Il governo salva la banca del padre della Boschi

domenica, 22, novembre, 2015

Via libera del governo al salvataggio di quattro banche italiane: un Consiglio dei ministri domenicale durato circa un quarto d’ora, ha approvato infatti un decreto legge che risolve la crisi di Banca Marche, Cassa di Ferrara, Banca Etruria e CariChieti, tutti istituti gia’ commissariati da tempo.

Boschi

L’operazione permettera’ la costituzione di quattro nuove banche (nuove anche nella denominazione) ripulite da tutti i crediti in sofferenza e in grado potenzialmente di operare da subito, senza soluzione di continuita’. I crediti in sofferenza delle quattro banche saranno trasferiti in un’unica ‘bad bank’, il che dovrebbero consentire di salvaguardare i depositi dei clienti e i posti di lavoro degli addetti. L’operazione, sottolinea il governo, sara’ realizzata senza “alcuna forma di finanziamento o supporto pubblico alle banche in risoluzione o al Fondo nazionale di risoluzione”.

Inoltre, aggiunge palazzo Chigi, “i provvedimenti di avvio alla risoluzione, non prevedono il ricorso al bail-in”. Gli oneri dell’operazione dunque sara’ a carico dell’intero sistema bancario italiano che, viene spiegato, “potra’ tuttavia recuperarli con il perfezionamento dell’operazione nei prossimi mesi, (ad esempio attraverso recupero crediti, acquisto delle banche salvate da parte di terzi)”. Il decreto, ha fatto sapere il governo, avra’ “un ambito estremamente circoscritto”, ovvero la costituzione “tempestiva” delle nuove banche (banche-ponte), la definzione di “un quadro normativo certo sulle modalita’ con cui saranno raccolti i contributi da parte del settore bancario al Fondo di risoluzione nazionale successivamente all’integrale avvio del Meccanismo di risoluzione unico” e la definizione delle “modalita’ per l’applicazione alle nuove banche della disciplina fiscale in materia di imposte differite attive gia’ in vigore per tutti gli istituti di credito”.

Al Consiglio dei ministri lampo che ha approvato il decreto, non ha partecipato il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Una nota del suo ufficio stampa ha informato infatti che Boschi oggi pomeriggio si trovava a Milano per partecipare alla inaugurazione della Torre Isozaki di Allianz. agi

ISIS: le foto del sen.Mc Cain, Obama, i Neocon e altri retroscena.

MARIA GRAZIA BRUZZONE   @MAR__BRU
28/08/2014

Si legge un po’ di tutto sui finanziatori dell’ISIS, ma sempre “all’insaputa dei governi”, come ha affermato persino la signora Merkel  ( qui lastampa.it).   Eppure tante analisi convergono nel rimproverare al presidente Obama di essere oggi riluttante a un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti in Siria, così come lo fu negli ultimi mesi nell’inviare armi ai cosiddetti “ribelli moderati” e laici, così come gli chiedevano i “falchi”-   il suo ex segretario di stato Hillary Clinton e il senatore repubblicano John McCain in testa. Mc Cain del quale circolano (ancora una volta) sul web fotografie sorprendenti, e compromettenti.

E se Obama fosse semplicemente restio ad appoggiare l’avventurista linea dei Neocon, che tanti danni già fece ai tempi di G.W. Bush, se resistesse a farsi coinvolgere nelle loro più o meno celate iniziative? In fondo da senatore nel 2003 Obama votò contro la guerra in Irak, al contrario di Hillary, e  in campagna elettorale promise di chiudere con quel conflitto; i suoi primi discorsi erano tutti volti a un’opera di pacificazione tanto da valergli un anticipato Nobel per la Pace; non da ultimo, stando ai sondaggi gli americani sono sempre più ostili anche solo ad immischiarsi in fatti esterni, si tratti di Ucraina o Medio Oriente.

Che diverse linee si confrontino nell’establishment americano, in quel che alcuni chiamano lo “Stato profondo, non solo sul Medio Oriente, sembra dimostrarlo l’articolo di Foreign Affairs su Usa/Ucraina e Russia che Underblog ha sintetizzato nel suo ultimo post.

