Germania appoggia con favore intervento russo in Siria

© flickr.com/ Führungsakademie der Bundeswehr

16:17 28.09.2015

Fondamentale per la Germania il contributo di Mosca, oltre a quello di Teheran, nella lotta all’Isis nella regione mediorientale. La Germania auspica anche un dialogo politico con Assad.

Il ministro della Difesa tedesco Ursula von der Leyen ha accolto favorevolmente la partecipazione della Russia alla risoluzione del conflitto in Siria.

“Ritengo positivo il fatto che la Russia voglia combattere contro le milizie jihadiste dello Stato Islamico e dare il suo contributo per la ricerca di una soluzione sostenibile al conflitto”, ha dichiarato il ministro tedesco in un’intervista concessa al quotidiano tedesco “Westdeutsche Allgemeine Zeitung”.

“Abbiamo bisogno di tutti per riportare la pace in quella regione”, ha aggiunto von der Leyen, secondo cui “una soluzione a lungo termine ci può essere solo con le potenze che hanno influenza in quella regione, tra cui si contano sicuramente la Turchia, l’Arabia Saudita ma anche la Russia e l’Iran”.

Il ministro Von der Leyen sostiene inoltre la proposta della cancelliera tedesca Angela Merkel di avviare colloqui diretti con il dittatore siriano Bashar al-Assad:

“Assad non può fare parte di una soluzione a lungo termine, ma se vogliamo mettere fine a questo conflitto, dobbiamo confrontarci con tutte le forze”, ha concluso il ministro. 

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20150928/1250745.html#ixzz3n9qAe8sg

I raid francesi in Siria sono una risposta alla Russia

© AP Photo/ Vadim Ghirda28.09.2015

Gli attacchi aerei della Francia sulle posizioni dei combattenti di ISIS in Siria a scopo “difensivo” non sono stati concordati con le autorità siriane. Lo spiega in esclusiva a Sputnik Hussein Rageb, membro del Parlamento siriano e della commissione per le relazioni internazionali:

-Come si può valutare l’operazione militare delle forze aeree francesi contro ISIS?

— I raid aerei sono una violazione di tutti i punti del diritto internazionale. È un altro intervento in uno stato sovrano. Ogni attacco aereo senza l’autorizzazione di Damasco sarà considerato illegale.

 -La Francia ha attaccato ISIS mente Vladimir Putin ha chiamato l’Occidente alla cooperazione con le autorità ufficiali siriane nel quadro dell’operazione contro ISIS. È una risposta dell’Occidente al presidente russo?

— Molto probabilmente la Francia risponde così al governo russo, in particolare dopo che a Baghdad è stato firmato l’accordo per istituire un centro della coordinazione contro ISIS (Russia-Siria-Iraq-Iran).

Mentre molti Paesi occidentali cambiano in modo cardinale le loro posizioni nei confronti delle trattative con le autorità siriane, la Francia continua a comunicare con la Siria tramite i cosidetti “cenni” politici. Aspettiamo dalla Francia le scuse per la sua attività e chiediamo che tutti riconoscano Damasco la forza centrale nella lotta internazionale contro ISIS, “Jabhat al-Nusra” e gli altri.

 -Cosa ne pensa, l’Occidente introdurrà contromisure in risposta all’istituzione del centro della coordinazione contro ISIS?

— Se l’Occidente non comincia al più corto una vera guerra contro ISIS e se non comincia ad aiutare il governo siriano nella lotta contro ISIS, vedremo come ISIS e “Jabhat al-Nusra” si diffonderanno nei loro Paesi.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20150928/1251072.html#ixzz3n9ps2cKX

Putin: “Caro Obama, il tuo modello non è l’unico possibile”

Ma che coincidenza, le parole di Obama sono le stesse della cantilena guerrafondaia ripetuta come mantra dai media mainstream e società civile…

29 settembre 2015

2014-03-26-9240864824_1525d5116d_o

New York, 29 sett – Al Palazzo di Vetro è in corso la 70esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite che vedrà, sino a sabato 3 ottobre, gli interventi di tutti i capi di stato delle nazioni aderenti.

Nel pomeriggio di ieri, ora italiana, è toccato al Presidente degli Stati Uniti Obama, intervenuto subito dopo l’apertura della sessione da parte del Segretario Generale Ban Ki-Moon, del Presidente dell’Assemblea Generale Lykketoft e del primo intervento del Presidente del Brasile Dilma Rousseff. In seguito, dopo, Polonia, Cina e Giordania, il discorso del Presidente della Federazione Russa, Putin.

L’evento, che è visibile in diretta streaming sul sito ufficiale dell’Onu, vedrà alternarsi tutti i capi di Stato e di governo nel corso di questa settimana.
Sicuramente i più attesi sono stati gli interventi di Obama e Putin, che sostanzialmente hanno toccato quasi gli stessi argomenti anche se in tono decisamente diverso: molto prolisso e retorico quello di Obama, più conciso e concreto quello del presidente della Federazione Russa.

Obama in particolare nella sua introduzione riferisce come l’Onu sia stata fondamentale per mantenere la pace in questi 70 anni, nonostante le varie crisi globali, e che la democrazia è un principio che fa da baluardo contro l’avvento di un possibile terzo conflitto mondiale. Concetto, quello della democrazia, che ricorrerà più volte nel corso del suo lungo discorso che ha toccato diversi argomenti di attualità geopolitica.
Oltre ad un velato, ma non troppo, riferimento a Russia e Cina che secondo il Presidente americano “erodono i principi della democrazia” fa riferimento anche alla situazione europea, dove ci sarebbe “più polarizzazione nelle democrazie tra estrema destra e, a volte, estrema sinistra”. Un chiaro riferimento a quanto avvenuto in Ungheria e Grecia, secondo noi.
Il discorso di Obama prosegue toccando la questione del terrorismo, ma non solo, quando dice che “ci sono minacce che ci riguardano ogni giorno e non esiterò a difendere il mio paese unilateralmente e senza esitazioni” ma sentendosi anche in dovere di fare una sorta di ammenda per quanto avvenuto in Iraq, dicendo che gli Stati Uniti non possono più risolvere da soli i problemi del mondo. Al tempo stesso però, e qui vi è un chiaro riferimento alla Siria e alla Libia, afferma che certa storia recente ha dimostrato che le dittature sono instabili e non durature, e che certi governi sono caduti non per una cospirazione USA ma a causa del progresso della tecnologia dell’informazione e per il fremente desiderio di libertà delle popolazioni.

