La coalizione sociale di Bergoglio

Pubblicato Domenica 21 Giugno 2015, ore 10,10
 

Nel discorso al mondo del lavoro la summa del pensiero di papa Francesco: priorità a disoccupati, precari e immigrati. Economia al servizio della persona, no all’idolatria del denaro. Parole poco apprezzate dai big. E la piazza fischia Marchionne – VIDEO

Papa Francesco ha cominciato la sua visita a Torinoincontrando il mondo del lavoro, in Piazzetta Reale. In prima fila il sindaco Piero Fassino, il governatoreSergio Chiamparino, il numero uno di Fca Sergio Marchionne, bersagliato da qualche fischio del pubblico, ma salutato calorosamente dal Pontefice,Lavinia Borromeo, moglie di John Elkanntrattenuto da impegni negli Stati Uniti. «In questa situazione, che è globale e complessa, non si può solo aspettare la ripresa. Il lavoro è fondamentale! Ci vuole coraggio!». Bergoglio ha ascoltato le testimonianze di un imprenditore tessile, di un’operaia con il marito, disoccupato, a casa a fare il “mammo”, e di un agricoltore.Filiberto Martinetti, a capo di una azienda con 200 dipendenti, è stato applaudito dalla piazza quando ha raccontato di aver resistito alla tentazione di delocalizzare la sua impresa, ma ancor più per aver salutato il Santo padre con la lingua dei suoi antenati: «Che nusniur al cunserva per tanti ani!». Il primo pensiero di Francesco è stato rivolto a quanti fanno più fatica. «Anzitutto esprimo la mia vicinanza ai giovani disoccupati, alle persone in cassa integrazione o precarie; ma anche agli imprenditori, agli artigiani e a tutti i lavoratori dei vari settori, soprattutto a quelli che fanno più fatica ad andare avanti».

 Un intervento che riassume il tratto distintivo del pontificato, una sorta di programma sociale: «Il lavoro non è necessario solo per l’economia, ma per la persona umana, per la sua dignità, per la sua cittadinanza e per l’inclusione sociale», ha detto. «Torino è storicamente un polo di attrazione lavorativa, ma oggi risente fortemente della crisi: il lavoro manca, sono aumentate le disuguaglianze economiche e sociali, tante persone si sono impoverite e hanno problemi con la casa, la salute, l’istruzione e altri beni primari».

Una situazione che non deve portare a guerre tra poveri o alla ricerca di capri espiatori, come sta avvenendo con gli immigrati. «L’immigrazione – ha sostenuto – aumenta la competizione, ma i migranti non vanno colpevolizzati, perché essi sono vittime dell’inequità, di questa economia che scarta e delle guerre». Il Pontefice ribadisce la propria indignazione per le chiusure verso gli immigrati. «Fa piangere vedere lo spettacolo di questi giorni in cui esseri umani vengono trattati come merce».

LEGGI IL DISCORSO INTEGRALE DEL PAPA

Francesco sillaba quattro “no”, autentiche pietre miliari del suo pensiero socio-economico: «Siamo chiamati a ribadire il “no” a un’economia dello scarto, che chiede di rassegnarsi all’esclusione di coloro che vivono in povertà assoluta, a Torino circa un decimo della popolazione. Si escludono i bambini: natalità zero!; si escludono gli anziani, e adesso si escludono i giovani: più del 40 per cento di giovani disoccupati! Quello che non produce si esclude a modo di usa e getta». E ancora: «Siamo chiamati a ribadire il “no” all’idolatria del denaro, che spinge ad entrare a tutti i costi nel numero dei pochi che, malgrado la crisi, si arricchiscono, senza curarsi dei tanti che si impoveriscono, a volte fino alla fame. Siamo chiamati a dire “no” alla corruzione, tanto diffusa che sembra essere un atteggiamento, un comportamento normale. Un “no” non a parole, con i fatti: no alle collusioni mafiose, alle truffe, alle tangenti e cose del genere». Quindi conclude: «Solo così, unendo le forze, possiamo dire “no” all’inequità che genera violenza. Don Bosco ci insegna che il metodo migliore è quello preventivo: anche il conflitto sociale va prevenuto, e questo si fa con la giustizia».

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 Non ci si può limitare ad aspettare la ripresa. «Il lavoro è fondamentale – lo dichiara fin dall’inizio la Costituzione Italiana – ed è necessario che l’intera società, in tutte le sue componenti, collabori perché esso ci sia per tutti e sia un lavoro degno dell’uomo e della donna», scandisce Francesco. «Questo richiede un modello economico che non sia organizzato in funzione del capitale e della produzione ma piuttosto del bene comune». E riferendosi alla testimonianza dell’operaia ha aggiunto: «A proposito delle donne, i loro diritti vanno tutelati con forza perché le donne, che pure portano il maggior peso nella cura della casa, dei figli e degli anziani, sono ancora discriminate, anche nel lavoro».

Quella del lavoro è insomma «una sfida molto impegnativa, da affrontare con solidarietà e sguardo ampio», ha proseguito il Papa. «Torino è chiamata ad essere ancora una volta protagonista di una nuova stagione di sviluppo economico e sociale, con la sua tradizione manifatturiera e artigianale e nello stesso tempo con la ricerca e l’innovazione. Per questo bisogna investire con coraggio nella formazione, cercando di invertire la tendenza che ha visto calare negli ultimi tempi il livello medio di istruzione, e molti ragazzi abbandonare la scuola». Bergoglio ha fatto riferimento «all’esperienza dell’Agorà, che state portando avanti nel territorio della diocesi, per mettere a disposizione dati e risorse, nella prospettiva del fare insieme, è condizione preliminare per superare l’attuale difficile situazione e per costruire un’identità nuova e adeguata ai tempi e alle esigenze del territorio». Secondo Francesco, «è giunto il tempo di riattivare una solidarietà tra le generazioni, di recuperare la fiducia tra giovani e adulti.

Questo implica anche aprire concrete possibilità di credito per nuove iniziative, attivare un costante orientamento e accompagnamento al lavoro, sostenere l’apprendistato e il raccordo tra le imprese, la scuola professionale e l’Università».

