Bergoglio. Un Papa No Tav

All’incontro dei movimenti popolari svoltosi in Vaticano, papa Bergoglio ha una parola sola: “Proseguite la vostra lotta”.

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di Massimo Bonato

Ci sono i raduni dei Papa boys e i raduni dei centri sociali. È presente Evo Morales, presidente della Bolivia, proprio in questi giorni in visita dal Papa alla sua seconda elezione; primo presidente sudamericano appartenente ai popoli originari, portabandiera di quella lotta contadina da cui proviene, i cocaleros. Simbolo in una qualche misura anche di questo raduno, tenutosi il 28 ottobre al Vaticano, dove si sono dati appuntamento movimenti popolari di tutto il mondo. Per l’Italia sono rappresentati Banca Etica, il centro sociale Leoncavallo di Milano, la rete Genuino Clandestino, No Expo, No Tav.
Movimenti che lottano per la terra, per l’integrità del proprio territorio, per i diritti umani, per i diritti dei migranti, per la sovranità alimentare, contro lo sfruttamento finanziario e l’equità economica, per il lavoro dunque e per la casa.

Per tutti, Papa Bergoglio ha una parola sola ed è tonante: “Proseguite la vostra lotta”.

Non teme che qualcuno lo tacci di essere un “comunista” dichiara, perché “l’amore per i poveri è al centro del vangelo, è la dottrina sociale della Chiesa”. È un lungo discorso quello che Papa Bergoglio tiene, chiedendo in nuce “terra, tetto e un lavoro”. “Nessuna famiglia senza tetto. Nessun contadino senza la terra. Nessun lavoratore senza diritti. Nessuna persona senza la dignità del lavoro” ha detto.

È la prima volta che in Vaticano si tiene una tal riunione, la prima volta che cartoneros  ecampesinosindignados, riottosi e ribelli di tutto il mondo vengono benedetti dal Papa e incoraggiati nella lotta che ciascuno prosegue. Al di là delle ideologie, per papa Bergoglio  prevale naturalmente il messaggio evangelico. Sarà la sua provenienza, sarà che il Terzo Mondo non è entrato in Vaticano questa volta a chiedere ascolto ma a darlo, e a spronare che le lotte pretendano l’ascolto loro dovuto per riportare giustizia nel mondo. Del resto, la ribellione contro le ingiustizie sociali è un valore universale. Ideologico o no. Evangelico o no.

M.B. 28.10.14

Assumono pizzaioli italiani per aprire 26 ristoranti in Cina

e se pure loro si lamentano delle tasse?? No loro non evadono  sia mai. I controlli fatti alle società che sfruttano l’immigrazione sono solo “pretestuosi” 

La storia degli imprenditori orientali di Prato che vogliono esportare il “made in Italy” nel loro Paese: “Qui se paghi le tasse il costo del lavoro è troppo alto, meglio investire a Hangzhou”
di Ilenia Reali
Le sorelle Jin Fugui (Lisa) e Jin...
Le sorelle Jin Fugui (Lisa) e Jin Liming (Aurora)
PRATO. Il padre è arrivato qui 25 anni fa. Faceva il lavapiatti in un ristorante perché era l’unica cosa all’epoca che si poteva fare se si arrivava dalla Cina e non si conosceva una parola di italiano. Adesso le figlie hanno un ingrosso di import export di bigiotteria ma è già cominciato il conto alla rovescia: tra qualche settimana sarà abbassata la saracinesca. “C’è troppa crisi. Non si vende e non si guadagna. Questo paese non va come dovrebbe andare” spiega Jin Liming, Aurora per gli amici pratesi, 37 anni, mezza cinese e mezza italiana perché “se dovessi tornare in Cina per me significherebbe ricominciare da capo: è un paese in cui non sono abituata a vivere. Abito a Prato da quando sono una ragazzina ed ho più amici pratesi che cinesi”.
Ed è proprio per questa sua difficoltà a sentirsi cinese al 100% che non sarà lei a trasferirsi nella città di Hangzhou ma sua sorella Fugui (Lisa) che, con il marito Yang Zhizhong (Maurizio), ha costituito una nuova società in Cina. Apriranno 26 nuovi ristoranti-pizzeria (quattro sono già aperti) e per questo stanno cercando italiani (pizzaioli, pasticceri o comunque persone che se la cavano in pizzeria e cucina) disposti a vivere ad Hangzhou in cambio di uno stipendio da 1.500 euro circa, oltre a vitto e alloggio. Una nuova rivoluzione nella famiglia Jin, un ritorno a casa. Ma è molto di più di una storia privata da raccontare e di una trentina di assunzioni.
 
Anche i clienti si cimentano nella...
Anche i clienti si cimentano nella preparazione della pizza
 
E’ il segno di qualcosa che sta cambiando nella comunità cinese di Prato che non è più quella di qualche anno fa. Le seconde generazioni infatti stanno sfruttando la loro doppia appartenenza per fare affari in Cina esportando là il gusto italiano o, più in generale, il Made in Italy. “E’ stato mio cognato Maurizio – racconta Aurora in un perfetto italiano – a decidere, oltre un anno fa, che c’era da cambiare settore. Gli affari qui cominciavano ad andare sempre peggio: non ci sono più i guadagni di quando la mia famiglia si trasferì a Prato. Un po’ per i controlli continui e spesso pretestuosi ma soprattutto perché in questo paese fare un investimento costa troppo: un dipendente costa a livelli inaccettabili e per riprendere i costi, pagando tutte le tasse, adesso dovresti avere ricavi altissimi, impossibili in qualsiasi settore. Ecco quindi che abbiamo avuto l’idea di aprire le pizzerie”.
 
Si tratta di locali di livello medio, accessibili anche a quei cinesi che non possono permettersi le cene nei ristoranti italiani a cinque stelle dove si servono prevalentemente primi, pizze e dolci. “Ci sono operai, impiegati che guadagnano 300-350 euro al mese e che possono andare a cena fuori, vogliono mangiare italiano ma non possono permettersi uno dei tanti locali extralusso che già ci sono. Noi – è sempre Aurora a parlare – offriamo locali simili alle pizzerie che ci sono qui dove, tra l’altro, una volta a settimana i genitori possono preparare la pizza insieme ai figli con l’aiuto del pizzaiolo. Sono locali che piacciono molto e basta poco perché siano remunerativi”.
 
