Sabotaggio ai cavi, bloccati i treni ad alta velocità tra Parigi, Belgio, Londra

Sospesa la circolazione di Tgv e Thalis, stop anche agli Eurostar da Bruxelles. Il furto è avvenuto all’altezza della città di Ath
 
di Redazione Online
 
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Bloccati lunedì mattina i treni ad alta velocità per Parigi e Lille e per Londra. A comunicarlo Infrabel, che gestisce il traffico ferroviario. Lo stop ai Tgv e Thalis è dovuto ad un sabotaggio all’altezza di Ath, in Belgio. In particolare, è stato «deliberatamente reciso» un cavo della segnaletica e per questo una quindicina di treni saranno annullati o subiranno ritardi.
 
Nessuna rivendicazione
In un primo tempo si era pensato ad un possibile furto di cavi, ma gli accertamenti effettuati sul posto hanno permesso di accertare che si sia trattato solo di un’azione di disturbo. Non è però ancora chiaro ad opera di chi: al momento non risultano essere state diramate rivendicazioni. Proprio in mattinata, tuttavia, a Parigi ha preso il via la Conferenza mondiale sul clima preceduta, nella giornata di domenica, da scontri tra polizia e manifestanti anti-Cop21 che sono scesi in piazza nonostante il divieto imposto dalle autorità per motivi di sicurezza. Non è dunque escluso che il sabotaggio possa rientrare nelle azioni di contestazione al vertice tra i leader mondiali. «Nel clima di questi ultimi tempi – ha commentato Frédéric Sacré, portavoce di Infrabel – bisogna essere chiari: non si è trattato di un tentativo di far deragliare il treno, ma questo non cambia il fatto che è stato un grave atto che colpisce le nostre infrastrutture».
 
Bloccato anche il ministro
Dello stop alla circolazione dell’alta velocità ha fatto le spese anche il ministro francese dell’Economia, Emmanuel Macron, che ha dovuto annullare una trasferta a Bruxelles dove era atteso per una riunione con altri ministri economici europei.
 
30 novembre 2015 (modifica il 30 novembre 2015 | 11:37)

La Francia inizia il suo giro di vite sulla dissidenza: chiusi i siti web di informazioni alternative

nov 30, 2015
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Repressione su web
 
Il Governo francese, con la scusa di imporre rigide leggi contro il terrorismo a motivo degli attentati di Parigi, si sta procedendo alla chiusura dei siti web di notizie alternative. La versione francese del sito web “We Are Change” risulta già essere stata bloccata, in una offensiva senza precedenti contro i media alternativi in Europa.
 
L’informativa di Trueactivist.com dice:
 
Le Blog De Resistence” è un portale di informazioni alternative molto popolare con più di 10 milioni di visite e migliaia di sottoscrittori regolari. L’autore, che si fa chiamare Z, è stato chiamato a fare dichiarazioni dopo gli attentati di Parigi.
 
Secondo quanto riferisce il webmaster:
 
“Quanto tempo ancora durerà questo blog aperto? Il peggio è che ai francesi non interessa, sono totalmente ossessionati con più sicurezza a spese delle loro libertà. Il mondo si burla dei terribili segreti rivelati da Snowden. Questa è la Francia, la “terra della libertà”.
Oggi, una volta di più lo ripeto, ho molta paura per la libertà di espressione e per i media aternativi. Non so per quanto tempo ancora potrò scrivere e informare liberamente. Temo per me stesso. La grande quantità di leggi approvate dall’inizio dell’anno (legge antiterrorismo, intelligence….) è enorme. Risulta molto difficile per noi scrivere sotto uno stato di emergenza. Lo stress e la tensione sono da tutte le parti”.
 
 
Nota: Lo avevamo previsto. Il terrorismo gioca un ruolo decisivo nella politica repressiva attuata dai governi  del sistema globalista. Così è stato dall’11 Settembre con la conseguente “Guerra al Terrore” scatenata da George W. Bush ed da Dick Cheney che, oltre alle guerre scatenate in Asia e Medio Oriente,  ha consentito la sospensione dei diritti negli USA,  tramite l’emanazione del  “Patrioct Act” ,  che  prevedeva ( naturalmente al fine di combattere il terrorismo), una serie di strumenti straordinari tra i quali si rileva – “la possibilità dell’Esecutivo di far giudicare i terroristi (o sospetti tali) catturati da tribunali militari, a porte chiuse senza le garanzie usuali dei procedimenti giurisdizionali”.
 
Il 13 novembre 2001 il Presidente Bush emette il Presidential Military Order sulla detenzione, il trattamento e il procedimento nei confronti di alcuni non-cittadini nella guerra al terrorismo in cui dichiara che «la situazione di emergenza determinata dalla minaccia terrorista richiede che, per garantire la sicurezza nazionale, siano adottate misure straordinarie nei confronti dei non-cittadini che il Presidente ritenga appartenere ad Al Qaeda o che egli giudichi essere in qualche modo collegati alla rete del terrore……”.
 
Queste misure sono ancora vigenti e possiamo ricordare fra queste il carcere di Guantanamo, con le torture inflitte ai detenuti  da parte dei  militari USA, la campagna di assassinii mirati fatta attraverso i droni senza pilota che hanno causato alcune migliaia di vittime civili innnocenti, come effetti collaterali. Una campagna che viene svolta fuori dai riflettori dei media in paesi come il Pakistan, lo Yemen, la Somalia, il Sudan o la Nigeria.
 
Non è difficile che anche in Francia si adottino delle misure simili, visto che gli attentati di Parigi sono considerati una sorta di 11 S. della nazione francese. Altrettanto si può considerare prevedibile uno spostamento di opinione e di consensi nei cittadini  francesi  per effetto degli attentati da cui si potrebbe avvantaggiare il governo Hollande che cerca di presentarsi come un governo energico che reagisce con durezza alla situazione di emergenza. Questo considerando la forte caduta di consensi che lo stesso governo Hollande aveva registrato nei mesi precedenti. Naturalmente Hollande occulta la sua politica di appoggio  e di complicità con i gruppi terroristi di Al Qaeda all’estero (in Siria) per le sue finalità di voler rovesciare un governo legittimo (quello siriano) e per compiacere gli stretti legali con l’Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo.
 
A breve scadenza potremo vedere  gli effetti di questa strategia che sicuramente non sarà limitata alla sola Francia.
 
 
Traduzione e commento: Luciano Lago

Erdogan e Obama hanno mentito. Nessuna sorpresa per alcuno: lo hanno sempre fatto

nov 25, 2015
 
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Pilota russo parla con giornalisti
 
Il copilota dell’aereo russo Su-24, abbattuto dai caccia turchi il Martedì, fornisce la sua versione dei  fatti da cui risulta che mai  l’aereo russo aveva violato lo spazio aereo della Turchia. Inoltra il copilota, Konstantin Murakhtin, salvato da una operazione di riscatto delle forze speciali siriane, afferma di non aver ricevuto alcun segnale nè visuale nè via radio da parte dei turchi, contrariamente a quanto sostengono le autorità turche.
 
“Risulta impossibile che il nostro aereo abbia violato lo spazio aereo turco neppure per un secondo, ha riferito Konstantin intervistato dal canale TV russo Rossiya 1. “Noi stavamo volando ad una altezza di 6.000 metri con un tempo totalmente chiaro ed avevamo il controllo totale di tutta la nostra traettoria”.
 
Allo stesso modo di come Konstantin Murakhtin ha negato che l’aereo si trovasse nello spazio aereo turco, il copilota ha respinto decisamente la versione turca dei presunti ripetuti avvisi che le autorità turche avrebbero trasmesso all’aereo. “In realtà non c’è stato alcun avviso nè via radio nè visualmente per farci modificare la traettoria”. Bisogna capire la differenza di velocità tra un bombardiere tattico Su-24 ed un caccia F-16. “Se avessero voluto avvisarci avrebbero potuto sedersi sulla nostra ala”, ha dichiarato Murakhtin che adesso si trova in fase di recupero presso la base di Latiaka, nel nord della Siria.
 