 Così ha concluso Francesco: «Oggi vorrei unire la mia voce a quella di tanti lavoratori e imprenditori nel chiedere che possa attuarsi anche un patto sociale e generazionale. È giunto il tempo di riattivare una solidarietà tra le generazioni, di recuperare la fiducia tra giovani e adulti». Senza scartare nessuno: «Una crisi non può essere superata, non se ne esce senza i giovani e gli anziani. I figli e i nonni sono la ricchezza e la promessa di un popolo». Pochi applausi dai posti dei big dell’economia e della finanza, tanti e scroscianti dal resto della piazza.

NOAM CHOMSKY: NON HA PIÙ IMPORTANZA CHI DETIENE IL POTERE POLITICO, TANTO NON SONO PIÙ LORO A DECIDERE LE COSE DA FARE.

Chomsky

di Noam Chomsky (basato su dibattiti tenuti in Illinois, New Jersey,Massachusetts, New York e Maryland nel 1994,1996 e 1999)

UN uomo: Negli ultimi venticinque anni il capitale finanziario multinazionale, piuttosto che negli investimenti e nel commercio, è stato impiegato nelle speculazioni sui mercati azionari internazionali, al punto da dare l’impressione che gli Stati Uniti siano diventati una colonia alla mercé dei movimenti di capitali internazionali. Non ha più importanza chi detiene il potere politico, tanto non sono più loro a decidere le cose da fare. Che portata ha, oggi, questo fenomeno sulla scena intemazionale? Per prima cosa dobbiamo fare più attenzione al linguaggio che utilizziamo, me compreso. Non dovremmo parlare semplicemente di “Stati Uniti”, perché non esiste una simile entità, così come non esistono entità come l’”Inghilterra” o il “Giappone”. Può darsi che la popolazione degli Stati Uniti sia “colonizzata”, ma gli interessi aziendali che hanno base negli Stati Uniti non sono affatto “colonizzati”. A volte si sente parlare di “declino dell’America”, e se si osserva la quota mondiale di produzione che viene effettuata sul territorio degli Stati Uniti è vero, è in declino. Ma se si considera la quota di produzione mondiale delle aziende che hanno sede negli Stati Uniti, ci si accorgerà che non c’è alcun declino, anzi, le cose vanno per il meglio. Il fatto è che questa produzione ha luogo soprattutto nel Terzo mondo.  Quindi possiamo parlare di “Stati Uniti” come entità geografica, ma non è questo ciò che conta nel mondo degli affari. In sintesi, se non si parte da un’elementare analisi di classe non si riesce nemmeno a comprendere il mondo reale: cose come “gli Stati Uniti” non sono entità. Ma lei ha comunque ragione: gran parte della popolazione degli Stati Uniti viene sospinta verso una sorta di condizione sociale da Terzo mondo colonizzato. Dobbiamo però ricordare che esiste un altro settore, composto da ricchi manager, da ricchi investitori e dai loro scherani nel Terzo mondo, come i gangster della mafia russa o qualche ricco dignitario brasiliano, che curano i loro interessi a livello locale. E questo è un settore del tutto diverso, i cui affari stanno andando a gonfie vele. Per quanto riguarda i capitali destinati alle speculazioni, anch’essi hanno una parte estremamente importante. Lei è nel giusto quando sostiene che hanno un enorme impatto sui governi nazionali. Si tratta di un fenomeno molto esteso; le cifre sono di per sé impressionanti. Intorno al 1970, circa il 90 percento del capitale coinvolto nelle transazioni economiche internazionali veniva utilizzato a scopi commerciali o produttivi e soltanto il 10 percento a scopi speculativi. Oggi le cifre si sono invertite: nel 1990, il 90 percento del capitale totale era utilizzato per la speculazione; nel 1994 si era saliti addirittura al 95 percento. Inoltre l’ammontare globale del capitale speculativo è esploso: l’ultima stima della Banca mondiale indicava una cifra di circa 14 000 miliardi di dollari. Ciò significa che ci sono 14 000 miliardi di dollari che possono essere liberamente spostati da un’economia nazionale a un’altra: un ammontare enorme, superiore alle risorse di qual siasi governo nazionale, e che quindi lascia ai governi possibilità estremamente limitate quando si tratta di operare scelte politiche economico-finanziarie. Perché si è verificata una crescita tanto imponente del capitale speculativo? I motivi chiave sono due. Il primo ha a che fare con lo smantellamento del sistema economico mondiale del dopoguerra, che avvenne nei primi anni settanta. Vedete, durante la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti riorganizzarono il sistema economico mondiale e si trasformarono in una sorta di “banchiere globale” [durante la Conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite a Bretton Woods, nel 1944]: il dollaro diventò la valuta mondiale, venne fissato all’oro e divenne il punto di riferimento per le valute degli altri paesi. Questo sistema fu alla base della consistente crescita economica degli anni cinquanta e sessanta. Ma negli anni settanta il sistema di Bretton Woods era divenuto insostenibile: gli Stati Uniti non erano più abbastanza forti economicamente da continuare a essere il banchiere del mondo, soprattutto per gli alti costi della guerra nel Vietnam. Così Richard Nixon prese la decisione di smantellare del tutto l’accordo: all’inizio degli anni settanta sganciò gli Stati Uniti dal sistema monetario aureo, aumentò le tasse sulle importazioni, distrusse tutto il sistema. La fine di questo sistema di regolamentazione internazionale diede l’avvio a una speculazione sulle valute senza precedenti e a una fluttuazione degli scambi finanziari, fenomeni da quel momento in costante crescita. Il secondo fattore che ha determinato il boom del capitale speculativo è stato la rivoluzione tecnologica nelle telecomunicazioni, che avvenne nello stesso periodo e rese d’improvviso molto facile il trasferimento di valuta da un paese all’altro. Oggi, virtualmente, l’intera Borsa valori di New York si sposta a Tokyo durante la notte: il denaro è a New York di giorno, poi viene trasferito “via rete” a Tokyo, e siccome il Giappone è in anticipo di quattordici ore rispetto a noi, lo stesso denaro viene utilizzato in entrambi i posti. Ormai, quasi 1000 miliardi di dollari vengono spostati quotidianamente sui mercati speculativi internazionali, con effetti enormi sui governi nazionali. A questo punto, la comunità internazionale che gestisce questi investimenti ha un virtuale potere di veto su tutto ciò che un governo nazionale può fare. È quanto accade oggi negli Stati Uniti. Il nostro paese si sta riprendendo lentamente dall’ultima recessione; certamente è la ripresa più lenta dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma c’è stagnazione soltanto sotto un certo punto di vista: la crescita economica è molto bassa, si sono creati pochi posti di lavoro (in realtà, per molti anni, i salari sono persino scesi durante questa “ripresa”), ma i profitti sono andati alle stelle. Ogni anno la rivista Fortune esce con un numero dedicato alla ricchezza delle persone più importanti del mondo, Fortune 500, il quale ci dice che i