Una delle pizzerie della catena...
Una delle pizzerie della catena aperta in Cina
 
“E’ però importante – prosegue – che il pizzaiolo non abbia gli occhi a mandorla e che le materie prime siano italiane. Io da qui mi occuperò delle forniture e di trovare il personale. Non è necessario ovviamente sia di Prato, basta sia italiano e se la cavi con la pizza. Per noi vanno bene anche giovani che vogliono approfittarne per imparare la lingua e fare un’esperienza all’estero mettendo via un po’ di soldi visto che lì sarà tutto pagato. Tra l’altro lì ci sono tanti europei e ci sono persone che parlano italiano in caso di necessità. Chi volesse candidarsi può chiamare al numero 388-3510052, rispondo io, oppure rispondere alle richieste che ho presentato al Centro per l’impiego di via Galcianese”.

Cassa Depositi e Prestiti, Renzi cambia il timone e vara la nuova rotta

nnooooo come??? Ancora banchieri al comando nel governo dei compagni??? Ma va che strano….

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Trovato l’accordo dopo settimane di trattative: alle Fondazioni bancarie garanzie sui dividendi, mentre il presidente passa a Palazzo Chigi dove sarà consigliere per la banda larga
 
La Cassa Depositi e Prestiti è una banca o la longa manus del governo? Se lo chiedeva a febbraio la Corte dei Conti che evidenziava la necessità di definire la nuova “mission industriale” della società pubblica che gestisce 250 miliardi di risparmi postali degli italiani. Alla luce degli ultimi fatti di cronaca, l’ago della bilancia pende per la seconda opzione, quella che assegna alla Cdp il ruolo di nuovo braccio finanziario della politica industriale dell’esecutivo. Lo testimonia il fatto che Matteo Renzi abbia fatto carte false per sostituire il presidente, Franco Bassanini, facendo spazio all’ex banchiere Goldman Sachs e attuale presidente di Salini-Impregilo, Claudio Costamagna, in passato fra gli ospiti del panfilo Britannia su cui negli anni ’90 si decisero le privatizzazioni dei gioielli di Stato italiani.
 
Per arrivare alla nomina di Costamagna, Renzi è dovuto scendere a patti con le Fondazioni bancarie socie di minoranza della Cassa e con il grande vecchio della finanza italiana, il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti, che fino all’ultimo, ha sostenuto Bassanini. Dopo un lungo tira e molla, per raggiungere il suo obiettivo il governo si è visto costretto ad assicurare alle Fondazioni i dividendi futuri legati all’investimento in Cdp (circa il 18%). Con questo impegno, il governo è riuscito così finalmente ad imporre il nome del suo candidato per la successione alla presidenza, poltrona che per statuto è riservata agli enti. Renzi ha anche “promosso” Bassanini a suo consigliere personale per la fibra pur di convincerlo a farsi da parte. “Serve subito che parta il piano banda ultralarga del governo. Non perdiamo altro tempo!”, ha twittato Bassanini tentando di smorzare i toni relativi alla difficile trattativa che ha portato al suo addio alla Cdp.
 
L’ex ministro “si è dichiarato disponibile a favorire” il processo “di rinnovamento” della Cassa Depositi e Prestiti come ha chiarito una nota di Palazzo Chigi evidenziando che Bassanini assicurerà “la continuità della rappresentanza istituzionale di Cdp fino alla elezione del nuovo presidente”. Il ricambio ai vertici della Cassa Depositi e prestiti avverrà quindi in maniera soft, come sin dall’inizio voleva Renzi che pure aveva minacciato le dimissioni in blocco dei consiglieri indicati dal ministero dell’Economia facendo decadere il cda e decapitando di conseguenza anche i vertici. Il ricambio alla guida della Cdp era del resto necessario “per motivi tecnici” come aveva spiegato nei giorni scorsi il premier dal salotto televisivo di Bruno Vespa, Porta a Porta.
 
Quali siano le ragioni tecniche del ricambio, il premier in un certo senso lo spiega nella nota che formalizza il ribaltone: “L’Italia si trova oggi a un passaggio decisivo per la ripresa – si legge – Le riforme strutturali, l’attrazione degli investimenti e una politica di bilancio basata sul taglio delle tasse sul lavoro stanno riportando il Paese alla crescita. In questo contesto il rafforzamento del ruolo di Cdp risulta ancora più cruciale. Ho parlato col presidente Bassanini dell’esigenza – avvertita dal governo e dalle Fondazioni bancarie – che tale processo sia accompagnato da una riflessione più ampia sulla governance della Cassa”.
 
Con l’uscita di scena di Bassanini si aprirà dunque la “riflessione renziana” che per un soffio non ha portato la Cdp ad una sorta di commissariamento con l’allargamento del consiglio di amministrazione della cassa attraverso l’innesto di uomini di fiducia del governo. La nuova fase promette di essere foriera di ulteriori novità per i massimi vertici della Cdp: Renzi vorrebbe infatti sostituire l’amministratore delegato, Giovanni Gorno Tempini, la cui uscita di scena rischia però di costare cara alle casse pubbliche e di finire persino nel mirino della Corte dei Conti. Per l’avvicendamento, c’è già pronto l’attuale ad della Bnl, Fabio Gallia, citato in giudizio dai magistrati di Trani per presunta truffa nella vendita di prodotti derivati. Per favorire l’arrivo del manager, il governo dovrà tuttavia prevedere la modifica del regolamento della Cdp che esclude la possibilità di nomina nel caso di rinvio a giudizio. L’operazione non spaventa certo il premier rottamatore, ma non giocherà a favore della sua popolarità, ormai sui minimi.
 
Infine, l’intera svolta dirigista renziana sulla Cassa è anche già finita sorvegliata speciale di Bruxelles. Secondo quanto riferito da La Repubblica, l’ufficio statistico europeo osserva da vicino la società pubblica partecipata dalle Fondazioni (18%). “Analizzino continuamente le attività di Cdp in modo da assicurare che siano tutte svolte in condizioni di mercato“, hanno spiegato fonti Eurostat che attendono di vedere quali saranno i risvolti della scelta di Cdp di investire nel fondo salva-imprese, il nuovo strumento con cui il governo vuole intervenire in aziende in difficoltà come l’Ilva di Taranto. L’Unione teme infatti che Cdp, finora, al pari della francese Caisse des depots e della tedesca Kfw, ritenuta un soggetto privato con precisi obiettivi di reddività, possa trasformarsi in una sorta di nuova Iri. L’idea, che non piace alle Fondazioni, potrebbe essere una vera e propria bomba ad orologeria per i conti pubblici dal momento che Eurostat potrebbe chiedere all’Italia di inserire la sua attività nel perimetro della pubblica amministrazione. Così il rinnovamento della Cdp voluto da Renzi non solo metterebbe a rischio la redditività della società, ma i 250 miliardi di risparmio postale, che costituiscono il suo capitale, verrebbero conteggiati nel debito pubblico.
 
di Fiorina Capozzi | 19 giugno 2015

BILDERBERG 2015: MINISTRI E CRIMINALI A BRACCETTO

sono solo innocui vecchietti che si incontrano. Al massimo, sono tutti agli ordini della “st..ga” Merkel

Postato il Venerdì, 12 giugno 

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DI CHARLIE SKELTON
 
theguardian.com
 
ANCHE UNA LEZIONE ACCADEMICA SUL TIPO DI CRIMINALI RIUNITI LÌ DENTRO O SULLE PORCHERIE DELLA HSBC, AVREBBE IMPEDITO AI POLIZIOTTI AUSTRIACI DI PERQUISIRCI ANCORA UNA VOLTA.
 