LE FOTO Di Mc CAIN. Segnalate anonimamente su twitter, circolano sul web, riprese anche da siti “alternativi” italiani ( qui qui  e qui ) foto che ritraggono il senatore insieme a giovani arabi, a quanto sembra. E fin qui. Il fatto è che in una foto si vedrebbe sullo sfondo Mohammad Nour, portavoce di Jahabat- al-Nusra, il gruppo Qaedista poi in gran parte assorbito dall’ISIS; in un’altra, in cui il senatore americano è ritratto in una folta riunione, il secondo giovane a sinistra, con gli occhiali, sarebbe Salem Idris, capo del Free Syrian Army – i cosiddetti “ribelli moderati”. Ma il primo a sinistra, il più visibile, a cui Mc Cain sembra rivolgersi, sarebbe addirittura Ibrahim al-Badri, poi noto col nome di battaglia al-Bhagdadi. Il capo del sanguinario ISIS, insomma, il famigerato autoproclamato Califfo. Sul quale pende del resto una taglia da $10 milioni da parte dell’anti-terrorismo americano e presente nella lista nera dell’ONU (altre foto, del ricercato). Come è possibile?

PRECEDENTI. Il sito di Mc Cain già a luglio si è preoccupato di segnalare che il senatore è stato fatto bersaglio dai terroristi che lo considerano “nemico” e “crociato”.

E però dell’anziano ma sempre attivissimo senatore rep sono già circolatealtre foto del genere ( qui e qui, e qui Underblog) che lo ritraevano insieme al leader di Svoboda Oleh Tyahnybok e al futuro primo ministro Arsenij Yatsenyiuk  in un evento in Ucraina nel dicembre 2013,  ben prima della “rivolta” che di lì a qualche settimana avrebbe travolto il presidente Yanukovich.  All’evento era presente anche l’assistente alla Segreteria di Stato per Europa ed Eurasia Victoria Nuland (per inciso, moglie di Robert Kagan, giornalista, saggista e consulente della Difesa vicino ai Neocon), la stessa che in quei giorni aveva dichiarato che gli Usa avevano speso $5 miliardi per “aiutare” l’Ucraina e di cui poi vennero intercettate telefonate indiscrete con l’ambasciatore americano in Ucraina (Nuland imponeva Yats, e “F…ck the EU”).

A cercar bene di foto del senatore se ne troverebbero molte altre, legate a varie “insurrezioni” o colpi di stato più o meno riusciti, in Venezuela, Haiti, Kenia, per non dire  alle “rivoluzioni  colorate” e primavere arabe di cui il senatore si è occupato, come risulta anche a Wikipedia. Del resto Mc Cain è dal 1993 presidente dell’IRI – International Repubblican Institute, specie di ramo repubblicano della NED – agenzia intergovernativa, ufficialmente una Ong, creata da Ronald Reagan per estendere le attività della CIA – in collegamento coi servizi di Gran Bretagna, Canada, Australia –  e “diffondere la democrazia” nel mondo ( qui elenco  finanziamenti della NED in Ucraina nel solo 2012)

McCAIN RINGRAZIA QATAR, SUDITI E BANDAR. “ Grazie a Dio per i Sauditi, e il principe Bandar”, ha detto il senatore alla CNN nel Gennaio 2014. “… e per i nostri amici del Qatar” ha aggiunto durante una conferenza a Monaco, un mese dopo ( Feb 2014). Così esordiva lo scorso giugno un interessante post sul sito di the Atlantic, storica rivista politico-letteraria, decisamente atlantista.

Il principe era allora a capo dei potenti servizi segreti dell’Arabia Saudita, già ambasciatore negli Stati Uniti (e molto amico dei Neocon e del clan Bush tanto da essere stato soprannominato “Bandar Bush ” dai blog alternativi ai tempi dell’ex presidente Usa, ndr). “Mc Cain  insieme al senatore Lindsey Graham, entrambi repubblicani,   aveva incontrato il principe per incoraggiare i Sauditi ad armare le forze ribelli”, scrive the Atlantic.  Ma poco dopo (Feb/Marzo 2014) il re dell’Arabia Abdullah ha tolto a Bandar l’incarico delle operazioni coperte. E due settimane dopo l’incontro del 28 marzo 2014 fra il presidente Obama il re Abdullah, Bandar è stato anche sollevato anche dall’incarico di capo dell’intelligence (pur restando a dirigere il National Security Council).

“Si parla molto del Free Syrian Army, l’opposizione armata ‘moderata’ (anchethe Atlantic usa le virgolette) ma le fazioni che mietono più successi sono Jabhat-al-Nusra e ISIS. Un successo dovuto al sostegno ricevuto da Qatar e Arabia Saudita”.   Il Qatar si è occupato di al-Nusra , dice a un funzionario qatarino. Ma “ l’ISIS è stato un progetto Saudita” dichiara un altro funzionario. ‘L’ISIS può essere stato in larga parte opera della strategia coperta di Bandar in Siria’, si dice. Conclusione: Mc Cain avrà avuto anche uno scopo ammirevole, liberarsi di un brutale dittatore (Assad) ma affidandosi a Bandar ne è uscito un mostro e non ne valeva la pena.