profitti in questo periodo si sono impennati: nel 1993 erano molto buoni, nel 1994 esaltanti e nel 1995 avevano battuto ogni record. Nel frattempo i salari reali scendevano, la crescita economica e la produzione erano molto basse e questa lenta crescita a volte veniva addirittura fermata perché il mercato obbligazionario “dava segnali” di non gradirla. Vedete, gli speculatori finanziari non vogliono la crescita: vogliono valute stabili, quindi niente crescita. La stampa specializzata parla apertamente della «minaccia di una crescita troppo impetuosa», della «minaccia di un eccesso di occupazione»: tra di loro lo dicono chiaramente. Il motivo? Chi specula sulle valute teme l’inflazione, perché fa diminuire il valore del suo denaro. E qualunque tipo di crescita o di stimolo economico, qualunque diminuzione della disoccupazione minacciano di far crescere l’inflazione. Agli speculatori valutari questo non piace, così quando vedono i primi segnali di una politica di stimolo dell’economia o di una qualsiasi iniziativa capace di produrre una crescita, portano via i capitali da quel paese, provocando una recessione. Il risultato complessivo di queste manovre è uno spostamento internazionale verso economie a bassa crescita, bassi salari e alti profitti, perché i governi nazionali che cercano di prendere decisioni di politica economica e sociale non hanno mano libera temendo una fuga di capitali che potrebbe far crollare le loro economie. I governi del Terzo mondo sono bloccati, non hanno nemmeno la possibilità di portare avanti una politica economica nazionale. Ormai c’è da chiedersi se anche le grandi nazioni, Stati Uniti inclusi, abbiano la possibilità di farlo. Non credo che i governi che si sono succeduti in America avrebbero voluto politiche economiche molto diverse ma, nel caso, penso che sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, attuarle. Per darvi soltanto un esempio, subito dopo le elezioni del 1992, sulla prima pagina del Wall Street Journal comparve un articolo in cui si informavano i lettori che non avevano alcun motivo di temere che qualcuno dei “sinistrorsi” vicini a Clinton avrebbe cambiato qualcosa una volta arrivato al potere. Ovviamente il mondo degli affari già lo sapeva, come si può notare osservando l’andamento dei mercati finanziari verso la fine della campagna elettorale. Ma ad ogni buon conto il Wall Street Journal spiegò che, se per qualche sfortunata coincidenza Clinton o qualsiasi altro candidato avesse cercato di avviare un programma di riforme sociali, sarebbe stato immediatamente bloccato. L’articolo affermava una cosa ovvia e citava i dati che la confermavano. Gli Stati Uniti hanno un forte debito, che era parte integrante del programma Reagan-Bush per non permettere al governo di portare avanti iniziative di spesa sociale. “Essere in debito” significa soprattutto che il dipartimento del Tesoro ha venduto un sacco di titoli – obbligazioni, buoni del Tesoro e via discorrendo – agli investitori, che a loro volta li scambiano sul mercato dei titoli. Secondo il Wall Street Journal, ogni giorno si scambiano circa 150 miliardi di dollari esclusivamente in titoli del Tesoro. L’articolo spiegava che se gli investitori che possiedono questi titoli non apprezzano le politiche del governo americano possono, come avvertimento, venderne qualche piccola quota e ciò provocherà automaticamente un aumento del tasso d’interesse, che a sua volta farà aumentare il deficit. Ebbene, in questo articolo si calcolava che se questo “avvertimento” fosse sufficiente ad alzare il tasso d’interesse dell’1 percento, il deficit aumenterebbe da un giorno all’altro di 20 miliardi di dollari. Ciò significa che se Clinton (questa è pura immaginazione) proponesse un programma di spesa sociale di 20 miliardi di dollari, la comunità degli investitori potrebbe trasformarlo istantaneamente in un programma da 40 miliardi dollari, con un solo piccolo segnale, bloccando così ogni altra mossa di quel genere. Contemporaneamente, sull’Economist di Londra – grande giornale liberista – si poteva leggere un articolo fantastico sui paesi dell’Europa orientale che avevano votato per far tornare al potere i socialisti e i comunisti. Ma in sostanza l’articolo invitava a non preoccuparsi, perché «l’amministrazione è sganciata dalla politica». In altre parole, indipendentemente dai giochi che quei tipi si divertono a fare nell’arena politica, le cose continueranno come sempre, perché li teniamo per le palle: controlliamo le valute internazionali, siamo gli unici che possono concedere prestiti, possiamo distruggere le loro economie come e quando vogliamo. Che si occupino pure di politica, che fingano pure di avere la democrazia che vogliono, facciano pure: basta che «l’amministrazione sia sganciata dalla politica». Quello che sta accadendo in questo periodo è una novità assoluta. Negli ultimi anni si sta imponendo un nuovo tipo di governo, destinato a servire i bisogni sempre crescenti di questa nuova classe dominante internazionale, che a volte è stata definita “il governo mondiale di fatto”. I nuovi accordi internazionali sul commercio riguardano proprio questo aspetto, e parlo del NAFTA, del GATT e così via, così come della cee e delle organizzazioni finanziarie come il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, la Banca interamericana di sviluppo, l’Organizzazione mondiale del commercio (wto), i G7 che programmano gli incontri tra i grandi paesi industrializzati. Questi organismi sono tutti espressione della volontà di concentrare il potere in un sistema economico mondiale che faccia sì che «l’amministrazione sia sganciata dalla politica»; in altre parole, che la popolazione mondiale non abbia alcun ruolo nel processo decisionale, che le scelte strategiche vengano trasferite in un empireo lontanissimo dalle possibilità di conoscenza e di comprensione della gente, che così non avrà la minima idea delle decisioni che influenzeranno la sua vita e certo non potrà modificarle. La Banca mondiale ha un proprio modo per definire il fenomeno: lo chiama “isolamento tecnocratico”. Quindi, se leggete gli studi della Banca mondiale, vedrete che parlano dell’importanza dell’ “isolamento tecnocratico”, alludendo alla necessità che un gruppo di tecnocrati, essenzialmente impiegati nelle grandi imprese multinazionali, operi in pieno “isolamento” quando progetta le politiche perché, se la gente venisse coinvolta, potrebbe farsi venire in mente brutte idee, come un tipo di crescita economica che operi a favore di tutti invece che dei profitti e altre sciocchezze del genere. Allora bisogna che i tecnocrati siano isolati, e una volta ottenuto lo scopo si potrà concedere tutta la “democrazia” che si vuole, tanto non farà alcuna differenza. Sulla stampa economica internazionale questo quadro è stato definito con una certa franchezza come “la nuova età imperiale”. E la ritengo una definizione azzeccata: di certo stiamo andando in quella direzione.

