglia, converrà padroneggiarlo.
Siamo appena agli inizi di una dittatura che usa la lotta all’ISIS per giustificare restrizioni alla libertà e censure, ma che poi usa queste restrizioni e censure a danno di chi combatte davvero l’ISIS. Sembra un paradosso, ma è il ritratto del doppiogiochismo che sta affossando le democrazie. Basterebbe poco, con un certo clima di allarme bellico, per “erdoganizzare” e “saudizzare” anche il sistema europeo, che ormai è sempre più istituzionalmente pronto a questa pericolosa mutazione.
 
Dobbiamo capire da subito che il punto di vista altrui è la garanzia del punto di vista nostro. Difendere Al Manar ed esigere che la TV non sia oscurata è una questione che ci riguarda da vicino.
 

L’aviazione russa ha iniziato a scortare l’Esercito Siriano

dic 08, 2015
Aviazione-russa
Aviazione russa
 
A seguito dell’attacco inaspettato effettuato dalla denominata “coalizione anti ISIS”, diretta dagli USA, che ha colpito un avamposto dell’Esercito siriano nella provincia di Deir al-Zur, nell’ est della Siria, il comando delle forze aeree russe ha deciso di scortare e dare protezione aerea all’Esercito siriano ed alle operazioni che questo conduce sul terreno.
L’attacco improvviso ed inaspettato delle forze USA aveva lasciato sul terreno 4 soldati siriani morti e 13 feriti.
 
Secondo le informazioni fornite da fonti della sicurezza russa, i caccia bombardieri Sujoi Su-30SM delle forze aereospaziali della Russia inizieranno da Lunedì a coprire l’Esercito siriano di fronte a possibili attacchi aerei ed intercetteranno qualsiasi aereonave da guerra che cerchi di attaccarlo.
 
L’Esercito siriano, che da quasi cinque anni combatte i gruppi di mercenari jiadisti che hanno infestato il paese arabo, si deve guardare non soltanto dagli attacchi dei terroristi ma anche dagli attacchi dall’aria che possono venire effettuati dagli aerei della coalizione diretta dagli USA in cui sono incluse le forze turche e saudite, oltre a quelle di paesi occidentali.
 
Di fatto, con questo ulteriore episodio, si comprende quale sia il vero ruolo dello schieramento di forze occidentali-NATO-Turco-Saudite che operano sulla Siria: proteggere i gruppi terroristi armati dall’Occidente e ritardare l’offensiva dell’Esercito siriano e delle forze alleate (Hezbollah e sciiti iracheni) che stanno riconquistando il territorio che era sotto controllo degli jiadisti dell’ISIS e degli altri gruppi terroristi, con l’appoggio dell’aviazione russa.
 
Questo spiega anche l’abbattimento dell’aereo russo Su-24 effettuato dai caccia turchi mentre questo contrastava il traffico di petrolio di contrabbando che avviene sulla frontiera turca. In pratica in Siria lo Stato Islamico ed i gruppi terroristi di Al Nusra e similari godono di “forti protezioni” fra gli stessi paesi che, a parole, affermano di voler combattere il terrorismo, altrimenti non si capisce perchè, per oltre un anno, le forze della coalizione, con tutto il loro possente schieramento aereo navale, hanno consentito l’espansione ed il consolidamento dell’ISIS nei territori da esso conquistati in Siria ed in Iraq e si sono ben guardati dal contrastare i traffici di petrolio con la Turchia che consentivano il finanziamento dello Stato Islamico ed il continuo flusso di armi e rifornimenti dal confine turco.
 
Si spiegano anche i continui richiami alla Russia fatti dal  dal Segretario di Stato John Kerry perchè l’aviazione russa eviti di bombardare quelli che vengono chiamati gli “opppositori” del regime siriano che invece a tutti gli effetti risultano gruppi terroristi affiliati ad Al Nusra (filiale di Al Qaeda in Siria). Si sa che questi gruppi continuano a ricevere armi dall’Occidente e dai sauditi ed ultimamente hanno ottenuto armi sofisticate quali missili anticarro Tow di fabbricazione USA, forniti loro dalla Turchia.
 
L’obiettivo reale della coalizione anti ISIS appare chiaramente quello di rovesciare il governo di Al Assad e smembrare la Siria, assecondando gli interessi degli USA, della Turchia e dell’Arabia Saudita, paesi che aspettano, come avvoltoi, di fare bottino del territorio e delle risorse del martoriato paese arabo.
 
Fonti:    Hispantv            Al Manar
 
Traduzione esintesi: Luciano Lago

Militari turchi in Iraq – Baghdad: invio soldati turchi viola nostra sovranità

una cosa da niente, l’ONU che dice?!?!?! La stampa perché tace? Sarebbe stata tanto silente se a farlo fosse stata che sò l’Ungheria?!?!
turchia irak
Il primo ministro dell’Iraq ha dichiarato che 130 militari della Turchia, inviati per addestrare le milizie curde, hanno invaso il paese senza il consenso delle autorità e devono ritirarsi immediatamente.
Baghdad giudica l’invio dei militari turchi in Iraq come una violazione della sua sovranità e chiede ad Ankara l’immediato ritiro, ha comunicato l’Ufficio stampa del primo ministro iracheno.
 