Enfatizzato il ruolo di Qatar e Sauditi in collegamento coi Neocon l’articolo – scritto nei giorni in cui l’ormai autoproclamato Califfato avanza in Irak – mostra l’amministrazione Obama su un’altra linea, preoccupata dell’effetto boomerang del sostegno dato a quei due gruppi.  Al punto che a febbraio 2014 Susan Rice, consigliere per la Sicurezza Nazionale, aveva incontrato i capi intelligence di Turchia, Qatar, Giordania e altri racomandando di non aiutare più quei gruppi  ma i “moderati” del FSA, come hanno poi fatto anche i vertici di Pentagono e Difesa, d’accordo con Obama. A preoccuparsi sarebbero gli stessi sauditi –   aggiunge la rivista – “ sebbene non si possa escludere che sotto sotto gli aiuti di Qatar e Arabia Saudita continuino”.

“I ‘MODERATI’ IN SIRIA NON C’ERANO GIA’ PIU’  NEL MAGGIO 2013”. Lo afferma Emma Bonino, che come ministro degli Esteri italiano del governo Letta, in una riunione delle diplomazie si batté affinché non venissero fornite armi ai “ribelli” siriani che ne avevano fatto richiesta (chissà se quella posizione ha pesato sulla sua non conferma agli Esteri da parte di Renzi). Analoga richiesta era stata avanzata nel 2012. Obama si era opposto, e oggi Hillary Clinton glielo rimprovera nel suo recente libro.

  “ La presa di posizione della Clinton si riferisce al dibattito del 2012 in cui lei, con alcuni altri, spingeva per armare la parte – tra virgolette – moderata e Obama sostanzialmente si oppose” – dichiara intervistata dalla Stampa.

“ Non ho dettagli sul 2011-2012. Ma quello che so per certo è che nel maggio-giugno 2013, all’epoca fra l’altro in cui in Siria vengono allo scoperto i tagliagole (l’ISIS ndr) era ormai chiarissimo, evidente e noto,  che i cosiddetti moderati e laici tra i ribelli siriani erano stati tutti epurati. Anche il Free Syrian Army era infiltrato da al-Nusra e dall’ISIS. E dunque proprio non era il caso di fornire loro armi ”. Non è andata proprio così.

“IL CONGRESSO USA APPROVA SEGRETAMENTE L’INVIO ARMI AI RIBELLI SIRIANI ‘MODERATI’”.   Così un take dell’agenzia Reuters27 gennaio 2014, e nel titolo ancora una volta ci sono le virgolette.  Reuters cita funzionari Americani ed Europei, dice che le armi “leggere”(compresi razzi anti-tank ma esclusi i missili antiaerei a spalla) saranno inviate a milizie “non islamiste”. via Giordania. E precisa che l’invio di armi è stato approvato in una seduta “a porte chiuse” – vale a dire  in segreto – alla fine dell’anno fiscale 2013.

Stranamente la notizia Reuters non è stato ripresa dai media, annota un blog.

Era stata sempre la Reuters il 1°agosto 2012 a scrivere che Obama autorizzava un supporto segreto ai ribelli Siriani, cioè aiuto da parte CIA e altre intelligence, ma NON invio di armi letali, “anche se alleati li mandano”. Riferiva delle critiche di Mc Cain e Graham a Obama. E aggiungeva che gli Usa collaborano con un centro di comando operato da Turchia e alleati.  Riferimento a un take precedente, secondo il quale Turchia con Arabia Saudita e Qatar hanno installato una base operativa al confine con la Siria.‘Centro nervoso’ sarebbe la città di Adana, vicina al centro di Incirlik dove c’è una base aerea Usa.

TRA ISTAMBUL, ANKARA (E WASHINGTON). “Secondo un insider dell’ex primo ministro libanese Saad Hariri gli Stati Uniti dirigono le operazioni dell’ISIS dall’ambasciata di Ankara. Il piano di imbrogliare l’Irak e accendere una guerra regionale in Medio Oriente è stato architettato dall’Atlantic Council”, è la sintesi brutale e alquanto sommaria che un post di Infowars  fa di un articolato, intrigante colloquio con una fonte vicina al libanese/saudita Hariri (forse lui stesso) postato da un blog che Underblog non conosceva ma appare indipendente e assai informato.