“Come è accaduto, siamo stati colpiti nella parte posteriore del nostro aereo e non abbiamo avuto il tempo di effettuare una manovra evasiva”.
Non appena l’aereo è stato abbattuto ed è precipitato in territorio siriano, i due piloti sono riusciti a catapultarsi con il paracadute, uno dei due è stato però ucciso dal fuoco dei ribelli turcomanni mentre planava,  l’altro, il copilota, è riuscito a nascondersi fino a quando è stato riscattato dalle forze speciali russo siriane, nel corso dell’operazione  tuttavia è  rimasto ucciso un marinaio russo.
 
Nel frattempo si segnala che, dopo l’episodio dell’abbattimento dell’aereo russo, definito da Putin “una pugnalata alla schiena che avrà conseguenze tragiche”, Mosca ha preso la decisione strategica di rafforzare il contingente russo che sta effettuando le operazioni di antiterrorismo in Siria e di prendere nuove misure di protezione di tali forze.
 
Il Ministero russo ha comunicato che si stanno adottando un insieme di misure per evitare il verificarsi di incidenti similari a quello dell’aereo abbattuto.
La base aerea russa di Jmeimim, in Siria,  avrà in dotazione il sistema antiaereo S-400.
 
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Sistema S-400 missili antiaerei nella base russa
 
Il Ministero russo ha proposto l’invio di questo avanzato sistema e la proposta è stata accettata dal presidente Putin.
Tale sistema misssilistico di lungo raggio è il più avanzato sistema in dotazione alla Russia e consente di centrare più bersagli in movimento alla velocità di 4.500 Mt. al secondo. Il sistema S-400 può tenere sotto tiro fino a 36 obiettivi aerei di qualsiasi tipo (aerei o misssili) e contrattaccarli lanciando fino a 72 missili.
 
Nel contempo sarà fortificata la presenza marittima con l’invio delll’incrociatore lanciamissili Moskwa, equipaggiato con sistemi lanciamissili tipo S-300. L’unità navale sarà schierata al largo della costa di Latiaka ed avrà la missione di abbattere qualsiasi obiettivo aereo che dovesse essere ritenuto un pericolo per le forze aeree russe.
 
“Avvisiamo che qualsiasi obiettivo che rappresenti un pericolo potenziale per le nostre forze verrà distrutto”, ha dichiarato il capo del Dipartimento dello Stato Maggiore russo, Serguéi Rudskói.
Inoltre è stato comunicato che, da questo momento, tutte le operazioni degli aerei da bombardamento russi saranno fatte con la scorta di caccia intercettori.
 
Nota: L’adozione di queste misure significa che in pratica sarà la Russia a decretare su tutto il territorio siriano la zona di interdizione al volo (“no fly zone”) che era nelle aspirazione della Turchia di Erdogan e nelle intenzioni degli Stati Uniti, per la protezione dei presunti “ribelli moderati” addestrati dalla CIA e riforniti dalla Turchia.  Dopo questo episodio la maschera  è defintivamente  caduta e si è visto che la Turchia, paese membro della NATO,  costituisce il retroterra ed il paese protettore dei gruppi terroristi che operano in Siria.
 
Fonti:  Veterans Today       RT Actualidad
 
Traduzione e nota: Luciano Lago

L’ORSO E I CACCIATORI DI FRODO

MONDOCANE

LUNEDÌ 30 NOVEMBRE 2015

“Lotta contro il terrorismo, lotta contro il cambiamento climatico” (Francois Hollande)
Detto da coloro che terrorismo e cambiamento climatico li fanno, è come Casanova che dice non desiderare la donna d’altri.
 
Dentro Matrix
Qualcuno di voi ha saputo, o ha visto, che sono stato brevemente ospitato dalla trasmissione di Canale 5 “Matrix”, la sera del 25 novembre. Quando anticipai la cosa, qualcuno mi aveva consigliato di non andarci, “ché tanto non ti lasciano dire”; altri avevano previsto che sarei finito come una mosca nella ragnatela. Non mi sembra sia andata così. Merito, forse, del fatto che il conduttore Luca Telese, memore di una certa ammirazione che ha detto di provare per me dai tempi del mio lavoro al TG3, a parte una perentoria interruzione quando si è finiti sulle Torri Gemelle, tabù cosmico, è stato compatibilmente corretto. Merito, soprattutto, dell’assoluta pochezza dei miei antagonisti, a partire da un troglodita leghista, da un  ammutolito perché totalmente ignaro Giovanni Toti e a finire con una poveretta del PD che rimediava all’abissale incompetenza  e alla bovina ottusità dando del bue all’asino. Ero io, figuratevi, che, denunciando le minchiate propagandistiche sul terrorismo islamico e sulle Torri Gemelle, mi ero configurato un mondo da Truman Show. Detto da famigli e sguatteri di Renzi, a loro volta tutti teleguidati dal grande regista dietro il finto cielo, in una finzione che fa perfino del mondo del geniale Jim Carrey una realtà più probabile, il paradosso risulta sublime.
Di fronte a questi interlocutori, corredati poi da una ghirlanda di musulmani tanto ”buoni” quanto passivi e ligi all’imperativo ossessivo di dissociarsi dal “cattivo” Islam, i limiti erano essenzialmente quelli dei tempi. Sui contenuti non c’era nessuno nell’altra metà del campo. Così, e non succede molte volte, su un canale main stream si è potuto sentire per qualche attimo la voce dell’altro. Ero sul posto quando i depositari del pensiero unico hanno polverizzato la tv di Belgrado, di Baghdad e di Tripoli. C’ero quando hanno eliminato dai satelliti quella di Tehran e di Damasco. Evidentemente uno dei grandi valori della civiltà che dobbiamo difendere è la dialettica, intesa come eliminazione di ogni opinione o fatto che contraddica la nostra vulgata, o vangelo. Se passano si urla al complottismo, o si precipita nello smarrimento. Lo s’è visto sui volti marmizzati dei miei interlocutori quando hanno sentito delle scelleratezze del loro Occidente nei paesi colonizzati e ora da ricolonizzare, o della matrice vera del terrorismo, o dell’esistenza, da noi cancellata a favore di Isis, di un mondo arabo, dall’Algeria all’Iraq, laico, progressista, socialmente equo, o di un Iran dove le donne portano tacchi a spillo e vanno a spasso mano in mano con gli uomini (che fossero il 64% dei laureati e occupassero le più qualificate posizioni in scienza, medicina, cultura, tecnologia, arte, interessava di meno).
Passiamo alla misura sconfinata di inciviltà offerta dal baccanale carnalascesco a cui si sono lasciati andare media e politicanti sull’immeritato palcoscenico offertogli da Parigi, tra mistificazioni grottesche, balle sesquipedali, ipocrisie cosmiche, melensaggini, ritualità pompose, perfide insinuazioni, strumentali sdottoroggiamenti, abissali ingenuità, banalità piatte come un lago fossile. Fatta la tara a certe stronzate autoincenerantisi, come i deliri di psicologi, filosofi e psicanalisti che frugano nel subconscio degli attentatori e ne tirano fuori conigli che rispondono alla realtà come Marianna Madia al suo ministero, o Scilipoti all’integrità morale, o Renzi alla sincerità, rimangono due argomenti fusi nella solita, rivelatrice unanimità. E, come sapete, sull’unanimità di destri e sinistri, saltimbanchi e professoroni, fiorisce rigoglioso il pensiero unico. Quello della tecnodittatura prossima ventura. Anzi, ormai in dirittura d’arrivo. Il papa buono, arrivato dritto dalla  convivenza con la dittatura argentina, che licenzia sindaci un po’ troppo laici e onesti, che nomina manigoldi e squinzie al controllo dei propri denari e che fa processare giornalisti per aver fatto il loro mestiere, ne è lo sponsor neanche tanto spirituale. Se tutti si torna alla monarchia asssoluta – il feudalesimo c’è già, stavolta finanziario, e i lavoratori si stanno abituando a fare gli schiavi – si avrà poco da ridire sull’anomalia totalitaria della Chiesa.
 