Chiaramente la questione principale resta quella siriana, dove Obama ancora parla di Bashar al-Assad come di un “dittatore che uccide migliaia di persone portando sofferenza al proprio popolo” e al tempo stesso ammette che quando in quel paese vi sono gruppi terroristi che massacrano la popolazione la questione non è più locale ma diventa globale. Il presidente americano auspica che si possa trovare una soluzione comune al problema siriano, dicendo esplicitamente però che la Siria ha bisogno di un altro leader, perché “ricordiamo come partì (la guerra in Siria n.d.r.): una parte reagì a proteste pacifiche massacrando la popolazione anche con l’uso di armi chimiche e bombardamenti indiscriminati”.

Prima di fare un ulteriore elogio della democrazia (“catastrofi come quella siriana non succedono dove c’è democrazia”) e del capitalismo che viene ritenuto essere dal presidente degli Stati Uniti come la più grande opportunità che il mondo abbia mai avuto di prosperare, c’è spazio anche per la questione Crimea quando dice che l’America ha pochi interessi economici in Ucraina, ma che non si può far finta di non vedere quando “l’integrità territoriale di un paese viene violata”; sarebbero proprio queste le motivazioni delle sanzioni alla Russia e non un qualche altro tipo di interesse economico o la volontà di tornare alla Guerra Fredda.
C’è spazio anche per quanto sta accadendo nel Mar Cinese Meridionale ed ancora una volta Obama ribadisce che non è questione di interessi economici, ma gli USA esprimono la volontà di voler vedere garantite le leggi internazionali ed il libero commercio incoraggiando la Cina a risolvere le differenze pacificamente.

Di ben altro tenore il discorso di Putin

Dopo una rapida introduzione sulle peculiarità dell’Onu, sottolineando come sia nata grazie alla conferenza di Yalta, afferma che dalla fine della Guerra Fredda il mondo è cambiato e sta cambiando e che è emersa una singola “realtà”, ma che la Russia è pronta a lavorare con gli altri partner nazionali sebbene consideri le legittimazioni di alcuni Stati come un pericolo, arrivando a definire il mondo come “governato dall’egoismo” qualora ci si arrendesse a certe rivendicazioni.

Fa da contraltare all’apologia della democrazia il riferimento di Putin al diritto di ogni nazione di avere la libertà di stabilire il proprio futuro, considerando però le varie diversità che vanno rispettate; in particolare sostiene che “nessuno dovrebbe svilupparsi secondo un unico modello” portando l’esempio di quanto successe nel passato della Russia, quando l’esperimento di esportare il socialismo reale all’estero provocò sofferenze in quelle popolazioni che lo subirono: un monito non molto velato anche per gli esportatori di democrazia.
Il presidente russo, difatti, sostiene che le popolazioni cambieranno modo di governare naturalmente pertanto non occorre intervenire con la forza, in quanto dove si è cercato di cambiare i governi imponendo la democrazia ora vige il caos, e fa riferimento diretto a quanto sta succedendo in Libia e all’Iraq del 2003, quando dopo l’intervento unilaterale americano “la popolazione si è trovata costretta in strada ed è stata reclutata dai terroristi”.

A questo proposito Putin sembra avere ben chiara la soluzione del problema: afferma che il terrorismo si nutre della finanza internazionale così come della vendita del petrolio, pertanto l’unico modo di combatterlo è di affrontarlo faccia a faccia; sostiene che non esistono “ribellioni moderate” in quei paesi dove si combatte, perché in realtà queste “sono in sintonia con l’Isis”.
“Non è per ambizioni particolari che stiamo agendo in Siria ma per l’interesse comune ed i valori del mondo intero”, continua inoltre il presidente russo, sostenendo nel contempo che occorre creare una coalizione comune contro il terrorismo che aiuti tutte quelle forze legittime che lo stanno combattendo nel mondo. Il riferimento al governo di Assad è abbastanza esplicito.

Sempre in merito alla crisi mediorientale, Putin ritiene che l’unico modo di porre fine alla tragedia delle migrazioni sia quello di fare in modo che queste persone restino nella loro terra aiutando i governi legittimi e ridando un governo in quei paesi dove non c’è più, e qui cita testualmente la Libia.

Non mancano di certo i riferimenti alla crisi ucraina quando dice che occorre rispettare la decisione della popolazione del Donbass e soprattutto che la Nato non ha più ragione di espandersi essendo caduta l’Unione Sovietica per combattere la quale era nata, quindi non essendoci più questa logica di confronto tra i due blocchi questa espansione dovrà fermarsi altrimenti “un giorno o l’altro si arriverà ad un’altra crisi proprio come sta succedendo per l’Ucraina”.

Putin sembra abbia molto più chiara la situazione in medio oriente rispetto a quanto ancora è stato detto davanti al consesso di tutte la nazioni da parte di Obama

Il presidente americano pare abbia compreso solo parzialmente gli errori della politica estera USA, guarda caso solo quelli delle amministrazioni precedenti, commettendone così dei nuovi, e gli esempi della Libia e della Siria sono lì a dimostrarlo. Del resto a fare paura non è il ritorno della Guerra Fredda o il maggiore espansionismo della Cina in estremo oriente, bensì quanto l’America sta facendo spingendo sempre più in un angolo le altre “grandi nazioni” del mondo.

