Riscaldamento globale: qualcosa non torna

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di Giuliano Garavini 

Il prossimo dicembre si terrà a Parigi una cruciale conferenza mondiale sul clima (COP21). La Francia, in particolare attraverso il suo ministro degli Esteri Laurent Fabius, si sta prodigando in ogni modo per la riuscita dell’evento. L’obiettivo è fermare la crescita delle emissioni nocive (prevalentemente anidride carbonica prodotta dall’utilizzo di combustibili fossili) responsabili del riscaldamento globale, a sua volta considerato la causa di fenomeni catastrofici che si stanno rincorrendo in questi anni: dallo scioglimento dei ghiacciai dell’Artico all’uragano Katrina che ha devastato New Orleans.Il grande consenso politico e mediatico che si sta formando intorno alla riuscita della conferenza di Parigi nasconde però un mare di insidie.

La lotta al riscaldamento globale era cominciata formalmente nel 1992 con il summit della Terra di Rio in occasione del quale è stata firmata la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). Presto i Paesi firmatari della Convenzione realizzarono che i progressi non erano soddisfacenti e nel 1997 la maggior parte di essi firmarono il Protocollo di Kyoto che fissava obiettivi nazionali per la riduzione delle emissioni nocive. Oggi vi sono 195 partecipanti alla Convenzione e 192 firmatari del protocollo di Kyoto. Dopo l’incontro di Copenaghen del 2009 i partecipanti hanno concordato che l’obiettivo prioritario deve essere quello di ridurre le emissioni responsabili dell’effetto serra in modo da evitare aumenti della temperatura superiori a 2° C rispetto all’epoca preindustriale, pena l’innesco di una serie di mutamenti climatici di fatto irreversibili.

Papa Francesco ha pubblicato il 18 giugno l’enciclica sulla “cura della casa comune” francescanamanete chiamata Laudato si’Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food che ha contribuito alla stesura del testo, lo ha definito “un momento di svolta nella storia della Chiesa”. Nell’Encliclica, oltre a criticare l’atteggiamento dell’uomo economico – saccheggiatore e sfruttatore di risorse naturali – si afferma che «è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di anidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti si riduce drasticamente, ad esempio, sostituendo combustibili fossili e sviluppando energie alternative».

Governi del G7, nel loro recente appuntamento in Germania, non sono stati da meno dichiarandosi favorevoli a che nella prossima conferenza di Parigi venga, per la prima volta, introdotto uno strumento legale per costringere i Paesi a rispettare i loro impegni alla riduzione delle emissioni in modo da ottenere una “decarbonizzazione” dell’economia mondiale entro la fine del secolo. Più nello specifico, i leader del G7 hanno supportato la prescrizione degli scienziati dell’IPCC di una riduzione delle emissioni compresa fra il 40 al 70 per cento nel periodo compreso fra il 2010 e il 2050. A questo scopo, tra l’altro, si sono detti disposti a sborsare 100milardi di dollari l’anno per finanziare le procedure di controllo e aiutare i Paesi più poveri.

Il 1 giugno di quest’anno persino sei grandi compagnie petrolifere europee (BG Group, BO, Eni, Shell, Statoil, Total), hanno reso nota una lettera indirizzata agli organizzatori dell’incontro sul clima di Parigi dichiarandosi pronte a fare la loro parte. Mentre petrolieri americani si sono rifiutati di firmare questa lettera, gli europei promettono di continuare a investire in nuove tecnologie, come la cattura e il sequestro del carbonio, e chiedono persino una tassa sulle energie fossili che scoraggi tutte le opzioni energetiche a più alta emissione di anidride carbonica.

All’apparenza il destino dei combustibili fossili e di un modello di sviluppo basato sul loro utilizzo massiccio è segnato. Le emissioni nocive responsabili dell’effetto serra sembrerebbero avere le ore contate.

Cambio di scena. All’inizio di giugno ho partecipato al sesto seminario dell’OPEC che si è tenuto nel palazzo reale di Vienna. Per un evento tenutosi all’Hofburg, che riuniva i ministri del Petrolio dell’OPEC, i capi delle più grandi aziende petrolifere del mondo e una platea di centinaia di addetti ai lavori dell’industria petrolifera, l’appuntamento era piuttosto morigerato e risentiva del tracollo dei prezzi del petrolio.

Quel che mi stupisce rileggendo i miei appunti è la totale unanimità dei partecipanti al seminario sul futuro aumento dell’utilizzo di combustibili fossili. El Badri, Segretario generale dell’OPEC, prevede che nel 2040 il consumo di energia raddoppierà rispetto ad oggi, mentre nel 2030 il solo consumo di petrolio e gas aumenterà del 25 per cento fino a 111milioni di barili di petrolio equivalente al giorno. Il Direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia è certo che aumenterà il consumo di energia, in particolare di quelle “non convenzionali” come lo shale e gli idrocarburi ottenuti con tecniche come il fracking. Tillerson (che di nome fa Rex), il capo di Exxon, la più grande impresa energetica del mondo, afferma che nel 2040 il consumo di energia aumenterà del 30 per cento a causa della proliferazione della classe media globale: i 3/4 di questo aumento sarà soddisfatto dall’utilizzo di combustibili fossili. Il capo di Total dice che si dovranno trovare 50 milioni di barili al giorno di petrolio in più per compensare l’esaurimenti dei giacimenti attuali. Tutti questi potenti e autorevoli signori dell’energia prevedono consumi di idrocarburi in aumento e trivellazioni a tappeto entro il 2040 e chiedono ai Governi di pagare meno tasse per poter investire.

Qualcosa, evidentemente, non torna. Se l’obiettivo è quello ridurre le emissioni nocive, e se tutti gli scienziati sono convinti che queste emissioni (CO2) siano prevalentemente causate dall’utilizzo di combustibili fossili, non si capisce come un incremento del consumo di gas e petrolio previsto da tutti i petrolieri possa conciliarsi con una riduzione delle emissioni.

Le cose sono due: o le dichiarazioni così autorevoli sulla futura riduzione delle emissioni sono del tutto campate in aria, o ad essere campate in arie sono le previsioni dei petrolieri. La platea del seminario OPEC non aveva dubbi. Un presentatore ha chiesto a quelli che credevano in un possibile successo della conferenza di Parigi di alzare la mano; nemmeno uno fra centinaia di presenti ha sollevato un dito.

In realtà c’è molto che i Governi possono fare per scoraggiare l’utilizzo delle energie fossili, per incentivare il risparmio energetico (l’unica vera speranza per il futuro) e per rafforzare le rinnovabili. C’è molto che possono fare perché ad un necessario aumento dei consumi energetici nei Paesi più poveri corrisponda un radicale mutamento del modello energetico nel mondo più industrializzato e ricco. Ma la premessa necessaria è un prezzo più alto del petrolio, una maggiore democraticità nell’utilizzo dell’energia, un potente stimolo alla riconversione industriale di tutti i settori produttivi, il controllo pubblico delle reti di distribuzione per renderle più “intelligenti”. In altre parole o i Governi accetteranno di riprendere ai mercati il controllo del settore energetico (prezzi, reti, e in parte anche produzione) o gli impegni pubblici alla riduzione delle emissioni nocive non saranno che parole al vento.

(22 giugno 2015)

Riscaldamento globale: qualcosa non tornaultima modifica: 2015-06-24T20:11:35+02:00da davi-luciano
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