La notte scorsa nella mia camera d’albergo ho avuto la visita di tre poliziotti austriaci. Erano lì davanti a me, con le loro facce torve, i pettorali fluorescenti, le torce e le armi sul fianco. Era come essere a una grottesca festa mascherata. Gli ho offerto un birra, hanno rifiutato. Erano troppo impegnati a controllare per l’ennesima volta la mia carta d’identità, controllata soltanto 10 minuti prima da un posto di blocco e due minuti prima da un altro posto di blocco. Questo terzo controllo è stato più lungo, era tardi e la mia pazienza stava pian piano svanendo, al punto mi sono tolto camicia e pantaloni lì davanti a loro. “Faccio una doccia” dico. Vado in bagno e me la faccio. Quando ho finito, esco fuori dal bagno con l’asciugamano addosso, pensando che se ne erano andati. Invece no. “Si vesta e venga con noi alla sua macchina”. Questa festa va di male in peggio…
 
Nella foto: Un cartello davanti a un posto di blocco della polizia austriaca su una strada che conduce all’ Interalpen-Hotel Tirol, sede della conferenza Bilderberg 2015.Foto di Christian Bruna / AFP / Getty Images
 
Raggiunta la mia macchina, non voglio continuare con la storia “ma non avete bisogno di sospetti concreti per controllarmi in questo modo?”. Così preferisco fare la mia migliore faccia possibile, apro la macchina e gli dico “prego, accomodatevi pure”. Lo fanno. Mentre uno perquisisce l’auto con la torcia accesa, un altro mi gira intorno e mi chiede: “Dove abita? Che ci fa qui?”. Sono un giornalista e sono in uno stato di polizia. E lei?
 
Nella tasca dei pantaloni trovo una “Guida Multimediale” del G7 che mi avevano dato insieme alla cartellina omaggio al momento dell’accreditamento.
 
Sotto la luce di un faro, puntato su di me come se stessi tentando la fuga da Stalag 17, per passare il tempo inizio a leggere alcuni passaggi della guida. “Personale esperto del governo federale sarà lieto di aiutarvi nel vostro lavoro …”. Uno degli agenti mi interrompe: “Il suo indirizzo per favore”. E ha la mia patente in mano…la cosa sta diventando alquanto ridicola.
 
Poco dopo, seccato e infreddolito, decido di dirgli che mentre sono lì e trattano un giornalista come fosse un criminale, stanno per arrivare nell’albergo che loro sorvegliano, degli autentici criminali. Criminali accertati, come ad esempio l’ex-capo della Cia, David Petraeus, a cui è stata da poco notificata una multa di 100.000 $ (£ 64,000) oltre a due anni di libertà vigilata per fuga di informazioni riservate.  Ora Petraeus lavora per la società ‘avvoltoio’ di private equity KKR, gestita da Henry Kravis, che qui al Bilderberg farà la sua bella figura da Gordon Gecko di Wall Street. Oltre al fatto di avere qualcosa che lo fa realmente assomigliare a un vero ‘geco’.
 
Cos’è un ‘geco’?” chiede uno dei miei ‘rapitori’. ‘Glielo dico io cos’è un geco se mi dice dov’è il centro accreditamento qui. Non ce n’è uno? Un vero peccato, perché se ci fosse sarebbe davvero utile. Non sareste qui a molestare la gente nel bel mezzo della notte. Avrei potuto mostrarvi il passi ‘Stampa’”. Il poliziotto prende appunti. “Ottimo, sta prendendo nota di questo?” No, sta scrivendo il numero della mia patente di guida, di nuovo!
 
Posso andare ora?”. Un altro no. Così proseguo con il mio elenco di criminali.  Mi sposto più vicino casa loro: René Benko, il barone dell’immobiliare austriaco, condannato per corruzione, con sentenza da poco confermata da poco dalla Corte Suprema. Cosa che però non gli ha impedito di essere qui alla Conferenza Bilderberg 2015. “Conosce Benko?” Il poliziotto annuisce. Non è facile con il bagliore delle torce puntato contro, ma mi sembra di cogliere un lampo di vergogna sul suo viso.
 
Lo rassicuro che i crimini di Benko sono del genere nella migliore tradizione del Bilderberg stesso. Non dimentichiamo che il primo presidente del gruppo, il principe Bernardo d’Olanda, è stato un gran truffatore. Arrestato negli anni ’70 mentre gestiva un business di tangenti con Northrop e Lockheed per uno stesso contratto di armamenti. Fu un tale scandalo che nel 1976, il Bilderberg saltò l’edizione di quell’anno per evitare l’imbarazzo mondiale.
 
Forse avrebbero dovuto saltare anche l’edizione di quest’anno, la cosa non mi sarebbe dispiaciuta affatto. Non mi diverto per niente qui. “Le dispiace abbassare quella torciaNon sto cercando di fuggire, lo giuro”. Scuote la testa, un altro severo no. Hanno fatto in modo che accanto a me ci fossero sempre due agenti, uno a destra e uno a sinistra, come si fa probabilmente quando ci si trova di fronte a un giornalista mezzo bagnato che brandisce una Guida Multimediale del G7.
 
Decido di premiare la loro ottima vigilanza parlandogli un po’ della faccenda HSBC. Il presidente del travagliato colosso bancario travagliato, Douglas Flint, è un ‘habitué’ del Bilderberg e sta per arrivare qui anche quest’anno, insieme a un membro del consiglio di amministrazione della banca, Rona Fairhead. E nella sua Mercedes dovrà trovare posto anche il funzionario attualmente più impegnato di tutta la banca: il suo direttore per gli affari legali, Stuart Levey.
 
Un editoriale sul Guardian di questa settimana bollava la HSBC come “Una banca oltre la vergogna”, dopo che la stessa aveva annunciato i suoi piani di tagliare 8.000 posti di lavoro nel Regno Unito, oltre alla minaccia di trasferire la sua sede a Hong Kong. E questo dopo essere stata costretta dall’ente di controllo svizzero a pagare una multa di £ 28 milioni di sterline per riciclaggio di denaro. La grande domanda è: come risponderà a tutto questo il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne? Facile – entrerà in un lussuoso albergo austriaco e si rintanerà da qualche parte per tre giorni insieme ai tre maggiori funzionari della banca, evitando i riflettori.
 