Paolo Mauri

http://www.ilprimatonazionale.it/esteri/putin-obama-onu-31322/

Ponte Stretto, il governo supino agli alfaniani vota sì

812223418_11899475299362302977.jpg

Roma, 29 settembre 2015 – «Smentendo lo stesso ministro delle Infrastrutture Delrio oggi il governo cambia idea e, subendo l’eterna campagna elettorale di Alfano, in Aula ha appena affermato di volerriconsiderare il progetto del Ponte sullo Stretto. Ma come: non era il governo della manutenzione e non delle grandi opere? Del mettere prima in sicurezza? Contrariamente a ogni considerazione razionale e logica ritorna in auge un progetto inutile e dispendioso, voluto dal ministro Alfano che – a questo punto è chiaro – detta l’agenda del governo». È il commento dei deputati delle Commissioni Trasporti e Ambiente della Camera del M5S:

«Il sottosegretario alle infrastrutture De Caro ha pure concesso che faranno una “rigorosa analisi del rapporto costi-benefici”. Una concessione insomma. Noi del M5S diciamo no a un’opera inutile: prima di passare lo Stretto e considerare un’opera faraonica come il Ponteun’infrastruttura ferroviaria, bisognerebbe poterci arrivare in sicurezza, a Reggio Calabria, e viaggiare con altrettanto sicurezza in Sicilia. Dove ci sono strade che crollano, ponti che si sbriciolano, e treni regionali inesistenti. Oggi il ministro Delrio è all’Ansaldo in Sicilia. Vedremo se avrà il coraggio di spiegare questa inversione di rotta ai cittadini siciliani per i quali spostarsi all’interno della loro stessa regione è un incubo quotidiano».

La marijuana fa dimagrire e allontana il diabete

http://www.today.it/donna/uno-studio-rivela-la-marijuana-fa-dimagrire.html

E’ stato pubblicato uno studio secondo cui la marijuana migliora la funzione insulinica, previene il diabete e aiuta a restare in linea

Donatella Polito 20 Maggio 2013

Fumare fa male, malissimo. I rischi a cui i viziosi di tabacco e cannabinoidi si espongono ad ogni boccata sono arcinoti, ma, ciononostante, gli indefessi affezionati di ‘bionde’ e canne continuano a persistere nel capriccio, seppur ghettizzati tra quei poveri irresponsabili che non tengono alla loro salute.  

Ma adesso arriva lo studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica statunitense The American Journal of Medicine e realizzato dagli esperti di alcune prestigione istituzioni di ricerca statunitensi a dare lustro alla nomea riprovevole del mondo delle droghe cosiddette ‘leggere’, studio che rivela come la marijuana migliorerebbe la funzione insulinica, preverrebbe il diabete e aiuterebbe a restare in linea.

Fino ad ora le ricerche avevano confermato che i consumatori abituali di spinelli introducono in media 600 calorie al giorno in più rispetto alla media, a causa del noto fenomeno della ‘fame chimica’ che si manifesta dopo aver fumato. Eppure, la ricerca ha evidenziato che tendenzialmente i fumatori di marijuana sono più magri e che gli spinelli di ‘erba’, per un motivo non ancora chiaro, li proteggerebbero dal rischio obesità. Dal confronto tra fumatori abituali e non è emerso, infatti, che a parità di età e attività sportiva, i fumatori abituali di cannabis sono sempre più magri di chi avversa il fumo e hanno un girovita più piccolo. Inoltre, hanno livelli maggiori di colesterolo buono e un miglior controllo dello zucchero nel sangue, segno che per qualche ragione l’erba’ migliora la funzione insulinica.

E’ presto, precisano gli studiosi, per sostenere che la marijuana possa essere usata come rimedio contro obesità e diabete, ma sicuramente capire i meccanismi di base può suggerire nuove vie terapeutiche per questi problemi.
Intanto, coloro che vogliono tornare presto in forma per la ‘prova costume’ e che ogni tanto non rinunciano a un tiro di canna si fregano le mani….

Panico Germania: Volkswagen? No, peggio: Deutsche Bank

http://www.libreidee.org/2015/09/panico-germania-volkswagen-no-peggio-deutsche-bank/