“Le truppe della Turchia, dislocate nei pressi di Mosul, hanno invaso il paese senza il nostro consenso e devono ritirarsi immediatamente”, — dice il comunicato.
In precedenza si comunicava che il governo della Turchia ha inviato 130 militari nei pressi di Mosul, città dell’Iraq settentrionale, per addestrare i Peshmerga (milizie dei curdi iracheni). In seguito l’agenzia Reuters ha riferito, citando una fonte dell’esercito USA, che l’iniziativa della Turchia non fa parte delle azioni della coalizione internazionale a guida USA.
 
Tuttavia, come informa la stessa Reuters, Turchia aveva avvisato la coalizione dell’invio dei militari.

USA si rifiutano di garantire debito Ucraina, Russia pronta a dichiarare default Kiev

La stessa Russia aveva formulato un’offerta per spalmare il debito ucraino in 3 anni sotto la garanzia di Stati Uniti, UE o di un’istituzione finanziaria internazionale, tuttavia Washington si è rifiutata di fornire tali garanzie, sottolinea il ministero delle Finanze russo.
 
Il ministero delle Finanze della Federazione Russa ha confermato di voler citare in giudizio l’Ucraina in caso di inadempienza del suo debito il 20 dicembre, si legge in un comunicato del dicastero russo.
 
“Nonostante nessuna richiesta ufficiale dell’Ucraina al governo russo in merito alla ristrutturazione del debito sovrano di 3 miliardi di dollari, la Russia ha avanzato un’offerta per spalmare in 3 anni (2016-2018) il rimborso del debito ucraino sotto la garanzia di Stati Uniti, Unione Europea o di una delle istituzioni finanziarie internazionali di prim’ordine”, — si legge nel comunicato.
 
Nel documento si rileva che “abbiamo offerto condizioni ancora migliori di quelle richieste dal Fondo Monetario Internazionale.”
 
Questa settimana abbiamo ricevuto un rifiuto ufficiale da parte del governo degli Stati Uniti per fornire la garanzia sulle obbligazioni dell’Ucraina. Pertanto non abbiamo altra scelta se non quella di presentare un esposto contro l’Ucraina in caso di inadempienza dei suoi obblighi sul debito il 20 dicembre di quest’anno, fatto che significherebbe il default del debito sovrano ucraino,” — sottolinea il ministero delle Finanze russo.
 
“Inoltre al momento è concreto il rischio che l’Ucraina non riceva la nuova tranche del Fondo Monetario Internazionale per il fatto che finora non è stato approvato il bilancio statale per il 2016, che corrisponda ai parametri del programma del FMI a seguito della mancanza di un progetto concordato di riforme fiscali e di cambiamenti strutturali necessari,” — è aggiunto nel comunicato.

SONO SEDICI LE BANCHE ITALIANE COMMISSARIATE, MA SOLO 4 SARANNO ”SALVATE” PRIMA CHE SCATTI IL BAIL IN (POI, CATASTROFE)

mercoledì 2 dicembre 2015
 
Mentre il governo Renzi si auto loda per il salvataggio delle quattro grandi banche italiane malate senza l’intervento pubblico (evidentemente il ministro Padoan ignora di essere l’azionista di maggioranza assoluta di cassa depositi e prestiti che si è fatta garante delle somme concesse per il salvataggio da Unicredit, Intesa e Ubi in primis), i piccoli risparmiatori coinvolti nel crack iniziano a fare i conti con la dura realtà, ovvero quella di aver perso tutti o quasi i loro risparmi.
Non stiamo parlando degli azionisti, che avendo investito in capitale di rischio, sanno che possono guadagnare come perdere tutto, ma di un esercito di piccoli risparmiatori, molti dei quali pensionati, che hanno investito i risparmi di una vita nelle obbligazioni delle banche di cui erano correntisti, spesso invogliati da direttori di filiale o cassieri in più o meno buona fede.
 
Perché parliamo di buona fede? Semplice, perché il più delle volte le obbligazioni sono state vendute a questi piccoli risparmiatori come “investimenti sicuri”, “prodotti con garanzia di capitale al 100%” e altre amenità varie, quando la realtà era ben diversa.
E’ bene ricordare che le obbligazioni subordinate, una delle tante tipologie che l’ingegneria finanziaria si è inventata, sono una via di mezzo tra azioni ed obbligazioni (non ce ne vogliano gli esperti, è una semplificazione che serve a far capire cosa sta accadendo), per cui sono state aggredite dal “salvataggio” subito dopo le azioni e prima delle obbligazioni tradizionali e dei conti correnti oltre i cento mila euro.
Citiamo un passo di una lettera scritta da una studentessa a Il Sole 24 ore, che testimonia quanto detto: “Tra i sottoscrittori delle obbligazioni di Banca Etruria c’è mia nonna e tantissimi altri pensionati che gestiti da impiegati di banche male informati o forse troppo sotto pressione gli hanno fatto investire parte o tutto dei loro risparmi in obbligazioni, che oggi scoprono essere subordinate. Le obbligazioni in questione (Lower Tier 2) ci erano state proposte da dipendenti, vice-direttori, direttori di Banca Etruria, descritte come obbligazioni “sicure, senza alcun rischio e garantite alla loro scadenza al 100%”. Garantite da dipendenti “amici” e da una banca sulla quale da 30 anni la mia famiglia ripone la propria fiducia affidandogli i risparmi di una vita.
 