Scalfari e l’Europa che non c’è. basta con le ipocrisie.

 http://www.tgvallesusa.it/2015/06/scalfari-e-leuropa-che-non-ce-basta-con-le-ipocrisie/
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L’economista A.M. Rinaldi interviene su un articolo di Eugenio Scalfari sull’Europa. Basta con le ipocrisie dichiara il professore.

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di A. M. Rinaldi su Scenarieconomici.it

Non si finisce mai di stupirsi quando si legge La Repubblica e poi se a scrivere l’editoriale domenicale, come il caso di oggi, è proprioEugenio Scalfari che inneggia imperterrito “Sognando gli Stati Uniti d’Europa nel paese dei ciechi”, si rischia anche di rimanere sconcertati essendo ormai palese che i “ciechi” e i “sordi” siano invece chi la pensa proprio come lui!

E siccome è terminato il tempo di tacere davanti a queste ipocrisie rimanendo silenti di fronte a queste affermazioni che sintetizzano perfettamente il pensiero unico dominante a cui siamo stati bombardati da decenni, rispondo alle affermazioni diScalfari per senso civico e in omaggio alla decenza.

Come si fa ad auspicare gli Stati Uniti d’Europa nel momento in cui la stessa Europa ha dimostrato “Urbi et Orbi” di essere totalmente incapace di risolvere nessuno dei tantissimi e gravissimi problemi che l’affliggono? Come si può augurare di consegnareletteralmente lesorti del Vecchio Continente, e con esso i destini di centinaia e centinaia di milioni di cittadini, a una banda di “cialtroni” che non hanno saputo, nella migliore dell’ipotesi per incapacità manifesta, provvedere al bene comune? E si badi bene non è neanche sufficiente sostituire questi personaggi di bassissimo profilo che occupano da troppo tempo le istituzioni europee per “raddrizzare” la situazione e rendere proficua la nascita degli Stati Uniti d’Europa.

Questo perché la stessa Europa ha generato ormai, nel disperato tentativo di rendere sostenibile e irreversibile il processod’integrazione monetaria come presupposto a quellapoliticameccanismi bio-giuridici automatici perversi come più volte sostenuto daGuarino, che non consentono più la possibilità di modifiche o di adattamento dei Trattativerso modelli più vicini agli iniziali presupposti di creare una grande area comune per renderla più forte e immune verso un mondo globalizzato.

Gli Stati nazionali sono perfettamente consci che cedere ciò che è rimasto delle lororesidualità di sovranità, ancora provvidenzialmente non trasferite, significherebbe la totale e irreversibile anarchia e a prova di ciò stanno risolvendo in modo autonomo ciò che l’Europa non riesce, e non riuscirà mai, a fare. La stessa Germania, che ha autoassunto il ruolo di leadershipnella conduzione europea, non per propri meriti ma per “latitanza” di tutti gli altri, manifesta però tutti i suoi limiti, dimostrando alla prova dei fatti di non “meritare” sul campo questa investitura alla guida dell’Europa. Troppo sensibile agli umori del proprio elettorato, che erroneamente si considera il benefattore di tutti, ignorando invece che è la prima ad averne tratto vantaggi a discapito degli altri. O Scalfari è così ingenuo nel credere che la Francia e la Germania siano disponibili a cedere la propria sovranità per condividerla con altri paesi ad iniziare dall’Italia? Per sbaglio ha occasione di vedere le cronache proposte dalle TV o leggere qualche altro giornale? Oppure nel suo intimo desidera fortemente che molti paesi membri, ad iniziare sempre dall’Italia, diventino delle Colonie del Nord Europa? 

Scalfari non ammette che la governance europea considera i paesi membri alla stregua disocietà per azioni e non di Stati di Diritto, dove ad essere tutelati non sono i cittadini ma gli interessi delle banche e delle multinazionali! Vogliamo costituire gli Stati Uniti d’Europafondata sull’ordoliberismo e affidarla a una oligarchia autoreferenziale non eletta? Il fondatore de La Repubblica lo professi pure, ma poi non si lamenti se nella migliore delle ipotesi viene preso per visionario.

Anche i sondaggi formulati da Ilvo Diamanti, considerati come preoccupanti perché evidenziano la caduta libera dei consensi del PD e l’ascesa di Salvini e di Grillo, sono invece la cartina di tornasole più evidente che gli italiani non sono più “sordi” e “ciechi” e pertanto indisponibili al ruolo di pecore da guidare e da mungere in silenzio. Essere “populisti” oggi significa non farsi più prendere in giro!