Li abbiamo fatti arrabbiare noi. No, sono nati cattivi.
Due sono, dunque, le interpretazioni del terrorismo, apparentemente contradditorie, che dominano il dibattito dei sapienti. Per la prima, quella buonista, è l’Occidente con le sue guerre ad aver provocato risentimento, collera, vendetta  e dunque terrorismo. Per la seconda, la hard, è dall’odio del fanatismo fondamentalista per i valori dell’Occidente, il suo stile di vita, le sue libertà, che sono scaturiti gli attentatori. Facile a dirsi, difficile da dimostrare. Per secoli, gli europei, poi presi per mano dagli Usa, hanno imperversato, uccidendo e saccheggiando, sui popoli del Sud del mondo sotto il vessillo di una religione che, quanto a fondamentalismo, non ha nulla da invidiare ai dementi dell’Isis.Tanto poco la loro azione corrispondeva ai dettami del Vangelo, quanto poco le imprese dei jihadisti a quelli del Corano. Dei libri sacri ce n’è solo uno che dall’a alla zeta incita allo sterminio degli altri, il Talmud.
Ma s’è mai visto un terrorista iracheno fare macelli a Londra o New York in rappresaglia per Churchill che sperimentò i gas su Baghdad, o per Clinton e Bush che hanno ridotto la popolazione irachena del 20%? Gli algerini si sono vendicati del campionario di torture sperimentato nella prigione dell’orrore di Barberousse (dove hanno imparato Cia e Mossad), facendo esplodere la Madeleine? Da Egitto, Sudan, Kenya, India, è mai arrivato a Londra uno per abbattere il Big Ben? Quelle genti martirizzate dal buana bianco, a volte per secoli, sono venute a farsi poi da lui rinchiudere nelle banlieu e negli slums e a offrirgli sottomissione, esclusione, lavoro sottopagato. E quanto a noialtri, “brava gente”, quale dei sopravvissuti dei 600mila libici trucidati dal maresciallo Graziani (un terzo della popolazione d’allora), o delle decine di migliaia di disintegrati dai Tornado del “riluttante” Berlusconi, ha cercato di far crollare il Colosseo?
Dunque, la versione del terrorismo di rappresaglia parrebbe una cazzata. Rimane quella del fanaticone che ci odia perché infedeli e che è talmente integralista e idealista da immolarsi per la causa, rinunciando alla vita e a suoi piaceri e gioie. Lasciamo da parte i poveretti tirati dentro sebbene non c’entrassero nulla, tipo i quattro giovani sposi o padri e onesti lavoratori musulmani, con cui i servizi hanno mascherato l’attentato al metrò e al bus di Londra. O come i fratelli ceceni della bomba alla maratona di Boston, sovrapposti a due agenti provocatori rivelati da foto e filmati. O la donna kamikaze del macello nell’albergo di Amman, totalmente inventata a copertura di ordigni collocati nel controsoffitto e che incenerirono un incontro tra esponenti palestinesi e funzionari cinesi (anche quella volta gli israeliani presenti avevano ricevuto preavviso ed erano stati evacuati). No, qui parliamo di quelli veri, quelli del Bataclan e di Saint Denis, quelli che le cose le hanno fatte davvero. Fanatici integralisti, per l’appunto, che non ci pensano due volte a farsi esplodere o fucilare per Allah. Quelli che hanno in disprezzo e disgusto le “nostre abitudini di vita”, la nostra corruzione, i nostri vizi immondi.
 
Debosciati ma martiri
E, toh, sono tutti malfattori, ladruncoli, spacciatori, tentati omicidi, con fedine penali e carcerazioni lunghe lunghe. L’ideale per essere ricattati a fare qualche nefandezza, con la promessa di uscirne sano e salvo e al riparo da conseguenze. Quanto all’idealismo del martire  e ai vizi occidentali, beh, del primo ci hanno detto i giornali, ma dei secondi erano praticissimi tutti quanti. Se ne fosse trovato uno, morto o vivo (perlopiù li fanno tacere per sempre), che non fosse stato accanito bevitore, appassionato frequentatore di mignotte e bordelli, giocatore d’azzardo, drogato e spacciatore, che mai avesse aperto il corano, che mai (la famosa “kamikaze” fotografata nuda nel bagno e fucilata a Saint Denis mentre chiedeva aiuto) avesse portato il velo! Esempi di virtù islamiche proprio come i presunti attentatori delle Torri Gemelle, martiri autoimmolatisi ma, un giorno prima, sbevazzoni di superalcolici, infoiati frequentatori di locali notturni e sexy show. C’è qualche incongruenza, no? Ma chissenefrega, conta rinfocolare lo scontro di civiltà, alimentare il business delle armi e delle ricostruzioni e avere pretesti per un ulteriore giro di vite a costituzioni, leggi e diritti.
Per chi dubitasse delle intenzioni di Hollande, dovrebbero bastare gli ambientalisti costretti preventivamente agli arresti in casa e alla firma per tutta la durata del vertice del clima (modello Mussolini) e i 300 (trecento) fermati per aver manifestato nonostante lo stato d’emergenza. Aveva messo, Hollande, 10.000 poliziotti in più tra i piedi ai parigini, dopo l’incredibile defaillance di Charlie Hebdo. Onnipresenti, non hanno saputo prevedere e impedire uno solo degli eccidi del 13 novembre. In compenso hanno massacrato di botte, gas e urticanti coloro che volevano avvicinarsi ai responsabili del planeticidio. Ne, è questo è davvero da incidere nella storia delle False Flag, s’è vista una sola immagine di quelle che avrebbero dovuto registrare le decine di telecamere del Bataclan e le centinaia di cellulari degli spettatori! Chi le ha confiscate? Perché?  Di tutta la strage esiste solo una foto, dall’alto, di corpi senza macchie di sangue addosso. Quisquiglie. Intano abbiamo sistemato le plebi e, con un paio di attentati in Mali, abbiamo fatto capire a tutti che è la Francia di cui ha bisogno quel paese e tutto il Sahel. Perfino la Merkel l’ha capito e ha mandato 650 dei suoi raddrizza-indigeni della Bundeswehr a rafforzare il concetto. Che lì, con i Tuareg dell’Azawar, si tratta di guerra di liberazione da un colonialismo mascherato da antiterrorismo (esattamente come quella degli Shabaab in Somalia), è idea persa nel frastuono degli spari all’hotel Radisson di Bamako.
 Follow the money
come dicono gli anglosassoni. Il bello, tanto stupefacente da essere invisibile ai nostri portatori di civiltà, è che uno Stato Islamico, oltre a quello di cui si fregia un’armata di lanzichenecchi, lobotomizzati in basso ed eterodiretti in alto, esiste già. E’ uno dei nostri più cari alleati e partner d’affari. Altro che bombardarlo ed eliminarlo dalla faccia dellaTerra. Si chiama Arabia Saudita ed è il modello preciso a cui si ispira il califfo. Appartiene tutto a una famiglia, i Saud, cui lo hanno regalato i britannici, ed è il sole di una costellazione che ne annovera altri: Kuweit, Qatar, Bahrein, Emirati Arabi Uniti. Fa tutto quello che fanno quelli del Daish: sotterra le donne in casa, ma va a puttane, amputa i miscredenti, decapita dissidenti, frusta e crocifigge oppositori, taglia gole e teste ai ladri, ma traffica in stupefacenti. Dal suo alto pulpito, dà del dittatore sanguinario ad Assad e Gheddafi, campa in un lusso che svergogna i wolves di Wall Street, su un esercito di schiavi importati, possiede ogni cosa nel regno, dal petrolio ai magistrati, dal primo all’ultimo mattone, dalla prima all’ultima palma. Non possiede né partiti, né parlamento, ma trova sacrilegi i partiti e parlamenti in Siria e Iraq. Insomma un amico ideale, un modello per quello che si propongono e stanno costruendo i governi del mondo globalizzato, con la Turchia di Erdogan che già si è portata avanti col lavoro.
 A Ryad o Mosul?
L’Isis non ne è che la propaggine avanzata che, a questo scopo finanziata, armata e addestrata dai più esperti alleati Nato, deve obliterare quanto di laico, democratico, pluralistico, autodeterminato, ancora inquina le società della regione, fornendo al contempo alle potenze globalizzanti il pretesto, sia per reimpadronirsi di quanto alle élites colonialiste i popoli in lotta avevano sottratto, sia per ridurre alla ragione totalitaria le proprie genti renitenti alla riedizione potenziata del nazifascismo. L’ha confermata l’ispettore Clouseau col pennacchio, mettendo in quarantena poliziesca gli ambientalisti. La prova verrà buona quando, contro il rifiuto popolare, si dovrà imporre a ferro e fuoco il TTIP, trattato capestro dei globalizzatori. E’ dunque facilmente comprensibile perché i colonialisti e autocrati di ritorno facciano finta di combattere i terroristi in genere e l’Isis in particolare e perché, anzi, del loro imperversare abbiano un bisogno vitale. Il petrolio del Golfo resta per l’Occidente il cordone ombelicale, l’industria militare dei principali paesi europei e degli Usa vi  trova un mercato gigantesco, indispensabile al suo potere assoluto fondato sull’economia. I fondi sovrani di quelle famigliole regnanti hanno investito somme tali nelle nostre economie, per quanto riguarda l’Italia perfino nella cassaforte nazionale CDP e nelle imprese che controlla, oltre a comprarsi mezze città, da poterci ricattare giorno e notte con la minaccia del ritiro e della bancarotta.
 