Scritto il 29/9/15 •

Perché proprio adesso esplode lo scandalo della Volkswagen? La truffa sulle emissioni “pulite” delle auto è destinata a ferire l’orgoglio teutonico, affondando il mito dell’onestà del suo capitalismo. Perché la verità emerge solo ora? Se lo domandano in molti, specie quelli che ricordano anche i record meno presentabili della Germania: come la precarizzazione del lavoro varata già nel 2002 dal socialdemocratico Gerhard Schroeder e ispirata da Peter Hartz, il super-manager Volkswagen poi condannato per aver corrotto sindacalisti, inducendoli ad accettare condizioni sfavorevoli per gli operai. Riforma-simbolo, da cui nasce la flessibilizzazione dell’impiego in Europa, simboleggiata in Italia dal Jobs Act di Renzi. Allarme Berlino: un gigante dai piedi d’argilla, avverte il sociologo Luciano Gallino, che segnala l’esistenza in Germania dei salari più bassi d’Europa, i mini-job da 450 euro al mese con cui vive un tedesco su quattro. Colpa di uneconomia interamente votata all’insana frenesia dell’export, spiega Paolo Barnard. L’export deprime i consumi interni e prima o poi la situazione precipita: «Si vede dalla Luna il buco della Deutsche Bank, la banca più fallita del mondo: 70.000 miliardi di debiti».
Se n’è accorto anche un analista internazionale come Michael Snyder: «In Germania sta forse per accadere qualcosa che scuoterà il mondo intero?». Le avvisaglie dell’estrema fragilità tedesca, a livello politico, si sono appena manifestate con lo spietato trattamento riservato alla Grecia per volere dell’oligarchia finanziaria: attraverso maschere come quella di Wolfgang Schaeuble, ad Atene è stato inflitto il massimo rigore, dopo aver depistato l’opinione pubblica tedesca raccontando la fiaba dei greci “cicale”, da punire per il presunto “eccesso di debito”. Una versione lontana anni luce dalla verità: il “problema” greco ammonta a 30 miliardi di euro, cifra irrisoria per i bilanci Ue. Eppure, sulla condanna del popolo ellenico si è completamente appiattito il corpo sociale tedesco, rivelatosi insensibile alle inaudite sofferenze inferte a vecchi e bambini a causa dei sanguinosi tagli al welfare: salari, pensioni, sanità, protezioni sociali. Uno scandalo mondiale, denunciato anche in sede Onu: in Grecia non ci sono più cure né farmaci, i minori sono denutriti, ad Atene dilaga l’Hiv per mancanza di siringhe. E sono ricomparse malattie che si credevano archiviate dalla storia dell’Occidente. Eppure, la Merkel ha dovuto fronteggiare l’ala destra del Parlamento, che pretendeva per i greci una fine ancora peggiore.
Sottoposta alla pressione migratoria dei profughi alle frontiere e strattonata dagliUsaper le sanzioni alla Russia in seguito alla drammatica crisi in Ucraina, scatenata dall’intelligence statunitense con manovalanza locale neonazista, la Germania ora scricchiola. Si sveglierà bruscamente dal sogno della “locomotiva europea” tutta lavoro e rigore? «Secondo alcune informazioni riservate di cui sono venuto a conoscenza – scrive Michael Snyder in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – sarebbe davvero imminente un grande evento finanziario che riguarda la Germania». In altre parole, «uno di quei momenti del tempo che presenta tutte le condizioni perché si ripeta un’altra Lehman Brothers». Certo, «la gran parte degli osservatori tende a considerare la Germania come quel baluardo che tiene economicamente insieme tutta l’Europa, ma la verità è che sotto la sua superficie fermentano grosse difficoltà». L’indice azionario tedesco Dax è crollato quasi del 20% dal massimo storico raggiunto lo scorso aprile, e sono numerosi i segni di agitazione all’interno della maggiore banca tedesca. E, proprio come la Lehman, anche la Deutsche Bank fa parte di quelle banche “troppo grandi per fallire”, che non crollano mai da un giorno all’altro. «Ma la verità è che ci sono sempre dei segni premonitori».
Nei primi mesi del 2014, le azioni di Deutsche Bank sono state scambiate a più di 50 dollari. Da quel momento, scrive Snyder, il valore è caduto di oltre il 40% e oggi si scambiano a meno di 29 dollari. Attenzione: «E’ ben nota la natura profondamente corrotta della cultura aziendale della Deutsche Bank, e negli ultimi anni la banca è stata estremamente imprudente». Prima del “crollo improvviso” di Lehman Brothers il 15 settembre 2008, sulla stampa c’erano state notizie di licenziamenti di massa nell’azienda: «Quando le grandi banche iniziano a trovarsi in guai seri, questo è quello che fanno: cominciano a sbarazzarsi del personale. Ecco perché sono così preoccupanti i massicci tagli di posti di lavoro che la Deutsche Bank ha appena annunciato». Nel mirino ci sono 23.000 dipendenti, cioè circa un quarto di tutto il personale, secondo il piano dell’amministratore delegato John Cryan. Inoltre, negli ultimi tre anni la banca ha dovuto sborsare qualcosa come 9 miliardi di dollari per contenziosi legali, ed è così diventata «una sorta di manifesto di cultura aziendale corrotta».
Nel mirino, anche «scambi irregolari di titoli ipotecari scadenti – sapientemente confezionati – intervenuti tra varie banche prima della crisi finanziaria». Jp Morgan, Bank of America e Citigroup, scrive Snyder, riuscirono ad effettuare queste operazioni quando la vigilanza era allentata. Oggi però il ministro della giustizia del governo Obama, Loretta Lynch, sarebbe «ben determinata a occuparsi seriamente» delle malefatte dei massimi colossi bancari, come Barclays, Credit Suisse, Hsbc, Royal Bank of Scotland, Ubs e Wells Fargo, inclusa ovviamente anche Deutsche Bank. «Naturalmente – continua Snyder – i problemi legali sono solo la punta dell’iceberg di tutto quello che è successo alla Deutsche Bank nel corso degli ultimi due anni». Già nella primavera 2014, la banca è stata costretta ad incrementare di 1,5 miliardi il Tier (capitale azionario e riserve di bilancio). Perché? Un mese più tardi, maggio 2014, è continuata la corsa alla liquidità, con la banca che annunciava la vendita di 8 miliardi di euro di titoli con uno sconto del 30%. «E ancora una volta: perché? Questa mossa ha messo la pulce nell’orecchio ai mezzi di stampa finanziaria. L’immagine esteriore, calma, della Deutsche Bank non rispecchiava i suoi sforzi concitati nell’aumentare la sua liquidità. Dietro doveva esserci per forza qualcosa di marcio».
A marzo di quest’anno, la banca ha fallito gli stress-test della Bce, ricevendo «una severa intimazione a controllare la struttura del suo capitale». Ad aprile, Deutsche Bank ha confermato il suo accordo congiunto con Usa e Regno Unito sulla manipolazione del Libor, il tasso interbancario di riferimento per i mercati finanziari (tasso variabile, calcolato giornalmente, per cedere a prestito depositi in sterline, dollari, franchi svizzeri ed euro da parte delle principali banche operanti sul mercato interbancario londinese). Sul colosso tedesco incombe poi un enorme pagamento, oltre 2 miliardi di dollari, da versare al Dipartimento di Giustizia degli Usa, «comunque una bazzecola rispetto ai suoi guadagni illeciti». Negli ultimi mesi la situazione è precipitata: a maggio, il Cda ha conferito poteri speciali ad uno degli amministratori, Anshu Jain. Il 5 giugno, quando la Grecia non è riuscita a pagare il Fmi, le ripercussioni sono arrivare anche alla Deutsche Bank. E il 6/7 giugno i due Ceo della banca tedesca hanno annunciato entrambi le loro dimissioni, appena un mese dopo dal conferimento dei nuovi poteri (Anshu Jain lascerà per primo, alla fine di giugno; Jürgen Fitschen nel maggio 2016).
Non è finita: il 9 giugno “Standard & Poor’s” ha ridotto il rating della Deutsche a BBB+, cioè «solo tre posizioni al di sopra del livello “spazzatura”», addirittura sotto il livello di rating che aveva Lehman Brothers poco prima del suo crollo. «Quello che ha reso le cose ancora peggiori è stato l’incauto comportamento della Deutsche Bank», scrive Snyder. «A un certo punto, si è potuta stimare un’esposizione in derivati da parte della Banca di ben 75 trilioni di dollari. Da tener presente che il Pil tedesco di un anno intero è di solo 4 trilioni di dollari. Così, quando alla fine anche la Deutsche Bank crollerà, né in Europa e né in qualsiasi altro luogo del mondo ci saranno abbastanza soldi per poter ripulire il pasticcio». Snyder le chiama “armi di distruzione finanziaria di massa”. «Se la Deutsche Bank dovesse fallire completamente, sarebbe un disastro finanziario peggiore di quello di Lehman Brothers: sarebbe come abbattere letteralmente l’intero sistema finanziario europeo e provocare a livello globale un panico finanziario mai visto prima d’ora». A quel punto, chiosa l’analista, «sarà meglio avere quel denaro con sé piuttosto che tenerlo in banca». Snyder teme che la calma apparente sia destinata a finire presto: «Credo che il resto del 2015 sarà estremamente caotico e accadranno cose piuttosto gravi, cose che nessuno avrebbe potuto oggi immaginare. Nei giorni che vengono, invito tutti a seguire attentamente sia la Germania che il Giappone. Stanno per accadere cose grosse, e milioni di increduli ne resteranno spiazzati».