(nsnbc.me, fondato nel 2011 e diretto da uno psicologo-traumatologo tedesco, Christof Lehmann, che è stato amico e consigliere di Arafat e di Nelson Mandela, per reagire alla disinformazione su Libia e Siria, come racconta lui stesso  in un altro suo blog, 4thmedia.org. Hariri invero lo ricordavamo amico degli occidentali. Però è nato a Ryad e vicino ai Sauditi, e  secondo Wiki  è  appena tornato in Libano dopo due anni passati tra Francia e Arabia Saudita).

La fonte vicina ad Hariri sostiene che “il tocco finale al piano di balcanizzazione della regione (piano della Rand Corporation per un Greater Middle East che risalirebbe al 1996) è stato dato all’ Energy Summitdell’Atlantic Council fondato da George Soros  tenuto a Istambul nel novembre 2013”, scrive ancora Inforwars. Esattamente il 20 e il 21,  aggiungiamo.

“ Guardiamo a questo periodo come a un punto di svolta, come nel 1918 e nel 1945. La Turchia è in ogni caso un paese centrale, in quanto creatore di stabilità regionale. Tuttavia Usa e Turchia possono lavorare molto all’unisono, ed è così che saranno efficaci”, ha dichiarato il presidente del Council Frederick Kempe in occasione del summit.

Tra i partecipanti il presidente della Turchia Abdullah Gul,  il ministro delle Risorse Naturali del governatorato Curdo e il ministro Usa dell’Energia Ernst Monitz, l’ex Segretario di Stato Usa Madeleine Albright e Brent Scowcroft, membri del Council, l’ambasciatore americano ad Ankara Ricciardone . Tema dell’incontro, gli Sviluppi Regionali, compresi gli Sviluppi nel Nord Irak.  Così un altro post nbnbc del 2013, che riprendeva un giornale turco, e parlava del piano di balcanizzazione che prevederebbe la creazione di uno stato Curdo con territori presi a Siria, Irak e Iran).

UN IPOTETICO RETROSCENA. L’insider di Hariri dà una sua lettura dei fatti. Turchia, Arabia, Qatar e Kuwait avrebbero lavorato con gli Stati Uniti per rovesciare il regime alauita di Bashar al Assad in Siria. Ma il governo iracheno avrebbe poi frustrato gli sforzi dei mercenari in Siria, cominciando a intercettare e bloccare i rifornimenti di armi dal confine Saudita.

“Se Bagdad fosse stato più collaborativa sui campi petroliferi siriani di Deir-Ez-Zor all’inizio del 2013 e sull’autonomia del Nord [il governatorato Curdo che aspira all’indipendenza] non  si sarebbero rivoltati contro al-Maliki”, racconta la fonte. Vale a dire contro l’Irak via ISIS, par di capire. Un’offensiva che alla fine ha favorito i Curdi, che si sono presi Kirkuk col suo giacimento da 10 miliardi di barili (vedi già Underblog qui).

“ Era previsto che l’ISIS in Siria prendesse il controllo della zona di Deir-Ez-Zor in agosto 2013, ma il voto del parlamento inglese contrario ai bombardamenti aerei con gli americani sulla Siria hanno fatto sì che l’esercito di Assad avesse la meglio e riprendesse il controllo del campo petrolifero di al Thayem”.

“ La situazione era un disastro, a giugno tutti erano pronti a come dividersi il petrolio, 27 ministri degli Esteri Europei  su 28 avevano tolto il veto all’importazione di petrolio dai territori della Siria in mano all’opposizione, ai primi di novembre al-Maliki e Barzani (il leader dei Curdi irakeni ndr ) sono stati invitati a WashingtonIl summit di Istambul avrebbe dovuto prendere atto di un fatto compiuto.

 Certi circoli a Washington facevano un sacco di pressioni su Obama,perché facesse fuori al-Maliki, il tempo passava e Obama esitava Barzani stava perdendo la presa al Nord.

“ Chi premeva su Obama? “Non so esattamente chi. Più importante è da dove provenisse il messaggio, dagli Scowcroft, Nuland e il clan Kagan, Stavridis, Petraeus, Ricciardone e i Neocon all’Atlantic Council. Gli facevano sapere che sarebbero andati avanti, con o senza di lui”.

 Alla domanda diretta su chi abbia dato la luce verde finale alla campagna dell’ISIS la fonte glissa, indicando quegli stessi ambienti e incontri, presente  lo stesso Hariri.