 Il sicario che dà di matto e il mandante riluttante
Il che ci porta alla Turchia del terminator pazzo. Pazzo fino a un certo punto, se è vero che ha abbattuto il Su-24 russo, palesemente su territorio siriano, non solo per provocare una conflagrazione che coinvolga tutti e ponga fine al protagonismo di Mosca per una sgradita sistemazione del Medioriente (da cui la successione di provocazioni: Boeing russo sul Sinai, storia del doping, eccidi di Beirut, supercasino di Parigi, abbattimento del Sukhoi). Qui era in gioco anche il destino e il patrimonio di una cricca famigliare cui non basta aver carcerato giornalisti, giudici, poliziotti indocili e massacrato manifestanti. Una stirpe di gangster megalomani  che trattano i propri cittadini come l’Isis tratta i disperati che finiscono tra le sue grinfie. Non per nulla la Merkel e l’UE gli hanno regalato 3 miliardi di euro per tenere a bada i profughi e, soprattutto, consolidare il proprio patrimonio, e gli hanno riaperto le porte dell’Europa. Uno così è un vero battistrada. A lui, sì, che è consentito violare spazi aerei a volontà in Siria e Iraq, come è consentito a israeliani, francesi, Usa, britannici. L’Onu sta lì apposta.
 
Mi arriva, mentre scrivo, la notizia che questo Darth Vader levantino ha appena fatto assassinare a Dyarbakir Tahir Elci, capo degli avvocati che difendono i curdi. Tranquilli, gli passeranno anche questa. Cos’è che ha detto Obama, proprio ora, nell’intervista a “Time”? “Erdogan è lo statista con il quale ho il rapporto più stretto e amichevole.”. Ha poi inserito tra i preferiti anche Angela Merkel, Singh dell’India, Myung-bak della Corea del Sud e, ovviamente, il fratellino scemo Cameron. La crème de la crème.
Si tratta di ricostituire l’impero ottomano, farla finita con le ubbie laiche e illuministe di Ataturk, congiungersi in teocrazia totalitaria con i Fratelli Musulmani del Golfo, wahabiti o altro, e procedere di buon accordo anche con le esigenze spartitorie di Israele.  Lo strumento denaro, e l’Isis che lo assicura, sono qui imprescindibili. Non per nulla Hakan Fidan, capo dei servizi segreti turchi, MIT, l’ha detto chiaro e tondo all’agenzia di notizie governativa “Anadolu” il 22 novembre: “L’Isis è una realtà e dobbiamo accettare che non possiamo sradicare una struttura ben radicata e popolare come lo Stato Islamico. Percià sollecito i miei colleghi occidentali a rivedere la loro opinione sulle correnti politiche islamiche, abbandonare la propria cinica mentalità e neutralizzare i piani di Putin tesi a schiacciare i rivoluzionari islamisti in Siria”.
 Bilal Erdogan
 
Follow the money 2
Scampato a processi e prigioni grazie alla rimozione e all’arresto di coloro che lo aveno denunciato e incriminato per una serie interminabili di scandali di corruzione (tra l’altro appropriazione di fondi della previdenza sociale), Bilal Erdogan, delfino dal sultano, è il terminale del traffico di petrolio siriano e iracheno che riempie di milioni le casse del califfo (1 miliardo all’anno secondo il sottosegretario Usa per l’intelligence finanziaria, David Cohen).Traffico di cui Bilal cura l’intera filiera, dall’estrazione e dal trasporto sotto controllo Isis, allo smercio ai vari acquirenti europei e non, a metà del prezzo ufficiale di 45 dollari per il Brent. Nei governi occidentali non c’è chi non sia perfettamente al corrente di tale traffico. Dopo aver studiato ed essere stato ammaestrato negli Usa, dopo aver lavorato alla Banca Mondiale (FMI e BM sono passaggi obbligati per i criminali della grande finanza e politica), in Turchia ha creato il gruppo BMZ Denizclik che si occupa di trasporti marittimi e ha firmato contratti con varie società europee e giapponesi per il trasporto del greggio contrabbandato dall’Isis. Una mano ai soci dell’Isis la dà anche l’altra figlia di Erdogan, Sumeyye, dirigendo un ospedale clandestino sul confine con la Siria, attraverso il quale camion militari turchi le portano giornalmente jihadisti feriti da rimettere in sesto e rispedire in battaglia. Stessa cosa che è ormai noto fare Israele con le sue cliniche di jihadisti sul Golan occupato.
Colonna di cisterne Isis colpita dai russi
Vogliamo scoprire un altro motivo – accanto a quello strategico di sabotare l’egemonia russa sulle prospettive di soluzione dei conflitti in Medioriente – per l’inaudita provocazione dell’abbattimento del jet russo su territorio siriano? Il trasporto del petrolio rubato dall’Isis era stato gravemente compromesso dai bombardamenti russi su colonne di cisterne, depositi e impianti delle raffinerie (che ora le veline occidentali cercano di occultare attribuendo a Mosca, che documenta con foto satellitari le migliaia di obiettivi dell’Isis colpiti, incursioni solo contro la fantasmatica opposizione “moderata” ad Assad). Centinaia di autocisterne in fila, all’aperto totale del deserto, che nessuna incursione della coalizione occidentale aveva mai infastidito. Peggio, quell’ oleodotto su gomma transitava per i territori siriani al confine con la Turchia, tra due zone occupate dai curdi, sui quali il despota di Ankara insisteva a voler imporre la famosa “zona cuscinetto” o “No fly zone”. Non solo per mettere piedi in Siria e costituire un sicuro santuario per i mercenari Nato-Golfo-Israele dell’Isis, piattaforma di lancio per la frammentazione della Siria programmata da decenni (parte agli ottomani, parte a un protettorato occidentale, una striscia sul Mediterraneo agli alawiti e quanto bastava, malvolentieri, ma in ossequio a Israele e agli atlantici, ai curdi). Ma, nell’immediato, per garantire sotto controllo turco, di Bilal, un flusso indisturbato di petrolio che tanto stava contribuendo alla potenza finanziaria del clan.
L’itinerario delle autocisterne e, in direzione opposta, quello dei camion militari turchi che, passando per la stessa fascia di territorio, riforniscono di miliziani, armamenti e vettovaglie i fratelli in Islam dell’Isis. Can Dundar, direttore del primo quotidiano turco, Cumhuriyet, è stato sbattuto in carcere l’altro giorno, insieme al suo caporedattore, per aver scritto e pubblicato foto delle colonne di mezzi turchi che attraversavano il confine in direzione Raqqa. Serena Shim, statunitense di origine libanese, giovane ma prestigiosa inviata di guerra di PRESSTV, aveva documentato lo stesso traffico con articoli, video, foto e testimonianze. Il giorno dopo essere stata attaccata dal ministro degli interni e aver denunciato di aver ricevuto minacce di morte, è stata uccisa. Solito “incidente automobilistico”, proprio sul confine, con un mezzo pesante che le è piombato addosso su una strada deserta.
Ed è appunto questa striscia di terra larga 90 km, presidiata da milizie turcomanne legate a Isis e Ankara, futura zona cuscinetto, che il SU-24 e altri jet russi tempestano di bombe, permettendo l’avanzata delle forze regolari e popolari (che si verificano su tutti i fronti: Latakia, Oms, Hama, Aleppo). Colpo mortale al progetto di Erdogan.Tale da giustificare anche una mossa estrema come  un missile sul cacciabombardiere russo.
I nostri alleati, partner e amici storici, Saudia, Qatar, Bahrein. Kuweit, EAU, Turchia, Israele, stanno lì, esposti nella loro complicità con il più terrificante terrorismo apparso sulla faccia della Terra, dopo i nefasti del colonialismo europeo d’antan, più nudi di quanto non fosse il re scoperto senza abiti dal ragazzino di Andersen. Si vuole evitare che saltino per aria e vengano mitragliati cittadini del civile Occidente (finchè sterminavano musulmani si lasciava fare, anzi)? Basta tagliare i rifornimenti: sanzioni e rottura dei rapporti diplomatici per i regimi citati, se non interrompessero immediatamente il loro sostegno al califfo. Per molto meno embarghi devastanti sono stati inflitti a Serbia, Iran, Russia, Venezuela, Cuba, Myanmar, Rhodesia, Sudafrica, Libia, Siria, Iraq… Non vendiamo più armi e non compriamo più petrolio da questi mostriciattoli in jallabiah. Vediamo che succede.
Si può fare? Come no. Si farà? Per niente. La Turchia è bastione Nato, gli altri sono pedibne. La Saudia è costellata di basi Usa, il Bahrein ospita la Quinta Flottai. E Nato significa complesso militar-industriale e perciò guerra infinita. Se l’Isis deve essere buttata alle ortiche perché troppo screditata, si troverà un altro mercenariato, o si deciderà un intervento di terra, che la faccia finita con Bashar el Assad. E quindi con la Siria unita, libera e sovrana. L’obiettivo imprescindibile era quello, fin da decenni prima del 2011. Addirittura fin da prima che Oded Yinon, consigliere del premier israeliano Begin, non formulasse il famigerato piano che prevedeva la frantumazione degli Stati nazionali laici arabi lungo linee etnico-confessionali (l’altro giorno, da Mentana, il principe della superficialità conformista e antistorica, lo “storico” Paolo Mieli, e “l’eroe del Libano”, generale Angioni,.pontificavano proprio sulla necessità di ridurre in pezzi etnico-confessionali queste nazioni, a partire dalla Siria. Reattive voci del padrone..
 