Perché proprio adesso esplode lo scandalo della Volkswagen? La truffa sulle emissioni “pulite” delle auto è destinata a ferire l’orgoglio teutonico, affondando il mito dell’onestà del suo capitalismo. Perché la verità emerge solo ora? Se lo domandano in molti, specie quelli che ricordano anche i record meno presentabili della Germania: come la precarizzazione del lavoro varata già nel 2002 dal socialdemocratico Gerhard Schroeder e ispirata da Peter Hartz, il super-manager Volkswagen poi condannato per aver corrotto sindacalisti, inducendoli ad accettare condizioni sfavorevoli per gli operai. Riforma-simbolo, da cui nasce la flessibilizzazione dell’impiego in Europa, simboleggiata in Italia dal Jobs Act di Renzi. Allarme Berlino: un gigante dai piedi d’argilla, avverte il sociologo Luciano Gallino, che segnala l’esistenza in Germania dei salari più bassi d’Europa, i mini-job da 450 euro al mese con cui vive un tedesco su quattro. Colpa di un’economia interamente votata all’insana frenesia dell’export, spiega Paolo Barnard. L’export deprime i consumi interni e prima o poi la situazione precipita: «Si vede dalla Luna il buco della Deutsche Bank, la banca più fallita del mondo: 70.000 miliardi di debiti».

Angela Merkel

Se n’è accorto anche un analista internazionale come Michael Snyder: «In Germania sta forse per accadere qualcosa che scuoterà il mondo intero?». Le avvisaglie dell’estrema fragilità tedesca, a livello politico, si sono appena manifestate con lo spietato trattamento riservato alla Grecia per volere dell’oligarchia finanziaria: attraverso maschere come quella di Wolfgang Schaeuble, ad Atene è stato inflitto il massimo rigore, dopo aver depistato l’opinione pubblica tedesca raccontando la fiaba dei greci “cicale”, da punire per il presunto “eccesso di debito”. Una versione lontana anni luce dalla verità: il “problema” greco ammonta a 30 miliardi di euro, cifra irrisoria per i bilanci Ue. Eppure, sulla condanna del popolo ellenico si è completamente appiattito il corpo sociale tedesco, rivelatosi insensibile alle inaudite sofferenze inferte a vecchi e bambini a causa dei sanguinosi tagli al welfare: salari, pensioni, sanità, protezioni sociali. Uno scandalo mondiale, denunciato anche in sede Onu: in Grecia non ci sono più cure né farmaci, i minori sono denutriti, ad Atene dilaga l’Hiv per mancanza di siringhe. E sono ricomparse malattie che si credevano archiviate dalla storia dell’Occidente. Eppure, la Merkel ha dovuto fronteggiare l’ala destra del Parlamento, che pretendeva per i greci una fine ancora peggiore.

Sottoposta alla pressione migratoria dei profughi alle frontiere e strattonata dagli Usa per le sanzioni alla Russia in seguito alla drammatica crisi in Ucraina, scatenata dall’intelligence statunitense con manovalanza locale neonazista, la Germania ora scricchiola. Si sveglierà bruscamente dal sogno della “locomotiva europea” tutta lavoro e rigore? «Secondo alcune informazioni riservate di cui sono venuto a conoscenza – scrive Michael Snyder in un post tradotto da “Come Don Chisciotte” – sarebbe davvero imminente un grande evento finanziario che riguarda la Germania». In altre parole, «uno di quei momenti del tempo che presenta tutte le condizioni perché si ripeta un’altra Lehman Brothers». Certo, «la gran parte degli osservatori tende a considerare la Germania come quel baluardo che tiene economicamente insieme tutta l’Europa, ma la verità è che sotto la sua superficie fermentano grosse difficoltà». L’indice azionario tedesco Dax è crollato quasi del 20% dal massimo storico raggiunto lo scorso aprile, e sono numerosi i segni di agitazione all’interno della maggiore banca tedesca. E, proprio come la Lehman, anche la Deutsche Bank fa parte di quelle banche “troppo grandi per fallire”, che non crollano mai da un giorno all’altro. «Ma la verità è che ci sono sempre dei segni premonitori».

Il crack della Lehman

Nei primi mesi del 2014, le azioni di Deutsche Bank sono state scambiate a più di 50 dollari. Da quel momento, scrive Snyder, il valore è caduto di oltre il 40% e oggi si scambiano a meno di 29 dollari. Attenzione: «E’ ben nota la natura profondamente corrotta della cultura aziendale della Deutsche Bank, e negli ultimi anni la banca è stata estremamente imprudente». Prima del “crollo improvviso” di Lehman Brothers il 15 settembre 2008, sulla stampa c’erano state notizie di licenziamenti di massa nell’azienda: «Quando le grandi banche iniziano a trovarsi in guai seri, questo è quello che fanno: cominciano a sbarazzarsi del personale. Ecco perché sono così preoccupanti i massicci tagli di posti di lavoro che la Deutsche Bank ha appena annunciato». Nel mirino ci sono 23.000 dipendenti, cioè circa un quarto di tutto il personale, secondo il piano dell’amministratore delegato John Cryan. Inoltre, negli ultimi tre anni la banca ha dovuto sborsare qualcosa come 9 miliardi di dollari per contenziosi legali, ed è così diventata «una sorta di manifesto di cultura aziendale corrotta».