Tra i primi punti all’ordine del giorno della conferenza di quest’anno c’è “Questioni economiche attuali“, e sicuramente per Osborne una delle più grandi questioni economiche è il futuro e le finanze della più grande banca d’Europa. Per fortuna, il cancelliere avrà molto tempo qui al Bilderberg per chiacchierare e definire tutto questo con Flint, Levey e Fairhead. E con l’alto funzionario svizzero per gli affari finanziari, Pierre Maudet, membro del Consiglio di Stato di Ginevra responsabile del dipartimento della sicurezza e dell’economia. Tutto è così incredibilmente comodo e facile qui al Bilderberg…
 
Ma tutto questo non corrisponde affatto alle intenzioni di Osborne, strombazzate cinque anni fa subito dopo il suo insediamento, di “attuare l’agenda della più radicale trasparenza che il paese abbia mai vissuto finora”. Quello che sta facendo qui in Baviera è trasparente quanto un alpeggio visto dall’alto…
 
Sto per arrivare alla questione degli 8,000 posti di lavoro a rischio, quando finalmente sono libero di andare. Un controllo di identità durato 35 minuti, ridicolo. Stavo per arrabbiarmi sul serio, ma per fortuna ci ho preso gusto a fargli quelle lezioni di verità. La luce della torcia si abbassa, stanno per andare via. “Ehi, un momento, ma non vi ho ancora detto niente su Henry Kissinger e i suoi crimini di guerra…”
 
“Buonanotte, signore”.
 
Charlie Skelton
 
 
 
11.06.2015
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63
 
 
 

Israele vieta all’Onu di entrare a Gaza

Tel Aviv ha impedito al relatore speciale Wibisono di raggiungere i Territori nell’ambito dell’inchiesta su Margine Protettivo. Il governo cerca l’impunità, come quella riservata spesso ai propri soldati: domenica un altro palestinese ucciso.
 
Gerusalemme, 16 giugno 2015,
Nena News –
Prima Israele si autoassolve e poi impedisce alle Nazioni Unite di entrare nei Territori Occupati Palestinesi per proseguire nell’inchiesta sull’attacco militare contro Gaza della scorsa estate.
 
Il nuovo relatore speciale Onu per la Palestina, Makarim Wibisono (che ha da poco sostituito Richard Falk, considerato un nemico da Tel Aviv), è stato bloccato la scorsa settimana mentre tentava di entrare nei Territori. Ingresso vietato: “Non abbiamo permesso la sua visita – ha detto il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, Emmanuel Nahshon – Israele coopera con tutte le commissioni e i relatori internazionali, eccetto quando il loro mandato è anti-israeliano e Israele non ha la possibilità di far sentire la propria voce”.
 
Eppure questo relatore, che secondo Tel Aviv è anti-israeliano, è rappresentante delle Nazioni Unite e non di una organizzazione indipendente o non governativa. Ma tant’è: non è la prima volta che Israele taccia il Palazzo di Vetro di antisemitismo o di sentimenti anti-israeliani, nonostante non abbia mai imposto a Tel Aviv il rispetto delle decine di risoluzioni sulla distruzione del Muro di Separazione o lo stop alla colonizzazione nei Territori. E nonostante sia intervenuta solo a parole quando sotto le bombe sono finite le scuole Onu che accoglievano gli sfollati dell’operazione militare israeliana.
 
A spaventare Israele è la chiusura dell’inchiesta Onu sull’operazione militare israeliana del luglio-agosto 2014, Margine Protettivo, contro la Striscia di Gaza: 50 giorni di bombardamenti aerei e azioni militari via terra che hanno lasciato dietro di sé 2.200 morti (di cui un quarto bambini), 11mila feriti, 100mila rifugiati, quasi 100mila case distrutte o gravemente danneggiate. Il rapporto Onu sarà reso pubblico nei prossimi giorni di fronte al Consiglio Onu per i Diritti Umani, che ne discuterà il 29 giugno. La conferma della prossima pubblicazione è stata data dallo stesso Wibisono, ieri a Ginevra. “La mia speranza è che il rapporto segnerà la strada verso la giustizia per tutti i civili vittime della guerra dello scorso anno – ha aggiunto l’Alto Commissario per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad al Hussein – individuando le responsabilità di coloro che hanno commessi gravi violazioni del diritto umanitario internazionale”.
 
Al rapporto mancherà la visita dell’Onu a Gaza, un fatto che si ripete: lo scorso anno era successo lo stesso, al relatore speciale era stato impedito di entrare nei Territori. Un rapporto non certo facile quello tra Israele e l’Unhrc, con Tel Aviv che ha sempre messo in campo tutto il proprio potere per impedire alle varie inchieste di partire.
 
Che bisogno c’è di un’inchiesta che potrebbe aprire la strada alle denunce palestinesi alla Corte Penale Internazionale? Dopotutto Israele ha già provveduto, a modo suo: ieri in duecento pagine di rapporto finale, Tel Aviv si è giudicata e poi assolta per quanto commesso in 50 giorni di attacco: “Gran parte di ciò che può essere sembrato a soggetti esterni come danni indiscriminati a civili o oggetti a solo uso civile è avvenuto in verità nell’ambito di attacchi legittimi contro obiettivi militari che semplicemente appaiono civili”.
 
Insomma, Margine Protettivo è stato un attacco giusto e legale, questo il risultato dell’inchiesta dei Ministeri di Esteri e Giustizia, in collaborazione con l’esercito. Non sono pochi gli osservatori esterni e le organizzazioni per i diritti umani che da tempo attaccano le inchieste faziose condotte dalle autorità israeliane, sempre dirette verso la stessa meta: si indaga sì, ma per autoassolversi. Così si sono chiuse decine di inchieste, dagli attacchi contro Gaza al raid contro la Freedom Flotilla nel maggio 2010, fino ai casi singoli di violenza dei soldati contro civili palestinesi.
 
Due palestinesi vittime dell’esercito in pochi giorni
 
I soldati non vengono puniti e tale impunità gli permette di proseguire nelle vessazioni. È il caso del padre palestinese picchiato da sei soldati per aver chiesto loro di non lanciare gas lacrimogeni dentro la sua casa nel campo profughi di Al Jalazon, pochi giorni fa. Le telecamere hanno ripreso la scena e giornali di tutto il mondo hanno dato la notizia del pestaggio ad un uomo disarmato. L’esercito è stato costretto a investigare e ha punito i soldati responsabili con un confinamento di 30 giorni nella base della propria unità e un rimprovero verbale perché – ha detto il comandante di brigata Asher Ben Lulu – “se l’arresto era giustificato, i mezzi erano inappropriati”.
 