Sykes-Picot buono o cattivo?
Tutti a deprecare i confini disegnati da Sykes-Picot nel 1916. Avrebbero voluto, al posto delle nazioni multietniche e multiconfessionali prodotte dalla modernità, tanti statarelli identitari, tipo Balcani dopo la Jugoslavia. Invece quelle divisioni dell’impero ottomano volevano, sì, imporre sfere di influenza britannica e francese, ma corrispondevano in buona misura a un retaggio secolare, se non millenario, di continuità e contiguità storica, convivenza, omogeneità culturale, funzionalità geografica. Assurdo, semmai, è stato staccare il Libano dalla Siria e il Kuweit dall’Iraq, o dare a una famiglia di nomadi un gigantesco pezzo di terra disabitato, ma petrolifero. Quel che più conta è che nell’arco di quei decenni e poi, soprattutto, nel fuoco delle lotte di liberazione nazionale, intorno alla metà del secolo scorso, quei popoli si sono saldati in nazione, con coscienza di un comune passato, anche di sofferenza, e di un comune destino e in essi si sono riconosciuti. Quanti, appena due secoli fa, a parte Dante o Schiller, avrebbero giudicato razionale e giusta l’unità d’Italia o della Germania? Al posto dei linguisticamente e culturalmente omogenei Toscana, o Veneto, o Baviera, o Prussia?
Bene, i russi hanno mandato all’aria l’intero assetto.e, auspicabilmente, anche l’intero progetto. L’Uccidente destro-sinistro, con Parigi, Mali, Istambul, Beirut, aerei abbattuti, virulente campagne diffamatorie, black-out di 2 milioni di persone in Crimea per mano di terroristi tartari al soldo della giunta di Kiev, ha voluto aprire le porte dell’inferno e rischiare una deflagrazione planetaria. La perizia diplomatica e forza militare di Putin li ha per ora ingabbiati nella proposta di un’alleanza di tutti contro il nemico che gli occidentali, fingendo, dicono comune. Una proposta che, per esempio, Hollande a Mosca, non poteva rifiutare, se voleva tenere dritta la barra della sua conclamata campagna anti-terrorismo. L’impasse degli occidentali continua. L’iniziativa resta in mano ai russi. Che purtroppo una cosa non possono fare: proteggerci dalla fascistizzazione galoppante che, col pretesto dei loro attentati, i regimi delle guerre esterne e interne hanno innescato
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Rotture
Mi resta da passare in rapida rassegna una serie di rotture di coglioni che ci vengono inflitte da settimane e, seppure seccature minori rispetto a quanto combina la grande criminalità globalizzata, sono come i costanti sibili di zanzare che non riesci a spiaccicare. Particolarmente snervante, perché dotata di un tasso di ipocrisia, razzismo e presunzione che tutti accomuna, da destra a “sinistra”, è l’ossessiva richiesta a tutti i musulmani, che capitino sotto tiro o sotto telecamera, di dissociarsi dai terroristi.  Ammettendo per assurdo che gli attentati in Occidente siano davvero opera autonoma di jihadisti, con nessun servizio segreto nostrano dietro, e conoscendo invece con certezza il carattere criminale storico e attuale della classe dirigente cristiana, chiediamo allora agli americani di dissociarsi dal Ku Klux Klan, agli irlandesi dall’Ira, agli italiani da mafia, ‘ndrangheta, camorra, Vaticano, massoneria, Cristoforo Colombo e servizi segreti stragisti, agli svizzeri dall’UBS! Tanto per cominciare. Al povero Mohammed Salah, malauguratamente trasferito dalla mia felice Fiorentina all’infelice Roma, hanno triturato le orecchie perché bacia il manto erboso in direzione Mecca e non urla a ogni gol “il Califfo mi fa schifo”.
Grande spaccatura di minchia sono i curdi, davanti ai quali si prostrano in adorazione i soliti unanimi. Ne esento quelli del PKK che, ancorché capeggiati da uno che ormai, pur di uscire dal carcere, è pronto a concedere tutto, cercano di tenere testa al sadico Fratello musulmano-ottomano. Non sono rompiballe neanche quei curdi che, in Iraq, saccheggiati e oppressi come non erano mai stati sotto Saddam, da mesi si rivoltano contro il clan di narcotrafficanti, ladroni e contrabbandieri che, con Massud Barzani, regna a Irbil oltre ogni legittimazione democratica e ai quali il despota, fiduciario di USraele, risponde con le fucilate. Scassano la minchia, invece, i peshmerga curdi e i loro corifei che celebrano vittorie contro l’Isis mentre sono impegnati a fare pulizia etnica di popolazioni arabe  a cui stanno sottraendo terre ancestrali, come Niniveh, Kirkuk e Syniar. Stesso discorso per gli idolatrati eroi e martiri di Kobane che, zitti zitti, armati dagli Usa e assistiti da strane formazioni siriane anti-Assad, si stanno espandendo ben al di là del territorio storico loro. A Erdogan non piace, ma a USraele sì, dato che corrisponde al piano di frantumazione di Siria e Iraq. Significativo che tutto questo accada quando le forze patriottiche irachene e siriane, con l’aiuto di Mosca, stanno riprendendo all’Isis larghe aree e prospettano agli aggressori il ricupero dell’unità nazionale
Scassina le gonadi “il manifesto”  con il suo parossistico cerchiobottismo nelle questioni internazionali. Dell’imperialismo si avallano le motivazioni strategiche (lotta al terrorismo islamista, o ai “dittatori sanguinari”), ma se ne mettono in discussione le operazioni tattiche (le bombe). Emblematico Tommaso Di Francesco. Impreca contro la colonizzazione della Palestina e straparla di orrendi crimini a proposito dei ragazzini, o delle ragazzine, che accoltellano i loro seviziatori. Civili o militari che siano, gli israeliani non dovrebbero star lì. E tanto meno comportarsi così.
Ricorrente rottura di palle l’avvenente Shalabayeva, signora kazaka, prima espulsa con la figliola e poi rientrata in Italia, che si tira fuori ogni volta che c’è da dare una botta ai russi e ai loro alleati ex-sovietici. Le è andata di lusso rispetto ai mille e mille poveracci del Senegal, o dell’Afghanistan, finiti nel CIE a marcire, o rispediti in bocca agli sbirri di casa. Ma questi non hanno un marito “oppositore di un ras, dissidente e perseguitato”. Non entro in merito a come sono andate le cose, ma ciò che si omette scrupolosamente è che la signora era la moglie consapevole e complice di un malfattore a elevato tasso di criminalità. Tale Mukhtar Ablyazov, banchiere bancarottiere che, nel suo e in altri paesi, aveva imboscato qualcosa come 7 miliardi di euro. Era ricercato dall’Interpol, con mandato di cattura internazionale, non solo del Kazakistan e dell’Ucraina, ma addirittura di Londra. Comodo fare il ”dissidente” in queste condizioni. Del resto tipi simili in Occidente sono accolti a braccia aperte, fin dai tempi dei “gusanos” cubani. Ebbene, la coppia  Ablyazov-Shalabayeva per sfuggire all’arresto era scappata in Italia, dove la signora aveva nascosto il marito. Fermata, aveva esibito un passaporto della Repubblica Centroafricana. Documento di alto prestigio diplomatico, di quelli che si comprano solitamente quando ci si deve sottrarre a qualcosa. Passaporto perlopiù falso. Sbaglierò, ma la sua espulsione che inondò di lacrime l’Italia e ora serve per gli scazzi intestini del regime, non mi pare la cosa peggiore fatta da Alfano.
 Sabra e Shatila, dopo il massacro di Sharon
Resta la più formidabile di tutte le rotture di coglioni. Quella di quando ci raccontano che veniamo assaliti dai terroristi in odio “ai nostri valori, al nostro stile di vita, alle nostre abitudini”. Quanto a stile di vita e abitudini, di solito si menzionano ristoranti, cinema, supermercati,  bistrò e discoteche. E c’è un italiano su quattro che queste abitudini le ha perse, divorate da quella che chiamano “crisi”, o non le ha mai avute. Altri, perché sul loro cinema è spuntato un centro commerciale. E c’è uno statunitense su sei che non conosce neanche l’abitudine dell’ospedale quando sta male, figurati quella del cinema. Questi, quando gli parli di stile di vita, si rovistano nelle tasche per arrivare al secondo pasto della giornata. Ma ciò che manda l’intero esercizio in tilt è l’attacco ai “valori” che dobbiamo difendere. Quali? Quelli che abbiamo illuminato bruciando Gerusalemme ieri e la Palestina oggi? Quelli che ci hanno fatto grossi e forti succhiando terre, risorse e vite a centinaia di milioni di nativi?  Quelli per i quali abbiamo trasformato un mondo arabo prospero e illuminato in qualcosa di peggio del giudizio universale di Hieronymus Bosch? O, guardando in casa nostra, quelli per cui genitori mezzani prostituiscono i loro figli alle imprese che ne fanno mercenari decerebrati negli spot tv?  O che fanno sopravvivere un “quotidiano comunista”, privato di senso e lettori, grazie alla pubblicità di banche e multinazionali del crimine e dell’inquinamento e a inserti redazionali (non segnalati come pubblicità) dell’Eni, in cui si descrive l’esultanza di scolaresche in visita alle trivelle che butterano la Basilicata? O quelli che abbiamo difeso e promosso facendoci istruire e comandare da un Berlusconi, o da un Matteo Renzi???
Pubblicato da alle ore 22:29