Nel mirino, anche «scambi irregolari di titoli ipotecari scadenti – sapientemente confezionati – intervenuti tra varie banche prima della crisi finanziaria». Jp Morgan, Bank of America e Citigroup, scrive Snyder, riuscirono ad effettuare queste operazioni quando la vigilanza era allentata. Oggi però il ministro della giustizia del governo Obama, Loretta Lynch, sarebbe «ben determinata a occuparsi seriamente» delle malefatte dei massimi colossi bancari, come Barclays, Credit Suisse, Hsbc, Royal Bank of Scotland, Ubs e Wells Fargo, inclusa ovviamente anche Deutsche Bank. «Naturalmente – continua Snyder – i problemi legali sono solo la punta dell’iceberg di tutto quello che è successo alla Deutsche Bank nel corso degli ultimi due anni». Già nella primavera 2014, la banca è stata costretta ad incrementare di 1,5 miliardi il Tier (capitale azionario e riserve di bilancio). Perché? Un mese più tardi, maggio 2014, è continuata la corsa alla liquidità, con la banca che annunciava la vendita di 8 miliardi di euro di titoli con uno sconto del 30%. «E ancora una volta: perché? Questa mossa ha messo la pulce nell’orecchio ai mezzi di stampa finanziaria. L’immagine esteriore, calma, della Deutsche Bank non rispecchiava i suoi sforzi concitati nell’aumentare la sua liquidità. Dietro doveva esserci per forza qualcosa di marcio».

Anshu Jain

A marzo di quest’anno, la banca ha fallito gli stress-test della Bce, ricevendo «una severa intimazione a controllare la struttura del suo capitale». Ad aprile, Deutsche Bank ha confermato il suo accordo congiunto con Usa e Regno Unito sulla manipolazione del Libor, il tasso interbancario di riferimento per i mercati finanziari (tasso variabile, calcolato giornalmente, per cedere a prestito depositi in sterline, dollari, franchi svizzeri ed euro da parte delle principali banche operanti sul mercato interbancario londinese). Sul colosso tedesco incombe poi un enorme pagamento, oltre 2 miliardi di dollari, da versare al Dipartimento di Giustizia degli Usa, «comunque una bazzecola rispetto ai suoi guadagni illeciti». Negli ultimi mesi la situazione è precipitata: a maggio, il Cda ha conferito poteri speciali ad uno degli amministratori, Anshu Jain. Il 5 giugno, quando la Grecia non è riuscita a pagare il Fmi, leripercussioni sono arrivare anche alla Deutsche Bank. E il 6/7 giugno i due Ceo della banca tedesca hanno annunciato entrambi le loro dimissioni, appena un mese dopo dal conferimento dei nuovi poteri (Anshu Jain lascerà per primo, alla fine di giugno; Jürgen Fitschen nel maggio 2016).

Jürgen Fitschen

Non è finita: il 9 giugno “Standard & Poor’s” ha ridotto il rating della Deutsche a BBB+, cioè «solo tre posizioni al di sopra del livello “spazzatura”», addirittura sotto il livello di rating che aveva Lehman Brothers poco prima del suo crollo. «Quello che ha reso le cose ancora peggiori è stato l’incauto comportamento della Deutsche Bank», scrive Snyder. «A un certo punto, si è potuta stimare un’esposizione in derivati da parte della Banca di ben 75 trilioni di dollari. Da tener presente che il Pil tedesco di un anno intero è di solo 4 trilioni di dollari. Così, quando alla fine anche la Deutsche Bank crollerà, né in Europa e né in qualsiasi altro luogo del mondo ci saranno abbastanza soldi per poter ripulire il pasticcio». Snyder le chiama “armi di distruzione finanziaria di massa”. «Se la Deutsche Bank dovesse fallire completamente, sarebbe un disastro finanziario peggiore di quello di Lehman Brothers: sarebbe come abbattere letteralmente l’intero sistema finanziario europeo e provocare a livello globale un panico finanziario mai visto prima d’ora». A quel punto, chiosa l’analista, «sarà meglio avere quel denaro con sé piuttosto che tenerlo in banca». Snyder teme che la calma apparente sia destinata a finire presto: «Credo che il resto del 2015 sarà estremamente caotico e accadranno cose piuttosto gravi, cose che nessuno avrebbe potuto oggi immaginare. Nei giorni che vengono, invito tutti a seguire attentamente sia la Germania che il Giappone. Stanno per accadere cose grosse, e milioni di increduli ne resteranno spiazzati».

Yemen, raid saudita fa strage a matrimonio: 130 vittime

Putin non va bene, Assad, men che mai. Ma quanto piace alla società civile LA MONARCHIA SAUDITA CHE ESEGUE RAID SULLO YEMEN STERMINANDO GENTE??

Gli yemeniti per la società antirazzista sono di una specie inferiore?!?!?!??!??!?! L’Onu poteva risparmiarsi le parole ipocrite e di facciata, trasudano squallore a tonnellate

17:29 29.09.2015

Aerei della coalizione guidata dall’Arabia bombardano il sud ovest dello Yemen, colpendo tra gli altri un banchetto nuziale.

Il portavoce dell’agenzia per i diritti umani dell’ONU, Rupert Colville,  ha reso noto oggi che almeno 130 persone hanno perso la vita a causa di un raid aereo portato nella zona sud ovest dello Yemen, nella città di Mokha, dai caccia della coalizione araba che sta colpendo da mesi nella regione.

“Se i numeri sono così alti — ha affermato Colville — questo potrebbe essere il più sanguinoso incidente dall’inizio del conflitto”.

L’ufficio dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha fatto sapere in queste ore che sono 2.335 i civili uccisi in Yemen dallo scorso 26 marzo, giorno in cui gli aerei della coalizione guidata dall’Arabia Saudita hanno iniziato le operazioni militari nel Paese, dilaniato al pari di altre realtà mediorientali dallo scontro tra sciiti e sunniti.

Inoltre, ha affermato oggi Colville, l’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani ha già inoltrato richiesta formale alla coalizione guidata da Riad ed al governo yemenita per consentire indagini “imparziali ed indipendenti” nel Paese. 