E comunque, “ da quanto ne so nulla si muove senza l’ambasciatore Ricciardone” risponde, quando gli si chiede se è vero quel che si dice, che a comandare le brigate dell’ISIS sarebbe lo stesso principe saudita della famiglia reale Abdul Rachman al-Faisal, fratello del ministro degli Esteri (che le avrebbe anche rifornite di armi ucraine nuove di zecca). La fonte conferma, ma l’ambasciatore conterebbe di più.

Gran carriera, quella di Francis J. Ricciardone, ambasciatore Usa ad Ankara nominato su input della Clinton, cinque lingue fra cui l’italiano: da settembre guiderà il Rafik Hariri Center for the Middle East dell’Atlantic Council, intestato al padre di Saad, primo ministro libanese assassinato nel 2005. Lasciando l’ambasciata, a quanto pare,  probabilmente per limiti di età.

Fondato nel 1961 da George Soros per rafforzare la NATO, l’Atlantic Council è un think-tank basato a Washington assai influente, e potente, associato ad altri “pensatoi” di rilievo come American Enterprise Institute, Rand Corporation – conservatori – e a Aspen Institute, CFR, Carnegie Endowment. Il suo sito è ricco di news, comunicati stampa e analisi, naturalmente anche dell’ISIS. Fra i suoi  membri figurano grandi corporations e megabanche.

Pressioni pesanti, anche per un presidente degli Stati Uniti d’America.

La trappola del Gran Maestro Putin farà crollare il sistema occidentale!

https://disquisendo.wordpress.com/2015/11/22/la-trappola-del-gran-maestro-putin-fara-crollare-il-sistema-occidentale/

Disquisendo

Posted on 22 novembre 2015

Un’altro interessantissimo articolo di Aurorasito sulla guerra economica in atto tra occidente e oriente. Il sistema occidentale crollerà ed avrà ripercussioni devastanti. Oramai siamo agli sgoccioli perché è un sistema insostenibile.

Come disse Voltaire nel XVIII secolo: “ La carta moneta alla fine ritorna al suo valore intrinseco, lo zero!”

Re-Blog da Aurorasito

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Nel dicembre dello scorso anno pubblicammo un articolo interessante di Dmitrij Kalinichenko, “La trappola d’oro del Gran Maestro Putin”, che attirò molta più attenzione dai lettori di quanto aspettato. Continua ad essere citato da molti esperti politici ed economici internazionali. Tale articolo sulla strategia della Russia per sbarazzarsi di obbligazioni e petrodollari statunitensi comprando oro. Sembrava che il crollo del rublo alla fine dello scorso anno, insieme a un ridotto margine di bilancio del Cremlino, impedisse Mosca di continuare il piano per diversificare in modo permanente il sistema finanziario internazionale. Tuttavia, osservando ciò nel 2015, si nota che la strategia di Putin funziona molto bene. Grazie alla mano invisibile del mercato il rapporto prezzo oro-petrolio è più che raddoppiato negli ultimi due anni. Se a maggio 2014 con 12 barili di petrolio si comprava un’oncia d’oro, il rapporto è salito a 26 barili/oncia nel gennaio 2015 (dove rimane attualmente). Abbassando il prezzo del petrolio rispetto l’oro, sembra che Wall Street e City di Londra cercassero di ostacolare la tattica russa di comprare oro in cambio di petrolio e gas (i prezzi del gas sono collegati al petrolio via BTU). Tuttavia, tali azioni sono fallite. Il calo dei prezzi del petrolio e il deprezzamento della moneta nazionale non hanno impedito alla Banca di Russia d’acquistare oro sul mercato interno con i rubli. Nonostante minacce e sanzioni, la Russia continua ad incrementare le riserve auree. La Banca di Russia ha acquistato ben 171 tonnellate di oro nel 2014 e altre 120 tonnellate nei primi dieci mesi del 2015. Di conseguenza, il 1° novembre 2015 la Banca di Russia aveva accumulato 1200 tonnellate di oro nelle riserve, ufficialmente le quinte nel mondo, anche se in realtà la Russia è al 4.ta avendo la Germania permesso di ospitare solo un terzo delle proprie riserve. Per correttezza va notato che la Cina non ha fornito dati aggiornati sulle sue riserve d’oro dal 2009, quando ne possedeva ufficialmente 1054 tonnellate. Secondo alcune stime, le riserve cinesi potrebbero essersi triplicate.