Mia nonna, ottantottenne, vedova h”a perso 50.000 euro. No, non abbiamo ancora avuto il coraggio di dirglielo. Mia madre – continua la lettera – disoccupata e con me a carico, ha perso gli unici 5.000 euro di risparmi che era  riuscita ad accumulare.
 
Possiamo forse definire queste due signore delle avide speculatrici? Certo che no, eppure sono state massacrate dal PBI, ex PDI, ovvero Partito Bancario Italiano gestito da Renzi, Boschi (ops, il papà è coinvolto nel crack di una di queste banche) e compagnia cantando.
Molti di voi potrebbero pensare: “vabbeh, che me ne importa, io mica ho investito i soldi in quelle quattro banche, cavoli loro”. Cari voi, io al posto vostro starei molto attento a sentirmi tranquillo.
 
Prima di tutto perché le banche commissariate sono ben di più, in seconda battuta perché quelle barcollanti sono un’infinità e in terza, perché anche voi potreste in realtà avere obbligazioni di queste banche in pancia.
 
A fine articolo riproporremo l’elenco delle banche commissariate, ed al momento ci concentriamo sul terzo punto. Come fate ad avere anche voi obbligazioni subordinate di banche decotte? Semplice, perché queste obbligazioni subordinate, in particolare quelle quotate in borsa, sono finite anche nei portafogli dei fondi comuni d’investimento, ed in particolare di quelli bilanciati od obbligazionari.
Ora facciamo un esempio per farvi comprendere come potreste prendere anche voi un bel salasso. Ipotizziamo che il signor rossi, cioè voi, abbia investito 1.000 euro in un fondo obbligazionario e che questo fondo abbia investito il 10% del proprio patrimonio in obbligazioni subordinate della banca X, ormai decotta.
 
Adesso, visto che quelle obbligazioni valgono zero, i vostri 1.000 euro diventeranno immediatamente 900 (1000 – 100 ovvero la quota parte delle obbligazioni subordinate diventate carta straccia). Vi sentite ancora così tranquilli? Ovviamente non è detto che queste obbligazioni subordinate siano presenti in tutti i fondi, ma sarebbe il caso che chiedeste al vostro direttore di banca o promotore finanziario, la scheda dettagliata  dei vostri investimenti.
 
Ed ora, ecco a voi l’elenco delle banche commissariate da Banca d’Italia
 
Banca Popolare dell’Etruria
 
Banca delle Marche
 
Istituto per il credito sportivo
 
Cassa di risparmio di Ferrara
 
Cassa di risparmio di Loreto
 
Cassa di risparmio di Chieti
 
Banca popolare dell’Etna
 
Banca popolare delle province calabre
 
BCC Banca Romagna Cooperativa
 
BCC Irpina
 
BCC Banca Padovana
 
Cassa rurale di Folgaria
 
Credito Trevigiano
 
Banca di Cascina
 
Banca Brutia
 
BCC di terra d’Otranto
 
Avete fatto caso se qualche mattonella del vostro pavimento balla? Forse, prima di farla riparare potreste pensare di impiegarla come nascondiglio dei vostri risparmi, anche perché dal prossimo primo gennaio, con l’entrata in vigore del “metodo Cipro”, i vostri risparmi saranno ancora meno sicuri, visto che certi “salvataggi” non saranno più consentiti a seguito della normativa europea prontamente recepita dal governo renzista.
 
Tanto per essere chiari fino in fondo: dal 1° gennaio 2016, per tutte le banche italiane che si trovassero nella condizione di dover essere “ristrutturate” pena il fallimento, varranno le regole del bail in – che nel caso di queste 4 banche di cui ho scritto non è stato applicato – il quale bail in prevede che a ripianare il dissesto siano chiamati non solo gli azionisti, non solo gli obbligazionisti che hanno acquistato le obbligazioni subordinate, ma anche gli obbligazionsiti che hanno comprato le normali obbligazioni.
 
Finito di confiscare tutto ciò, il metodo bail in entrato in vigore confischerà tutti i conti correnti eccedenti i 100.000 euro, divorando tutta l’eccedenza. Fatto questo, se voi siete correntisti della banca o delle banche in questione e avete sul conto meno di 100.000 euro, dubitiamo che possiate sertirvi tranquilli e protetti. Per un semplice motivo: il Fondo di garanzia che dovrebbe garantire il depositi inferiori ai 100.000 euro è afflitto da un piccolo problema: non ha in cassa il denaro necessario, e il bail in impedisce allo Stato di intervenire per mettercelo.
 
Avete letto bene? Speriamo.
 
Luca Campolongo
 
Fonti