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/mondo/20150929/1260570.html#ixzz3n9nVC334

Siria, per Ue Assad non potrà partecipare al nuovo governo

Ma non era l’Isis il problema?!?!?!?!?!?! La Ue non dice niente sui bombardamenti??

28.09.2015

Bruxelles guarda avanti. Una portavoce della Mogherini spiega che l’Ue non è impegnata militarmente ma sostiene gli sforzi per una soluzione politica.

Visto il ruolo giocato da Assad nella guerra civile in Siria “è impossibile che faccia parte della futura governance del Paese”, ma “ciò non vuol dire che rappresentanti del regime non possano sedersi al tavolo dei negoziati”.

Lo ha affermato oggi una portavoce dell’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione Europea, Federica Mogherini, ribadendo il sostegno dell’Ue nei confronti delle iniziative delle Nazioni Unite per trovare una soluzione alla crisi.

“Siamo impegnati a sostenere tutti gli sforzi per arrivare a una soluzione politica al conflitto”, ha spiegato la portavoce, spiegando inoltre che l’Ue non gioca nessun ruolo militare nella lotta contro lo Stato islamico.

La notizia giunge mentre il primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, ribadisce la posizione di Ankara sulla questione siriana parlando a New York a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni unite. Per la Turchia il presidente siriano Bashar al Assad non deve essere compreso nei colloqui internazionale di pace. La posizione di Ankara è sempre stata netta sulla caduta di Assad.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/politica/20150928/1249335.html#ixzz3n9mOlYJ7

Per la Russia i raid aerei della Francia in Siria violano il diritto internazionale

La cosa grave che lo sia solo per la Russia del “sanguinario” dittatore. Pronto soc civile contro la guerra?! Impegnata a fare propaganda per conto del dop di stato Usa

27.09.2015(aggiornato 01:36 28.09.2015)

In precedenza Parigi aveva dichiarato che gli attacchi aerei sulle posizioni dei combattenti di ISIS in Siria erano “difensivi”. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, azioni simili, senza il via libera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’autorizzazione di Damasco, violano il diritto internazionale.

In precedenza Parigi aveva dichiarato che gli attacchi aerei sulle posizioni dei combattenti di ISIS in Siria erano “difensivi”. Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, azioni simili, senza il via libera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’autorizzazione di Damasco, violano il diritto internazionale.

I raid aerei sulle posizioni dei fondamentalisti dello “Stato Islamico” in Siria senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e senza il consenso di Damasco sono una violazione del diritto internazionale, ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.

“Mi piacerebbe sapere di più sul concetto di autodifesa, sotto forma di attacchi aerei su uno Stato sovrano senza alcuna autorizzazione, ovvero al di fuori del diritto internazionale. Che fenomeni: il referendum in Crimea è un’annessione, mentre gli attacchi senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e il via libera del governo legittimo sono una questione di autodifesa”, — ha scritto la portavoce del ministero degli Esteri russo sulla sua pagina Facebook.

“Su quali basi agite sul territorio di uno Stato sovrano, bypassando il governo legittimo, che non appoggia ISIS e lotta strenuamente contro di loro?” — ha scritto la Zakharova.

A suo avviso, “non è diritto internazionale, ma si tratta di una violazione sotto il naso della comunità internazionale”.

Leggi tutto: http://it.sputniknews.com/politica/20150927/1242710.html#ixzz3n9kWpT4B

Scandalo Volkswagen: chi ne trae davvero vantaggio?

Tanto noi dobbiamo solo ripetere in coro tedeschi cattivi, vietato pensare ci sia ben altro dietro, complottismo, che brutta malattia no?

il 28 settembre 2015

Winterkorn-Marchionne

L’ex Ad di Volkswagen, Martin Winterkorn (sinistra) con l’Ad di Fiat Chrysler Sergio Marchionne (destra)

Detroit, 28 set – Che Sergio Marchionne, manager italo-canadese di 63 anni, sia un visionario di straordinario successo è difficile negarlo, essendo riuscito a un tempo a salvare la Chrysler, a fonderla con la Fiat e a portare la risultante FCA, costituita nel 2014, verso un’internazionalizzazione impensabile fino a pochi anni fa.

Tanto che tra le grandi case la FCA è l’unica ad essere cresciuta a Wall Street nel 2015 – di circa il 15% a oggi, ma era arrivata a salire di oltre il 40% la scorsa primavera – mentre la General Motors (GM) ha perso oltre il 10% e la Volkswagen (VW), sostanzialmente in linea con la FCA fino a metà luglio, ha successivamente imboccato una strada discendente fino al precipizio dell’ultima settimana, lasciando sul terreno oltre il 30% dopo lo scandalo.

Secondo l’agenzia Bloomberg, lo scandalo dei motori diesel VW rappresenta un inatteso impulso alla campagna per le fusioni spinta dall’amministratore delegato di Fiat Crysler Automobiles Sergio Marchionne.

I regolatori negli Stati Uniti e nel mondo, sempre secondo Bloomberg, sono orientati a stringere le misure di controllo dopo che VW ha ammesso di aver manomesso i motori diesel per anni in modo da superare i test d’inquinamento negli Usa, così da provocare un aumento dei costi necessari per sviluppare tecnologie più pulite. Questo potrebbe essere insostenibile da parte delle case automobilistiche, come testimoniato dal fatto che il livello di conflitto già esistente tra il soddisfacimento delle linee guida sulle emissioni e la realizzazione dei livelli di profitto richiesti dagli azionisti è stato sufficiente a indurre VW alla truffa fatale.

FCA-GM-VW_stocks_2015

Indici azionari di Volkswagen (VW), General Motors (GM) e Fiat Chrysler (FCA) da fine 2014

Inevitabilmente, l’affare VW crea le condizioni per un riassetto degli asset industriali che può portare a fusioni tra i costruttori automobilistici una volta che si sarà posata la polvere sollevata dallo scandalo”, ha dichiarato Emanuele Vizzini, alto dirigente di Investitori Sgr a Milano, che gestisce 3,6 miliardi di euro inclusi importanti pacchetti azionari di FCA. “Ci aspettiamo che Fiat assuma un ruolo attivo con l’aiuto del momento positivo del suo business”.