Dalla Valsusa al Kurdistan, da San Didero a Kobane

12304373_10207342896277893_5305621220504100422_oLibertà, giustizia, dignità e democrazia. Rispetto del principio di uguaglianza e di equilibrio ecologico, pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, autodeterminazione dei popoli. Questi i principi del confederalismo democratico in Rojava, ed è su queste basi che il Comune di San Didero ha sentito la necessità di stringere un patto d’ amicizia e collaborazione con Suruc e Kobane.

Sabato 28 novembre, al polivalente di San Didero, è stato ufficializzato infatti il patto d’amicizia tra il comune valsusino e le due municipalità situate al confine tra Turchia e Siria. Loredana Bellone, Sindaco del comune, ha presenziato all’iniziativa insieme agli assessori Tommassone e Martelli, e ha voluto dar vita a questo gemellaggio così importante per la nostra valle.

Il Sindaco e tutta la giunta comunale, si impegnano a:

– Esprimere solidarietà alle municipalità di Kobane e a tutti i cantoni del Rojava e sviluppare iniziative di sostegno volte alla salvaguardia di tale esperienza democratica nel territorio, unica nel suo genere in Medio Oriente.

– Chiedere al Governo Italiano di supportare la richiesta di apertura di un corridoio umanitario per inviare al Rojava gli aiuti già annunciati, affinchè l’Italia svolga davvero un ruolo decisivo per fermare l’ISIS.

– Chiedere al Governo Italiano di riconoscere l’autonomia democreatica Curda e di impegnarsi a promuovere in tutte le sedi istituzionali opportune, anche Europee, l’autodeterminazione del Popolo Curdo.

– Avviare relazioni ufficiali con le Municipalità Curde della regione denominata “Autonomia Democretica Rojava”, al fine di costruire un “Patto di Amicizia” (Gemellaggio).

– Sostenere iniziative di diffusione informativa all’interno delle scuole, per avviare scambi culturali con le istituzioni scolastiche Curde.

Dal cuore della valle che resiste deve essere forte il messaggio di solidarietà e quindi anche come movimento NOTAV, non possiamo che sostenere e unirci in questo abbraccio con il Popolo Curdo. Sappiamo che non può esserci pace reale senza giustizia sociale. Rivendichiamo quindi il diritto dei popoli all’autodifesa e all’autodeterminazione e per questo condanniamo la guerra e appoggiamo la lotta di questo Popolo, per noi compagno e fratello. Non lo stato islamico e neppure uno stato di emergenza. Confederalismo Democratico e Resistenza!

Qui le foto della serata di Diego Fulcheri

La Russia mette fuorilegge le fondazioni del massone Soros e ne congela i conti

 Riscatto Nazionale

RISCATTO NAZIONALE

Riprendiamoci la nostra patria

L’Ufficio del Procuratore Generale russo ha riconosciuto il famigerato Open Society Institute di George Soros e un’altra organizzazione affiliata come gruppi indesiderabili, vietando a cittadini e organizzazioni russe di partecipare a qualsiasi loro attività.

Hanno aggiunto che il Ministero della Giustizia sarà debitamente informato di queste conclusioni e potrà così aggiungere i due gruppi alla lista delle organizzazioni straniere indesiderate.

I pubblici ministeri hanno lanciato l’inchiesta sulle attività delle due organizzazioni del noto speculatore senza patria George Soros, nel luglio di quest’anno, dopo che i senatori russi avevano incluse le organizzazioni di Soros nei 12 gruppi che richiedevano un intervento immediato per le loro attività anti-russe. 

Altri gruppi nella lista sono il National Endowment for Democracy; l’International Republican Institute; il National Democratic Institute; la Fondazione MacArthur e Freedom House.

Alla fine di luglio, il Ministero della Giustizia russo ha riconosciuto il National Endowment for Democracy come un gruppo indesiderabile dopo che i magistrati avevano scoperto la ONG degli Stati Uniti stava spendendo milioni in tentativi di mettere in discussione la legittimità delle elezioni russe. La legge sulle organizzazioni ‘indesiderate’ straniere è entrata in vigore all’inizio di giugno di quest’anno. Richiede che l’Ufficio del Procuratore generale e il ministero degli Esteri redigano un elenco ufficiale delle organizzazioni straniere indesiderate. Una volta che un gruppo è riconosciuto come indesiderabile, il suo patrimonio in Russia deve essere congelato, i suoi uffici chiusi e la distribuzione della propaganda proibita. La Fondazione Soros ha iniziato a lavorare in Russia a metà degli anni 1990 fronte:

VoxNews

– See more at: http://www.riscattonazionale.it/2015/11/30/la-russia-mette-fuorilegge-le-fondazioni-del-massone-soros-ne-congela-conti/#sthash.br99fTnl.vzu52bCr.dpuf

Ven 4/12 passeggiata notturna al cantiere!

post — 1 dicembre 2015 at 00:32

PASSEGGIATA MODIFVenerdì 4 dicembre, all’interno della 5 giorni di mobilitazione per celebrare i 10 anni dalla conquista di Venaus, vi invitiamo a partecipare numerosi alla passeggiata notturna che partirà alle 21 da Giaglione.