In ultimo Eugenio Scalfari, non crede che alla fine anche lui appartiene alla schieraagguerrita, ma fortunatamente sempre meno folta, di coloro i quali si considerano a paroleEuropeisti mentre invece sono nei fatti dei veri antieuropeisti in quanto giustificano e avallano una Europa che porta avanti dei disegni scellerati verso la collettività e ad esclusivo appannaggio d’interessi privati e di lobby che porteranno presto inevitabilmente al fallimento il concetto stesso di Europa? Non si è accorto che la moneta unica è utilizzata esclusivamente come metodo di governo e non per perseguire una integrazione politica e fiscale super partes nell’interesse collettivo?

Ci pensi bene, perché agli occhi di molti i veri ciechi sono quelli che la pensano come lei!

Continui Scalfari comunque a sognare gli Stati Uniti d’Europa, ma lasci agli altri la possibilità per fortuna di rendersi conto che l’Europa è stata un grandissimo bluff con cui si vuoleespropriare definitivamente le rispettive sovranità nazionali non per forgiarne una più forte e a tutela di tutti, ma esclusivamente per instaurare una sorta di sovragovernoestraniando i cittadini dalle più elementari garanzie costituzionali per consentire a pochi di decidere su molti!

L’Europa per ora ha solo dimostrato di essere una bella espressione geografica e basta!

Antonio M. Rinaldi

Riscaldamento globale: qualcosa non torna

http://temi.repubblica.it/micromega-online/riscaldamento-globale-qualcosa-non-torna/

micromega

di Giuliano Garavini 

Il prossimo dicembre si terrà a Parigi una cruciale conferenza mondiale sul clima (COP21). La Francia, in particolare attraverso il suo ministro degli Esteri Laurent Fabius, si sta prodigando in ogni modo per la riuscita dell’evento. L’obiettivo è fermare la crescita delle emissioni nocive (prevalentemente anidride carbonica prodotta dall’utilizzo di combustibili fossili) responsabili del riscaldamento globale, a sua volta considerato la causa di fenomeni catastrofici che si stanno rincorrendo in questi anni: dallo scioglimento dei ghiacciai dell’Artico all’uragano Katrina che ha devastato New Orleans.Il grande consenso politico e mediatico che si sta formando intorno alla riuscita della conferenza di Parigi nasconde però un mare di insidie.

La lotta al riscaldamento globale era cominciata formalmente nel 1992 con il summit della Terra di Rio in occasione del quale è stata firmata la United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). Presto i Paesi firmatari della Convenzione realizzarono che i progressi non erano soddisfacenti e nel 1997 la maggior parte di essi firmarono il Protocollo di Kyoto che fissava obiettivi nazionali per la riduzione delle emissioni nocive. Oggi vi sono 195 partecipanti alla Convenzione e 192 firmatari del protocollo di Kyoto. Dopo l’incontro di Copenaghen del 2009 i partecipanti hanno concordato che l’obiettivo prioritario deve essere quello di ridurre le emissioni responsabili dell’effetto serra in modo da evitare aumenti della temperatura superiori a 2° C rispetto all’epoca preindustriale, pena l’innesco di una serie di mutamenti climatici di fatto irreversibili.

Papa Francesco ha pubblicato il 18 giugno l’enciclica sulla “cura della casa comune” francescanamanete chiamata Laudato si’Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food che ha contribuito alla stesura del testo, lo ha definito “un momento di svolta nella storia della Chiesa”. Nell’Encliclica, oltre a criticare l’atteggiamento dell’uomo economico – saccheggiatore e sfruttatore di risorse naturali – si afferma che «è diventato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di anidride carbonica e di altri gas altamente inquinanti si riduce drasticamente, ad esempio, sostituendo combustibili fossili e sviluppando energie alternative».

Governi del G7, nel loro recente appuntamento in Germania, non sono stati da meno dichiarandosi favorevoli a che nella prossima conferenza di Parigi venga, per la prima volta, introdotto uno strumento legale per costringere i Paesi a rispettare i loro impegni alla riduzione delle emissioni in modo da ottenere una “decarbonizzazione” dell’economia mondiale entro la fine del secolo. Più nello specifico, i leader del G7 hanno supportato la prescrizione degli scienziati dell’IPCC di una riduzione delle emissioni compresa fra il 40 al 70 per cento nel periodo compreso fra il 2010 e il 2050. A questo scopo, tra l’altro, si sono detti disposti a sborsare 100milardi di dollari l’anno per finanziare le procedure di controllo e aiutare i Paesi più poveri.

Il 1 giugno di quest’anno persino sei grandi compagnie petrolifere europee (BG Group, BO, Eni, Shell, Statoil, Total), hanno reso nota una lettera indirizzata agli organizzatori dell’incontro sul clima di Parigi dichiarandosi pronte a fare la loro parte. Mentre petrolieri americani si sono rifiutati di firmare questa lettera, gli europei promettono di continuare a investire in nuove tecnologie, come la cattura e il sequestro del carbonio, e chiedono persino una tassa sulle energie fossili che scoraggi tutte le opzioni energetiche a più alta emissione di anidride carbonica.

All’apparenza il destino dei combustibili fossili e di un modello di sviluppo basato sul loro utilizzo massiccio è segnato. Le emissioni nocive responsabili dell’effetto serra sembrerebbero avere le ore contate.

Cambio di scena. All’inizio di giugno ho partecipato al sesto seminario dell’OPEC che si è tenuto nel palazzo reale di Vienna. Per un evento tenutosi all’Hofburg, che riuniva i ministri del Petrolio dell’OPEC, i capi delle più grandi aziende petrolifere del mondo e una platea di centinaia di addetti ai lavori dell’industria petrolifera, l’appuntamento era piuttosto morigerato e risentiva del tracollo dei prezzi del petrolio.