Marchionne ha condotto una crociata per le fusioni almeno da un anno, sostenendo che i costruttori automobilistici buttano via i soldi sviluppando versioni multiple e ripetitive delle stesse tecnologie, tra cui quelle per il controllo delle emissioni e i sistemi di sicurezza, e combinare gli sforzi (cioè, fondendo gli asset) aiuterebbe, spalmando i costi su un maggior numero di veicoli. Finora il suo mantra è stato per lo più ignorato dai colleghi, e in particolare da quelli del partner che in linea di principio è il preferito dal capo operativo di FCA, cioè General Motors. GM, infatti, ha sostenuto di essere abbastanza forte per fare da sola. Oggi, a detta di Bloomberg, questa sicurezza potrebbe essere sul punto di venire meno.

C’è ora chiaramente il rischio che con i regolatori che investigano su tutte le case costruttrici, anche trovandoli tutti conformi [alle regole, ndr], questi potrebbero concludere che l’unico modo per mitigare futuri problemi sia quello di imporre procedure di test più severe”, sostiene Kristina Church, analista londinese di Barclays, potentissima multinazionale finanziaria nota anche come “la corazzata dei Rothschild”, dinastia protagonista assoluta dell’alta finanza a partire dal XVIII secolo. Più che una previsione, pare un… consiglio.

Tanto più che già nell’aprile scorso Marchionne sosteneva, quasi profeticamente, che i costi di produzione delle case automobilistiche sarebbero cresciuti anche a causa della “pressione dei regolatori sulle emissioni”, così che solo la condivisione di tali costi tra case che dovrebbero fondersi avrebbe potuto nuovamente innalzare i “ritorni decrescenti” delle loro attività. Da qual momento, Marchionne si è concentrato sul dossier GM, casa che è grande oltre il doppio rispetto a FCA: i due gruppi condividono la strategia di agire su più marchi e tipologie di produzione, ma soprattutto General Motors appare – per quanto grande sia – una preda relativamente più vulnerabile di altre, mancando di un azionista dominante in grado di difenderla, come invece Ford e Volkswagen (quest’ultima al 20% in mano allo Stato tedesco). L’azionista principale di GM è infatti un trust del sindacato lavoratori automobilistici americano (United Autoworkers labor union), che ne detiene l’8,9%.

marchionne-elkann-FCA-1

John Elkann, prewsidente di FCA (destra) con Sergio Marchionne (sinistra)

La cortina del silenzio dei rappresentanti di FCA, intanto, è stata rotta niente meno che dal presidente della stessa FCA, John Elkann, che con i Rothschild condivide tra l’altro il consiglio di amministrazione, oltre a una nutrita partecipazione azionaria, e complessivamente il controllo, nell’Economist, gigante britannico dell’informazione economico-finanziaria. Il giovane padrone di Fiat-Chrysler è stato pronto a sostenere, giovedì scorso e con il cadavere Volkswagen ancora caldo, che le fusioni sarebbero state necessarie anche se lo scandalo VW non fosse venuto alla luce: “Le motivazioni per un consolidamento [delle proprietà e dei gruppi automobilisti] sono valide e lo rimangono indipendentemente da quello che sta accadendo a VW”, aggiungendo comunque, impietosamente, che l’affare VW è “molto serio”.

Secondo Bloomberg, che cita fonti anonime ma ben informate, Marchionne starebbe alacremente lavorando almeno dallo scorso giugno sull’interesse degli investitori (leggasi: grandi banche d’affari) per accelerare la fusione tra FCA e GM e anche per valutare possibili alternative, menzionando tra queste ultime la stessa Volkswagen, che detiene il più alto budget nel mondo per ricerca e sviluppo (ma che, come si è scritto, presenta la barriera dell’ampia partecipazione dello Stato tedesco).

In conseguenza dello scandalo, tuttavia, VW appare fuori gioco sia come potenziale concorrente nella scalata a GM, sia come potenziale partner di FCA. A sostenerlo, tra gli altri, George Gallier, un analista di Evercore ISI a Londra: “VW è fuori dalla corsa. Se VW non credeva di risolvere i propri problemi negli Usa acquisendo business di FCA nella prima parte di quest’anno, non si vede perché dovrebbero improvvisamente avvertirne la necessità ora”. Evercore ISI è stata fondata nel 1996 negli Stati Uniti e i suoi stretti rapporti con i Rothschild sono noti.

È così che, all’inizio del prossimo anno, dopo che FCA avrà scorporato la sua divisione Ferrari supercar e potrà disporre degli introiti della relativa operazione, proprio quando verosimilmente sull’industria automobilistica saranno calati come una mannaia tutti gli effetti nefasti dello scandalo VW e i relativi consigli di amministrazione si saranno dovutamente ammorbiditi, Marchionne ed Elkann potranno procedere con il loro piano di acquisizioni a partire da GM.

La spinta di Marchionne per le fusion è quanto mai tempestiva”, sostiene Giuseppe Berta, professore all’università Bocconi di Milano e già capo degli archivi Fiat: “[Marchionne] dovrebbe spingere per una fusione con GM subito dopo la separazione della Ferrari per approfittare di una Volkswagen indebolita in modo da guadagnare clienti”.

Insomma, pare che il noto motto “È l’economia, stupido!” detti legge anche questa volta: altro che emissioni di ossidi di azoto. E l’economia che conta ruota sempre intorno ai soliti noti, che possono contare sul multiforme poliziotto-America, di volta in volta sotto la forma militare o di autorità di regolamentazione (e di sanzione), per perseguire i propri scopi. È, questo, anche un pallido assaggio di quello che ci potremo aspettare se e quando – forse prima di quanto si creda – sarà ratificato anche dal Parlamento europeo il trattato di partnership transatlantica (Ttip), una vera e propria delega in bianco in conseguenza del quale qualsiasi residua sovranità economica andrà irrimediabilmente perduta.

Francesco Meneguzzo

http://www.ilprimatonazionale.it/economia/distruzione-creativa-marchionne-elkann-rothschild-dietro-la-scandalo-volkswagen-31253/