Domenica, invece, a pagare il prezzo della violenza dei soldati è stato Abdullah Iyad Ghuneimat, 22enne del villaggio di Kufr Malik, vicino Ramallah. Mentre tornava a casa dal lavoro, è stato colpito alla schiena dal fuoco israeliano, secondo quanto raccontato da testimoni. È caduto e una jeep militare lo ha investito: è morto dissanguato dopo tre ore di agonia, trascorse sotto la jeep, mentre gridava aiuto, disperato. A paramedici e residenti del villaggio è stato impedito con la forza di prestargli soccorso.
 
Ghumeimat era stato rilasciato da un prigione israeliana solo due mesi fa. L’esercito ha giustificato la sua uccisione affermando che “un uomo sospetto” aveva tentato di lanciare una molotov ai soldati. Anche questa morte, probabilmente, resterà impunita.
 
Fonte: Nena News
 

Bilderberg 2015: “Chi informa commette un reato, ci hanno trattato come criminali”

perché? Qualcuno ci ha provato ad informare??? Il mainstream mica è “complottoide quindi psicopatico”. Lo sa bene la signora Lill Grueber che a quanto pare va a prendere il thé con i simpatici vecchietti più potenti del mondo, dalle sue labbra a canotto non esce niente. Complottisti!! 
Posted on giugno 15, 2015
Di Veritanwo  con il contributo di nocensura.com
 
Alcuni blogger italiani, Max GaetanoAlessandro CarluccioFabiuccio Maggiore (noto nell’ambiente della “controinformazione” per avere presentato e argomentato la tesi di Laurea sul tema del signoraggio bancario, zittendo i prof) insieme al deputato pentastellato Paolo Bernini, si sono recati in Austria per documentare – ovviamente dall’esterno – il meeting Bilderberg 2015, al quale hanno partecipato ben cinque italiani.
 
Appena arrivati nei pressi del luogo dell’incontro, sono stati immediatamente “accolti” dalla polizia austriaca, che dopo un’accurata perquisizione personale, al veicolo e ai bagagli, li ha “schedati”, fotocopiando i documenti e diramandoli a tutte le postazioni delle forze dell’ordine presenti in zona, elevando persino una contravvenzione di 20 euro perché non provvisti di un Kit di pronto soccorso che in Austria è obbligo avere a bordo di un veicolo.
 
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Gaetano e Carluccio, che avevano presidiato anche il meeting Bilderberg 2014, che si tenne a Copenhagen, in Danimarca, hanno immediatamente constatato come l’atteggiamento delle forze dell’ordine fosse molto più severo rispetto ad un anno fa.
 
Oltre ai blogger italiani e al deputato M5s Bernini, erano presenti una decina di persone provenienti da altri paesi europei, tra cui un inviato del celebre blog anglofono “Infowars” di Alex Jones, ma nessun giornalista mainstream. Nessuna testata giornalistica del mondo ha ritenuto di inviare qualche reporter a documentare il meeting dei potenti del mondo! Alcune testate giornalistiche si sono limitate a scrivere che si sarebbero riuniti, cosa propedeutica a “normalizzare” il meeting agli occhi dell’opinione pubblica, come se “non ci fosse niente da nascondere”, nasconderlo completamente susciterebbe sospetti, tuttavia ne parlano pochissimo, per non stimolare il dibattito, anche perché se qualcuno, incuriosito, digita “bilderberg” su Google, ne scopre delle belle, tra cui il fatto che il magistrato Imposimato ritiene che il gruppo sia il mandante delle stragi di stato.
 
La domenica, quando il meeting giungeva a conclusione, si sono recati sul posto anche i deputati M5s Cominardi e Sibilia.
 
ECCO IL VIDEO REALIZZATO DAI BLOGGER ITALIANI, CHE RIASSUME QUESTA ESPERIENZA:
 
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Questo il video del Bilderberg 2014: insieme a Max Gaetano e Carluccio erano presenti Salvo Mandarà e Francesco Amodeo.
 
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Di Veritanwo – con il contributo di nocensura.com

Assessore di Podemos si dimette per una battuta antisemita

non siamo proprio tutti Charlie Hebdo. Anche il Manifesto non si spreca tanto per difenderla. E poi dicono che non esista una certa lobby
 

Madrid. Prima tegola sulla nuova giunta
 
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La nuova sindaca di Madrid, Manuela Carmena
 
 
Edizione del 16.06.2015
 
Pubblicato 15.6.2015, 23:59  –  Aggiornato 16.6.2015, 9:17
 
Nem­meno il tempo di festeg­giare l’insediamento, e prima tegola sulla nuova giunta comu­nale di Madrid: l’assessore alla cul­tura fre­sco di nomina, Guil­lermo Zapata, si è già dimesso. Il motivo? Una serie di tweet di alcuni anni fa con pesan­tis­sime bat­tute su Shoah, ter­ro­ri­smo e fatti di cro­naca vari. Una volta «sco­perti» e divul­gati sui media spa­gnoli nel corso del fine set­ti­mana, il destino di Zapata è parso subito segnato: ieri mat­tina l’annuncio del passo indie­tro e le scuse pubbliche.
 
L’assessore man­cato è pro­ba­bil­mente rima­sto vit­tima della pro­pria inge­nuità più che di idee mostruose che sostiene di non pro­fes­sare affatto: «Non sono un anti­se­mita né uno che disprezza le vit­time degli atten­tati dell’Eta o di altri omi­cidi», ha ripe­tuto Zapata. E molto pro­ba­bil­mente è dav­vero così. Le infami «bar­zel­lette» che scrisse nel 2011 sul pro­prio account twit­ter (esem­pio: «Come fanno a stare sei milioni di ebrei in una Cin­que­cento? Nel posa­ce­nere») face­vano parte di una con­ver­sa­zione intorno ai limiti dell’umorismo e della libertà di espres­sione: Zapata, che di mestiere è autore tele­vi­sivo, sostiene di avere ripor­tato quelle «bat­tute» come esempi «sba­gliati e inac­cet­ta­bili» di humor nero. Pro­ba­bil­mente vero, ma la situa­zione è parsa da subito come una di quelle irri­me­dia­bili: impos­si­bile arroc­carsi in una difesa fatta di distinguo.
 
E così Zapata e la neo­sin­daca Manuela Car­mena hanno deciso di chiu­dere subito l’incidente. Nel pome­rig­gio di ieri Zapata si è pre­sen­tato davanti ai gior­na­li­sti e con un atteg­gia­mento remis­sivo e umile (apparso sin­cero) ha spie­gato le ragioni della rinun­cia all’incarico: «Indi­pen­den­te­mente dal con­te­sto nel quale erano inse­riti, ho scritto cose per le quali mi scuso con tutte le per­sone che si sono sen­tite offese, in par­ti­co­lare con la comu­nità ebraica. Mi dimetto da asses­sore – ha aggiunto – per­ché non voglio che que­sta vicenda dan­neggi il lavoro col­let­tivo che ci attende: il mio destino indi­vi­duale non conta». Parole ragio­ne­voli che hanno smor­zato le pole­mi­che che infu­ria­vano da sabato sera.
 