Quel che mi stupisce rileggendo i miei appunti è la totale unanimità dei partecipanti al seminario sul futuro aumento dell’utilizzo di combustibili fossili. El Badri, Segretario generale dell’OPEC, prevede che nel 2040 il consumo di energia raddoppierà rispetto ad oggi, mentre nel 2030 il solo consumo di petrolio e gas aumenterà del 25 per cento fino a 111milioni di barili di petrolio equivalente al giorno. Il Direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia è certo che aumenterà il consumo di energia, in particolare di quelle “non convenzionali” come lo shale e gli idrocarburi ottenuti con tecniche come il fracking. Tillerson (che di nome fa Rex), il capo di Exxon, la più grande impresa energetica del mondo, afferma che nel 2040 il consumo di energia aumenterà del 30 per cento a causa della proliferazione della classe media globale: i 3/4 di questo aumento sarà soddisfatto dall’utilizzo di combustibili fossili. Il capo di Total dice che si dovranno trovare 50 milioni di barili al giorno di petrolio in più per compensare l’esaurimenti dei giacimenti attuali. Tutti questi potenti e autorevoli signori dell’energia prevedono consumi di idrocarburi in aumento e trivellazioni a tappeto entro il 2040 e chiedono ai Governi di pagare meno tasse per poter investire.

Qualcosa, evidentemente, non torna. Se l’obiettivo è quello ridurre le emissioni nocive, e se tutti gli scienziati sono convinti che queste emissioni (CO2) siano prevalentemente causate dall’utilizzo di combustibili fossili, non si capisce come un incremento del consumo di gas e petrolio previsto da tutti i petrolieri possa conciliarsi con una riduzione delle emissioni.

Le cose sono due: o le dichiarazioni così autorevoli sulla futura riduzione delle emissioni sono del tutto campate in aria, o ad essere campate in arie sono le previsioni dei petrolieri. La platea del seminario OPEC non aveva dubbi. Un presentatore ha chiesto a quelli che credevano in un possibile successo della conferenza di Parigi di alzare la mano; nemmeno uno fra centinaia di presenti ha sollevato un dito.

In realtà c’è molto che i Governi possono fare per scoraggiare l’utilizzo delle energie fossili, per incentivare il risparmio energetico (l’unica vera speranza per il futuro) e per rafforzare le rinnovabili. C’è molto che possono fare perché ad un necessario aumento dei consumi energetici nei Paesi più poveri corrisponda un radicale mutamento del modello energetico nel mondo più industrializzato e ricco. Ma la premessa necessaria è un prezzo più alto del petrolio, una maggiore democraticità nell’utilizzo dell’energia, un potente stimolo alla riconversione industriale di tutti i settori produttivi, il controllo pubblico delle reti di distribuzione per renderle più “intelligenti”. In altre parole o i Governi accetteranno di riprendere ai mercati il controllo del settore energetico (prezzi, reti, e in parte anche produzione) o gli impegni pubblici alla riduzione delle emissioni nocive non saranno che parole al vento.

(22 giugno 2015)

Un ex-diplomate français accuse Washington d’être à l’origine de la crise ukrainienne

Jean de Gliniasty, en septembre 2010, en Russie. Photo d'illustration.

Ambassadeur de France à Moscou jusqu’en 2013, Jean de Gliniasty estime que les Européens auraient dû «donner» Sébastopol à la Crimée et juge que la Crimée a «toujours été russe».

 Envoyé spécial à Saint-Pétersbourg

Jean de Gliniasty est en colère, très en colère. Rencontré en marge du forum de Saint-Pétersbourg, l’ex-ambassadeur de France à Moscou, qui ne cache pas ses vues pro-russes, s’emporte contre les «erreurs» de la diplomatie européenne et française à l’égard du dossier ukrainien. «C’est cinq ans de travail qui ont été ruinés», regrette celui qui représenta les intérêts de la France à Moscou de mai 2009 à octobre 2013, quittant la capitale russe au moment des grandes manifestations ukrainiennes de Maïdan qui débouchèrent sur un changement de régime, puis sur l’annexion de la Crimée et la guerre dans le Donbass.

Durant ces cinq années, il s’est fait l’avocat infatigable des chefs d’entreprises françaises en Russie, qui l’appréciaient en retour, quitte à minimiser les conséquences du tour de vis imposé par Vladimir Poutine à la société civile après son retour au Kremlin en 2012. Des vue qui lui ont été reprochées parfois au quai d’Orsay. «Ce n’était pas compliqué», dit-il: «il fallait notamment donner Sébastopol à la Russie et garantir le statut de la langue russe en Crimée». Et l’avis de Kiev dans tout cela? «Mais la Crimée n’a jamais appartenu à l’Ukraine, elle a toujours été russe», s’emporte Jean de Gliniasty, négligeant le fait que la péninsule a été offerte en cadeau par Nikita Khrouchtchev à l’Ukraine en 1954.

Selon l’ex-diplomate, ce retour officiel de Sébastopol dans le giron russe aurait pu s’accomplir au plus tard à la fin du bail de location de la flotte russe de la mer Noire – stationnée dans le port de Crimée – bail qui devait théoriquement arriver à échéance en 2042. Ces projets qui auraient pu s’échafauder au moment où Moscou commençait à s’opposer à la signature d’un accord d’association de l’Union européenne avec l’Ukraine, ont été contrariés par l’ignorance de l’histoire, côté européen, et surtout par les actions des Américains, analyse Jean de Gliniasty. «On s’est mis dans la main des Américains», regrette le diplomate qui voit la main de Washington dans la rupture épisodique des cessez-le-feu, constatée dans le Donbass. Ce fut notamment le cas il y a deux semaines, l’Union européenne décidant dans la foulée de prolonger les sanctions contre la Russie jusqu’au mois de janvier 2016.

Selon l’ex ambassadeur, qui dénonce ces mesures de représailles, l’Ukraine resterait donc l’un des terrains de jeu favori de la diplomatie américaine, permettant de bloquer dans l’ancien espace soviétique, toute velléité d’impérialisme russe: c’est la fameuse doctrine Brzezinski qui inspirerait depuis trente ans la diplomatie américaine, y compris celle d’Obama, selon Jean de Gliniasty. En terrain familier, ce dernier a retrouvé François Fillon à Saint-Pétersbourg, qui fut premier ministre au même moment et qui, reçu par Vladimir Poutine à Saint-Pétersbourg, défend lui aussi les mêmes visions. «Maintenant les gens ne se rendent pas compte qu’on risque d’aller vers la guerre. C’est une catastrophe», assène l’ex-diplomate qui depuis son départ du quai d’Orsay, a entamé une retraite active, celle de consultant.