L'oro nelle riserve della Banca di Russia dal 1995, in milioni di dollari USA. Fonte: Cbr.ru

L’oro nelle riserve della Banca di Russia dal 1995, in milioni di dollari USA. Fonte: Cbr.ru

L’anno 2014 ha portato Wall Street ancora un’altra spiacevole sorpresa. La Russia è emersa seconda produttrice mondiale di oro, superata solo dalla Cina. La leadership globale di Cina e Russia nelle miniere d’oro gli consente di creare propri sistemi di valuta e di trading su solide fondamenta d’oro, che saranno utilizzati dai Paesi BRICS come unità universale di conto e misura fissa dei prezzi. Di fronte alla prospettiva di dover fare i conti con la potente alleanza d’oro russo-cinese, presto in grado di mettere in discussione il futuro del dollaro come valuta di riserva mondiale, gli Stati Uniti hanno cominciato ad impiegare tutte le misure tradizionali per punire un Paese che osa sfidarne il peso finanziario mondiale. S’ignori il blaterare sui “valori democratici”, non sono altro che un modo per forzare la Russia a vendere oro. Il popolo russo ha sentito l’ultimatum di Washington e capisce perfettamente che gli Stati Uniti hanno imposto le sanzioni per estromettere il governo legittimo e democraticamente eletto di Mosca. Ma non a caso, le sanzioni applicate dagli Stati Uniti al popolo russo, a caro prezzo per l’Unione europea, hanno avuto l’effetto opposto. I russi si sono uniti al capo della nazione, e Cina e Russia sono ora più vicine che mai. La politica estera della dittatura dell’arroganza assoluta e così oltraggiosa di Washington, ha avuto conseguenze prevedibili. Sostituendo abitualmente e universalmente la forza del diritto con il diritto della forza, gli Stati Uniti hanno sprecato il capitale politico e la credibilità che s’erano guadagnati presso l’opinione pubblica russa e cinese. Il sostegno della Cina alla Russia neutralizza tutti i tentativi di Washington di piegare Mosca. Anche se la Russia è costretta a vendere oro, lo venderà… alla Cina, il che significa che rimarrà nell’”alleanza d’oro”. È interessante notare che la visita a settembre del Presidente Xi Jinping negli Stati Uniti non ha portato ad alcun accordo sostanziale. La Cina è ben consapevole che se Washington recidesse l’alleanza tra Russia e Cina, la prima azione dell’ipotetico governo filo-americano della Russia sarebbe strangolare energeticamente la Cina. Wall Street deve colonizzare la Russia prima, per colonizzare la Cina. I leader cinesi lo sanno molto bene. Per inciso, lo stesso destino attende l’Europa, altro competitore geopolitico degli Stati Uniti. Tuttavia, a differenza di Pechino, i capi europei non l’hanno ancora capito.