L’invito è quello di arrivare preparati con scarponi, pile, acqua e tutto il necessario.

Avanti No Tav!

ECOLOGIE & CINEMA/ COP21. LE FILM QUI ANNONCE LA CATASTROPHE ECOLOGIQUE MONDIALE : ‘SOUS LE DÔME’, SUR LA POLLUTION QUI SECOUE LA CHINE

Voici le film chinois dont Luc MICHEL (*) parlait dans la partie du DEBAT PANAFRICAIN sur AFRIQUE MEDIA TV, consacrée au Sommet de Paris COP 21 …

 PCN-TV / 2015 11 30/

Avec Chai Jing’s review – Libération – PCN-SPO/

 PCN-TV - Sous le dôme, la pollution qui  secoue la Chine  (2015 11 30) FR

REVUE DE PRESSE/

Libération (Paris) consacrait le 23 mars dernier un long article au film écologiste qui secoue la Chine …

« Sous le dôme, plutôt que donner des réponses, pose surtout des questions, destinées à nourrir un débat trop souvent inexistant étant donné de l’absence de droits politiques. «Les lois de protection de l’environnement existent, faisons les appliquer», tel est le message de Chai Jing, qui lance un appel au réveil civique. Ce week-end, quelque chose a changé en Chine. »

LE FILM complet sur PCN-TV /

(en Chinois mais il se laisse voir sans besoin de traduction tant les images sont spectaculaires)

CHAI JING’S REVIEW – UNDER THE DOME. INVESTIGATING CHINA SMOG : https://vimeo.com/122941805

# EXTRAITS DE L’ARTICLE DE LIBE :

« C’est un événement sans précédent qui s’est produit le week-end dernier (Ndlr: celui du 11 mars 2015) en Chine. Un documentaire sur la pollution atmosphérique, présenté par la célèbre journaliste Chai Jing, s’est propagé sur les réseaux sociaux chinois, et tout le monde en parle depuis, de l’infirmière au chauffeur de taxi en passant par les voisins dans l’ascenseur. Un film qui s’intéresse aux effets du smog sur la santé et dénonce l’impuissance du ministère de l’Environnement, mais incite également le spectateur-citoyen à agir. Le premier jour, le film a été visionné 155 millions de fois, selon le South China Morning Post.

Chai Jing, 39 ans, a longtemps travaillé pour CCTV, la télévision nationale. En 2013, elle a donné le jour aux Etats-Unis à une petite fille atteinte d’une tumeur qu’il a fallu opérer dès la naissance. A l’époque, ce choix d’accoucher à l’étranger avait d’ailleurs déclenché une vague de critiques, certains accusant la jeune maman d’être une mauvaise patriote.

Le film de plus de deux heures s’appelle Sous le dôme. Un dôme qui renferme des gaz toxiques et recouvre toute le Nord de la Chine. En fait, il s’agit d’une mise en abyme, puisqu’il présente Chai Jing sur scène, montrant son film à un parterre de spectateurs, souvent jeunes.

La journaliste prend pour point de départ la tumeur de sa fille, et s’interroge sur les effets de la pollution atmosphérique sur la santé. Patiemment, avec humour et tact, Chai Jing entreprend de répondre à trois questions. Qu’est-ce que le smog? D’où vient-il? Et que devons-nous faire? Elle s’appuie sur des graphiques, des témoignages, des interviews, des images, même un dessin animé. »

« Si le problème fondamental n’est pas nouveau, Chai Jing met en lumière comme jamais auparavant les responsabilités de chacun. A commencer par les entreprises d’État des secteurs du charbon et du pétrole. Elle montre notamment comment l’Etat se plie devant celles-ci quand il s’agit de fixer des normes de raffinage. La journaliste souligne aussi l’impuissance du ministère de l’Environnement, avec un fonctionnaire qui avoue devant la caméra: «Je n’ose pas ouvrir la bouche, parce qu’on verrait que je n’ai pas de dents!»

Chai Jing s’attaque aux aciéries, qui engloutissent des subsides de l’Etat sans générer de profit, essentiellement pour maintenir des emplois. Mais elle pose également des questions au spectateur qui prend sa voiture pour quelques centaines de mètres et se gare sur la piste cyclable, scène des plus banales aujourd’hui. Finalement, elle l’incite à assumer son rôle de citoyen et à agir. Cela consiste à intervenir directement quand des violations des lois sont constatées, ou à signaler les violations à un numéro vert ad hoc. »

« Le film suscite bien entendu des questions. Sa sortie à quelques jours de l’ouverture de la session annuelle de l’Assemblée nationale populaire, le parlement qui se réunit une fois par an, ne doit assurément rien au hasard. Et dans un pays où les médias sont strictement contrôlés, un tel succès est impensable sans de sérieux appuis en haut lieu. Le très officiel Quotidien du Peuple a même posté la vidéo sur son site. Enfin le nouveau ministre de l’Environnement Chen Jining s’est empressé de féliciter Chai Jing. »

UN FILM UTILE AU PRESIDENT XI JINPING QUI A D’ORES ET DEJA FAIT PART DE SON INTENTION DE REFORMER LE SECTEUR DES ENTREPRISES D’ÉTAT

« Par ailleurs le Président Xi Jinping a d’ores et déjà fait part de son intention de réformer le secteur des entreprises d’État. Des réformes assurément difficiles à imposer tant les implications sont lourdes. Jusqu’ici, la plus grosse victime de la campagne anticorruption est Zhou Yongkang, ancien numéro un de la China National Petroleum Corporation, entreprise plusieurs fois citée dans le documentaire. Si le film apparaît donc utile pour le pouvoir, il n’est pas pour autant une commande, car la journaliste l’a financé de sa propre poche, y consacrant 1 million de yuans (environ 143000 euros). Un gage de crédibilité imparable aux yeux d’un public chinois peu habitué à voir ses dirigeants prêcher par l’exemple. »

L’article complet du correspondant en Chine de Libé :

Sur http://www.liberation.fr/monde/2015/03/03/sous-le-dome-le-film-sur-la-pollution-qui-secoue-la-chine_1213269

 PCN-TV / PCN-SPO /

 (*) voir l’intervention de Luc MICHEL :

EODE-TV/ LUC MICHEL: COP 21. UN SOMMET INUTILE DE PLUS POUR LA PLANETE ET UN PIEGE POUR L’AFRIQUE (SUR AFRIQUE MEDIA, 29 NOV. 2015)

Video intégrale sur EODE-TV : https://vimeo.com/147254156

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https://vimeo.com/pcntv

https://www.facebook.com/PCN.NCP.TV 

CONTRE L’IMPOSTURE DE LA COP21 : ‘BRANDALISM 2015’ DENONCE LES FIRMES POLLUEUSES QUI SPONSORISENT LE SOMMET DE PARIS (CE 30 NOV. 2015)

LM pour PCN-TV/ 2015 11 30/

Avec Brandalism 2015 – PCN-SPO/

 PCN-TV - LM brandalism 2015 (2015 11 30)  FR (1)

« Ces entreprises se présentent comme des soutiens de la lutte contre le changement climatique alors que ce sont des pollueurs importants (…) Elles font comme si elles faisaient partie de la solution alors qu’elles font partie du problème. Il est plus important que jamais de dénoncer leurs mensonges et de mettre en lumière les enjeux de pouvoir derrière les négociations de la Conférence de Paris »

– Brandalism.

 PCN-TV - LM brandalism 2015 (2015 11 30)  FR (2)

De fausses pubs pour dénoncer “les mensonges” des sponsors de la COP21 : c’est BRANALIOSM 2015. L’hypocrisie de la COP 21 mise à nu au travers de ses sponsors, qui tous sont de gros pollueurs …

* Videos sur PCN-TV : https://vimeo.com/147313500

PCN-TV - LM brandalism 2015 (2015 11 30)  FR (3)

 Les affiches de quelque 600 espaces publicitaires parisiens du groupe JC-Decaux ont été enlevées et remplacées par des messages dénonçant « les mensonges des grandes entreprises sponsors de la COP21 », a annoncé dimanche le mouvement “Brandalism”, à l’origine de cette opération. Cette action a été revendiquée dans un communiqué par ce groupe britannique, dont le nom est une contraction de “brand” (marque) et de vandalisme.