Sca­te­nati, ovvia­mente, i con­ser­va­tori del Par­tido popu­lar, alla dispe­rata ricerca di qua­lun­que cosa possa met­tere in dif­fi­coltà «i set­tari ed estre­mi­sti» giunti al governo delle prin­ci­pali città ibe­ri­che (oltre alla capi­tale, anche Bar­cel­lona, Valen­cia, Sara­gozza e altri capo­luo­ghi). Il Pp spe­rava che il neoas­ses­sore Zapata ingag­giasse una lotta a difesa del pro­prio inca­rico, inchio­dando in que­sto modo il dibat­tito poli­tico attorno alle bar­zel­lette anti­se­mite: sarebbe stato ucci­dere nella culla l’esperimento di cam­bia­mento che atten­dono con spe­ranza milioni di spa­gnoli. Ma così, per for­tuna, non è stato: Car­mena e i suoi hanno dato prova di saper gestire nel migliore dei modi una situa­zione dif­fi­cile e poten­zial­mente devastante.
 
In man­canza di armi di distra­zione di massa, il Pp deve fare i conti con la pro­pria crisi interna. Il pre­mier e segre­ta­rio Mariano Rajoy, ieri in visita all’Expo a Milano, ha annun­ciato cam­bia­menti: gio­vedì sve­lerà l’arcano e si saprà se riguar­de­ranno solo il par­tito o anche il governo. Nelle inten­zioni del lea­der, il resty­ling ser­virà ad affron­tare la fase finale della legi­sla­tura con lo slan­cio giu­sto per gio­carsi fino in fondo le poche chance di vit­to­ria alle poli­ti­che di novembre.
 
Ele­zioni che gli impren­di­tori cata­lani ostili all’indipendentismo vor­reb­bero anti­ci­pate a set­tem­bre, in modo da met­tere i bastoni fra le ruote al pre­si­dente del governo di Bar­cel­lona, Artur Mas, inten­zio­nato a con­vo­care il voto per il par­la­mento regio­nale – una spe­cie di impli­cito refe­ren­dum per la seces­sione – pro­prio a set­tem­bre: se ci fos­sero le poli­ti­che, sarebbe costretto a rin­viare. Rajoy, però, alla con­fin­du­stria cata­lana ha rispo­sto pic­che: «Le ele­zioni si faranno quando è pre­vi­sto», e cioè a fine novem­bre. Una deter­mi­na­zione che suona come un dispe­rato tirare a campare.

Grecia, ora tocca ai leader europei

Ma le sinistre, la parte sana del pianeta, non ci hanno detto che le donne sono brave e buone a prescindere????? Ecco le parole della Christine Lagarde, che se l’avesse pronunciate la Merkel le avrebbero già sparato, MA IL FMI NON SI CONTESTA. Pure il manifesto quando Tsipras definisce criminale il FMI quasi ne prende le distanze. Va bene il politically correct, ma che non sia vigliaccheria o servilismo è difficile da non credere

Grecia, è fuga dai depositi: ritirati 4 miliardi  in 5 giorni. Dalla Bce fondi fino a lunedì

LUSSEMBURGO – È terminata con un drammatico nulla di fatto l’ennesima riunione dell’Eurogruppo dedicata alla Grecia, vicina al tracollo finanziario. L’insuccesso ha indotto il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk di organizzare per lunedì un vertice straordinario dei leader della zona euro. Il momento è delicatissimo, tanto più che il Fondo monetario internazionale ha avvertito il governo greco che la scadenza del 30 giugno entro cui rimborsare un prestito all’Fmi è perentoria.
 
“E’ giunto il momento di discutere urgentemente la situazione della Grecia al livello politico più elevato”, ha detto Tusk in un comunicato. Pochi minuti prima il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem aveva annunciato che i ministri delle Finanze della zona euro, riuniti qui in Lussemburgo, non avevano trovato alcun accordo sull’esborso di nuovi aiuti ad Atene: “Mi spiace dire che troppo poco progresso è stato compiuto nei negoziati con la Grecia”, incentrati su nuovi prestiti in cambio di nuove riforme.
 
Il tempo per una intesa è ormai pochissimo. L’uomo politico olandese ha precisato che l’attuale programma greco scade il 30 giugno, una data ormai troppo vicina per immaginare l’esborso di nuovi aiuti dopo la firma di un eventuale accordo. Tenuto conto del fatto che dal 1° luglio “i fondi riservati alla Grecia (…) non saranno più disponibili”, Dijsselbloem ha spiegato che “è ancora possibile trovare una intesa per estendere l’attuale memorandum in scadenza a fine mese, ma il tempo veramente è contato”.
 
A complicare la posizione greca è anche l’atteggiamento dell’Fmi. Il direttore generale del Fondo Christine Lagarde ha gelato le speranze greche di un possibile rinvio del rimborso di 1,6 miliardi di euro in scadenza a fine mese: In mancanza di rimborso, “il paese sarà in fallimento. Dal 1° luglio, accumulerà arretrati nei confronti del Fondo”. Parlando alla stampa, la signora Lagarde ha poi aggiunto: “Non c’è alcun periodo di grazia o un rinvio (del pagamento, ndr) di due mesi, come ho letto qua e là”.
 
Il confronto tra le parti è drammatico. Atene rifiuta le proposte di riforme presentate dai creditori, tali da sbloccare nuovi aiuti per 7,2 miliardi di euro. Il pericolo di una uscita della Grecia dalla zona euro si tocca con mano. Secondo Reuters, durante l’Eurogruppo il banchiere centrale Benoît Cœuré avrebbe detto che le banche greche, a corto di liquidità, potrebbero non aprire lunedì. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha però ribadito che l’Italia è “solida”, che non vi sono rischi di contagio come in passato.
 
A Eurogruppo concluso, il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis ha tratteggiato ancora una volta un piano greco basato su riforme, investimenti, e la partecipazione del paese al piano di allentamento quantitativo della Banca centrale europea. L’economista ha spiegato alla stampa di avere proposto ai partner un pacchetto di riforme, piuttosto che di tagli alla spesa, illustrando un meccanismo di freno del debito (non era chiaro se diverso da quello già esistente nel fiscal compact).
 
Per tutta risposta, i rappresentanti dei creditori hanno usato toni spazientiti e insofferenti. Di solito accomodante, il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici ha sottolineato che per negoziare sono necessarie “persone in buona fede”, respingendo con forza l’idea che le proposte presentate dai creditori siano assurde o criminali, come ha detto l’establishment greco. La signora Lagarde ha esortato Atene di restaurare il dialogo tra le parti da “adulti”.
 