BUSSOLENO, TENSIONE AL MERCATO TRA NO TAV E LEGHISTI. SALVINI: “SONO ZECCHE, RUSPA”. LA REPLICA: “SONO RAZZISTI E FASCISTI, NON HANNO DIRITTO DI PRESENZA A BUSSOLENO”

BY  – PUBLISHED: 06/22/2015 –

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(Foto tratta dal profilo Facebook del Gruppo Giovani No Tav)

Tensione questa mattina al mercato di Bussoleno: alcuni antagonisti e No Tav, hanno duramente contestato gli attivisti della Lega Nord, che avevano allestito un gazebo in piazza contro l’immigrazione clandestina e per promuovere le altre iniziative politiche del partito di Salvini.

La cosa non è passata inosservata: sono volati spintoni, al punto che per difendere il gazebo e sedare gli animi, sono dovuti intervenire i carabinieri. A rilanciare il caso avvenuto in Val Susa ci ha pensato il leader della Lega, Matteo Salvini, che dal suo profilo Facebook ha affermato: “Stamattina a Bussoleno, in provincia di Torino, i soliti violenti zeccosi dei CENTRI A-SOCIALI hanno assaltato un Gazebo della Lega.
Rivoluzionari a parole, poveri scemi nei fatti. Ruspa”.

Non si è fatta attendere la replica da parte del movimento, che sul sito notav.info pubblica in un post le ragioni della contestazione avvenuta stamattina: “Questa mattina al mercato di Bussoleno abbiamo contestato la Lega Nord che incitava all’odio contro i “clandestini” e dava appuntamento per la manifestazione di Salvini a Giaveno. Razzisti e fascisti, da sempre, non hanno diritto di presenza a Bussoleno, realtà di Resistenza antica e nuova. Il mercato di Bussoleno è luogo tradizionale di incontro, controinformazione e organizzazione antagonista. I lavoratori provenienti da altre parti del mondo, in fuga dalla fame, dai massacri e dalla guerra sono nostre sorelle e fratelli. Il potere che garantisce libertà di circolazione alle merci, al mercato e alle sue guerre e lo nega alle persone è nostro nemico. Per questo, a contestare l’iniziativa di Lega Nord, c’era la gente comune e generosa della Valle che resiste contro il TAV, il riproposto Megaelettrodotto Grand Ile-Piossasco, la mercificazione della vita e del futuro di tutti. Un nostro giovane compagno è stato malmenato e ha sporto denuncia. Solo l’arrivo delle “forze dell’ordine” ha permesso ai leghisti di mantenere in piedi un banchetto deserto. La lotta popolare contro la violenza razzista e fascista resiste e si estende. Non un passo indietro!”

La procura indaga sul cantiere Tav di Chiomonte

http://www.autistici.org/spintadalbass/?p=5800

Spinta dal BassLa procura indaga sul cantiere Tav di Chiomonte

L’ufficio del procuratore Raffaele Guariniello starebbe indagando sul cantiere Tav di Chiomonte. La notizia emerge da una lettera inviata dallo S.Pre.S.A.L. (il servizio che si occupa della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro) alla consigliera regionale Francesca Frediani. La lettera fa seguito a una richiesta di accesso agli atti per conoscere il lavoro di S.Pre.S.A.L. al cantiere in Clarea. E la risposta è che tali atti non possono essere resi pubblici in quanto sottoposti a segreto istruttorio poiché hanno dato origine a notizie di reato:

“Sentito il parere dell’ufficio del Procuratore dr. Guariniello R. della Procura della Repubblica di Torino – si legge nella risposta dell’ASL TO3 -, non risultano atti relativi alla vigilanza effettuata presso il cantiere TAV di Chiomonte che possano essere dati in visione, ritenendo che anche gli atti effettuati dal personale della SC SPRESAL nell’ambito di attività amministrativa che hanno dato origine a notizie di reato trasmesse all’Autorità Giudiziaria siano coperti da segreto istruttorio e pertanto siano sottratti all’accesso (…). Il soggetto dovrà pertanto rivolgersi alla Procura della Repubblica per chiederne visione”

Staremo a vedere cosa capiterà. Da anni il movimento no tav cerca di far luce in modo circostanziato sulle questioni ambientali (compreso l’ambiente di lavoro) relative a quel cantiere: dalle polveri, all’amianto, alla silice cristallina. E continuerà a farlo. Così come continuerà a fare di tutto perché quel cantiere chiuda al più presto e il progetto Torino-Lione finisca al macero. A cominciare da Domenica prossima, 28 Giugno. Sarà un’ottima occasione per andare tutti insieme al cantiere!

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Il NAFTA in Messico come il TTIP in Italia

A Ravenna, il 12 luglio, alle 21.00,  Bagno Ruvido, Lungomare C.Colombo 2/B, Punta Marina Terme, nella splendida cornice della costa romagnola, presento il docufilm “MESSICO, ANGELI E DEMONI NEL LABORATORIO DELL’INFERNO”.
Dal Messico raso al suolo e devastato dal trattato di libero scambio con Usa e Canada, NAFTA, un avvertimento di cosa succederà all’Italia se dovesse passare il TTIP, trattato di libero scambio Usa-UE, attualmente negoziato in gran segreto tra il governo Usa e gli eurocrati di Bruxelles. Una lezione da far rizzare i capelli, da un paese che ha fatto la prima grande rivoluzione del ‘900 e che resiste.
Organizza il Circolo Vilma Espin Guillos di Italia-Cuba.
ravenna
messico copertina

LUC MICHEL & FABRICE BEAUR DANS ‚A LA UNE’. MOSCOU DÉVELOPPE SON ARSENAL NUCLÉAIRE, L’OCCIDENT RÉAGIT

Les experts internationaux de EODE sur les médias …

EODE-TV & SAHAR TV (Iran)/

Avec EODE Press Office/ 2015 06 20/

EODE-TV - EXPERTS lm + fb ARSENAL RUSSE SAHARTV (2015 04 21) FR (1)

Interventions de Luc MICHEL, Administrateur-général de EODE (depuis Bruxelles)

Et Fabrice BEAUR, SG dEODE et Administrateur de la Zone Russia-Caucasus (depuis Sotchi, Russie), 

Sur le thème de ‘A la Une’ « Moscou développe son arsenal nucléaire, l’Occident réagit » …

 Emission intégrale sur le Website d’EODE-TV :

https://vimeo.com/131480750

EODE-TV - EXPERTS lm + fb ARSENAL RUSSE SAHARTV (2015 04 21) FR (2)

Diffusée en direct sur SAHAR TV

Dans “A La Une“

Le 20 juin 2015

Présentée par Ahmad Nokhostine.