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E’ importante ricordarsi che gli attacchi del dollaro all’oro finiscono sempre nello stesso modo, in un KO doloroso per il dollaro. Non ci sono mai state eccezioni a questa regola della storia monetaria. Né ci saranno ora. Di qui la ben nota regola del mercato: “Ogni picco del prezzo dell’oro non è l’ultimo“. Sarebbe ingenuo credere che questa regola d’oro sia sconosciuta al maestro della pazienza, Vladimir Putin, e a Xi Jinping che, in maniera sistematica, aumentano le riserve auree. Russia e Cina inesorabilmente perseguono a spogliare il dollaro USA dello status di valuta di riserva globale. La soluzione militare standard degli USA non funziona in tale situazione. La Russia non è l’Iraq, la Libia o la Jugoslavia. Gli Stati Uniti non possono lanciare un’aggressione diretta a un Paese come la Russia, sarebbe la loro ultima mossa. Pertanto la Casa Bianca cerca di utilizzare i militanti radicali dei Paesi musulmani ed europei come carne da cannone. Un volta tale approccio era efficace. Verso la metà del XX secolo, Wall Street e City di Londra trascinarono l’Europa in guerra contro l’Unione Sovietica usando il loro pupillo Hitler, che avevano letteralmente messo al potere in Germania. Oggi Ucraina e Siria sono i teatri della guerra calda degli USA contro la Russia e l’Unione europea è il teatro della guerra economica degli Stati Uniti contro la Russia (va notato che mentre gli imprenditori europei soffrono per le sanzioni imposte alla Russia, i concorrenti statunitensi firmano lucrosi nuovi accordi con Mosca). Ora i Paesi europei cominciano a capire che Washington l’inganna semplicemente. Dopo tutto, ogni prodotto è, prima di tutto, nient’altro che energia sotto forma di merce. Prendendo spunto dalle ambizioni geopolitiche degli USA, l’Europa autoriduce la propria competitività. Staccandosi da slogan altisonanti e dichiarazioni su “valori” e considerando solo l’economia materiale, tutto diventa chiaro: se l’UE viene esclusa dagli approvvigionamenti di energia russa a basso costo, oltre che dal grande mercato russo, non potrà sopravvivere nella forma attuale. Wall Street e City di Londra, come prima, non sanno cosa Putin abbia in mente, ma sono abbastanza certi che Putin farà qualcosa, e qualunque cosa sia, sorprenderà tutti facendo avanzare gli interessi della Russia e dei suoi alleati. Cercando di spiegare Putin e l’omologo Xi Jinping, Bloomberg ha pubblicato un interessante articolo sei mesi fa sul futuro del mercato dell’oro: “Sarà probabilmente molto diverso dal vecchio gold standard”, Kenneth Hoffman, a capo del centro ricerca mondiale su metalli miniere di Princeton, dice a Bloomberg Intelligence… “E non sarà un sistema tradizionale in cui si entra o esce dalla banca con un’oncia d’oro. Sarà qualcosa di nuovo e diverso“. Le previsioni di importanti media occidentali sulla nascita imminente dell’alleanza russo-cinese per rilanciare il gold standard si sentono abbastanza spesso, sembrando segnali o appelli a un passo del genere rivolto a Mosca e Pechino. Già nel 18° secolo, il filosofo e scrittore Voltaire disse: “La carta moneta alla fine ritorna al suo valore intrinseco, lo zero“, e aveva assolutamente ragione. Ci sono state tantissime banconote nella storia dell’umanità. Ma tutte, in un modo o nell’altro, divennero zero e scomparvero. Coloro che vissero durante il regno di figure storiche come Alessandro Magno, Napoleone, Hitler, Stalin, onestamente credevano che la moneta esistente al momento sarebbe rimasta in circolazione per sempre. Ma non una di esse esiste oggi. E dollaro e rublo hanno in comune con i loro precedessori di 100 anni fa i nomi rimasti invariati. Dollaro e rublo moderni sono valute completamente diverse, con potere di acquisto diverso e aspetto diverso. Alcune valute muoiono improvvisamente, altre tornano a zero attraverso un ammortamento graduale, ma in un modo o nell’altro si annullano alla fine. Ovviamente, il dollaro statunitense indebolito ha perso il 98% del potere d’acquisto negli ultimi 40 anni (come altre pseudo-monete non protette) ed è già sull’orlo del naturale azzeramento. Questo argomento è sempre più utilizzato dai fautori del ritorno al gold standard. Tuttavia, dimenticano che tutte le valute d’oro già in circolazione alla fine morirono come le valute di carta. Perché questo è accaduto, dato che le valute d’oro sono garantite dall’oro che contengono fisicamente? Perché ogni moneta d’oro è, prima di tutto, una moneta con valore designato, non denaro basato sull’oro che contiene!
Le valute d’oro avevano un valore fiat rappresentato dalla denominazione impressa su di esse, imponendo un dazio legale a tutti gli operatori del mercato. Questo richiedeva che usassero le monete d’oro esclusivamente come valuta, con valore nominale specificato e assegnato per legge. Ma alla fine la contraddizione inevitabile emerse tra valore di mercato dell’oro contenuto nella moneta e suo peso rispetto al valore fiat della denominazione impressagli. Tale incoerenza significò la fine di ogni forma di moneta d’oro nel corso della storia monetaria. Non ci sono eccezioni a questa regola, ben nota a Wall Street. E’ di fondamentale importanza per essi che Russia e Cina siano spinte a coniare un’altra moneta d’oro condannata. Non appena Russia e (o) Cina emettessero tale moneta d’oro, saranno immediatamente attaccate da Soros e altri speculatori al soldo di Wall Street come lui. Qualunque sia il valore nominale, in rubli o yuan, impresso sulla moneta d’oro di Russia o Cina, dopo un po’ il valore inizierebbe a divergere dal valore dell’oro nella moneta. Diverrà vantaggioso per gli speculatori riciclare carta moneta in cambio della valuta in oro, riducendo le riserve auree del Paese, portandolo al default. Data la situazione attuale, non c’è nessuno al mondo che possa rispondere a questa apparentemente semplice domanda: perché, sapendo che non è possibile coniare una moneta nazionale in oro, Russia e Cina continuano ad accumulare riserve auree? In questo momento nessuno al mondo lo sa… tranne Putin e il collega Xi Jinping…