Il vertice di lunedì dovrebbe essere preceduto da una nuova riunione dell’Eurogruppo in giornata. Da tempo, il premier Alexis Tsipras chiedeva un vertice tra i leader, alla ricerca di un accordo politico ai massimi livelli pur di strappare nuove concessioni. Finora i leader si erano rifiutati, rinviando il negoziato all’Fmi, alla Commissione e alla Banca centrale europea. Da Berlino, senza prendere impegni, la cancelliera Angela Merkel ha precisato: “Quando c’è la volontà, c’è la possibilità di un accordo”.

Grecia, è fuga dai depositi: ritirati 4 miliardi in 5 giorni. Dalla Bce fondi fino a lunedì

La BCE che presta a STROZZO non indigna nessuno???? NO GUAI L’IMPORTANTE E’ RIMANERE NELL’EURO AD OGNI COSTO
E COME SI FA A NON SOSTENERE CHE CHI E’ A FAVORE DELL’EURO LAVORA PER LE BANCHE???????
Leggete le condizioni del FMI (non della Merkel che lasciava la Grecia scegliere di uscire, CONTRARIAMENTE ALL’FMI)

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(reuters)
 
L’ombra dei controlli di capitali come avvenne a Cipro nel 2013 aleggia su Atene. Questa settimana almeno quattro miliardi di euro sono stati ritirati dai conti correnti greci, senza clamore ma con code ordinate davanti ai bancomat, di cui ben 1,2 miliardi solo oggi. Così sono crollati ai minimi da oltre 10 anni i depositi bancari: a meno di 127 miliardi di euro dai 240 miliardi di prima della crisi. Tanto che si sono diffuse voci, subito smentite dal ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, su una possibile chiusura lunedì degli istituti di credito.
 
Le banche in realtà restano aperte solo grazie ai fondi della Banca centrale europea, che oggi ha innalzato per la seconda volta questa settimana il tetto della liquidità di emergenza per le banche greche (Ela), un tipo di prestiti con tassi di interesse più alti di quelli convenzionali. La Banca centrale greca aveva chiesto un aumento di oltre 3 miliardi: secondo fonti interpellate dal Financial Times l’ammontare deciso dalla Bce sarebbe inferiore a 3 miliardi (fonti greche parlano di 1,8 miliardi) e dovrà servire per coprire la liquidità delle banche greche oggi e lunedì, quando è previsto un altro incontro del direttivo dell’Eurotower per varare eventualmente un altro ampliamento del tetto della liquidità di emergenza. La Bce insomma tiene Atene sulle spine e indirettamente cerca di premere su Tsipras perché lunedì raggiunga un’intesa al vertice straordinario con gli altri capi di Sato e di Governo. La decisione è stata presa in teleconferenza dal direttivo dell’Eurotower, sulla scia delle allarmanti notizie sul ritiro dei depositi delle banche greche da parte dei risparmiatori, preoccupati per il rischio di una Grexit. Mercoledì scorso la Bce aveva innalzato di 1,1 miliardi di euro il tetto della liquidità di emergenza per le banche greche, portandolo a 84,1 miliardi di euro.
 
Nel Paese intanto accelera la corsa agli sportelli per il timore di un default e di una possibile Grexit. Fa paura l’incertezza sulla possibilità o meno di un accordo con i creditori internazionali per la concessione dell’ultima tranche da 7,2 miliardi di euro del secondo piano di salvataggio ferma da agosto la cui proroga scade a fine giugno. Ma si teme anche per la futura permanenza del Paese nell’euro e per le ipotesi di misure alla cipriota che potrebbero prendere di mira proprio i conti bancari, bloccando come avvenne a marzo 2013 a Cipro i movimenti di capitale.
 
A Nicosia il governo decise in attesa di un accordo con la troika nel 2013 di porre limiti di prelievo fino a un massimo di 300 euro al giorno dai conti sia con le carte di credito sia con gli assegni e per chi si voleva recare all’estero non poteva portare con sé più di 5mila euro per ogni viaggio fuori dai confini. Gli assegni non poterono essere depositati sull’isola ma solo depositati su conti correnti. Alle imprese venne consentito l’uso di questo mezzo di pagamento con più ampiezza anche se dovevano giustificare tutte le operazioni superiori ai 200mila euro. I depositi a termine non poterono essere toccati prima della scadenza e le banche cipriote rimasero chiuse per due settimane.
 
Ma torniamo alla Grecia, dove i piccoli risparmiatori temono sia i controlli di capitale sia l’introduzione della dracma con possibile svalutazione del 40% e oltre della nuova valuta. Ad aprile, secondo i dati della Banca di Grecia, l’ammontare totale dei depositi si era ridotto a 142,7 miliardi di euro, dai 149 miliardi di marzo e ora si parla di 127 miliardi. Si tratta del valore più basso dal dicembre del 2004. I depositi di imprese e famiglie si sono assottigliati a 133,6 miliardi, dai 138,5 miliardi di un mese prima. Dati che mostrano come la fuga di capitali non si sia arrestata, anzi negli ultiomi giorni ha accelerato, con ben 4 miliardi usciti dalle banche solo nell’ultima settimana: un ritmo insostenibile. All’inizio della crisi le banche avevano 240 miliardi di depositi. A questo punto gli istituti di credito sono sotto pressione e contano solo sulla liquidità della Bce attraverso l’Ela, un canale di emergenza. L’introduzione dei controlli sui movimenti di capitali sarebbe un colpo al cuore per la stagione turistica. Il turismo è un settore che pesa quasi per il 18% del Pil ellenico che nel frattempo ha perso il 25% del suo valore prima della cura dell’austerity targata Fmi.

Greci in piazza per la «fermezza»

il manifesto come tutta la stampa mainstream ha dell’incredibile: fuoco e fiamme, manifestazioni antiausterity MA GUAIA A DIRE IL FMI E’ CRIMINALE O FUORI DALL’EURO.
Ricordano la povertà ed i suicidi MA RIBADISCONO CHE USCIRE DALL’EURO SAREBBE PIU’ COSTOSO.
Come non fosse chiaro fin dall’inizio COSA L’EURO COMPORTASSE, come fingere di stare dalla parte dei deboli CONTINUANDO A FARE MIELINA PER LE BANCHE
Disgustosi. D’altronde come non pensare all’ “antagonista” Casarin che dissse che la nuova sinistra sta con l’euro? (perché quella vecchia era contro??!!!!)

Ma ovviamente è tutta colpa della Merkel che pure disse che avrebbe accettato un GREXIT, il FMI?? Angeli a quanto pare per il manifesto
Ed il BANKRUN?
 