 # L’ARTICLE DE LA REDACTION DE SAHAR TV SUR SON WEBSITE :

« MOSCOU DÉVELOPPE SON ARSENAL NUCLÉAIRE, L’OCCIDENT RÉAGIT »

 La décision de la Russie d’augmenter considérablement le nombre de ses nouveaux missiles balistiques intercontinentaux capables de porter des ogives nucléaires a suscité la vive réaction des dirigeants des pays occidentaux. Dans ce sens, Jens Stoltenberg, secrétaire général de l’OTAN, a déclaré mardi que selon l’Alliance atlantique, la décision de Moscou d’augmenter sa capacité nucléaire serait illogique et dangereuse. En outre, le secrétaire général de l’OTAN a accusé la Russie de vouloir faire démonstration de sa force nucléaire, tandis que selon lui, ce comportement serait illogique, déstabilisateur et dangereux.

Jens Stoltenberg a ajouté que l’OTAN est en train de se préparer pour confronter ce nouveau risque, en ajoutant que cette décision du Kremlin est l’une des raisons des efforts en cours pour augmenter les capacités défensives de l’OTAN. « Nous avons vu que la Russie investit davantage dans la défense en général, et en particulier dans les capacités nucléaires », a déclaré Jens Stoltenberg, secrétaire général de l’OTAN.

En même temps, les Etats-Unis expriment aussi leur inquiétude quant à la décision de la Russie d’augmenter considérablement le nombre de leurs missiles balistiques intercontinentaux capables de porter des ogives nucléaires. Le secrétaire d’Etat américain, John Kerry a déclaré mardi : « Cette décision de Moscou est un recul en arrière, car les Etats-Unis et la Russie ont signé le traité Start portant sur la réduction du nombre de leurs armements nucléaires. » Le secrétaire d’Etat américain a souligné qu’en ajoutant 40 nouveaux missiles intercontinentaux à son arsenal balistique, la Russie viole les accords signés par Moscou et Washington en juillet 1991. Cependant, malgré les vives protestations des puissances occidentales, il paraît que le Kremlin est fermement déterminé à continuer son plan de modernisation et de développement de son arsenal nucléaire. A ce sujet, le président russe, Vladimir Poutine a déclaré récemment qu’en 2015, l’arsenal balistique de la Russie sera augmenté de plus de 40 missiles intercontinentaux capables de porter des ogives nucléaires. La nouvelle doctrine militaire de la Russie a été promulguée fin décembre 2014 par le président Vladimir Poutine. Ce document envisage l’éventualité de l’usage d’armes nucléaires contre l’ennemi, au cas où l’ennemi mettrait en péril la sécurité nationale de la Russie. En outre, ce document n’exclut pas non plus l’éventualité des attaques nucléaires préventives pour contrer une attaque militaire imminente. La doctrine militaire de la Russie a accordé une grande priorité à la modernisation de l’arsenal nucléaire du pays depuis plusieurs années. En même temps, la Russie a augmenté considérablement son budget militaire et défensif. A l’heure actuelle, tandis que les tensions montent de manière sans précédent, depuis la fin de la Guerre froide, entre la Russie et l’Occident en raison de la crise en Ukraine, la Russie compte beaucoup sur sa carte gagnante, c’est-à-dire sa puissance nucléaire stratégique et surtout ses missiles intercontinentaux, pour faire une démonstration de sa force militaire devant les Etats-Unis et ses alliés occidentaux au sein de l’OTAN.

 Original sur :

http://francophone.sahartv.ir/moscou-d%C3%A9veloppe-son-arsenal-nucl%C3%A9aire,-l%E2%80%99occident-r%C3%A9agit-765

 EODE-TV / EODE Press Office / 2015 06 20 /

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LUC MICHEL: COMMENT ANALYSER LE RAPPORT DU PARLEMENT FRANÇAIS SUR L’AFRIQUE

LUC MICHEL SUR ‘AFRIQUE MEDIA TV’

Le duplex de Bruxelles avec ‘Afrique Media TV’ de ce 14 juin 2015

Filmé en direct par EODE-TV à Bruxelles

(images brutes, non montées)

EODE-TV - AMTV LM rapport du Parl. fr (2015 06 14) FR (1)

Luc MICHEL analyse le « Rapport du Parlement Français sur l’Afrique » et ses dessous cachés.

EODE-TV - AMTV LM rapport du Parl. fr (2015 06 14) FR (2)

 AFRIQUE MEDIA posait les questions suivantes :

Peut-on y voir un nouveau plan de recolonisation ? Pourquoi cette fixation notamment sur Yaoundé ?

 Video intégrale sur : https://vimeo.com/131481763

EODE-TV - AMTV LM rapport du Parl. fr (2015 06 14) FR (3)

Luc MICHEL sur AFRIQUE MEDIA TV

dimanche 14 juin 2015 dans le ‘Débat panafricain’

avec Bachir Mohamed Ladan.

 # ALLER PLUS LOIN :

 Lire : Cameroon Tribune n°10856 du lundi 08 juin 15

Sur http://www.237online.com/article-80097-cameroun–parlement-francais-questions-autour-d-un-rapport-controverse.html

 EODE-TV / EODE PRESS OFFICE /

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