Interrogé par l’AFP, JCDecaux a confirmé cette opération. “600 faces publicitaires (panneaux, ndlr) sont concernées”, a indiqué le groupe, précisant que “toutes les fausses affiches seront enlevées dans les heures qui viennent”.

Les pubs d’Air France, Engie (ex-GDF Suez) et Dow Chemicals ont ainsi été parodiées, ainsi que plusieurs chefs d’Etat et de gouvernement, parmi les pays les plus pollueurs au monde, – François Hollande, David Cameron, Barack Obama, Angela Merkel et Shinzo Abe – sur des affiches créées par 80 artistes originaires de 19 pays, a précisé Brandalism.

CES SPONSORS DE LA COP 21 QUI SONT DES GROS POLLUEURS !

Toutes les entreprises visées, y compris le groupe JC-Decaux, sont des sponsors officiels de la COP21 à laquelle doivent assister lundi au Bourget, près de Paris, quelque 150 chefs d’Etat et de gouvernement. “Ces entreprises se présentent comme des soutiens de la lutte contre le changement climatique alors que ce sont des pollueurs importants”, a déclaré un représentant de “Brandalism”, joint par téléphone par l’AFP.

“Elles font comme si elles faisaient partie de la solution alors qu’elles font partie du problème”, résume le mouvement dans son communiqué. “Il est plus important que jamais de dénoncer leurs mensonges et de mettre en lumière les enjeux de pouvoir derrière les négociations” de la Conférence de Paris.

MALGRE L’ETAT D’URGENCE …

“Brandalism” souligne que son action a été menée malgré l’interdiction de tout rassemblement à Paris dans le cadre de l’état d’urgence décrété après les attentats du 13 novembre.

Ce mouvement a déjà organisé deux campagnes de “publicité subversive” dans plusieurs villes britanniques en 2012 et 2014. L’opération parisienne est la plus importante qu’il ait réalisée, et “même la plus importante au monde”, a assuré son porte-parole.

LM / PCN-SPO / PCN-TV

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https://vimeo.com/pcntv

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COP21. L’AVERTISSEMENT CHINOIS SUR LA CATASTROPHE ECOLOGIQUE A VENIR

Luc MICHEL/ 2015 12 01/

Avec AFP – The New-York Time – PCN-SPO/

 Paris déroule le tapis rouge de la Grand messe impuissante de la COP 21. Pendant ce temps Pékin suffoque et Xi Jinping veut “galvaniser” la COP21 …

Un film chinois aux images terribles sonne comme un avertissement de la catastrophe écologique mondiale à venir : c’est SOUS LE DOME, discrètement soutenu par le gouvernement chinois.

 LM.NET - LM COP21 avertissement chinois (2015 12 01) FR  (1)

* LE FILM complet sur PCN-TV /

(en Chinois mais il se laisse voir sans besoin de traduction tant les images sont spectaculaires)

CHAI JING’S REVIEW – UNDER THE DOME. INVESTIGATING CHINA SMOG : https://vimeo.com/122941805

 LM.NET - LM COP21 avertissement chinois (2015 12 01) FR  (2)

ALORS QUE S’OUVRE LA COP21, LA CHINE FAIT FACE A UN PIC DE POLLUTION

 Pékin et les autres villes de la Chine du Nord suffoquaient ce lundi sous un épais brouillard polluant d’une densité record cette année, comme un rappel à l’urgence climatique pour l’ouverture de la conférence de Paris, que le président chinois Xi Jinping devrait “galvaniser” selon la presse officielle. « Avec des températures hivernales en-dessous ou autour de zéro, la capitale chinoise était noyée dans une brume blanchâtre imprégnée d’une forte odeur de charbon, et la densité de particules dangereuses y était supérieure de plus de 20 fois au niveau d’exposition recommandé par l’Organisation mondiale de la santé (OMS). A 17H00 (09H00 GMT), la densité de particules de 2,5 microns de diamètre (PM 2,5) atteignait 625 microgrammes par mètre cube d’air, selon les niveaux de référence mesurés par l’ambassade américaine à Pékin. Un peu au sud-est de Pékin, le pic atteignait 976. Le plafond maximum admis par l’OMS est de 25. De par leur taille, ces particules pénètrent dans les poumons et sont à l’origine de centaines de milliers de décès prématurés en Chine chaque année. Les niveaux atteints dans les villes de la province voisine du Hebei dépassaient également largement les 500, selon les chiffres officiels » (selon l’AFP).

Après des indices autour de 400, Pékin a déclenché ce weekend l'”alerte orange”, son niveau d’alerte pollution le plus élevé cette année. “Tout le monde doit éviter le plus possible de sortir”, même les personnes en bonne santé, précisait lundi le site officiel de la météo chinoise. L’alerte orange chinoise prévoit notamment que les enfants dans les écoles ne doivent pas sortir à l’extérieur, et certaines usines doivent suspendre leur activité. “On peut à peine voir les gens devant nous”, se plaignait un habitant sur Sina Weibo, l’équivalent chinois de Twitter. “On dirait même que le nuage de pollution est descendu dans la station du métro”.

L’arrivée d’un front froid prévue mardi devrait aider à dissiper la sévère pollution actuelle dans le nord de la Chine, a indiqué le Bureau de la protection environnementale sur son site internet.

LA COP21 SUR FOND D'”AIRPOCALYPSE” 

Sur fond d'”airpocalypse” (le nouveau mot à la mode des médias occidentaux), la presse chinoise annonçait en Une lundi l’arrivée du président Xi Jinping à Paris, où, selon le China Daily, il allait “galvaniser” la conférence sur le climat afin que la COP21 parvienne à “un accord historique, équilibré et juste” sur les émissions de carbone après 2020. Principal émetteur de gaz à effet de serre, premier producteur et consommateur mondial de charbon, la Chine devrait jouer un rôle-clé dans les négociations. Le président chinois va “défendre les intérêts des économies en développement sur le changement climatique en pressant les pays riches pour des transferts de technologies et de capitaux”, a également souligné le China Daily.

LA CHINE PLUS GROS POLLUEUR MONDIAL AVEC LES USA …

Deuxième économie mondiale selon le FMI (3e en fait, la première étant dans la réalité celle de l’UE ; le cumul des 28 économies, dont la puissance allemande), la Chine a relâché dans l’atmosphère entre neuf et 10 milliards de tonnes de dioxyde de carbone en 2013, soit près de deux fois plus que les Etats-Unis et environ 2,5 fois plus que l’Union européenne. De concert avec le président américain Barack Obama, Xi Jinping s’est engagé l’an dernier à ce que la Chine parvienne à un pic d’émissions “autour de 2030” avant leur stabilisation, indiquant aussi par là qu’elles continueraient à augmenter durant la décennie à venir.

“DE NOUVELLES MODALITES DANS LA GOUVERNANCE MONDIALE DU CLIMAT SONT INEVITABLES” (UN RAPPORT DU MINISTERE CHINOIS DES SCIENCES ET TECHNOLOGIES)

Le Ministère chinois des Sciences et Technologies vient par ailleurs de publier un rapport de 900 pages en chinois détaillant les avis de 550 experts sur les scénarios du changement climatique en Chine, selon le New York Times. “De nouvelles modalités dans la gouvernance mondiale du climat sont inévitables”, prévient le rapport cité par le journal, et les experts presseraient Pékin de se montrer plus souple dans les négociations. Le rapport fait état de divergences entre les conseillers du gouvernement sur la date de 2030 à laquelle la Chine devra stabiliser ses émissions. Les experts chinois auraient aussi relevé que la montée des eaux sur la côte orientale du pays était plus rapide que dans le reste du monde et pourrait atteindre 40 à 60 cm d’ici la fin du siècle, selon le New York Times.

Ces régions le long de l’océan Pacifique, dont Shanghai –les plus peuplées et les plus développées de Chine– devraient être “les plus affectées” et “certaines villes pourraient même devoir affronter des catastrophes majeures difficiles à prédire”, de même source. Dans le reste du pays, le changement du régime pluvial pourrait avoir un effet “extrêmement préjudiciable” pour le barrage des Trois Gorges, le plus grand du monde, censé réguler les eaux –et les inondations du puissant fleuve Yangtzé, indique encore le rapport cité par le journal.

La catastrophe en marche en Chine est un avertissement donné à toute la planète.

Luc MICHEL

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