Atene. Tsipras incontra oggi e domani Putin a San Pietroburgo sulla pipeline Turk Stream. Syriza contro il tempismo del presidente della Banca di Grecia Stournaras che agita il default mentre è braccio di ferro con i creditori
 
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ATENE
 
Edizione del 19.06.2015
 
Pubblicato  8.6.2015, 23:57    –  Aggiornato 19.6.2015, 12:23
 
Il paese, a sen­tire i greci, vive i momenti piú cri­tici dal dopo­guerra. La frase «guerra aperta tra la Gre­cia e i suoi cre­di­tori» domina ormai in tutti i tg e titoli di stampa. Ale­xis Tsi­pras ha accu­sato, cre­di­bil­mente, il Fmi di avere «respon­sa­bi­litá cri­mi­nali» per la situa­zione in cui versa il Paese, Jean-Claude Junc­ker a sua volta — ma ingiu­sta­mente come si é dimo­strato dopo — ribatte a Tsi­pras di men­tire sul negoziato.
 
Ogni giorno è un’altalena di sen­ti­menti, tra rab­bia e pre­oc­cu­pa­zione, timore e fer­mezza che, è bene ricor­darlo, è il sen­ti­mento più popo­lare, basta par­lare con la gente. La stessa che per due giorni con­se­cu­tivi si é radu­nata a Pla­tia Syn­tag­ma­tos, la piazza della Costi­tu­zione ad Atene, alla Torre bianca, il sim­bolo della cittá di Salo­nicco, a Cha­nia nell’ isola di Creta.
 
Due mani­fe­sta­zioni diverse, la prima dell’altro ieri pro­mossa da movi­menti e col­let­tivi di sini­stra nella quale hanno par­te­ci­pato anche par­la­men­tari e mini­stri del governo del Syriza e dei Greci indi­pen­denti (Anel); l’ altra di mer­co­ledì sera orga­niz­zata da ini­zia­tive poli­ti­che ade­renti ai con­ser­va­tori della Nea Dimo­kra­tia e ai socia­li­sti del Pasok.
 
«No alla sot­to­mis­sione» ai cre­di­tori, «il nego­ziato lo fac­ciamo noi» gri­da­vano gli atti­vi­sti della sini­stra radi­cale che in tanti si schie­rano a favore di una rot­tura delle trat­tat­tive con Bru­xel­les; «Rima­niamo in Europa» era lo slo­gan prin­ci­pale dei socia­li­sti e dei con­ser­va­tori dimen­ti­chi di come loro ci sono stati, in Europa: subal­terni, a subire ricatti e ad allar­gare il debito. Comun­que, deno­mi­na­tore comune in ambe­due le mani­fe­sta­zioni la fer­mezza per un accordo che sia ono­re­vole e per una solu­zione sostenibile.
 
Parole che lo stesso Tsi­pras ha ripe­tuto al ter­mine di un incon­tro con il can­cel­liere austriaco Wer­ner Fay­mann che si è dichia­rato «soli­dale con Atene». «Siamo pronti a dare un grande no a un cat­tivo accordo» ha affer­mato il pre­mier greco, che oggi si incon­tra a San Pie­tro­burgo con il pre­si­dente russo Vla­di­mir Putin al mar­gine di un forum eco­no­mico internazionale.
 
Nes­suno vor­rebbe l’ uscita della Gre­cia dalla zona euro. Il costo sarebbe troppo ele­vato. Ma il buco finan­zia­rio — le diver­genze tra le pro­po­ste di Atene e i suoi cre­di­tori — non supe­rano il miliardo di euro. Per­ché allora il nego­ziato rischia di fal­lire «per un pugno di dol­lari»? Per­ché è in atto uno scon­tro poli­tico sulla cosi­detta «ricetta di sal­va­tag­gio». I memo­ran­dum impo­sti in tutti que­sti anni in Gre­cia da parte dei cre­di­tori hanno pro­vo­cato una crisi uma­ni­ta­ria immensa, senza risol­vere il pro­blema del debito pub­blico e della cre­scita nel paese.
 
La Gre­cia é il paese che ha fatto piú riforme durante la crisi. E que­sto non lo dice sta­volta il governo Tsi­pras, ma un isti­tuto ban­ca­rio tede­sco, la Beren­berg, che da anni ana­lizza lo stato delle riforme nell’eurozona. Insomma, le cose non cam­biano se non cam­bia la «ricetta di sal­va­tag­gio» con annessa la ristrut­tu­ra­zione del debito. E qual­siasi misura che peg­giori lo sta­tus eco­no­mico non é accet­ta­bile, non solo per­ché Tsi­pras vio­le­rebbe il suo man­dato elet­to­rale, ma anche per­ché c’è poco da spre­mere, la mag­gio­ranza dei greci vive sull’ orlo o sotto la soglia (al 18%) della povertá (basta pen­sare a due record: i disoc­cu­pati e suicidi).
 
Nono­stante che la que­stione della ristrut­tu­ra­zione del debito non venga sol­le­vata dai part­ner euro­pei — ne parla il Fmi ma non per il «suo» debito con Atene — a Bru­xel­les insi­stono che c’è il blocco del nego­ziato per­ché Atene non ha man­dato un altro cata­logo di riforme. Men­tre Junc­ker si smen­ti­sce, in disac­cordo con le «Isti­tu­zioni» che insi­stono sull’aumento dell’Iva su far­maci e beni di prima neces­sitá, oltre all’aumento delle bol­lette elet­tri­che. Il pre­mier greco invece insi­ste che «la nostra pro­po­sta assi­cura che cen­tre­remo gli obiet­tivi di bilan­cio fis­sati dalle isti­tu­zioni per il 2015–2016». Insomma quel che aspetta la Com­mis­sione Ue è. giá sul tavolo del negoziato.
 
Intanto il pre­si­dente della Banca di Gre­cia (BdG), Yan­nis Stour­na­ras, ex mini­stro delle finanze durante il governo di coa­li­zione tra con­ser­va­tori e socia­li­sti, avverte che il man­cato rag­giun­gi­mento di un accordo si tra­durrà in un default e di con­se­guenza la Gre­cia sarà costretta ad uscire non solo dall’euro, ma anche dall’Unione europea.
 
Le valu­ta­zioni di Stour­na­ras hanno pro­vo­cato una marea di rea­zioni dure da parte di Syriza. Che pro­te­sta per il «tem­pi­smo» scelto dal pre­si­dente della indi­pen­dente BdG: Stour­na­ras infatti ha deciso di anti­ci­pare la pub­bli­ca­zione del suo rap­porto pro­prio nel momento più cri­tico delle trat­tat­tive con i cre­di­tori, facendo con­si­de­ra­zioni poli­ti­che che non riguar­dano un’autorità indipendente.