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Armi, Berlino blocca export ad A.Saudita, 1° cliente dell’Italia: “Regione instabile”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/01/29/armi-berlino-blocca-export-ad-saudita-cliente-dellitalia-sostiene-lisis/1380330/

Armi, Berlino blocca export ad A.Saudita, 1° cliente dell’Italia: “Regione instabile”

A prendere la decisione, secondo la stampa tedesca, il Consiglio di sicurezza federale composto dalla cancelliera Angela Merkel e da 8 ministri. Molti politici chiedevano da mesi il blocco verso Riyad, accusandola di sostenere l’Isis. Nel 2013 le esportazioni tedesche autorizzate ammontavano a 360 milioni di euro, quelle italiane a 300 milioni
di  | 29 gennaio 2015

La scorsa settimana il Bundessicherheitsrats, il Consiglio di sicurezza federale tedesco composto dalla cancelliera Angela Merkel, dal suo vice Sigmar Gabriel e da altri sette ministri, ha deciso di sospendere ogni fornitura militare verso l’Arabia Saudita perché “la situazione nella regione è troppo instabile”. La notizia, annunciata dal quotidiano Bild e rilanciata da tutta la stampa tedesca, non è stata smentita dal governo di Berlino.

Molti politici tedeschi, soprattutto i leader della Sinistra e dei Verdi chiedevano da mesi di bloccare l’esportazione di armi verso l’Arabia Saudita, ritenuta responsabile – insieme al Qatar – della destabilizzazione della regione per via del suo sostegno ai jihadisti dell’Isis. Indiziato numero uno è l’ex capo dei servizi segreti di Riyad, oggi capo del Consiglio di sicurezza nazionale saudita: il principe Bandar bin Sultan ex ambasciatore a Washington e grande amico della famiglia Bush. Lui, insieme a quella potente lobby saudita che – come denunciava segretamente Hillary Clinton anni fa – rappresenta la principale fonte di finanziamento del terrorismo globale, Al Qaeda compresa, e che avrebbe giocato un ruolo anche negli attentai dell’11 settembre.

A queste preoccupazioni si sono aggiunte recentemente – dopo la fustigazione per apostasia del blogger Raif Badawi – quelle dei partiti tedeschi di maggioranza, Spd e Cdu, riguardo alle sempre più gravi violazioni dei diritti umani commesse nel paese arabo. L’autoritaria monarchia saudita, infatti, ha in comune con i jihadisti dell’Isis l’ideologia integralista salafita di matrice wahhabita – la più rigida interpretazione dell’Islam sunnita, originata in Arabia e abbracciata dalla dinastia Saud fin dalla sua fondazione nel 1744 – e quindi la medesima inflessibile applicazione della Sharìa, la legge islamica, e delle relative pene: dalla fustigazione alla lapidazione, dall’amputazione degli arti alla decapitazione. La decapitazione – come denunciato da Amnesty International – è il metodo prevalente di esecuzione capitale in questo paese, dove si registrano decine di esecuzioni ogni anno, 2mila negli ultimi trent’anni. Spesso la decapitazione del condannato avviene in pubblico e il corpo senza testa viene lasciato esposto in pazza come monito.

L’Arabia Saudita è uno dei principali clienti dell’industria militare tedesca: le esportazioni di armi “made in Germany” autorizzate nel 2013 ammontavano a 360 milioni di euro. Per per l’Italia Riyad rappresenta addirittura il principale cliente della nostra industria militare, con quasi 300 milioni di euro di esportazioni autorizzate nel 2013, corrispondente al 14% del totale. La decisione tedesca, se confermata, dovrebbe indurre anche il nostro governo a riconsiderare l’opportunità di vendere armi a un paese come l’Arabia Saudita che, oltre ai gravi sospetti di cui sopra, viola la legislazione italiana (legge 185/90) che vieta di esportare armamenti verso regimi che non rispettano i diritti umani.

Un ripensamento anche in Italia delle esportazioni militari verso regimi come l’Arabia Saudita richiederebbe, però, secondo le associazioni che il Parlamento tornasse a svolgere la sua funzione di controllo sull’export bellico nazionale, funzione cui deputati e sanatori hanno abdicato da due legislature. Come da tempo denuncia la Rete Italiana Disarmo “è dal 2008 che le commissioni parlamentari non prendono in esame le relazioni annuali del governo su questa materia, che ha inevitabili implicazioni sulla politica estera e di difesa del nostro paese”. La prossima relazione annuale è attesa entro fine marzo.

di  | 29 gennaio 2015